Laura Sugamele: “Femminismo, autodeterminazione, patriarcato”

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Il libro Femminismo, autodeterminazione, patriarcato. Una riflessione critica sulle moderne strutture biopolitiche (Stamen 2024) scritto dall’autrice Laura Sugamele, si propone come una riflessione sulle principali questioni che caratterizzano l’attuale pensiero femminista.

Attraverso una disamina approfondita della letteratura di riferimento, l’autrice ha tentato di analizzare la connessione tra reificazione e corpo femminile affrontata nei tre capitoli che costituiscono il testo. Il primo capitolo dal titolo Dicotomia, corpo femminile e reificazione, mette in evidenza quanto le dicotomie siano in grado di produrre categorizzazioni tese a influenzare una determinata rappresentazione del corpo femminile nella cultura, nonché il suo ruolo pubblico. Nel secondo capitolo Effetti ed esiti del neo-patriarcato, l’autrice riflette sugli effetti di una nuova tipologia di patriarcato, per lo più connesso alla relazione tra biotecnologie riproduttive e medicalizzazione del corpo femminile. Il terzo, Femminismo della cura e bioetica, è incentrato su una disamina che iniziando dal modello paternalista, che presenta alcune limitazioni, pone una nuova idea di autonomia fondata sulla reciprocità nelle relazioni, mettendo in evidenza l’empatia come valore etico. Il testo invita a riflettere sulle tradizionali logiche dicotomiche e a esaminare le diverse sfumature che contraddistinguono le dinamiche di potere che si innestano relativamente al discorso dell’autodeterminazione sul corpo. Tali dinamiche connesse alla complessa combinazione potere-conoscenza del corpo, emerse già nell’Ottocento, hanno una base in quella che il filosofo Foucault definisce scientia sexualis. Questa “scienza” ha orientato le relazioni umane verso la creazione di un “verità” sulla sessualità, finalizzata alla definizione di strategie sociali e politiche tese al controllo dei corpi; un contesto in cui il corpo acquisisce il “ruolo” di un dispositivo di potere attraverso cui produrre “discorsi” sulla sessualità. A partire dalla riflessione di Foucault «sul rapporto tra potere, sapere e sessualità, il potere è quindi, circolare, reticolare ed emerge come dimensione repressiva del sesso […]» (p. 19). All’interno di tale contesto, le produzioni categoriali sul corpo hanno avuto la conseguenza di stabilire l’esclusione, piuttosto che la diversità di un corpo dall’altro, e tale atteggiamento ha trovato una sua peculiarità nella società della morale ottocentesca, la quale ha contribuito a formulare alcune significative nozioni come quella di “contro natura” laddove, la categoria della “differenza” viene adoperata da Foucault per «smascherare proprio quelle strategie storicamente determinate e interpretate dal potere costituito, al fine di normalizzare le differenze, attribuendo ad esse un significato all’interno di un quadro istituzionale» (p. 24). Il “valore” della conoscenza conferisce un significato specifico al sesso e al corpo sociale allorché, la logica dualista – su un piano storico e antropologico – progressivamente ha cristallizzato le polarità in paradigmi sessuali-storicizzati, alla fine, determinando il corpo sia come realtà costruita, sia come principio narrativo delle divisioni sessuali.

La riflessione compiuta dall’autrice considera le prospettive teoriche di autorevoli voci del femminismo, tra cui l’antropologa Mary Douglas, la quale sottolinea come gli “usi sociali” del corpo siano finalizzati alla formazione di determinate strutture sociali. In questa prospettiva, i corpi femminili e maschili sono orientati su gerarchie e su dicotomie tradizionali. Ed è proprio dalla concezione del corpo come fulcro della “narrazione” dualista che, in particolare dagli anni Settanta, le argomentazioni successive del movimento femminista iniziano ad essere rivolte, propriamente, sulla specificità dell’oppressione delle donne relativamente alle discriminazioni sociali, economiche, razziali e sessuali (p. 34). «A questo punto, il femminismo inizia a configurarsi come movimento politico e militante la cui finalità è quella di “dare voce” all’oppressione delle donne come una questione che ha origini storiche, patriarcali e antropologiche. Dagli anni Settanta c’è quindi la necessità di decostruire l’idea che il ruolo della donna sia esclusivamente connesso con un “destino procreativo”» (pp. 34-35). Nelle pagine del testo, il termine “reificazione” è una costante – termine che nella riflessione dell’autrice viene declinato nel significato di “oggettivazione” del corpo femminile – il quale, successivamente al pensiero di Karl Marx, inizia ad essere esaminato attraverso diverse prospettive teoriche, ad esempio in György Lukács che identifica il processo di reificazione come aspetto centrale in una società capitalista, in