L’anno che verrà

IL PUNTASPILLI di Luca Martina

 

L’anno che abbiamo davanti pone ai risparmiatori l’usuale dilemma: dove investire il proprio denaro per cercare di preservarlo dal ritorno dell’inflazione?  

Come scrivevo la settimana scorsa (“La strana coppia”, https://iltorinese.it/2021/12/28/la-strana-coppia-tassi-di-interesse-e-inflazione/ ) i titoli obbligazionari emessi dai governi (i nostri BTP e CCT) non rappresentano più una scelta in grado di proteggere il valore reale dei nostri risparmi in quanto il rendimento offerto anche dai titoli con scadenza più lontana è ben al di sotto non solo del tasso di inflazione attuale ema anche di quello che potremmo vedere nei prossimi anni.

La scelta più ovvia (a patto di affrontarne consapevolmente i rischi) parrebbe allora quella di investire, tramite i mercati azionari, nelle aziende che beneficeranno, con i loro fatturati e utili, della futura crescita economica.

Questo non deve però farci dimenticare che l’allocazione del proprio patrimonio dovrebbe essere il frutto, in primo luogo, della propria propensione al rischio (una componente da valutare in anticipo, da soli ma anche con l’aiuto di un consulente che sia in grado di farlo senza essere direttamente coinvolto emotivamente).

Ci sono poi tutte le incertezze (pericoli e opportunità) legate al quadro circostante.

Possiamo allora cercare di identificare una serie di fattori che influenzeranno l’andamento dei mercati finanziari (azioni e obbligazioni) nel corso del prossimo anno.

L’inflazione è certamente l’argomento che da alcuni mesi più fa discutere: la sua crescita desta preoccupazione e continuerà a farlo sino a quando non assisteremo ad una sua discesa dai livelli attuali.

La tesi prevalente è che ciò possa iniziare ad avvenire nella seconda parte del prossimo anno e questa è una delle ragioni che ha limitato, per ora, la salita dei tassi di interesse a lungo termine (gli investitori scontano già la possibilità che tra qualche anno l’inflazione tornerà su livelli meno preoccupanti).

Questa evoluzione potrebbe rendere meno decisa (e aggressiva) la linea di azione delle banche centrali (a cominciare dalla Federal Reserve statunutense) il cui principale obiettivo è la stabilità dei prezzi (ovvero un limitato, intorno al 2%, livello di inflazione).

La generosità dei “signori della moneta” è stata una dei fattori principali che ha consentito la salita dei mercati finanziari dell’ultimo decennio e il cambiamento di rotta seppur inevitabile (e atteso) porta sempre con sé i rischi legati ad una “inversione a u” effettuata a grande velocità.

Meglio allora avere la possibilità di effettuare una simile manovra con maggiore calma e gradualità ed in condizioni di sicurezza, così da non innervosire i mercati finanziari e consentire un riallineamento senza traumi (né per i titoli obbligazionari né per quelli azionari) delle aspettative degli investitori.

Nel frattempo dovrebbero nel corso del 2022 materializzarsi gli interventi che tutti i governi del mondo hanno approntato nei mesi scorsi, consentendo così un consolidamento della ripresa economica seguita allo shock provocato dalla pandemia nei primi trimestri del 2020.

Naturalmente ad un anno che tutti ci auguriamo finalmente sereno dovrà necessariamente contribuire un miglioramento delle preoccupazioni legate alla pandemia.

La graduale riduzione della gravità delle infezioni e l’arrivo di farmaci per poterle curare potrebbero contribuire a diminuire l’incertezza che è ancora uno dei sentimenti prevalenti sul nostro futuro immediato.

In questo scenario, indubbiamente ottimista, la crescita degli utili aziendali sosterrebbe ancora l’andamento delle borse pur non preservandole, viste anche le elevate valutazioni ed il livello di ottimismo, da periodiche (seppur temporanee) correzioni.

Una maggiore prudenza su una delle variabili menzionate (inflazione, azione delle banche centrali, andamento economico e diffusione della pandemia) dovrebbe, al contrario, indurre ad investimenti a basso rischio e tendenzialmente non azionari, come le obbligazioni a breve termine (con rendimenti negativi) o la liquidità sul conto corrente.

Per noi italiani esiste inoltre un ulteriore elemento di incertezza legato alla durata del governo in carica.

Una “promozione” dell’attuale primo ministro alla presidenza della Repubblica rappresenterebbe una discontinuità che non sarebbe (almeno nel breve termine) apprezzata dagli investitori, come testimonia l’aumento dello “spread” (la differenza di rendimento, riflesso del maggior rischio associato, tra i nostri titoli di Stato e quelli tedeschi) nelle ultime settimane.

L’anno che sta arrivando tra un anno passerà. Noi ci stiamo preparando e questa è (forse) la novità…

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