Quasi tutti gli italiani – almeno quelli che seguono le vicende politiche, seppur distrattamente – sanno che quando si avvicina l’elezione del Presidente della Repubblica la politica italiana entra in grande fibrillazione e il tutto si trasforma in una sorta di film a puntate dove capita tutto e il contrario di tutto.
Certo, come diceva recentemente Guido Bodrato a proposito della politica italiana, c’è sempre la categoria “dell’imprevedibilità” che rende il tutto impercettibile e possibile. Ma, per fermarsi al capitolo Quirinale del prossimo febbraio, noi sappiamo che di fronte abbiamo due metodi, abbastanza consolidati e praticati nella storia politica italiana dal secondo dopoguerra in poi. E cioè, il “metodo Leone” o il “metodo Cossiga”. Ovvero, o il Presidente si elegge al primo colpo con un una reale e fattiva convergenza politica della stragrande maggioranza dei cosiddetti “grandi elettori” oppure è il frutto di estenuanti trattative che rischiano di ingenerare operazioni politiche al ribasso e dove, veramente, può capitare di tutto. Cioè un Presidente eletto dopo giorni e giorni di trattative, sotterfugi, imboscate, agguati parlamentari e tradimenti. Con tanti saluti alla trasparenza e a tutto ciò che caratterizza a contrassegna la “buona politica”.
Certo, non possiamo dimenticare, al riguardo, cosa è realmente capitato nel 2013 con il doppio malcostume legato alle vicende che hanno bocciato prima Franco Marini – clamoroso – e poi Romano Prodi. Un nutrito gruppo di mascalzoni ha cecchinato Marini nel segreto dell’urna dopo che la riunione dei grandi elettori al Capranichetta aveva votato e indicato a larga maggioranza uno dei più autorevoli fondatori del Pd come candidato unico al Quirinale. Mascalzoni che poi si sono anche vantati del gesto attraverso post pubblicati sui social o, addirittura, dicendolo in pubblico. Un malcostume e un cinismo difficilmente riscontrabili in altri momenti della storia parlamentare italiana. Il tutto, come ovvio, fatto in nome dell’onestà, della discontinuità e del cambiamento sposando integralmente i dogmi del populismo imperante in quella fase politica. Sul caso Prodi è inutile soffermarsi perchè in quella occasione furono meno i franchi tiratori – sempre, come ovvio in larga parte del Pd – ma addirittura non si votò nell’assemblea dei grandi elettori del centro sinistra perchè vinse l’applauso da curva sud. Comunque sia, una doppia beffa che ha sfregiato il ruolo della politica, ridotto il peso delle istituzioni democratiche e soprattutto la serietà e la credibilità del Pd.
Per tornare all’oggi, in attesa di quello che deciderà Draghi e anche di quello che sceglierà di fare l’attuale Presidente della Repubblica Sergio Mattarella – che ha svolto il suo mandato con un alto senso delle istituzioni, con equilibrio e capacità di superare e risolvere problemi e nodi apparentemente inestricabili e con grande senso di responsabilità politica ed istituzionale – restano in piedi i due metodi indicati in partenza. Certo, per evitare voti a ripetizione e quel malcostume che ha caratterizzato la scorsa elezione a Capo dello Stato, occorrerà da un lato ridurre i candidati – uno per corrente del Pd sono eccessivi compresi i fondatori “onorari” – e, dall’altro, ricercare realmente una vera convergenza politica e parlamentare superando pregiudizi politici, pregiudiziali ideologiche e veti ad personam. Operazioni non facili perchè siamo ancora alle prese con partiti populisti e legati strutturalmente all’anti politica e alla demagogia – anche se adesso lo smentiscono comicamente e grottescamente – come quello di Grillo e di Conte che possono fare di tutto perchè appunto, come diceva in una celebre battuta Donat-Cattin nello scorso secolo, “sono capaci, capacissimi, capaci di tutto”.
Ecco perchè proprio da questo crocevia, seppur difficile, complesso e articolato, noi capiremo se la politica contemporanea conserva ancora qualche credibilità oppure se è ancora dominata dal populismo, dal trasformismo e dall’opportunismo politico e parlamentare. E questo ce lo diranno solo i fatti. Ovvero, se prevarrà il “metodo Cossiga” o se trionferà, ancora una volta, “il metodo Leone”.
Giorgio Merlo
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