cui le capacità individuali e le relazioni sociali, legate al risultato finale di produzione, sono ridefinite come fattori produttivi ed economici. Nell’ambito del femminismo sono di rilievo le riflessioni di Martha Nussbaum e Catherine Mackinnon. Da una parte Nussbaum, che parla di reificazione come “oggettivazione”, un termine che quindi ha un chiaro riferimento alla trasformazione del soggetto, sia femminile che maschile, in merce di scambio; dall’altra Mackinnon, la quale si pone sulla stessa linea, sottolineando l’aspetto negativo che contraddistingue la reificazione, evidenziando tale categoria come fattore determinante nella riduzione dell’essere umano quale strumento per il raggiungimento di un obiettivo, in particolare economico. Nel testo si riflette anche sull’influenza del contesto culturale e di modelli sessuali specifici nel meccanismo di reificazione-oggettivazione del corpo femminile, per le conseguenze di tale meccanismo connesso a canoni estetici e di bellezza determinati socialmente. La connessione tra reificazione del corpo e interiorizzazione di modelli sessuali specifici, viene esaminata dall’autrice, attraverso il pensiero di Jean Baudrillard, sociologo e filosofo francese, il quale, in buona parte delle sue opere, delinea la società contemporanea come una società focalizzata sulla ricerca e sul consumo di beni, il cui fondamento è il “valore di scambio simbolico”. È questo che consente agli individui, all’interno del proprio contesto sociale, di preservare lo status socio-economico a cui appartengono. Tale trasformazione tende a declinarsi sulla sessualità, sul corpo, sulle gerarchie di genere, classe e razza, nonché sulla riproduzione giacché, la società contemporanea, caratterizzata da una “politicizzazione” della sfera privata e sessuale, contribuisce a una reiterazione del meccanismo di produzione-riproduzione dei corpi, all’interno di logiche di mercato incentrate sul profitto. Il particolare punto di vista che si può scorgere è quello che mette in evidenza l’attuale processo bio-economico, alla base della connessione patriarcato-capacità procreativa femminile, nel cui contesto il corpo della donna, certamente acquisisce un valore simbolico specifico (p. 57). Questo aspetto viene perfettamente chiarito attraverso le riflessioni di tre influenti voci del panorama femminista post-coloniale: Carolyn Merchant, Silvia Federici e Vandana Shiva, il cui pensiero sembra focalizzarsi sull’interazione colonialismo-capitalismo-patriarcato laddove, le attuali dinamiche economiche sono interpretate sia come riflesso di una impostazione antropocentrica, sia come un autentico meccanismo neo-economico e neo-coloniale finalizzato all’accumulazione di ricchezza (p. 63). In particolare nel pensiero di Shiva emerge «la connessione tra risorse della natura, risorse sessuali e riproduttive» (p. 64). Viene accentuato, quindi, il legame tra risorse naturali e risorse riproduttive, nel momento in cui la manipolazione e lo sfruttamento della natura, nonché della natura umana, è una tematica che viene collegata all’oppressione delle donne e del loro corpo, in tal modo categorizzato in un sistema economico-patriarcale controllato con il fine di produrre profitto. In questa linea concettuale, l’autrice – attraverso il pensiero di Zygmunt Bauman sulla postmodernità – riflette anche sull’attuale condizione degli individui trasformati in consumatori, una condizione che sembra essere connotata da una dimensione sociale-culturale individualista, nella quale i legami e le relazioni umane sono fragili, assumendo una “forma liquida” (p. 65).

Difatti, il punto di vista critico che Bauman offre della società consumistica, caratterizzata da “corpi” trasformati in prodotti e da relazioni umane commerciabili, costituisce un’analisi significativa che prende in considerazione anche la procreazione quale parte integrante dell’attuale processo economico. La connessione procreazione-economia, viene affrontata dall’autrice facendo riferimento al pensiero di Nancy Fraser, filosofa statunitense che riflette criticamente sul femminismo di “seconda ondata”, il quale – secondo Fraser – avrebbe avuto una involuzione relativamente all’istanza dell’autodeterminazione sul corpo, modificando la sua traiettoria in direzione di un contesto economico e neoliberista. Nello specifico, Fraser osserva che, nell’intento di promuovere l’emancipazione delle donne, la “seconda ondata” del femminismo ha tuttavia modificato il proprio orientamento filosofico-concettuale, alla fine, allineandosi con una visione della produttività, del profitto e della riproduzione sociale, rispetto a una visione positiva dell’utilizzo delle metodiche biotecnologiche (p. 66). In tal senso, è fondamentale comprendere le contraddizioni interne allo stesso pensiero femminista, relativamente a diverse posizioni che esistono sull’eventuale