Marzo 2018- Pagina 6

Cantù – Fiat Torino: gli inguardabili ultimi 40″…

E’ stata una brutta sconfitta, non si può dire altro, ma se gli ultimi 40″ fossero andati bene oggi racconteremmo una storia diversa. Ciò non toglie che il secondo tempo sia stato giocato male contro una squadra che ha attaccato bene, ma anche la FIAT non ha giocato male… in attacco, ma la difesa è stata realmente molto evanescente. Peccato, perché poteva fin da subito essere una svolta verso l’altro mentre invece siamo di nuovo nella mischia, ma non tutto è perduto, anzi, purché ci si tiri su le maniche delle canottiere…tutti insieme e si lotti fino all’ultimo secondo.

Non ci si deve lasciar prendere dalla seppur legittima “rabbia” nei confronti degli arbitri, che in situazione analoga l’altra sera contro Cantù ma a parti invertite, nel turno precedente avevano valutato diversamente una situazione che sembrava l’esatta replica dei fatti che avevano condotto all’espulsione di Vujacich e se avessero applicato il regolamento all’azione fallosa a poco più di 1’00″ dal termine del difensore canturino su Boungou Colo e successivo intervento falloso “antisportivo” avremmo avuto due tiri più due tiri più palla in possesso, … ma come dice il nostro Coach Paolo Galbiati, non attacchiamoci agli episodi, anche se… In ogni caso “Torino sprecona, domina per tre quarti e cede nel finale. Vander Blue ancora non pervenuto e questo è preoccupante. Ora la situazione si complica ma ci crediamo sempre!!! Go Aux! Continuo a ribadire che il nostro miglior acquisto sia stato tenere Deron (Washington, ndr)!” e questo è il messaggio del nostro super Simone dai Rude Boys (a proposito, grazie delle foto e della tua presenza con splendida parrucca gialla!), e purtroppo bisogna in effetti constatare l’assenza quasi totale di Blue dal tabellino e tra i protagonisti della Fiat Torino. In una squadra che già ha tra le sue assenze quella pesante per motivi di salute del giovane Okeke, regalare ancora un giocatore importante agli avversari non è cosa da poco, purtroppo e speriamo che qualcosa di meglio esca dal giocatore che fino ad oggi sembra una meteora e non una stella permanente.

Detto di Deron, splendido interprete in cuore e sostanza, abbiamo “Garrett e Mbakwe a tratti sembrano incontenibili, la continuità non c’è sempre ma se insieme a Vujacich fossero costanti potremmo tornare a sognare qualcosa di più”, il commento di Giovanni. “Difficile adesso la situazione, ma bisogna stringere i denti e non lasciarsi andare. Gli altri hanno gli stessi punti ma sembrano più carichi, e basterebbero due vittorie di fila per gasarsi!” ci dice Andrea dagli spalti gialli centrali. Il problema è che le prossime partite saranno tutte difficili, ma non ci sono alternative per andare ai playoff: vincere o sei fuori, e crediamo che lo spirito di Torino possa ancora rifulgere, ma bisogna trovare l’unità di intenti come in coppa Italia: poche critiche, poche parole, molta forza, molta energia e tutti dentro a dare tutto, questa è l’unica soluzione.

Valerio Mazzola inchioda una splendida schiacciata al volo stile NBA e Pelle intimida in mezzo all’area ma bisogna per forza fare di più, gli altri combattono e anche Torino deve, sportivamente parlando, fare altrettanto.

Sabato arriva Pistoia che ha vinto contro Venezia: sembra incredibile, ma questa sarà una partita chiave per i playoffs. Vincere farà “tutta la differenza del mondo”. E compattarsi per questa occasione non è un obbligo ma è molto di più: sarà un aiuto per tutti i giocatori affinché i fantasmi di queste giornate vengano spazzati via dai canestri di una necessaria vittoria.

E sappiamo che tutto il settore tifosi dai Rude Boys al Settore 208 (che ringraziamo per le molte foto inviateci) sarà pronto a tifare per i colori della nostra città: a voi ragazzi, che giocate per la maglia gialloblù di Torino arrivino tutte le energie per condurre la squadra della nostra città verso nuovi traguardi. Il basket in Piemonte c’è stato e ad alto livello. Ora è tornata Torino, e sarebbe bello vederlo volare stabilmente verso i livelli più alti anche nel periodo di maggio e giugno… .

