STORIA- Pagina 32

Il Borgo San Donato tra sacro e profano

La quarta Circoscrizione del Comune di Torino conta circa 95 mila abitanti ed è situata nella parte Ovest di Torino; attraversata dalla Dora Riparia è delimitata a Sud da Corso Francia, a Nord da corso Regina Margherita e corso Mortara, a Est da corso Principe Oddone e a Ovest dal confine con il Comune di Collegno. La quarta Circoscrizione comprende il borgo San Donato, che conferisce il nome alla Circoscrizione medesima e  che ha origine da una omonima chiesetta, edificio andato poi distrutto dell’assedio del 1536. Nel 1855 fu sostituita dall’attuale chiesa della Immacolata Concezione e San Donato. Nel 1943 i bombardamenti la danneggiarono in parte, ma fu poi restaurata.

L’antico borgo di San Donato sorgeva più  a Est dell’attuale, nell’area del centro storico compreso tra le vie Consolata, Garibaldi,  Giulio e corso Valdocco. Anche se esterno alla mura romane e medievali su cui era addossato, risultava difeso da una cinta muraria e da un fossato, munito di due porte, una rivolta alla strada dell’abbazia di San Solutore e una alla strada Romana verso Pozzo Strada. La popolazione di Borgo San Donato ebbe una drastica diminuzione a causa della peste del 1630 e in seguito alsusseguirsi delle guerre. Tornò a crescere durante il Rinascimento.

A irrigare il quartiere il Canale di Torino, derivazione della Dora Riparia e del canale Ceronda, derivazione del torrente a Ovest di Torino, oggi inesistente,  che seguiva il tracciato delle vie San Donato e Pacinotti.

Il quartiere attirò numerose attività caritative, data la vasta presenza di latifondi di proprietà religiosa, come quelli afferenti agli ordini di Sant’Agostino e Santa Chiara. Le iniziative caritative che si svilupparono riguardano il Pubblico Scaldatoio, l’Istituto della Sacra Famiglia, che accoglieva duecento orfane, la Casa di Sanità del dottor Casimiro  Sperino e un oratorio femminile  fondato dal teologo Giuseppe Saccarelli.

Fu proprio il teologo Saccarelli a ottenere dall’arcivescovo Fransoni che la sua chiesa locale diventasse parrocchia e l’arcivescovo volle che al nome  San Donato alla chiesa fosse aggiunto quello di Immacolata Concezione, avendo papa Pio IX proclamato questo dogma proprio poco prima dell’inaugurazione della chiesa, l’8 dicembre 1854.

Un altro importante passaggio fu l’edificazione dell’ospedale Maria Vittoria , all’incrocio tra corso Tassoni e via Cibrario, su terreni che erano stati donati da un medico specializzato in Ostetricia e Ginecologia, Giuseppe Berruti, allo scopo di farne un ospedale dedicato alla salute di donne e bambini. Il progetto venne redatto dallo stesso creatore di piazza Statuto,  Giuseppe Bollati, ecinaugurato nel 1885.

Il borgo San Donato promosse nel corso del Novecento  lo sviluppo di importanti industrie dell’area piemontese, quali le Pastiglie Leone, la Bosio  Caratsch, la Metzger, la fabbrica di cioccolato Caffarel-Prochet.

Nel 1826 Pier Paul Caffarel rilevò una conceria di via Balbis, situata nel quartiere di San Donato,  per trasformarla da conceria a Laboratorio dolciario, dando avvio alla produzione europea di cioccolato solido di qualità.  L’imprenditore acquistò diversi macchinari in grado di produrre più di 320 chili di cioccolato al giorno.

Il nipote di Pier Paul Caffarel,  Ernesto Alberto, conobbe un altro artigiano del cioccolato che si chiamava Michele Prochet e nacque così un sodalizio che portò  alla formazione della fabbrica Caffarel – Prochet, iniziando a miscelare il cacao con un nuovo ingrediente, che diede origine al gianduiotto.

Il gianduiotto, delizioso cioccolatino a forma di barca rovesciata, si ottiene con l’impasto del cioccolato noto come gianduia e  tra gli altri suoi ingredienti troviamo la nocciola tonda gentile del Piemonte, un prodotto molto noto della tradizione piemontese.

La nascita del gianduiotto si intreccia con un evento storico, il blocco continentale voluto da Napoleone Bonaparte, che fece sì  che il cacao provenisse in Europa a prezzi elevati e quantità ridotte. Michele Prochet si impegnò a sostituire gran parte del cacao con la nocciola delle Langhe.

Il borgo San Donato è  anche il borgo delle pastiglie Leone. In realtà la prima fabbrica fu costruita ad Alba nel 1857 come confetteria che produceva  delicate pastiglie colorate. La fabbrica venne poi trasferita nel 1934 non lontano da quella Caffarel Prochet, in un edificio in stile Liberty, in corso Regina Margherita .

