Per un nuovo riformismo

di Giorgio Merlo

Che il destino politico ed elettorale del Partito democratico sia segnato ormai lo condividono quasi tutti. Tranne, forse, gli ultimi reduci che partecipano con devozione e commozione alle kermesse delle feste della ex Unità. Un destino che è il frutto di molte componenti e che, forse, non vale neanche più la pena di soffermarsi con eccessiva insistenza. Ora, il vero nodo politico non è il destino politico ed elettorale di quel partito. Del resto, per chi come noi non ha mai avuto una concezione sacrale o dogmatica o assolutista del partito ma lo ha sempre e solo considerato un mezzo per centrare degli obiettivi politici e sociali, che il Pd cambi, si sciolga, si divida – come auspicano Orfini e ormai moltissimi altri esponenti nei Dem – o decreti semplicemente la sua confluenza in un nuovo contenitore, non importa granché. Quello che, al contrario, resta al centro dell’agenda politica e’ come ricostruire un campo riformista, democratico e di governo alternativo al sovranismo leghista e al populismo in salsa grillina. Senza evocare gli scenari divertenti e fantasiosi di Eugenio Scalfari che disegna un futuro politico con un Pd al 30% dei consensi e un altro partito, cosiddetto “liberal democratico” e sempre creato dal Pd, attorno al 20%, sul tappeto resta il tema di come dare gambe politiche ed ossatura organizzativa a questo campo riformista. E, forse, ha centrato il problema una recente riflessione di Marco Follini quando evidenziava la necessità di una riscoperta attiva e moderna delle singole identità politiche per poi ricostruire insieme una coalizione plurale, inclusiva e autenticamente riformista. Del resto, tramontati i “partiti plurali” ed esauritasi definitivamente la stagione della “vocazione maggioritaria” del Partito democratico, l’unica ricetta credibile per evitare di essere travolti in modo irreversibile dalle forze sovraniste e populiste resta quella di creare una sintesi politica frutto del contributo di tutte quelle culture politiche che sono state forse troppo frettolosamente archiviate e sacrificate sull’altare della rottamazione renziana e della ineluttabilità del “pensiero unico”. Una stagione, quella renziana, e avallata opportunisticamente da tutte le più svariate tribù interne, che tra le molte altre cose ha ridotto i vari filoni ideali che contribuirono a fondare il Pd ad un semplice orpello ornamentale da celebrare nei convegni e poco piu’. Salvo, poi, prendere atto che tramontata la vocazione maggioritaria e distrutto la “cultura della coalizione” il campo riformista e’ apparso disarmato, impaurito e soprattutto incapace di dar vita ad una credibile e seria alternativa politica, culturale e programmatica. E il compito di coloro che oggi non si rassegnano al pensiero unico, al dominio del capo di turno e alla cancellazione della distinzione tra destra e sinistra, tra riformisti e conservatori, tra populisti e popolari, hanno il dovere di rideclinare le culture politiche – a partire dalla tradizione popolare e cattolico sociale e democratica – per contribuire, insieme, a dar vita ad una alleanza politica che sappia di nuovo porsi come guida per un governo democratico e riformista del nostro paese.

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