Paolo Michieletto

 

LA CITTADELLA DEL CAFFE’, SUCCESSO ALLA MOSTRA CONVEGNO TIRRENO

L’Azienda leader nel Centro Italia nel settore della caffetteria inaugura la stagione formativa. E’ stato uno degli acclamati e attesi protagonisti, lo scorso fine febbraio, alla ‘Mostra Convegno Tirreno C.T.’, svoltasi con grande affluenza italiana e internazionale nel polo fieristico di Carrara. La manifestazione, da quasi 40 anni a questa parte, è il punto di riferimento per i principali operatori del settore alberghiero e ristorativo. ‘La Cittadella Spa’, marchio storico leader nel Centro Italia nella produzione e distribuzione di prodotti e servizi per la caffetteria e la ristorazione, si è distinta come sempre per qualità, servizi offerti ed innovazione. In questa occasione, si è presentata con il loro responsabile comunicazione- marketing ed un ricco e variegato parterre di testimonial d’essai, tra cui Cristiano Malgioglio, Irene Pivetti, Naike Rivelli, Nina Moric e Ignazio Moser. Da sempre attenta agli investimenti legati alle human resources del comparto, punto di forza della politica di sviluppo attuata con successo da ‘La Cittadella del Caffè’ (www.lacittadella.com), tramite la propria divisione dedicata ‘La Cittadella Coffe School’, è l’ampia gamma permanente di Corsi di Formazione SCA di Caffetteria in perfetto stile tailor made – la più importante ed autorevole associazione a livello mondiale che promuove caffè di qualità - con rilascio di diploma valido a livello internazionale, Corsi Barman e Corsi di Latte Art. Percorsi formativi prestigiosi, che hanno già visto la partecipazione, in cattedra, anche di ospiti d’eccezione quali la Trainer di fama internazionale Chiara Bergonzi e Francesco Corona. Tra le materie oggetto di formazione, Introduction to Coffe, Brewing, Barista Skills, Workshop di Caffetteria, Latte Art, Green Coffe, Roasting, Sensory, corsi Barman oltre a una molteplice possibilità di seminari di taglio individuale, modulati e schedulati sulle reali esigenze di ciascun iscritto.

La navigazione del Pd è senza rotta e si arena sull’Aventino

Stupisce fino all’irritazione politica questo “Aventino” del Pd. Si tirano fuori visto che “abbiamo perso e tocca a voi governare”. Con la speranza che i reciproci veti rendano impossibile la formazione di un governo. Rendano inutile l’aver votato. E per ora ci stanno riuscendo. I tanto vituperati Salvini e Di Maio sono riusciti nell’intento di eleggere i presidenti di Camera e Senato. Con strane affermazioni da parte degli altri come: i pentastellati hanno perso la loro verginità o questo é un inciucio”.  Come un malato terminale il Pd era di fatto contento dopo il no a Berlusconi. Si sono incartati, non ne escono.  Ma da quello che si capisce leghisti e grillini si stanno appropinquando nel formare un governo. Il Pd? Aventino, Aventino. In attesa che l’empasse magari li rimetta in gioco e speranzosi nelle capacità del Presidente fella Repubblica. Non é la prima volta. Con Giorgio Napolitano che accettò di essere rieletto con la condizione di fare le riforme. Ed il successivo tragico errore di delegare Matteo Renzi con i relativi disastri. Ma tutto ciò é storia,  recente ma pur sempre storia. E il pd forse vuole ripartite ma deve  individuare il suo zoccolo duro di Occhettiana memoria, deve individuare una rotta, capendo da quale porto può partite e a quale porto vuole approdare. Forse pretendo troppo. Per “navigare” bisogna avere una rotta che si chiama linea politica. Ed anche qui pretendo troppo. Una volta si diceva: studiare e fare la gavetta. Poi è arrivata la rottamazione e  ci sono state le new entries, diciamocelo,  molto ma molto deludenti. Da dove partire? Ricostruire il partito? Degnissima affermazione che non fa i conti con la sua esistenza. Almeno potenziale. Ora con la moria di deputati e senatori le dissanguate casse del partito avranno meno entrate. La bancarotta del Pd non sarebbe solo politica. Partire dal popolo delle primarie? Renzi ha stravinto alle primarie e straperso le politiche. Qualcosa del meccanismo non torna. Gli iscritti? Con tutto rispetto per il singolo il più delle volte sono truppe “cammellate”. E i dirigenti? Qui si fa articolata l’analisi. Il più delle volte all’incarico politico nel partito si abbina un incarico nelle istituzioni. . A tal proposito in Piemonte e Torino il tutto é emblematico. Ho incontrato ex parlamentari del Pd. Palese la delusione. Chi dice che smette di fare politica. Chi viceversa intensifica il suo impegno politico sul territorio. Un ritorno alle origini. Davide Gariglio si è dimesso, atto forzatamente dovuto. La vecchia quercia di Giancarlo Quagliotti non gli ha fatto sconti e con lo stile comunista gli ha fatto gli auguri per il nuovo incarico romano. Solo Davide Ricca sodale del democristiano Gariglio parla di normalità delle dimissioni. Lui ” turista per caso” continua nel suo lavoro di Presidente di quartiere, eletto perché sodale dell’altro Davide, storico sodale del Matteo fiorentino. Ed ecco la zampata di Nadia Conticelli e dell’arrabbiato Stefano Esposito. Due garanti : Chiampa e la novarese Giuliana Manica. Entrambi da 50 anni in politica. Non è facile trovare chi ha esperienza, capacità e soprattutto disponibilità.  Bisogna averne voglia. E già si ventilano alcune certezze. Davide Gariglio non sarà il candidato del Pd come governatore piemontese. Sergio Chiamparino continua nello studiare da segretario nazionale e magari Giuliana Manica girerà il Piemonte per capire che cosa si può fare. Insomma, tutto rinviato al congresso. Con la certezza che se si dovesse rivotare sarebbe un disastro. Un disastro , sia ben chiaro per tutta la sinistra. Ma a questa sinistra, mi raccomando,  non parlare di unità.  Di condivisione anche, pur momentanea  Quello ideologicamente più affine a te é sempre il nemico più prossimo. Oggi più che sperare si dovrebbe tornare alla politica. E  l’Aventino non é un modo d’agire politicamente. O forse con questo voto si è veramente passati alla terza repubblica. Mi ha particolarmente colpito una affermazione di Beppe Grillo: il sistema é ed era in crisi. Noi Pentastellati ci siamo solo assunti  l’onere di dare l’ultima spallata. Se ha ragione, ciò che c’era nella seconda repubblica é superato. Nella prima la sostanziale dicotomia tra Dc e Pci. Con la discesa in campo del Berlusca che contrastava i “comunisti” rappresentati dal centrosinistra.  Ora la terza dove si ” affaccia” la dicotomia tra Salvini e Di Maio. Tra la Lega non più Lega Nord e i pentastellati rappresentanti di un Sud apoteosi dell’ evasione fiscale e della precarietà. Con un centro Italia terra di conquista per entrambi. Si dice che la Storia non si ripete. A Torino nelle votazioni dopo la divisione dal Pci  Rifondazione ebbe più voti del Pds. Ora Rifondazione é un gruppetto extraparlamentare e il Pds ottenne più voti dell attuale Pd… Forse entrando in un’ altra era gli orizzonti o i poeti saranno diversi dai porti del passato. 

