Un torinese (acquisito) a Finale Ligure/Pillole di spiaggia

In spiaggia come a teatro. L’Oscar al palestra-tatuato

Un torinese (acquisito) a Finale Ligure /Pillole di spiaggia

Di Gianni Milani 

“Ormai siamo agli sgoccioli!”. Lo dice a pranzo, con un velo di malinconia, mia moglie. Eh, già. Domenica si parte. Si torna a Torino. Chissà perché? Ogni volta che parto da Torino per venire a Finale, rimpiango Torino. E ogni volta che parto da Finale per tornare a Torino, mi prende un groppo in gola per Finale. Cose che capitano anche per altre partenze e altri ritorni. Sempre più sovente. Sentimentalismi da tarda età! Però, é vero. Quest’anno la spiaggia di Finale, essendosi enormemente accentuata la mia totale incapacità di donarmi a prolungate docce solari così come a prolungati pediluvi (non andiamo oltre) marini, mi si è rivelata in una veste tutta nuova. Incredibile e suggestiva. Come un grande palcoscenico teatrale a cielo aperto. Il che capita non solo a Finale, ovviamente. Ma, credo, in qualsiasi altra spiaggia. Così stare ad osservare, senza pruriginosi intenti voyeuristici, bagnanti-attori che vi si muovono, gesticolano, corrono o camminano, vociando, ridendo o piangendo (quanti attori bambini) é stato per me come stare a teatro. Io e loro. Io e i bagnanti-attori, osservatore (in un gioco che spesso vede la fantasia vincere sulla realtà) rintanato nel mio bunker-ombrellone e al sicuro come in una trincea carsica al riparo dalle pallottole asburgiche, a godermi le mille pièces messe in scena a ritmo battuto. Che ti sfuggono nella vita reale e ti si esaltano dinanzi agli occhi nelle indifese “nudità” della spiaggia-teatro. E quanti personaggi ho scoperto e immaginato nel mio angolo di spiaggetta! Titoli da commedia. Dall’ “uomo che cammina tenendosi l’enorme pancia tra le mani” quasi dovesse, la pancia, cadergli ad ogni passo sulla sabbia, al bonario “signore con il naso più grande d’Europa” (definizione condivisa con mia figlia) fino all’ “io sono il vero Mister Bean”, copia spaccata del mitico personaggio imbranato e goffo creato dal geniale Rowan Atkinson. Personaggi in braghe corte. Surclassati però, senza pietà, dall’evergreen superpalestrato di razza. E tanto tanto tatuato. A lui, il Premio Oscar. É sempre lui il prim’attore. Età indefinita, al suo arrivo in spiaggia (mai rigorosamente prima delle 10, per lui prime luci dell’alba) la passerella in plastica che porta a riva pare tramutarsi in scintillante tappeto di sfilata per stars holliwoodiane. Aria assonnata. La nottata é stata lunga e faticosa! Questo almeno deve apparire. Un gesto di saluto roteante, simile a una sacrale bedizione. A tutti e a nessuno. Il corpo tatuato all’inverosimile, che pare gridar vendetta per la feroce colonizzazione di segni e forme (hold school, new school o tribal astratto) che sembrano non conoscere limiti e pause pacificanti. L’ andatura é felpata ma rocciosa e potente. Non come quella “da ricchi alla Luca di Montezemolo, insegnata da Matteo-Teocoli a Maurino-Di Francesco nell’esilarante “Abbronzatissimi” anni ’90. Maniglie dell’amore? Bestemmia! Sguardo benevole ma spietato. Di chi vede e non vede. Svestizione rapida e indolore. Il corpo é già abbondantemente spalmato di brillucicante olio solare. Un baffo, i poveri Bronzi di Riace. L’ adagiarsi sul lettino con tanto di Rayban ultimo grido é da applausi. Perfino il sole pare spostarsi tutto su di lui. Sul prim’attore. Tentazione. Il prossimo anno, mi dico, cerco di imitarlo. Un momento. Io palestrato? Obiettivo irraggiungibile. Tattoo? Forse uno o due tatuaggi all’ hennè. Ipotesi surreale. Mi rassegno. Si prosegua per le antiche strade. A Cesare quel ch’è di Cesare. Meglio per tutti.

