Di fronte alla progressiva scomposizione/disgregazione del Partito democratico, e’ persin ovvio e scontato pensare ad una radicale riorganizzazione del campo dell’ex centro sinistra. Un campo alternativo al sovranismo e al populismo anti sistema e demagogico. Ben sapendo che sarà un
lavoro lungo, complesso e articolato. Ma prima di pensare a come ristrutturare questo campo politico e culturale, forse è bene chiarire subito che ciò può essere possibile solo se vengono valorizzati ed esaltati 3 elementi decisivi. Innanzitutto va recuperata sino in fondo la “cultura delle alleanze”. Perché in Italia, come insegna la miglior tradizione cattolico democratica, “la politica e’ sempre stata sinonimo di politica delle alleanze”. Va archiviata definitivamente la cosiddetta “vocazione maggioritaria”, peraltro naufragata con il tramonto politico irreversibile del Partito democratico e, al contempo, va archiviata finalmente anche la strategia renziana – fallita ripetutamente in questi tutti ultimi anni in tutte elezioni locali e nazionali – che ha negato alla radice la cultura delle alleanze a vantaggio della supremazia esclusiva di un solo partito che, guarda caso, coincideva e si riconosceva con il capo indiscusso di quel partito. Cioè lo stesso Matteo Renzi. In secondo luogo la cultura delle alleanze non può prescindere dalla presenza attiva e responsabile delle singole identità politiche e culturali. Non cartelli nostalgici o ideologici del passato ma quelle culture politiche, ovviamente rilette e riattualizzate, che hanno contribuito a fondare e a consolidare la democrazia italiana. A cominciare dalla cultura cattolico democratica, cattolico popolare e cattolico sociale che in questi anni si è pericolosamente eclissata a vantaggio di un dubbio ed effimero nuovismo che ha manifestato tutti i suoi limiti politici e progettuali. Il che si impone anche per il tramonto, questo sì definitivo, dei cosiddetti “partiti plurali”, ovvero del Partito democratico e di Forza Italia. Ma la riscoperta delle identità – riformiste, democratiche, di governo e politiche – ha un senso se riescono a riconoscersi in un progetto complessivo. Un progetto di società e di governo, ben sapendo che l’onda lunga populista, demagogica e anti sistema non si esaurirà in breve tempo. In ultimo, ma non per ordine di importanza, la cultura delle alleanze e la riscoperta delle identità prevede anche il ritorno, almeno in linea teorica, dei “leader” politici salutando definitivamente la stagione dei “capi”. Almeno per un campo politico che contrasta la deriva autoritaria, oligarchica e di destra della nostra democrazia e delle nostre istituzioni democratiche. Perché quando un partito si identifica nel suo capo e il suo capo con una coalizione – che poi quella coalizione non esiste, come abbiamo visto e sperimentato con l’ultima gestione del Partito democratico – e’ persin ovvio che cresce e si consolida anche la mala pianta della fedeltà politica, del gregariato e della cortigianeria. Cioè l’assenza di una vera e propria classe dirigente. Vizi e degenerazioni che hanno costellato e accompagnato anche la politica democratica e di molti partiti che pur si rifanno alla prassi e ai valori costituzionali. Ecco perché, adesso, si deve voltare pagina. Definitivamente. Senza la ripresa di una vera ed autentica “cultura delle alleanze”, il rischio di una deriva autoritaria nel nostro paese e’ semplicemente dietro l’angolo. Tocca alla coscienza democratica e costituzionale di questo paese – trasversale senza che nessuno possa rivendicarne l’esclusiva – arginare questa deriva e creare, al contempo, una alternativa politica, culturale e programmatica seria e credibile.
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