“In una limpida e attonita sfera” al Collegio San Giuseppe

Il tema della “luce” nelle opere di ventidue artisti. In mostra  fino al 18 ottobre

Il titolo della rassegna graffia la suggestione dei versi ungarettiani di “Preghiera” (da “L’Allegria”, ultima edizione 1942) e ci introduce da subito al filo conduttore che lega le oltre sessanta opere assemblate, fino al prossimo 18 ottobre, negli spazi del Collegio San Giuseppe di Torino: il tema della “luce”, simbolo frequente nell’arte e nella letteratura d’ogni tempo. Qui, nelle sale espositive del prestigioso Istituto di via San Francesco da Paola, lo ritroviamo come cifra stilistica e messaggio portante nei lavori di ventidue artisti assemblati nella quarta mostra della terza serie di esposizioni d’arte organizzate e curate da Alfredo Centra (direttore del Collegio), Francesco De Caria e Donatella Taverna. Opere tutte accompagnate da attinenti citazioni liriche – soprattutto di grandi poeti del ‘900– selezionate e ripescate nella memoria, con paziente e saggia indagine ricognitiva, dalla stessa Taverna.

Arte figurativa e grande poesia. Insieme. Luce come sacralità di vita, soprattutto, ed immagine simbolica del Divino, di un esistere e ritrovarsi fra le cose finite del mondo, in virtù di un “Oltre” – infinito ed eterno – cui tendere ed ispirarsi in ogni secondo di esistenza terrena. In un viaggio di ampio, totalizzante e accogliente respiro culturale e fideistico che s’apre con la gestualità astratta di Helen von Allmen (svizzera di Basilea) fortemente ispirata ad antiche tradizioni religiose collegate al “Mandala”, così come alle vivide informali esplosioni di luce create dagli impasti di carta con foglio d’oro di Isidoro Cottino o dall’olio (“Astrazione”) di Susanna Fisanotti e dai delicati ma corposi pastelli di Elsa Lagorio (Torino, 1930– 1992).

Ai simboli islamici della luce si rifanno invece le ceramiche di Elvio Arancio (origini tunisine e profonda praticata fede musulmana), accanto agli stupendi vetri della chierese Monica Dessì: entrambi, a modo loro, autori di una “Fenice” che è fuoco di colore per il primo, tenuto a freno in una sottile poetica iridescenza del vetro fuso per la seconda. L’iter espositivo prosegue, attraverso riferimenti più o meno espliciti alle Scritture, con un dipinto grandioso come la candida “Figura femminile” di Luigi Rigorini Jr. (moderna Samaritana, accanto alla fonte – pozzo di Giacobbe?), sconvolta dal messaggio di luce accecante che l’investe e che tanto s’avvicina alla drammatica “Ultima luce” di Ottavio Mazzonis (Torino, 1921 – 2010), essenza spirituale del Cristo morto, “aurora radiante – recitano accanto i versi di Neruda – coi suoi bei colori” che “annuncerà alle anime che l’Amore è venuto”. Grande famiglia d’arte, quella dei Rigorini è rappresentata in rassegna anche da un armonico disegno déco del nonno Luigi Rigorini Sr. (Novara, 1879 – Torino 1956) e dai paesaggi di forte impronta turneriana del padre Antonio Rigorini (Torino, 1909 – 1997).

Superbo nella sua struggente malinconica bellezza l’“Autoritratto rosso e oro” di Pino Mantovani, critico d’arte e pittore, fra i più interessanti esponenti dell’innovazione figurativa novecentesca. Il viso segnato dal tempo emerge dallo spazio rosso di un taglio astratto, protetto da tre angeli (o spettri?), realizzati nell’imponenza delle ampie informi tuniche su tela grezza che lascia filtrare misurate impronte di luce. A seguire la cupa grafia, interrotta da minimi barbagli luminosi, di Mario Gomboli (Firenze, 1946 – Torino, 2014), l’ansiogeno surrealismo dell’alessandrino Vito Oliva e la prorompente   informalità della canavesana Rita Scotellaro. Composta e solare è di contro la “Venezia” di Anna Maria Palumbo, come splendida e “scientifica” la “Montagna di luce” di Eugenio Gabanino; tutt’altro dai tormentati “miraggi” di Valeria Carbone e dell’esile cometa che fatica a spezzare il buio infinito in cui viaggiano i “Magi” dell’oristanese Ilio Burruni (Ghilarza, 1917 – Torino, 2016). Simboli di luce perfetta, sono infine i geometrici “acciai” di Massimo Ghiotti, accanto alla tenera malinconia de “L’addio” di Carla Parsani Motti e alle sospese essenziali atmosfere dell’alsaziano Jean Louis Mattana (Reims, 1921 – Torino, 1990). A chiudere il percorso, la stupenda “Crocifissione” di Laura Maestri (Alessandria, 1919 – Torino, 1986): blu e nero, corpi grevi e senza volto, abbandonati alla morte e al dolore, ma sorvegliati dall’alto da una grande sfera di luce. La certezza dell’“Oltre”. A commento, dall’“Apocalisse” (22, 3-5): “Nella città vi sarà il trono di Dio e dell’Agnello; i suoi servi lo adoreranno; vedranno il suo volto e porteranno il suo nome sulla fronte. Non vi sarà più notte e non avranno più bisogno di luce di lampada né di luce di sole, perché il Signore Dio li illuminerà. E regneranno nei secoli dei secoli”.

Gianni Milani

“In una limpida e attonita sfera”

Collegio San Giuseppe. Via San Francesco da Paola 23, Torino; tel. 011/8123250 o www.collegiosangiuseppe.it

Fino al 18 ottobre

Orari: dal lun. al ven. 10,30/12,30 e 16/18; sab. 10,30/12. Ingresso libero

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Nelle foto

– Monica Dessì: “La Fenice”

– Luigi Rigorini Jr.: “Figura femminile”
– Ottavio Mazzonis: “Ultima luce (XIV Stazione Via Crucis)”
– Pino Mantovani: “Autoritratto rosso e oro”
– Jean-Louis Mattana: “Tramonto”
– Laura Maestri: “Crocifissione”
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