 

Patrizio Tosetto

Il Comune dà l’avvio all’associazione Torino 2026 (in caso di nuovi Giochi olimpici invernali)

La  Giunta comunale ha approvato oggi un provvedimento che autorizza l’avvio delle procedure per la costituzione dell’associazione “Torino 2026”. Il soggetto sarà senza fini di lucro e avrà il compito di curare le attività di studio, analisi e ricerca necessarie per valutare le condizioni di fattibilità dell’eventuale candidatura di Torino ad ospitare i Giochi olimpici invernali in programma tra otto anni. Un ulteriore passaggio di approvazione, necessario per il rispetto del cronoprogramma previsto dalle norme olimpiche internazionali, sarà quello del Consiglio Comunale. “Attraverso il lavoro dell’associazione Torino 2026 – dice la sindaca Chiara Appendino – verificheremo se l’evento olimpico potrà concretamente – attraverso un modello organizzativo che abbia come linee guida vincolanti quelle del riuso e del recupero delle strutture già esistenti, della salvaguardia dell’ambiente e di una oculata gestione delle risorse economiche – generare valore durevole per tutti i territori coinvolti”. La Città di Torino aveva già formalmente comunicato al Coni, lo scorso 7 marzo, l’ interesse a partecipare al dialogo finalizzato alla promozione della candidatura del capoluogo piemontese all’edizione 2026 dei Giochi invernali.