Il Borgo San Donato non era soltanto un borgo dolciario,  ma è stato il primo in cui sia nato un birrificio, nel 1845. Fu chiamato “Birreria del Giardino” e la sua prima sede fu in via della Consolata, nel centro storico cittadino. La seconda generazione del birrificio fu quella di Edoardo Bosio che, nel 1887, di comune accordo con il cugino Simone  Caratasch, trasferì il birrificio nel Borgo San Donato.

L’azienda mutò la propria ragione sociale e divenne Bosio &Cartash. Ottenne il primo riconoscimento italiano,  con la medaglia d’oro all’Esposizione dell’Industria italiana. Fu poi rilevata, insieme alla concorrente Metzger, dal gruppo Luciani e, anni dopo, dalla Holding Mobiliare  Industriale Cisalpina di Milano  nel 1952.

Un altro birrificio presente in borgo San Donato era  quello di nome  Matzeger, fondato a Torino nel lontano 1848 da Karl Metzger e da altri soci. Karl Metzger era un maestro birraio originario dell’Alsazia.

La prima fabbrica sorgeva a Borgo Dora, poi nel 1862, una volta divenuto unico proprietario del birrificio, spostò la produzione a San Donato,  ampliando il proprio campo di azione e conquistando anche i mercati delle colonie italiane dell’Africa.  Venne poi rilevata, con la rivale Bosio & Caratsch, dal gruppo Luciani.

Borgo San Donato fu abitato fin dal Medio Evo da famiglie di mercanti e di soldati e, per secoli, fu chiamato il borgo del Martinetto, data la presenza di pistoni attivati dai canali d’acqua derivati nel quartiere.

Nel 1835 prese il suo nome dall’antica chiesa dedicata  a Donato d’Arezzo, distrutta durante un assedio francese nel 1536 e ricostruita nel 1855 con il nome di Immacolata Concezione e San Donato.

Attualmente il quartiere di San Donato è  un quartiere dal buon livello di qualità della vita. Si trova in una posizione strategica e racchiude entrambe le anime della città,  quella pre industriale e post industriale. A tagliare in due il quartiere è  corso Regina Margherita, per i torinesi noto come Corso Regina.

La parte meridionale del quartiere è quella caratterizzata da bellissimi palazzi in stile liberty, come la celebre casa Fenoglio-Lafleur, attività e negozi che gravitano intorno alle vie Cibrario e San Donato.

Qui, appunto, sorgeva la fabbrica delle pastiglie Leone, qui nacque il primo birrificio italiano. Lo storico birrificio Metzger attualmente è un centro culturale, mentre la fabbrica delle pastiglie Leone si è  trasformata in una condominio molto lussuoso e la conceria Fiorio è  diventata piazza dei Mestieri.

Nel quartiere di San Donato è  anche presente il parco Dora che, sulla carta, costituisce una delle  più interessanti aree di Torino.  Il Parco Dora risulta una bella area verde con innesti di archeologia industriale. Un altro polo attrattivo per le famiglie è rappresentato dal mercato all’aperto in piazza Barcellona nella zona Sud, cui si affiancano numerosi centri commerciali nella zona Nord, tra cui quello di Parco Dora, che vanta parecchi negozi e un cinema Multisala.

MARA MARTELLOTTA

Fiat Lingotto: lettere dall’interno

Torino città di Marcovaldo, se non sei dentro non ne capisci niente. (Carlo A.M.Burdet)

