Sara Lisanti, protagonista di una personale che si inaugura alla libreria Belgravia il 3 ottobre prossimo, salernitana di nascita, risulta un’artista poliedrica, che affianca alle sue opere una specializzazione come trapezista, avendo frequentato la scuola torinese Flic.
L’artista, che ha realizzato opere utilizzando materiali quali il calco di gesso, non si sente totalmente consapevole in merito alle origini della sua arte e non è neanche del tutto convinta che si tratti di vera e propria arte. La considera, piuttosto, un residuo di emozioni che percorrono l’anima e si depositano in una sorta di scrigno. La sua espressione artistica rappresenta, per lei, una cicatrice dell’anima, analogamente a quando il corpo umano viene trapassato da una freccia.
“Suppongo – afferma Sara Lisanti – che questo residuo di emozioni si sia iniziato a sviluppare già al momento della nascita della mia anima quando essa, vergine, ha iniziato a sporcarsi, spaccarsi, ritirarsi, darsi, sporcarsi, spaccarsi, darsi, ritirarsi. Indurirsi.
Le mie opere sono la voce del mio malcontento e rappresentano il racconto della componente che in me “muore” piuttosto che quella che in me vive”.
L’artista ritiene che sia sempre presente un’orma, un’ombra di cordoglio ogni volta che ci si racconta attraverso l’arte”.
In modo originale Sara Lisanti definisce l’essere umano come una “teca di souvenir”, con il passato che, per non essere opprimente, richiede di venire metabolizzato.
La sua attività di artista contemporanea risulta fortemente legata alla sua arte quale trapezista; infatti Sara Lisanti esprime nelle sue opere una concezione del corpo che ella definisce quale “dimora dell’anima cui sono appesi i due occhi che rappresentano lo specchio della spiritualità dell’artista”.
Corpo e anima paiono costituire un tutt’uno, in cui il primo divora la seconda e questa, a sua volta, diventa una sorta di tempio. E, come in tutti i templi, ci si immola e si offrono sacrifici.
Tra le opere più significative dell’artista figura quella intitolata “Clown destino”, che rappresenta una sorta di riconoscimento ironico e, al tempo stesso, doloroso che l’artista riversa nella sua creazione. La lampadina rossa ricorda il naso del clown e il bianco il caso che è presente all’interno del destino, ineluttabile e illeggibile. È un’opera ironica anche nel nome ma,contemporaneamente, capace di denunciare una grande inquietudine da parte dell’artista nei confronti del futuro.
Sprigiona un’energia malinconica simboleggiata dal colore rosso acceso del naso.
Si tratta dello stesso naso rosso che, all’interno di un’altra opera concettualmente compresa in “Clown destino”, si trasforma sia in una sorta di energia solare votata al rispetto e alla protezione dei sentimenti più puri e della propria interiore fragilità, che emerge nel momento in cui ci si libera della propria maschera.
Molto evocative sono le opere comprese all’interno di un concetto chiamato dall’artista “amoreux”. Attraverso lo scotch, utilizzato per creare queste forme antropomorfe, simili a piccoli infantibisognosi di protezione, si ricerca un modo per mantenersi sempre integri, di fronte, comunque, all’inevitabilità del destino umano.
È inoltre una dichiarazione d’amore verso l’intima fragilità, concetto simile all’opera a tutto corpo dell’artista, con un cuore che si mostra al pubblico all’esterno del corpo stesso e, quindi, esposto a possibili ferimenti.
Mara Martellotta
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