Università, 12 mila borse di studio in Piemonte

Sono  oltre 12mila gli studenti universitari iscritti agli atenei piemontesi che nell’anno accademico in corso beneficiano della borsa di studio,  il 100 per cento degli aventi diritto. Dal 1997/98 e fino al 2010/11 il Piemonte è stato, insieme al Trentino Alto Adige, l’unica Regione ad aver erogato la borsa a tutti gli idonei, un trend che è cambiato nel 2011/12, toccando la percentuale di copertura più bassa, poi tornata al 100 per cento dal 2015/16. Sono alcuni dei dati forniti alla sesta Commissione e al Comitato per la qualità della normazione, presieduti rispettivamente da Daniele Valle e Marco Grimaldi, dall’Osservatorio regionale per l’Università e il diritto allo studio universitario, che all’interno di Ires Piemonte si occupa di raccogliere ed elaborare analisi sul sistema universitario piemontese, sugli sbocchi professionali dei laureati e sugli interventi per il diritto allo studio. La ricerca riporta anche le cifre dei trasferimenti regionali a Edisu Piemonte e la quota statale integrativa ricevuta dal 2006, che per il 2017 ammontano rispettivamente a 26,4 milioni e 10,2 milioni di euro: il 2014 è stato l’anno che ha registrato la quota più bassa di riparto statale (5 milioni), mentre il 2016 è stato un anno unico nel panorama nazionale, che per il Piemonte si è tradotto in quasi 13 milioni di compartecipazione e la borsa di studio garantita a tutti gli idonei.

Riguardo ai posti letto Edisu, nell’arco di dodici anni c’è stato un incremento dell’8,6 per cento: oggi la disponibilità è di 3.268 posti letto nelle residenze universitarie, a fronte di circa 5mila idonei fuori sede e 37mila iscritti residenti fuori regione. Il Piemonte è la sesta regione per numero di posti letto e ottava per grado di soddisfacimento della domanda: se tutti i progetti  degli enti che hanno partecipato al nuovo bando sulla legge 338/00 fossero ammessi a cofinanziamento, nei prossimi sei/otto anni potrebbero essere disponibili ulteriori 486 posti letto.

Un focus sugli studenti universitari rileva che gli immatricolati 2017/18 sono oltre 22mila e che il Piemonte cresce più di tutte le altre regioni, con un incremento particolarmente accentuato nell’ultimo triennio: sempre più studenti residenti in altre regioni o all’estero scelgono di studiare nei nostri atenei (nel biennio magistrale sono quasi il 50 per cento). Ciò si traduce – come hanno spiegato i ricercatori dell’Osservatorio – in maggiori entrate per gli atenei e ricadute positive sul tessuto socio-economico.   Per quanto riguarda la mobilità in uscita riguarda il 18 per cento degli immatricolati residenti in Piemonte, con percentuali nettamente più elevate per le province del Verbano-Cusio-Ossola, Novara e Alessandria. Il saldo degli immatricolati in entrata e in uscita si è invertito nell’ultimo decennio, registrando una differenza positiva per oltre 2000 studenti nel 2016/17. Infine la ricerca ha evidenziato che a tre anni dalla laurea 80 laureati su 100 dichiarano di essere occupati. Sono intervenuti i consiglieri Francesca Frediani, Davide Bono (M5S) e Raffaele Gallo (Pd).

LM – www.cr.piemonte.it

foto: il Torinese

La nonna è morta da 10 anni ma il nipote continuava a incassare la pensione

Un po’ come nella commedia noir “Metti la nonna in frigo” riscuoteva mensilmente la pensione della nonna morta ormai da diversi anni. Ma la Guardia di Finanza di Torino lo ha scoperto e ha denunciato un quarantenne torinese che aveva sempre omesso di comunicare la scomparsa dell’anziana avvenuta 10 anni fa, continuando a incassare circa 1.800 euro dallo Stato. Ora è accusato di indebita percezione di erogazioni di denaro e nei suoi confronti è stato disposto il blocco dei conti correnti, per oltre 50 mila euro e il sequestro di un immobile a lui intestato. Il quarantenne è senza occupazione fissa e ama viaggiare, la presunta truffa ai danni dello Stato  ammonta a circa 210 mila euro

Brutto voto a scuola? Ragazzina si lancia dalla finestra

Erano circa le 21,30 di ieri quando una ragazzina di 12 anni si è’ lanciata dal primo piano del suo palazzo, a Moncalieri. Aveva litigato con  i genitori forse per un brutto voto a scuola . E’ stata portata d’urgenza al Regina Margherita con l’ambulanza chiamata dagli stessi genitori. La giovane pare in buone condizioni ed è sempre rimasta cosciente ma per prudenza è stata tenuta a lungo in osservazione. Ora sono in corso le indagini dei carabinieri.

