Poco più che ventenne, diventò una delle firme principali, e poi il capo redazione, di Marcha, un settimanale politico e culturale legato alla sinistra che diventò un punto di riferimento ben al di là dei confini uruguaiani
Eduardo Galeano, lo scrittore uruguaiano morto a 74 anni il 13 aprile 2015, era uno degli autori più letti e amati della letteratura sudamericana moderna, e con “Le vene aperte dell’America Latina” (1971) disegnò un ritratto incredibilmente efficace della realtà del subcontinente americano. Nato nel 1940 in una famiglia alto borghese e cattolica di Montevideo, Galeano debuttò nel giornalismo a 14 anni, come disegnatore satirico, ma siccome “c’era un abisso fra quello che immaginavo e quello che tracciavo” si orientò verso poi la scrittura. Poco più che ventenne, diventò una delle firme principali, e poi il capo redazione, di Marcha, un settimanale politico e culturale legato alla sinistra che diventò un punto di riferimento ben al di là dei confini uruguaiani. Dopo una serie di libri dedicati a reportage e analisi della situazione in vari paesi, nel 1971 pubblicò il già citato “Le vene aperte dell’America Latina“, in cui ricostruiva il saccheggio delle ricchezze del subcontinente da parte delle potenze coloniali, e il suo proseguimento attraverso le strutture del postcolonialismo capitalista. Tradotto in più di 20 lingue, best seller internazionale, quando apparve fu per molti una vera e propria folgorazione, tanto che Heinrich Böll, scrittore tedesco Premio Nobel per la Letteratura 1972, disse: “Negli ultimi anni ho letto poche cose che mi abbiano commosso così tanto”. Un reportage che attraversa cinque secoli di storia del continente latinoamericano per raccontare il saccheggio delle sue preziose risorse: l’oro e l’argento, il cacao e il cotone, il petrolio e la gomma, il rame e il ferro. Tesori depredati sistematicamente: fin dai tempi della conquista spagnola, le potenze coloniali hanno prosciugato le ricchezze di questa terra rigogliosa, lasciandola in condizioni di estrema povertà. Un testo illuminante che, intrecciando l’analisi storica ed economica con il racconto, suggestivo e incalzante, delle passioni di un popolo sfruttato e sofferente, è diventato un vero e proprio classico della letteratura latinoamericana. A onor del vero,in tempi più recenti, Galeano prese una certa distanza da quello che è stato il suo libro più noto. E disse: “Non mi pento di averlo scritto, ma non lo rileggerei: volevo scrivere un saggio di economia politica e non avevo la formazione necessaria“, aggiungendo che considerava “superata” una “certa prosa di sinistra, che ora trovo pesantissima“. Lungo gli anni della sua carriera letteraria – proseguita dalla Spagna, dopo la fuga dalle dittature militari del suo paese natale e dell’Argentina – Galeano creò un stile personale, a metà fra la documentazione storica e la riflessione poetica, che portarono al successo internazionale di “Memoria del Fuoco“, una trilogia pubblicata dal 1982 al 1986. Alla critica internazionale quest’opera piacque molto , al punto che il Times Literary Supplement la paragonò a quelle di Dos Passos e Garcia Marquez.
Militante di sinistra e sostenitore – seppur critico – dei governi progressisti dell’America Latina, Galeano dopo aver denunciato la “decadenza di un modello di potere popolare” e la “rigidità burocratica” della Cuba castrista ( era il 2003) , tornò nell’isola nel 2012, sottolineando che “un vero amico ti critica in faccia e ti elogia dietro le tue spalle“. Ma l’altra grande passione dello scrittore uruguaiano è stata il calcio.Eduardo Galeano, tifoso appassionato e calciatore mancato (“Come tutti gli uruguagi, avrei voluto essere un calciatore. Giocavo benissimo, ero un fenomeno, ma soltanto di notte mentre dormivo;durante il giorno ero il peggior scarpone che sia comparso nei campetti del mio paese”), con il suo “Splendori e miserie del gioco del calcio” ( pubblicato da Sperling & Kupfer, in Italia. El fútbol a sol y sombra, nella versione originale), ha scritto pagine memorabili sul mondo del football. Il calcio per sognare. Il calcio come arte, religione e bellezza. Il calcio come linguaggio comune, modo per riconoscersi e ritrovarsi. Il calcio, figlio del popolo, che non deve cedere alle lusinghe dei potenti, di chi vuole trasformarlo in strumento per produrre denaro, uccidendo la fantasia e l’innocenza.“Grazie per aver lottato a centrocampo come un mediano e per aver segnato contro i potenti come un attaccante con il numero 10. Grazie anche per avermi compreso. Grazie, Eduardo Galeano: in squadra ne servono tanti come te. Mi mancherai”. Non è un caso che così l’abbia salutato, dal proprio profilo ufficiale su Facebook, Diego Maradona. A comunicare la notizia della scomparsa di Galeano all’ex capitano del Napoli, che si trovava a Bogotà, è stato un reporter suo amico al quale un Maradona commosso ha detto anche che “lui (Galeano) mi ha insegnato a leggere di calcio”, come riporta il giornale argentino “La Nacion”. Galeano aveva citato Maradona in alcune sue opere, come, appunto, “Splendori e miserie del gioco del calcio”, scrivendo che Maradona “si era trasformato in una specie di Dio sporco, il più umano degli dei, e questo spiega la venerazione universale che ha conquistato, più di qualsiasi altro giocatore. Un Dio sporco, che ci assomiglia: donnaiolo, bevitore, spericolato, irresponsabile, bugiardo, fanfarone. Però gli dei per quanto siano umani non si ritirano mai”. Per questo e per molto altro, da qualche giorno c’è un vuoto attorno a noi che rimarrà tale.
Marco Travaglini