Luzzogno fu la prima comunità a rendersi autonoma da Omegna nel 1312 ed erigendosi in parrocchia nel 1455 rappresentò per quattro secoli l’unità religiosa e civile della Valstrona. Nel 1756 nacque il comune libero di Luzzogno il quale, come gli altri della vallata, rimase distinto fino al 1926 quando fu riunito nel comune di Valstrona per decreto governativo. In passato gli uomini del piccolo borgo trovarono lavoro nelle cave di marmo, nelle miniere, in agricoltura e negli alpeggi, vera fonte economica del paese. Proficua fu l’emigrazione esterna oltre le Alpi verso la Germania, raggiunta a piedi in una settimana di viaggio attraverso il Lago Maggiore verso Bellinzona e seguendo il Ticino per fermarsi solitamente due anni. Meno proficua fu l’emigrazione interna verso la Lombardia e il Piemonte, effettuata nella stagione invernale dai concari e palai venditori di pale da riso, gioghi per buoi, cucchiai e mestoli ritornando a casa in primavera con piccoli guadagni. L’emigrazione fu interrotta dallo scoppio della prima guerra mondiale, creando grave danno economico per la comunità.





In effetti, i contatti tra le due lingue risalgono a oltre 1200 anni fa quando i saraceni si insediarono per almeno un secolo tra torinese e cuneese.
Tra gli ospiti illustri nella storia del locale: il conte di Cavour, Nietzsche, Giacomo Puccini, varie altezze reali. E più recentemente Giovanni Agnelli e Umberto Eco, solo per citare alcuni nomi
Nel 1983 Maritè Costa ha raccolto l’eredità delle signore Cavalli, portando il locale al livello di notorietà internazionali a cui è oggi conosciuto. Il suo è stato uno straordinario lavoro di vera archeologia del cioccolato e dei dolci torinesi: la sua ricerca e studio delle ricette originali, dei materiali di qualità e un vero ed autentico amore per la cioccolata e la pasticceria tradizionale piemontese, hanno fatto sì che questo piccolo caffè venisse conosciuto ed amato nel mondo intero.
Un Buffa di Pinerolo, forse un Buffa di Perrero, che viene citato in vari documenti dell’epoca e da molti storici. Non esistono però testi scritti che comprovino la sua parentela con i Buffa di Perrero ma, come osserva lo storico torinese Francesco Cordero di Pamparato, “pensare che nella Pinerolo del 1200 vi fossero due famiglie di nome Buffa che non fossero imparentate tra di loro sembrerebbe molto azzardato. È quindi molto più probabile che si tratti della stessa famiglia”. Comunque sia, nella primavera del 1202, secondo gli studiosi delle crociate, raggiunse Venezia e partecipò in San Marco alla solenne cerimonia presieduta dal doge Enrico Dandolo. Poi 17.000 veneziani e oltre 30.000 crociati si imbarcarono sulla grande flotta cristiana che l’8 novembre partì per la quarta crociata che nel 1204 cacciò i bizantini da Costantinopoli. Nello stesso anno Amedeo Buffa prese parte anche alla conquista del regno di Tessalonica (oggi Salonicco) insieme a Bonifacio, fondatore del regno e suo primo sovrano, che ringraziò Amedeo concedendogli la baronia di Domokòs nella Grecia centrale. La morte del marchese del Monferrato nel 1207 in battaglia contro i bulgari aprì la crisi del regno che fu subito cavalcata da un gruppo di nobili italiani che puntavano alla separazione del regno di Tessaglia dall’impero latino di Costantinopoli. Con l’appoggio di un nutrito gruppo di cavalieri italiani tentò di consegnare il regno di Tessalonica al figlio di Bonifacio, Guglielmo IV del Monferrato, e magari portarlo sul trono a Bisanzio. L’imperatore Enrico di Hainaut corse ai ripari e dichiarò guerra agli insorti. Il conte Uberto di Biandrate e Amedeo Buffa furono i capi di una vera e propria rivolta che costrinse Enrico di Hainaut ad intervenire in Tessaglia. Fu proprio Buffa a organizzare la resistenza ma circondato dalle truppe dell’imperatore fu costretto alla resa. Unico tra i rivoltosi, Buffa fece la pace con Enrico che nel frattempo aveva stroncato la rivolta. Il pinerolese si sottomise e da allora rimase fedele all’imperatore il quale gli conferì la carica di connestabile, comandante dell’esercito, una delle più alte cariche dell’Impero. Poco tempo dopo, nel 1210, alla testa di cento cavalieri, cadde in un’imboscata e fu catturato dal tiranno dell’Epiro Michele Angelo Comneno, arcinemico del nuovo Impero latino, che lo fece crocifiggere. Una morte atroce per il pinerolese Amedeo Buffa, il cui supplizio è citato in una bolla di papa Innocenzo III.