A Luino, sulle tracce di Piero Chiara e del “signor Brovelli”

Quinto, da tempo, chiede insistentemente di accompagnarlo fino a Luino, sulla sponda lombarda del lago Maggiore per vedere “ i posti di  Piero Chiara”. Dopo aver vestito i panni di attore per caso e rapinatore per finta sul set del film La Banca di Monate, interamente girato a Omegna, sul lago d’Orta, l’infatuazione per lo scrittore della “sponda magra” del Verbano è diventata quasi un’ossessione. Qualche settimana fa, seduto ad un tavolino del bar in piazza Salera, un conoscente stava parlando al telefono con un amico che, da quanto si è poi saputo, comunicava dal molo di Ronco di Pella. Il primo, riferendosi all’acqua del lago, che riflette il mutare del tempo, chiedeva come l’altro la vedesse ( era chiara? era scura? prometteva brutto tempo? poteva azzardarsi a mettere in acqua la sua barchetta? ) quando il buon Quinto, intromettendosi, esclamò: “ Più che l’acqua, annusa il vento. Allarga bene le narici e sentirai se dalle Quarne scende l’aria brusca o dal Mottarone il mergozzolo”. Quinto era così, di buon carattere ma piuttosto invadente. Non per maleducazione o curiosità degli affari altrui. Anzi, era del tutto convinto di poter essere utile, di dare consigli. E come poteva farlo se non usando quel sesto senso che pensava di aver scoperto leggendo le storie di lago dell’esimio luinese? Così, per evitare il protrarsi di quel tormento ( “dai, andiamo? Mi porti, eh? Si va e si viene in giornata..”) e per farlo contento, ho ceduto le armi: sabato si va a Luino! Siamo partiti di buon ora e Quinto, che solitamente non sta zitto nemmeno se lo imbavagli, fino al ponte sul Ticino rimase più silenzioso di una mummia. Guardava fuori dal finestrino, sgranando gli occhi come i bambini: ogni paese, ogni lungolago s’intuiva come apparissero ai suoi occhi come delle straordinarie scoperte. Francamente  non è che, oltrepassate Gravellona Toce e Feriolo, Baveno e Stresa il paesaggio fosse così vario e mutevole. Posti belli, da cartolina, per carità; niente da dire ma abbastanza noti per non dire scontati, agli occhi di chi viveva lì o nei dintorni. Eppure era evidente che a lui si presentavano come una tal novità da disegnargli sul viso imbambolato un largo sorriso.  Del resto, in vita sua aveva viaggiato ben poco, a parte il gran camminare su e giù per le sale d’alberghi e ristoranti, obbligato dal suo lavoro di cameriere. Passati sulla sponda orientale del Maggiore, in terra lombarda, sembrò riprendere vita, riconoscendo i luoghi della prosa di Chiara. Così, fino a Luino, dove  parcheggiammo l’auto  nel grande spiazzo sterrato sul lungolago. Da lì, a piedi, in un attimo la nostra meta venne raggiunta: il “mitico” Caffè Clerici.

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Così, seduti a un tavolino esterno, guardando il lago, Quinto prese dalla tasca un libro e – partendo da dove aveva messo un vecchio biglietto del treno come segnalibro – iniziò a leggere: “….Volle sapere qualche cosa di più sul Caffè Clerici, che le parve un’istituzione degna d’interesse. Glielo descrissi, vicino al porto, sul quale si affacciava da un portichetto, coi tavolini di ferro e i miei amici seduti intorno fin dalla mattina. Le barche che andavano e venivano, la gente che passava, il biliardo dentro al caffè, in attività tutto il giorno e il giardinetto inghiaiato sempre in ombra dietro, con le piante concimate con i fondi di caffè nelle mezze botti dipinte di verde”. Alzando gli occhi, quasi s’accorgesse allora della mia presenza, mi disse: “Hai notato? Guardati attorno: non è più o meno com’è oggi?”. In effetti la descrizione della Luino che Piero Chiara aveva tratteggiato ne “ Il cappotto di astrakan”, non era dissimile da quanto si poteva vedere in quel momento. Il Caffè Clerici era rimasto più o meno lo stesso e non si faticava ad immaginare come lo scrittore avesse organizzato il suo “ufficio” tra i tavolini della sala. Era il suo, immaginario,  “buco della serratura” dal quale poteva sbirciare e indagare la poliedrica umanità luinese. Quella  che poi, consapevole o meno, gli aveva offerto la materia prima per confezionare le sue storie. E il molo,  quello dove arrivavano le raffiche e si potevano distinguere tutti i sentori che il vento, scendendo dalla Svizzera, raccoglieva lungo le valli della sponda piemontese ? Era proprio quello che stava lì, davanti a noi. A fianco dell’imbarcadero, dopo lo “spazio di rispetto” che apparteneva alla Società di Navigazione, si apriva il porto delle barche,  “coi suoi moli convergenti che terminavano in due torrette dal parapetto ad altezza di gamba”.

