L’altra metà del cielo

IL PUNTASPILLI

di Luca Martina

 

Un recente studio della rivista The Economist dimostra come i Paesi che discriminano le donne abbiano una più elevata probabilità di essere violenti ed instabili.

 

I 20 Paesi più fragili e turbolenti del pianeta dal punto di vista sociale, economico e politico, come classificati da Fund for Peace (un’organizzazione senza fini di lucro con sede a Washington), praticano, ad esempio, tutti la poligamia.

 

Tra questi figura la Guinea (oggetto di un colpo di Stato da parte dei militari lo scorso 5 settembre) dove il 42% delle spose tra i 15 e i 49 anni fanno parte di unioni poligame.

 

Alquanto diffuso in questi Paesi è il fenomeno delle “spose bambine”: un quinto delle donne del mondo si sono sposate prima dei 18 anni (il 5% prima dei 15) vivendo in uno stato di semi-schiavitù e buona parte di queste sono concentrate nei Paesi in via di sviluppo.

 

In molti Stati inoltre è ancora praticato l’aborto selettivo dei feti femminili e ciò conduce, tra le altre cose, ad un pericoloso squilibrio (esasperato dalla poligamia) tra giovani uomini e donne che spesso si traduce in una feroce violenza (fisica e psicologica) nei confronti di queste ultime.

 

L’Afghanistan, dove, fino al ritorno dei talebani, quasi l’80% delle ragazze erano arrivate a frequentare la scuola primaria (a nessuna era consentito farlo prima del 2001), è oggi oggetto di grande attenzione e ci fa riflettere (anche) su questi temi; occorrerà non abbassare la guardia anche quando il Paese centro asiatico scomparirà dalle copertine e dalle prime pagine dei giornali.

 

Va anche ricordato che, come emerso da un’analisi del 2006 (sempre condotta da The Economist), la principale forza dietro i progressi economici degli ultimi decenni sia stata proprio la crescita dell’occupazione femminile.

 

Sono passati quasi 130 anni da quando Zelanda, nel 1893 concesse, per prima, il voto femminile (negli Stati Uniti arrivò nel 1920 ed in Italia nel 1945) ma in alcune aree del mondo questo diritto fondamentale viene tuttora negato.

 

Dare la possibilità alle donne di ottenere un adeguato livello di istruzione e libero accesso al mondo del lavoro può trascinare fuori dalla povertà intere famiglie e comunità dei Paesi poveri, dove grava soprattutto su di loro la spesa per l’alimentazione, l’educazione e la salute dei figli.

 

Anche per il nostro Paese (che occupa secondo l’ultimo rapporto Global Gender Gap del World Economic Forum un ben poco dignitoso settantaseiesimo posto su 153 Paesi), un miglioramento del livello dell’occupazione femminile (ed una sua più equa valorizzazione) rappresenta una delle maggiori risorse a nostra disposizione per accelerare la crescita economica nei prossimi anni.

 

Ne ha fatto menzione anche il primo ministro Mario Draghi promettendo che, nell’ambito del PNRR (il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), almeno 7 miliardi di euro saranno investiti, entro il 2026, per la promozione dell’uguaglianza di genere.

 

Dietro una profonda e sacrosanta questione di civiltà ci sono dunque anche degli importanti riflessi economici che, a loro volta, possono contribuire a ridurre le diseguaglianze tra i sessi.

 

Christine Lagarde, l’attuale presidente della Banca Centrale Europea, è stata, nel 2007, la prima donna dei Paesi G8 (Stati Uniti, Giappone, Germania, Francia, Regno Unito, Italia, Canada e Russia) a ricoprire un incarico ministeriale (ministra francese dell’Economia, dell’Industria e dell’Impiego) e può autorevolmente farsi portavoce di queste istanze.

 

Risulta quindi fin troppo evidente come solo la forza delle donne potrà rendere meno fragile (“antifragile”, per usare il neologismo, coniato nel suo omonimo libro, da Nassim Taleb) questo nostro pianeta.

 

Perché le donne sono l’altra metà del cielo: quella più azzurra.

 

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