Armano Luigi Gozzano ripercorre le proprie vicende lavorative dalla scuola allievi Fiat alla storica azienda di via Nizza, Officine Sussidiarie Auto vetture speciali, fino alla  marcia dei 40000 di Torino, svolta definitiva per il sindacalismo nato dall’autunno caldo, analizzato sul libro di Bianchi-Scheggi “Quadri in cerca d’autore”(Cedis,1985 Roma). La prestigiosa scuola, con il rigore e serietà che la contraddistingueva, rappresentava la  migliore formazione tecnica del settentrione  occidentale italiano. Con frequenza annuale  per i diplomati e triennale per i possessori  della scuola media, convenzionata con il noto Ist. Salesiano Don Orione per vitto e alloggio, proiettava lo studente nelle aziende del gruppo torinese. Diverse le prospettive di carriera: ufficio tecnico, cronometrista, allievo capo squadra, assistente tecnico capo officina. Tra le visite illustri durante il corso 1967-68 Agnelli, Valletta e il pugile neo campione del mondo Nino Benvenuti. Il corso di tracciatore aveva come obiettivo il controllo in forma analitica-geometrica 3D e l’utilizzo dei particolari in meccanica, fonderia e carrozzeria, studi riportati sul famoso “album” scolastico.
Ma già nella primavera del ’68,definito l’anno degli studenti con le proteste iniziate nel ’67, le cose a Torino stavano cambiando. Gli universitari cercavano l’appoggio del mondo aziendale, e occupando le facoltà iniziarono  gli scontri con le forze dell’ordine. Alle Esperienze del Lingotto si costruivano manualmente 3 vetture prototipo adibite ai saloni dell’auto e al crash-test. Diverse le
agevolazioni: sconto vetture, centri estivi, case Fiat, centro sportivo, mutua interna che  ricopriva il 100% della malattia (MALF). Venivano pubblicati “L’illustrato Fiat” e  “Il
giornale dei capi”. Per il salto di categoria era necessario lo storico “capolavoro”. Nel ’69, definito l’anno delle tute blu, la contestazione giovanile favorita dal clima politico del ’68 si  collegò con la scadenza dei contratti di lavoro, e dalle facoltà si spostò ai cancelli  della Fiat. L’inquadramento unico sancito dai contratti del ’72-’73-’74 segnò lo svuotamento delle categorie basse e il rigonfiamento delle alte, creando malessere nei settori qualificati. Ma la nota dolente fu il risultato di una miscela esplosiva della  politica sindacale basata sulla centralità
modello ’68 con aumenti uguali per tutti (appiattimento scala mobile) e dal fiscal-drag (pressione fiscale sul reddito).
Gli scioperi interni provocavano il fermo totale degli impianti,e le fasce contestatrici si spostavano dal Lingotto a Mirafiori e viceversa per mimetizzarsi. Gli episodi di  violenza verso gli impiegati e i capi spinti a forza con sberle e veri sequestri di persona furono riportati dai Mass Media solo dopo l’autunno caldo, quando il sindacato era ancora visto come eroe positivo. Il culmine
di violenza e paura si ebbe negli anni del  terrorismo.
Il 17-5-1972 durante una occupazione del Lingotto controllata dalla polizia, filtrò la  notizia dell’omicidio Calabresi. Sguardi increduli si condensarono in un unico pensiero. Era l’inizio della fine. A metà ottobre 1979 la Fiat inviò lettere di licenziamento a 61 dipendenti sospettati di terrorismo. Lo sciopero immediato e quello generale del  23 ottobre fu un fallimento, confermato – racconta Gozzano – da Piero Fassino responsabile PCI fabbriche torinesi. Le minacce, il dileggio, le macabre manifestazioni con casse da morto, capi reparto trascinati a calci in prima fila negli  scioperi e auto incendiate ricordano le violenze fasciste. Ma il faccione rassicurante di Marx appeso per 35 giorni ai cancelli dovette involontariamente assistere ad una cocente sconfitta del sindacato che perdeva  consensi. La Fiat annunciò il licenziamento di 14469 dipendenti il giorno 11-9-1980.La dichiarazione di guerra fu subito accolta  dai sindacati .”Fare come a Danzica”, solo che a Danzica il consenso era generale. Le risse  furibonde erano quotidiane.Il 25-9-1980  Berlinguer davanti ai cancelli di Mirafiori assicurava l’appoggio del PCI anche in caso di occupazione.Il 14-10-1980 si sviluppò nel  centro di Torino la marcia dei 40000 quadri, impiegati e dirigenti che chiedevano al sindaco Novelli di fare aprire i cancelli, sanzionando il fallimento della linea estremista del sindacato. Nelle drammatiche  assemblee del giorno dopo, Carniti Benvenuto e Lama furono contestati, spintonati e insultati dai delegati che si sentirono traditi.Il 18 ottobre ,in un clima da Caporetto, il sindacato siglava a Roma l’intesa per l’integrazione e mobilità di 22884 lavoratori prima che succedesse il  peggio. La sconfitta bruciante si additò anche al segretario regionale CGIL Piemonte Fausto Bertinotti, ipotizzandone la rimozione o confinamento in qualche ufficio di Roma. In effetti andò a Roma, ma per entrare nella segreteria confederale CGIL. Nel sindacato non esistono epurazioni.”Le vittorie hanno 100 padri, le sconfitte sono orfane”. In un video pubblicato dal gruppo Anziani Fiat nel 2014, l’attentato al Papa fu commentato dal  capo Esperienze P.P.Arboletti,ex-allievo Fiat triennale. La campagnola bianca o Papamobile costruita nel suo reparto era stata progettata per ospitare una sola persona sul predellino posteriore,ma fortunatamente resse il peso delle persone che sorreggevano S.S. verso l’ospedale. Marchionne rifiutava il dialogo con la fascia  estremista sindacale, la Fiat usciva da  Confindustria nel 2012 e dall’Italia nel 2014,
Elkann mette in vendita la palazzina sede di  Agnelli e Valletta,il cuore Fiat per Torino. La guerra ispirata dalla follia ideologica é finita!
Giuliana Romano Bussola