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A dire il vero erano poche le barche allineate contro la riva, mentre un paio di burchielli stavano lì in secca, arrampicati sulla rampa erbosa, poco distanti da una lancia da lago che stava pancia all’aria, capovolta sui cavalletti, ad asciugarsi le fiancate  verniciate di fresco. Sorseggiamo due “bianchini”, corretti con un’ombra di Campari, e guardammo entrambi un uomo piuttosto robusto intento a pescare con una canna fissa dal muraglione di pietra antica del porticciolo. “Guarda un po’ quel tipo. Non sembra mica il Brovelli, quello lì? Sì, il Brovelli: quello del “Ti sento, Giuditta”? ”. La stazza doveva esser suppergiù   la stessa del personaggio del racconto di Chiara e la suggestione poteva indurre a chiamarlo per nome ( “Signor Amedeo.. Amedeo Brovelli..”) ma evitammo di farlo. Un pò per non far figure, un pò perché – qualora si fosse voltato verso di noi – non  avremmo saputo che dire. Annusammo anche noi l’aria, quasi istintivamente. Non sentimmo nulla. Non intercettammo nessun odore: né dei sigari di Brissago, né delle bestie della Val Cannobina e nemmeno delle fragranti michette sfornate a Cannobio. “Mi sa che siamo anche noi come il ragazzo a cui il Brovelli aveva insegnato l’arte del “fiuto dell’aria”, disse Quindo, sconsolato.  Quella storia la conoscevamo entrambi, quasi a memoria. Le parole, affidate alla penna di Chiara, dai ricordi vennero in superficie : “…passai mattine intere sul molo per risentire gli odori; ma avessi dimenticato la posizione esatta o l’angolo giusto, non mi riuscì di sentire mai altro che l’odore d’acqua e quasi di luce che ha sempre il vento al mio paese”. Pagata la consumazione al Caffè, gironzolammo per Luino alla ricerca di qualche frammento di quell’atmosfera  di vento e bonacce, acqua di lago e tetti lastricati di beole. C’erano ancora i balconi sporgenti dove vivacissimi gerani si mettono in mostra e anche i vecchi cancelli dietro ai quali s’intravedevano i bei giardini delle dimore signorili , traboccanti di verde e di glicini.

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Molti dei luoghi di Chiara, nel tempo, erano cambiati: l’albergo Metropole, dove ai suoi tavoli, con accanimento e passione, si giocavano interminabili partiti a carte, ora portava il nome di Palazzo Verbania e  al piano terra ospitava mostre e conferenze. C’era ancorala statua di Garibaldi, la prima ad essergli stata dedicata in Italia, nel 1867,  quando l’eroe dei due mondi era ancora in vita. Anche Chiara, ne “Il piatto piange”, fa cenno a questa singolare vicenda con una certa ironia, raccontando a modo suo l’episodio storico avvenuto il 15 agosto del 1848, durante la prima guerra di indipendenza italiana. Giunto a Luino con un manipolo di camicie rosse per scacciare gli austriaci, dopo aver attraversato il lago a bordo di due battelli sequestrati ad Arona,  Garibaldi  dovette far ricorso alla farmacia Clericiper avere, in fretta e furia , un rimedio contro la dissenteria che aveva colpito a tradimento l’eroe “dei due mondi”. Girammo e  girammo ma di quegli alberghetti collocati in posizione strategica, vicino alla penultima stazione ferroviaria prima del confine svizzero, dove s’incontravano le coppie clandestine, non c’era più nemmeno l’ombra. Gli anni si sono portati via, in una caotica progressione, tutto quel mondo di chiacchiere e confidenze nei caffè e nelle osterie dove s’ingannava il tempo con interminabili partite a carte, scherzi e beffe alle spalle dei cornuti, mordaci canzonature, piccoli scandali e pettegolezzi dove i condimenti erano sempre tre: sesso, quattrini e debiti. Quinto scrutava i passanti che incontravamo, alla ricerca di un indizio che ci svelasse la loro vera identità. Mi parve deluso dal fatto di non intravedere quell’umanità di perdigiorno, sciupafemmine, truffatori, madame procaci e sensuali che aveva conosciuto grazie ai racconti dell’uomo che più di altri aveva sdoganato la provincia e le sue storie. Per consolarci ci concedemmo una lauta merenda al Clerici come s’usava un tempo: pane e frittura di lago, un litro di bianco e due grappini all’erba ruga, alla ruta, per “buttar giù il peso dallo stomaco”. Lasciammo Luino quasi al tramonto. Guidavo l’auto senza fretta e quest’ultima si mangiava la strada a piccoli morsi, muovendosi con un dondolio da barca, quasi fosse in riserva e occorresse sfiorare leggermente l’acceleratore per non  restare a secco. Si tornava verso casa. Arrivederci alla prossima, signor Brovelli.

