Monsignor Anfossi e le vocazioni adulte

Ricordi di un seminario innovativo, un’esperienza ancora attuale da trasmettere


Monsignor Giuseppe Anfossi ci parla in maniera magistrale e, contemporaneamente, semplice e agevole, delle vocazioni adulte, vale a dire di quelle persone che hanno già percorso un tratto di vita ricco e intenso e hanno scoperto, in età adulta, la chiamata a seguire il Signore come preti.

 

Il vescovo emerito di Aosta passa in rassegna i ricordi in cui venne istituito un Seminario Regionale Piemontese per le Vocazioni Adulte e, grazie al richiamo di molteplici esperienze, fa riflettere il lettore su alcune caratteristiche che deve avere un seminario fatto per loro. le vocazioni adulte di allora secondo lui rappresentano un patrimonio da trasmettere alle nuove generazioni.

Eccellenza, il suo ultimo libro è dedicato alle vocazioni adulte. Ci può spiegare che cosa si intende quando si parla di vocazioni adulte?

Si è parlato di vocazioni adulte soprattutto dopo il Concilio Vaticano II; prima la maggior parte delle vocazioni veniva dai seminari minori dove erano in formazione dei ragazzi entrati in collegio a dieci o undici anni. Le vocazioni adulte, dopo di allora, erano dei giovani che chiedono di diventare preti pur avendo almeno venti anni; talora erano anche più vecchi, alcuni di essi avevano fatto studi di scuola media superiore oppure si erano laureati, altri, più spesso, non avevano fatto studi superiori, ma erano divenuti operai esercitando un lavoro manuale per molti anni. Essi erano spesso una espressione concreta di movimenti o associazioni in cui avevano sperimentato la loro fede e scoperto la bellezza della vocazione del prete.

Nel suo libro parla del Seminario Regionale Piemontese per le Vocazioni Adulte. A quale seminario fa riferimento?

Il clima del dopo Concilio e la presenza come vescovo di Torino di Michele Pellegrino suggerirono a alcuni preti impegnati nei seminari e a altri vocazioni adulte loro stesse, di aprire una esperienza istituzionale nuova che fosse destinata alle vocazioni adulte del Piemonte. Se ne parlò negli incontri dei superiori dei seminari e si fece un convegno informale apposito; in seguito i vescovi del Piemonte decisero di fondarlo con designazione formale di sede e di superiori. Si chiamò Seminario Regionale Piemontese Vocazioni Adulte.

Perché ritiene che sia un’esperienza ancora attuale da trasmettere?

L’attualità di questa vecchia esperienza è dovuta ad una caratteristica, la seguente: tener conto nell’impostazione generale della pedagogia adottata di tutto ciò che i giovani ospiti avevano vissuto prima di entrare in seminario. E’ un principio generale che vale per tutto ciò che costituisce un’ esperienza di fede e è attuale anche perché oggi la maggior parte dei seminaristi ha le caratteristiche della vocazione adulta. La mia narrazione, tuttavia, presenta un tema privilegiato che è dato dalla esperienza fatta di lavoro. Si parla, perciò, soprattutto del lavoro professionale, portando la riflessione fino ad oggi. Propongo delle riflessioni su come il sacerdote oggi debba vivere la sua rinuncia a esercitare un lavoro professionale e come debba impegnarsi a ‘curare’ con spirito di fede il lavoro dipendente, il nuovo lavoro operaio e il lavoro dei più poveri. a me pare che la pastorale delle parrocchie in esercizio oggi non abbia questa attenzione.

 

È un dato di fatto che ci sia una crisi delle vocazioni, i seminari sono sempre più vuoti. Che cosa ne pensa e come, a suo giudizio, si può ovviare alla situazione?

il seminario minore soprattutto dopo le crisi della pedofilia attribuita a uomini di chiesa, non più la possibilità di realizzarsi come una volta. Di conseguenza tutte le vocazioni di oggi, anche se poche, sono di giovanotti e di adulti. Non penso che cesseranno: è troppo grande e forte il servizio che dà alla comunità umana il mestiere di prete. Bisogna che passi un po’ di tempo e si vedrà di nuovo la bellezza del lavoro del prete non solo per i credenti, ma per tutti gli uomini di buona volontà. Le vocazioni adulte che ho conosciuto, pur criticando il modello di prete loro contemporaneo, hanno dato un contributo concreto per far vedere la bellezza e, in particolare, la autentica umanità della sua realizzazione.

Se un giovane sentisse una vocazione sacerdotale o religiosa che cosa deve fare per essere aiutato?