 

I due “soci”

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Un torinese (acquisito) a Finale Ligure/Pillole di spiaggia

Di Gianni Milani

“Sono proprio gentili questi due ragazzi!”. Un attimo di pausa. “Peccato tutti quei tatuaggi… Sono soci, eh!”. Abbozzo un impacciato sorriso. A parlare é un’arzilla signora diversamente giovane, Palmira, in attesa della sua 85esima primavera, cuneese di Langa e mia vicina di ombrellone, incredibile dispensatrice di garbate e granitiche verità. I giovani di cui Palmira parla sono i due tatuatissimi ragazzotti stesi al sole su due lettini posti a fianco dei nostri bunker-ombrelloni. Azzardo: “Soci? Hanno un’attività in comune?”. ” Ma no – risponde lei – quasi stizzita per il mio, a suo parere, improvviso rincoglionimento”. ” Soci! É chiaro no?”. Faccia stupita la mia. “Due mariti!!”. Ah, bè! Riabbozzo un sorriso di partecipe condivisione. ” Mai visto due ragazzi così a modo e gentili” continua lei. ” A l’e’ propri ‘n piasi’ parleie ansema” continua in stretto cuneo-piemontese”. ” As ved che s’volu propi bin!”. Antica, magnanime saggezza langarola. Le sorrido. La signora ha proprio capito tutto. Da sola. Senza stucchevoli e inutili simposi culturali o vocianti diatribe TV oggi più che mai di moda. ” E quando due si vogliono bene…”. Sospensione. Condivido. ” Peccato – conclude – tutti quei tatuaggi!”.

Gavettone Day

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Un torinese (acquisito) a Finale Ligure/Pillole di spiaggia

 

Di Gianni Milani

Ferragosto edizione 2021. Anche quest’anno é andata! Solito copione. Stessa spiaggia, stesso mare. Ed eccoci, per fortuna, al giorno dopo. Negli occhi e nelle orecchie flash d’immagini e voci che sono quelle ripetute a copione nel tempo. Banali, perfino un po’ tristi, sotto regie cafonare degne del miglior Oscar Pettinari, il tipico “coatto” romano inventato in “Troppo forte” dal mitico Verdone. Primissima mattina, la calata dai pullman sul lungomare di frotte multiformi e variopinte dei bagnanti in gita di giornata provenienti (con tanto di vu’ cumpra’ e “bottega” appresso) dai paesi limitrofi o dall’entroterra ligure. Borse-frigo, cibarie varie, canotte varie, infradito vari, facce varie, palloni e palloncini e salvagente vari, cappelli e cappellini fra i più improbabili e multiuso. Corsa alla spiaggia libera che in un attimo diventa occupata. Meglio occupatissima. Distanziamento? Parolona grossa. Ed ecco in un baleno, il nuovo panorama vista mare: ombrelloni e ombrellini infilzati a terra, una galleria di asciugamani stesi al sole, lettini e sdraio e sedie per i nonni, cagnolini (povere bestie) guinzagliati alle gambe di tavolini traballanti che stanno in piedi sfidando inspiegabilmente la forza di gravità. E subito i primi sonori scappellotti ( tanti altri ne seguiranno) ai ragazzini che ogni mezzo minuto corrono – manco fossero Jacobs – in acqua, mentre le mamma iniziano fin da subito, quasi fossero in pieno cucinino di casa, a preparare la “tavola”, con figlie e fidanzati e padri spaparanzati al sole. Tutt’altra musica nei Bagni privati a fianco. Non fosse che anche lì cominciano a veleggiare nell’aria strane occhiatine e occhiatacce. Ci siamo! Comincia a montare la strana voglia ferragostana. La voglia del gavettone. Rito secolare. Ahinoi, intramontabile. Si cominciano a caricare pistole e mitragliette di plastica. E a sparare. ” Ma cazzarola, é gelida quest’acqua! Cominciamo?”. In un attimo é tutti contro tutti. I primi ad impugnare le armi (incredibile!), signori- giovinotti che vanno dai 40/50 in sù. Scatenati, mirano come ossessi a ridanciane damigelle dai costumi impercettibili e ai compagni di “scopone”. “Ma basta, papà, smettila!”, urla con vergogna una ragazzina al “firmatissimo” genitore (avvocato, manager, imprenditore, politico, amico forse di quel famoso onorevole del Papete?). E lui manco per niente. Fino all’ora di pranzo. I bagni di svuotano. Quasi. Fatta eccezione per i martiri dell’abbronzatura che timbrano il cartellino alle dieci e per otto ore filate a flirtare con il sole non li smuove più nessuno. Nella spiaggia libera, intanto, é un corpo a corpo alle vettovaglie, con paninari famelici che a 40 gradi all’ombra mangerebbero pure minestroni bollenti e polente conce, bimbi giustamente piagnucolanti e risate e risate e acqua e birra, birra tanta birra. Poi ci saranno altri tuffi. Appena mangiato? Ma chissenefrega. E’ Ferragosto. Non esistono regole. Appuntamento finale nei Bagni privati alle 18. Sarà guerra totale di gavettoni. Bagni contro bagni. Tutti contro tutti Il lungomare diventerà campo di battaglia. Senza pietà. Penso proprio di rientrare in hotel verso le 17,30. Massimo massimo 17,45. ” Ma che bella giornata”, cantava nel ’68, con toni dememenzial-ironici, Ugolino, al secolo Guido Lamberti. Proprio una bella giornata!