 

Marco Travaglini

Giorgio De Chirico. Capolavori dalla collezione di Francesco Federico Cerruti

FINO AL 27 MAGGIO

Sono otto, realizzati fra il 1916 e il 1927, i capolavori di Giorgio de Chirico (nato a Volos, in Grecia, nel 1888 e scomparso a Roma nel 1978) esposti, fino al 27 maggio, al Castello di Rivoli – Museo d’Arte Contemporanea e posti in relazione – bellissima idea – con le opere di sei artisti contemporanei presenti nella collezione permanente del Museo e portatrici di temi similari o contrapposti a quelli espressi, in momenti ispirativi e in situazioni esistenziali le più diverse, dal grande Maestro della Metafisica. La mostra è sicuramente di quelle da non perdere. Per l’alta portata artistica e storica che la contraddistingue, ma soprattutto perché offre al grande pubblico, per la prima volta, la possibilità di ammirare dipinti di de Chirico finora celati nella Villa Cerruti di Rivoli (che sarà aperta al pubblico il prossimo anno) voluta negli anni Sessanta dall’imprenditore torinese Francesco Federico Cerruti, scomparso nel 2015, ad uso esclusivo della propria collezione privata. Collezione di immenso valore per vastità e importanza, frutto di 70 anni di ricerca e raccolta di opere articolate in una modulazione del bello, che è storia dell’arte tout court, dal Medioevo fino all’età contemporanea passando per il Surrealismo e le principali correnti del Novecento internazionale. Di eccezionale rilievo gli otto de Chirico esposti nelle sale del Castello juvarriano e che finora erano stati accessibili solo a pochi e fidati “amici intenditori” del grande collezionista torinese. La rassegna, presentata nelle sale auliche al primo piano della Residenza Sabauda e curata da Carolyn Christov-Bakargiev (direttrice del Museo) e da Marcella Beccaria, offre “uno spaccato sull’inesauribile capacità metamorfica del genio di de Chirico” fatto dialogare, attraverso opere di assoluta e codificata attualità, con grandi artisti contemporanei che vanno da Giulio Paolini a Michelangelo Pistoletto, da Franz Ackermann a Fabio Mauri, fino ad Alighiero Boetti e a Maurizio Cattelan. “Il percorso espositivo – sottolinea Marcella Beccaria propone ai visitatori, in un vertiginoso gioco tematico di assonanze, contraddizioni ma anche sorprendenti corrispondenze, che gettano ulteriore luce sulla poetica di de Chirico e sulla sua inesauribile eredità culturale”. L’iter espositivo si apre allora con le “Muse metafisiche” (olio su tela eseguito dal Maestro nel ’18, alla fine del periodo ferrarese, anche se le torri ravvisabili dalla finestra, a destra nel quadro, sembrano portarci a Bologna) messe in relazione con la “Casa di Lucrezio” (1981) del Paolini. Elementi comuni, a più di sessant’anni di distanza, il tema del doppio e dell’enigma poetico, che ritroviamo in una delle tante versioni de “Il Trovatore” (questa di Rivoli é del ’22 e molto attenta ai simbolismi dello svizzero Arnold Bocklin) per arrivare all’assoluta purezza metafisica de “Il saluto degli Argonauti partenti” (1920), di netta impronta classico-rinascimentale, con la marcata fisicità di nudi alla Luca Signorelli e “nel cielo la raffinata memoria dell’arte di Mantegna e Bellini. Proseguendo ci si imbatte nel tema dell’autoritratto (tanto caro a de Chirico che ne eseguì più di cento), nodo centrale che pone in relazione “Autoritratto con la propria ombra” (ca. 1920) con l’imponente “L’architettura dello specchio”, eseguita nel ’90 da Pistoletto e che “abbraccia la molteplicità del reale, accogliendone l’inarrestabile mutevolezza”. A seguire il gruppo degli “interni”: “Interno metafisico” (ca. 1918), aperto al contrasto con le architetture immaginifiche di Ackermann, così come la “Composizione metafisica” del ’16 che dialoga con i meccanismi dell’immaginario collettivo evidenziati da Mauri e come l’altro “Interno metafisico” del ’17 affiancato, nell’attenzione per la semplicità degli oggetti d’uso comune, alla “quotidiana banalità” delle opere di Boetti. A completare il percorso l’interrelazione fra i “Due cavalli” (altro soggetto particolarmente amato da de Chirico) realizzati nel ’27 e “Novecento” (1997) di Cattelan, secondo un dialogo “nel quale l’impeto dionisiaco del maestro della Metafisica incontra la cinica e sconsolata visione dell’artista contemporaneo relativamente al secolo appena trascorso”. Assonanze. Contraddizioni. Rimandi di immagini e pensieri capaci di rincorrersi e riproporsi oltre le mode e oltre il tempo. Con la potenza di gesti trasfiguranti che stanno anche alla base dell’altra mostra ospitata sempre al Castello di Rivoli, nella Manica Lunga, fino al 24 giugno, dal titolo “Metamorfosi. Lasciate che tutto vi accada”. Curata da Chus Martìnez, la rassegna intende proporre l’esperienza della metamorfosi nell’arte contemporanea attraverso le opere inedite – installazioni, sculture, azioni performative, dipinti e video – di sette promettenti artisti internazionali.