utilizzo delle metodiche biotecnologiche. Tale aspetto, secondo Fraser, mette in evidenza quanto sia cambiato il senso stesso della libertà femminile sul corpo, adesso, identificata con una «ri-significazione emancipatoria» (p. 77). Questa nuova strutturazione economica che ha pervaso la stessa società, secondo Fraser ha la sua origine nel capitalismo organizzato dallo Stato, ossia quella forma economica sorta durante la grande depressione e nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale; un sistema economico complesso che, secondo Fraser, ha avuto come finalità quella di risolvere le contraddizioni tra produzione economica e riproduzione sociale, ma che ha, comunque, impattato significativamente dal punto di vista dello sfruttamento delle risorse, sia umane che naturali (p. 79); e alla base di questo sistema – supportato dalla tendenza a uniformare comportamenti, azioni, abitudini determinate e legate a ruoli sociali e di genere – vi è l’economia neoliberale, la cui connotazione è quella di reiterare “pratiche di riproduzione”. In tal modo, si sottolinea una stretta correlazione tra funzione riproduttiva e le attuali tecnologie, aspetto che dovrebbe far riflettere sulla peculiarità dell’attuale tendenza economica poiché convergente con le moderne «pratiche di riproduzione, le quali sono particolarmente costose e il cui accesso è relativo alla procedura che viene richiesta» (p. 82). In questa prospettiva, il focus incentrato sulle “pratiche di riproduzione” conduce a riflettere sulla subordinazione femminile poiché, specialmente in ambito riproduttivo-procreativo, tale condizione – connessa al genere – si dilata in vari contesti, ossia non limitati allo spazio domestico e privato, bensì estesi a quello pubblico-politico laddove, è necessario considerare che «categorie come il razzismo, classismo e sessismo, inevitabilmente, influiscono sull’emarginazione e la subordinazione, non solo delle donne bensì di altri soggetti vulnerabili socialmente» (p. 96). In tali termini, è innegabile che le moderne tecnologie riproduttive offrono alle donne una possibilità maggiore di autonomia, nonostante, sia opportuno comprendere le eventuali conseguenze sociali, nonché le implicazioni etiche legate a un loro utilizzo (p. 97). Sarebbe quindi, opportuno riflettere su quali siano le effettive possibilità di accesso alle tecnologie per tutte le donne e se tale possibilità sia legata al fatto di appartenere a determinate categorie sociali. Nel testo, la riflessione si collega al tema della medicalizzazione del corpo femminile, in sintonia con il pensiero di Barbara Duden, per la quale, dal Seicento il corpo femminile sembra esser stato categorizzato su una “narrazione” sessuale-riproduttiva, aspetto particolarmente rilevante nel diciannovesimo secolo, dove il meccanismo di reificazione dei corpi viene reiterato attraverso un discorso pubblico sulla maternità come ruolo istituzionale, obiettivo che, come sottolinea Duden, si concretizza con un intervento diretto da parte dello Stato e della politica pubblica sulla riproduzione e sulla cura dei fanciulli. Secondo Duden, proprio la responsabilità sociale attribuita alla donna, in relazione alla sua funzione riproduttiva – identificata come continuità sociale – potrebbe allinearsi a una forma di miglioramento riproduttivo del corpo (p. 100). Il libro prosegue con una disamina sulle recenti concettualizzazioni femministe, integrate con teorizzazioni inerenti agli studi di bioetica, nelle quali si sottolinea una prospettiva critica nei confronti del ragionamento astratto e individualista connesso alla tradizione medico-paternalistica, perché tendente a omettere il complesso panorama esistenziale che contraddistingue una persona, dalle relazioni interpersonali al contesto culturale, sociale, economico o religioso. Si evidenzia l’importanza di un approccio femminista alla bioetica che si caratterizza per un’attenzione particolare al benessere individuale, il quale andrebbe collegato a una comprensione dell’orizzonte esistenziale di una persona, in un’accezione ampia che ha un chiaro fil rouge nel riconoscimento dell’empatia, del dialogo e della comprensione dei problemi altrui (p. 105). In precedenza, da Carl Rogers a Daniel Goleman, sino a Martha Albertson Fineman, si pone enfasi sul concetto di vulnerabilità e di empatia. In particolare, il concetto di vulnerabilità emerge quale condizione condivisa che può trasformarsi in risorsa, al fine di promuovere concretamente pari opportunità, obiettivo che può realizzarsi proprio grazie all’empatia per l’altro/a. In tale prospettiva è fondamentale considerare e valutare, in primo luogo, le esperienze di vita di ogni soggetto; tale approccio è quindi rilevante, in quanto mette in evidenza la ristrettezza di un modello teorico-morale, esclusivamente fondato su norme astratte e principi generali.

