Che in Italia non esistano più le coalizioni politiche e programmatiche coese e trasparenti è un dato di fatto. E che la stessa “cultura delle alleanze” abbia subito un duro contraccolpo negli ultimi tempi è un fatto altrettanto evidente.
Ma, se vogliamo essere ancora più chiari, le coalizioni
oggi sono semplici pallottolieri. Cioè una sommatoria di sigle, espressione di cartelli elettorali e di
partiti personali, che scelgono di mettersi insieme per cercare di vincere le elezioni. Certo, in un
clima ancora fortemente dominato dal trasformismo politico e parlamentare, la “cultura della
coalizione e delle alleanze” stenta a farsi largo se non per meri calcoli tattici e di puro potere. Ciò
che è capitato concretamente nel nostro paese dal 2018 in poi ne è la plateale conferma. Alleanze
tra partiti che sino al giorno prima erano fieri avversari con programmi alternativi sbandierati e
propagandati fino alla nausea; contrapposizione frontale tra i diversi capi partiti salvo poi
accordarsi in un batter di ciglio; disponibilità ad allearsi con chiunque pur di restare al potere.
Sotto questo versante, l’esempio e il comportamento concreto dei 5 stelle non merita neanche di
essere commentato talmente è chiaro e paradigmatico.
Ed è proprio in un contesto del genere che è sempre più indispensabile, invece, ritessere con
pazienza ma con determinazione, una “cultura delle alleanze”. Sapendo, come diceva
l’indimenticabile Mino Martinazzoli, che “In Italia la politica è sempre stata sinonimo di politica
delle alleanze”. Una tendenza che era perfettamente funzionale al sistema elettorale proporzionale
ma, va pur detto, anche con il maggioritario le alleanze hanno dominato la dialettica politica
italiana, anche perchè, per dirla con Pietro Scoppola, proprio nel nostro paese si è riusciti a
“proporzionalizzare il maggioritario”.
Ora, però, se si vuole ricostruire una credibile, seria e trasparente “cultura delle alleanze” è persin
ovvio che devono prevalere alcune condizioni di fondo che potrebbero riassumersi in almeno 3
punti.
Innanzitutto credere in una “cultura della coalizione”, piantandola definitivamente con le
“vocazioni maggioritarie” da un lato e con il semplice “potere di ricatto” dall’altro. Lo squallido
esempio che la maggioranza di governo sta offrendo da settimane, ad esempio, non è che la
riprova che in Italia, attualmente, non esiste una credibile cultura delle alleanze. Cioè non esiste
una coalizione credibile. E questa, purtroppo, è una condizione presente in entrambi gli
schieramenti.
In secondo luogo le alleanze si formano se c’è un comune disegno politico e programmatico dei
vari contraenti. Al riguardo, e per fare un solo esempio, c’è qualcuno in Italia che saprebbe
spiegare in parole semplici e rapidamente comprensibili che cos’è oggi il piccolo partitino
personale di Renzi e che cosa realmente persegue? Cioè, detto in altre parole, qual’è il suo vero
obiettivo politico e attraverso quali modalità concrete lo persegue se non attraverso il potere di
veto continuo e la spregiudicatezza permanente degli atteggiamenti del suo capo? Ecco, basta un
solo piccolo esempio per arrivare alla banale conclusione che con partiti personali del genere ogni
cultura delle alleanze è destinata a saltare prima ancora di essere annunciata pubblicamente.
In ultimo, le alleanze si formano quando c’è anche un omogeneo sistema valoriate che le ispira.
Certo, in una fase caratterizzata dalla post politica e dalla radicale cancellazione di tutti i
riferimenti culturali, è estremamente difficile ricostruire una comune visione etica, culturale,
politica e programmatica. Cioè quella che un tempo veniva giustamente definita come una
“visione della società”. Eppure, anche se siamo immersi in una situazione di radicale perdita di
credibilità della politica, dei partiti e anche, purtroppo, dei suoi capi/leader, non si può che ripartire
da lì. Cioè dal valore delle alleanze, dal pluralismo che le ispirano, dalla politica che le nobilitano e
dai programmi che le qualificano. Senza questa assunzione di responsabilità e senza, soprattutto,
questa riscoperta politica e culturale, dovremmo inevitabilmente rassegnarci alla degenerazione
trasformistica e alla mera ragione di potere. Che, detto fra di noi, è quello che attualmente
registriamo nella dialettica politica italiana.
Giorgio Merlo
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