Gianni Milani

“Giorgio de Chirico. Capolavori dalla Collezione di Francesco Federico Cerruti”

Castello di Rivoli- Museo d’Arte Contemporanea, piazza Mafalda di Savoia, Rivoli (Torino); tel. 011/9565222 – www.castellodirivoli.org

Fino al 27 maggio – Orari: mart.-ven. 10/17 e sab.-dom. 10/19; lunedì chiuso, aperto il lunedì di Pasqua e primo maggio

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Nelle foto

– “Muse metafisiche”, olio su tela, 1918
– “Il saluto degli Argonauti partenti”, tempera su tela, 1920
– “Autoritratto con la propria ombra”, tempera su tela, ca. 1920

 

Brand Italia, plagio e abbinamenti ingiuriosi

Nel mondo siamo famosi come popolo di santi, navigatori, artisti e poeti, ma pure per mafia, spaghetti e mandolino. Soprattutto gli ultimi tre sono gli stereotipi con i quali all’estero si identifica l’Italia. Se quasi tutte le etichette che ci appioppano ci stanno bene, quella di mafia ci fa imbestialire, non siamo tutti mafiosi, anzi, per certi versi, siamo più santi. Perché tanto ci vuole per sopportare una classe di politici e di imprenditori che ha perso il senso dell’Italia e il suo consenso. Da molto tempo ci sono nel mondo operazioni di marketing che abbinano il prodotto da vendere ad un marchio di malaffare, ma sempre italiano. Un business milionario che si estende dai ristoranti ai prodotti, dal caffè “Mafiozzo” della Bulgaria agli snack “Chilli Mafia” della Gran Bretagna, dalle spezie “Palermo Mafia shooting” della Germania fino alla salsa “SauceMaffia” per condire le patatine e quella “SauceMaffioso” per la pasta diffusa a Bruxelles e ancora per arrivare a quello denominato “Cosa Nostra” e addirittura a Phuket (Thailandia), dove c’è addirittura un servizio take away. Ma nei diversi continenti ci sono i locali “Ai Mafiosi”, “Bella Mafia” e “Mafia Pizza”. E su internet è possibile acquistare il libro di ricette “The mafia cookbook”, comprare caramelle sul portale www.candymafia.com o ricevere i consigli di mamamafiosa (www.mamamafiosa.com). Fra i tanti marchi, scorretti, diffusi nel mondo, finalmente, in un caso, la Corte dell’Unione Europea ha accolto la richiesta dell’Italia di invalidare il marchio della catena di ristoranti spagnoli “La Mafia” (“La Mafia se sienta a la mesa”), vale a dire “La Mafia si siede a tavola”.

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La deprecabile vicenda si è protratta per molti anni (dal 2006) e ci porta ad alcune considerazioni amare sull’Unione Europea ( la vicenda Ema, l’Agenzia per il farmaco è fra queste), ma anche sulle contraddizioni dell’Euipo. Vale a dire l’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale incaricato di gestire i marchi dell’Unione europea, i disegni e modelli comunitari registrati. Se l’Ufficio Europeo dei brevetti funzionasse in modo “corretto” la vicenda non sarebbe nemmeno dovuta nascere. Quando finalmente tale Ufficio ha proceduto all’annullamento della registrazione, la società spagnola “La Honorable Hermandad, subentrata a Mafia Franchises, ha fatto ricorso all’Alta Corte di Giustizia fino ad arrivare alla giusta sentenza che ha dato ragione all’Italia. “Va fermato – ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo - l’utilizzo commerciale di tutti quei marchi infami che sfruttano gli stereotipi legati alle organizzazioni mafiose, banalizzando fin quasi a normalizzarlo, un fenomeno che ha portato dolore e lutti lungo tutto lo Stivale. Il business è stato oggetto di uno specifico approfondimento anche nell’ambito dell’Osservatorio Agromafie promosso dalla Coldiretti che ha raccolto esempi concreti di oltraggio in diversi continenti”. La morale: marchi prestigiosi (s)venduti alla Francia, alla Spagna e via di seguito, fino ad arrivare all’offesa degli italiani. Basta. Solo al momento!

Tommaso Lo Russo