E’ fondamentale aiutarlo a diventare un vero cristiano, un cristiano adulto e consapevole; uno che non si vergogna di appartenere alla Chiesa e uno che conosce le Sacre Scritture sì da tradurle in vita vissuta. Bisogna anche aiutarlo a conoscere e vivere il pensiero sociale della Chiesa prendendo degli impegni di volontariato nel sociale oppure nella catechesi, o nella liturgia.

Nell’esperienza del Seminario Regionale Piemontese per le Vocazioni Adulte è stata coinvolta anche la diocesi di Ivrea, per quale ragione e come è stata coinvolta?

In quel momento a Ivrea c’era un vescovo, monsignor Luigi Bettazzi, molto vicino al vescovo di Torino Pellegrino; poi un suo prete, ingegnere e architetto, dunque una vocazione adulta, don Gigi Rey, viveva più a Torino che a Ivrea ed era un sostenitore vivace dell’idea di far nascere un seminario per le vocazioni adulte. Diventò lui padre spirituale del seminario delle vocazioni adulte e portò con sé quasi automaticamente tutti i seminaristi di teologia della diocesi di Ivrea; bisogna dire, però, che quasi tutti erano delle autentiche vocazioni adulte.

Nel suo libro, tra gli altri, parla anche di don Gigi Rey APPENA NOMINATO. Un’importante figura eporediese. Che cosa ci dice di lui?

Dico di lui che divenne presto proprio sul piano umano mio amico; per la verità la sua amicizia fu determinate per farmi conoscere i preti italiani e francesi che si ispiravano alla spiritualità del fratello Charles de Foucauld. Poi divenne non solo collaboratore, ma una persona con cui dibattere ogni giorno tutti i problemi che il seminario mi poneva. Devo molto alla sua saggezza e soprattutto alla sua lettura di fede dei problemi.

Che cosa Le ha regalato l’esperienza del Seminario Regionale Piemontese per le Vocazioni Adulte?

Ho risposto a questa domanda scrivendo il libro di cui parliamo. La vivacità dei seminaristi vocazioni adulte arrivate nel nuovo seminario mi colpiva e mi trascinava a dibattere dei problemi che, senza di loro, non avrei conosciuto. Il più forte fu il lavoro professionale: come valorizzarlo in chi lo ha vissuto prima di diventare seminarista, come viverlo da seminarista e eventualmente divenuti preti. Mi hanno anche portato a valorizzare di più la vita umana e le relazioni umane.

Quali difficoltà ha incontrato durante quel periodo?

Ho vissuto un tempo della mia vita felice perché non mi sentivo il fiato del vescovo sul collo. Ero totalmente libero di pensare e di fare; tutto ciò che pensavo allora si poteva tradurre in cose concrete; non sentivo neppure il giudizio dei sacerdoti che non erano sulla nostra linea. Ho vissuto da persona giovane e con entusiasmo questa esperienza che pure avrebbe dovuto spesso farmi riflettere e bloccarmi. Ho vissuto molto bene e con totale libertà anche i quattro anni in cui era mio rettore don Giovanni Barra. Ho un bellissimo e grato ricordo di lui e sono felice di aver potuto accompagnarlo con il sacramento degli infermi.

Come affrontavano i seminaristi il confronto tra l’appartenenza al mondo operaio e il cammino alla vocazione adulta?

I seminaristi pensavano di poter dire una parola nuova sul piano della fede; essi amavano molto la Chiesa e la volevano migliore. Vivevano il tempo del Concilio con sentimenti di ottimismo e di fiducia che oggi non abbiamo più; di qui un certo ottimismo che oggi non ci è più familiare. In questo sfondo anche troppo ottimistico si collocava anche la loro fiducia in una felice e nuova appartenenza al mondo operaio come era concepito allora quando il marxismo era imperante. Essi credevano si potesse imporre di più una presenza dell’operaio credente, perché schierato con gli oppressi e non con i capitalisti. Molti di loro hanno coltivato questa speranza e la hanno vissuta come la possibile parola nuova che essi stessi dicevano. Per questo non hanno patito il fatto di esse seminaristi e quindi credenti e, nello stesso tempo, schierati per la lotta operaia.

Perché è finita l’epoca del Seminario Regionale Piemontese per le Vocazioni Adulte?

Sono venute meno la vocazioni. Non si son presentati più in numero significativo degli adulti che chiedevano la formazione al presbiterato. Forse ha giocato anche l’impostazione formativa che abbiamo dato al seminario: era troppo di sinistra e quindi non era condivisa da alcuni significativi preti di Torino e del Piemonte. E’ forse anche dipeso dalla fine dell’associazionismo cattolico a causa del Concilio, e in particolare dalla crisi dell’Azione Cattolica. Soprattutto è stato determinate il fatto che, a causa del Concilio, praticamente tutti i seminari piemontesi hanno cominciato ad accogliere solo vocazioni giovanili a adulte.

Marco Novara

Mara Martellotta 

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