Da questo punto di vista, per il pensiero femminista è centrale adottare un “distanziamento critico” da un sistema teorico-astratto che presuppone di esaminare tutto ciò che contraddistingue lo spazio personale di un soggetto, mediante l’applicazione di principi razionali e universali che, di fatto, sono parziali rispetto a una valutazione complessa che ha la necessità di scandagliare il “caso particolare”, che richiede proprio un’analisi particolare di tutti gli aspetti che contraddistinguono l’esistenza individuale, dilatata attorno a variabili economiche, culturali o di genere (p. 107). La riflessione dell’autrice, in tal modo, si sofferma sul femminismo della “differenza sessuale”, il quale mette in luce la necessità di comprendere gli individui e il loro specifico contesto di vita laddove, nella pratica, è fondamentale proporre non solo un richiamo alla “cura”, bensì una maggiore attenzione verso un potenziamento delle “capacità” delle persone in un determinato contesto relazionale. Nelle posizioni di Sara Ruddick, Nel Nodding, Susan Wolf, Fiona Robinson, Carol Gilligan, Eva Kittay, Virginia Held e Joan Tronto – delle quali l’autrice esamina le diverse concettualizzazioni teoriche – si indica il concetto di “etica della cura” per la sua importanza nel riconoscere le relazioni e i legami poiché, sono questi che influiscono sull’esistenza delle persone; pertanto è necessario evidenziare quanto sia rilevante la dimensione concreta dell’esperienza soggettiva, la quale è caratterizzata da parole, azioni e interazioni. La “cura” identificata come aspetto intrinseco all’interdipendenza e alla propensione a comprendere e a sostenere l’altro/a e la sua vulnerabilità, la quale non deve essere interpretata come debolezza o fragilità, perché il suo significato si estende a una prospettiva più ampia, ossia quella di conoscere e riconoscere che il “noi” si costituisce soltanto nella relazione e nella comunicazione reciproca con l’“altro”. Ciò implica che l’etica della cura, l’empatia e la relazione-comprensione sono su un analogo piano di riflessione. Del resto, l’empatia costituisce il “cuore” della relazione noi-altro, essenziale interconnessione connotata da una comprensione reciproca che, se percepita da entrambi i soggetti coinvolti in tale relazione, offre la possibilità di affrontare la vulnerabilità che comunque, è parte della stessa esperienza umana (p. 120). Relazione, dare, ricevere e senso di responsabilità costituiscono i tre aspetti fondamentali che definiscono la vulnerabilità di ogni essere umano, nonché la sua interdipendenza dagli altri, in linea con un concetto basilare che costituisce il “terreno” di tale interdipendenza: la necessità di prendersi cura degli altri. In tal modo, l’interdipendenza si delinea come interconnessione positiva, che rappresenta un tratto distintivo di ciascun individuo e che richiama la coesione quale caratteristica principale di ogni comunità democratica, dove ogni persona supporta l’altra, risultando così un elemento centrale nel contesto collettivo delle relazioni umane (p. 126). Nel testo, si sottolinea ulteriormente quanto il concetto di cura abbia un chiaro riferimento nell’interazione tra due soggetti, specialmente nell’azione del sostegno e del supporto, come azione deliberata e intenzionale di “aiutare” e “comprendere” l’altro. Tale atteggiamento è direttamente orientato alla pratica relazionale, da cui emerge proprio il suo valore: la relazione di cura che ha una significativa portata morale e universale, in quanto riferita alla “buona cura” e alla “cura della persona”. In quest’ottica, attraverso la posizione di Martha Nussbaum, filosofa che ha teorizzato il concetto di “approccio delle capacità”, il testo focalizza l’attenzione sulle capacità umane che dovrebbero costituire il fondamento dei principi umani fondamentali. ‭«L’attenzione, la responsabilità e la capacità di rispondere ai bisogni altrui […] potrebbero determinare le “nostre” pratiche verso una consapevole politica della valutazione di interessi e bisogni» (p. 134). In tal senso, l’etica della cura potrebbe trovare effettiva applicazione nel contesto sociale, politico, economico di riferimento della persona, in particolare in una società come quella odierna, nella quale persistono le discriminazioni, nonché le differenze di genere e di classe; una concezione di “cura” intesa come una opportunità per garantire un potenziamento delle “capacità” delle donne, nel momento in cui «una nozione di cura declinata in ambito sociale e politico-economico, è una grande potenzialità finalizzata per rendere effettiva la partecipazione democratica da parte delle stesse donne» (p. 135).

L’AUTRICE
Laura Sugamele dottoressa di ricerca e docente in filosofia, storia e scienze umane si occupa di
reificazione del corpo femminile, violenza sessuale come questione politica e relazioni tra
patriarcato, nazionalismo e guerra. E’ autrice dei seguenti libri: Percorsi e teorie del femminismo
tra storia, sviluppi e traiettorie concettuali (Aracne 2019); Corpo femminile e violenza politica. Lo
stupro tra nazionalismo e conflitto etnico (Stamen 2022); Femminismo, autodeterminazione,
patriarcato. Una riflessione critica sulle moderne strutture biopolitiche (Stamen 2024).
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