Torino, gli eventi nei musei della Fondazione

AGENDA APPUNTAMENTI FONDAZIONE TORINO MUSEI

9 – 15 giugno 2023

SABATO 10 GIUGNO

Sabato 10 e domenica 11 giugno ore 10 – 17

CILIEGIE E PICCOLI FRUTTI

Palazzo Madama – workshop di acquerello botanico

Ultimo appuntamento con Angela Petrini prima della pausa estiva per scoprire le potenzialità del disegno e dell’acquerello come forma di studio e di riproduzione della realtà: il workshop è un esercizio di attenzione e creatività e prenderà le mosse anche in questa occasione dal giardino botanico medievale dove sono presenti lucide amarene, insieme a ribes, uva spina e more che stanno preparandosi alla maturazione.

Rappresentare questi frutti significherà osservarne con attenzione le caratteristiche, per arrivare a conoscerne la morfologia e alcuni particolari che diversamente si perdono nel colpo d’occhio.

Il corso è aperto a tutte le persone curiose e desiderose di mettersi alla prova unendo arte e osservazione botanica.

 

Il corso ha una durata di 12 ore, si svolge il sabato e la domenica dalle ore 10 alle 17, ed è accreditato per l’aggiornamento degli insegnanti (legge 170 del 21/03/2016 art. 1.5).

Angela Petrini ha ottenuto il Diploma con lode in disegno e acquerello botanico dalla Society of Botanical Artists di Londra; è Presidente dell’Associazione Italiana Pittori Botanici “Floraviva”. Premiata dalla Royal Horticultural Society con la Gold Medal al Plant and Botanical art Fair 2018, Londra.

Materiale occorrente: acquerelli; pennelli tondi a punta fine numeri 4, 2, 0; matita HB; gomma (evitare possibilmente la gomma pane); carta liscia satinata 300 gr. formato 30×40 circa. A chi non avesse il materiale l’insegnante può fornire carta, pennelli e colori necessari per lo svolgimento al costo di 5 €. È necessario segnalarlo al servizio prenotazioni.

Costo: € 140

Posti disponibili per ogni appuntamento: 7
Prenotazione obbligatoria: tel. 011 4429629; e-mail: madamadidattica@fondazionetorinomusei.it

 

 

LUNEDI 12 GIUGNO

 

Lunedì 12 giugno ore 17

LIGNAGGI PIEMONTESI E IMPERO BIZANTINO

Palazzo Madama – conferenza con lo storico Walter Haberstumpf

Le vicende dei marchesi di Monferrato, dei Savoia e degli Acaia, nonché di altri lignaggi piemontesi sono ben conosciute quanto studiate, ma sovente non si conosce la loro vocazione oltremarina ovvero i loro rapporti con l’impero bizantino. Questi casati, anche per uscire dal loro particolarismo locale, ebbero complicate relazioni politiche, economiche e matrimoniali con Bisanzio, in un moto quasi pendolare specialmente nei secoli XII-XV. Pagine di storia ancora da studiare e da approfondire.

È questa la prima conferenza del nuovo ciclo, che approfondisce alcuni dei temi presentati nella mostra Bizantini. Luoghi, simboli e comunità di un impero millenario, visitabile nella Sala del Senato di Palazzo Madama fino al 28 agosto 2023, attraverso 350 opere provenienti da importanti musei italiani e da oltre venti musei greci.

Le conferenze sono a cura di studiosi – archeologi, storici e storici dell’arte -che da prospettive e ambiti disciplinari differenti affrontano il millenario sforzo di un impero teso al dialogo tra la cultura classica e quella orientale.

Walter Haberstumpf, “bizantinista della scuola di Torino”, membro del C.R.S.M. (Centro di Ricerca sulle Istituzioni e Società Medievali di Torino), collabora con numerose riviste. In vari congressi internazionali ha tenuto conferenze sui rapporti tra Europa e Bisanzio. Circa le relazioni tra i lignaggi europei e il vicino Levante è autore di numerosi articoli saggi e libri.

Prossimi appuntamenti

Lunedì 19 giugno, ore 17

Costruire la mostra “Bizantini”. Il percorso dall’ideazione alla realizzazione

Con Federico Marazzi, Università Suor Orsola Benincasa di Napoli

Lunedì 26 giugno, ore 17

Bella di fama e di sventura. Galla Placidia, la virtù del potere

Con Giovanni C.F. Villa, Palazzo Madama –  Museo Civico d’Arte Antica di Torino

Lunedì 3 luglio, ore 17

Smalti bizantini tra Oriente e Occidente

Con Giampaolo Distefano, Università degli Studi di Torino

Lunedì 10 luglio ore 17

Una vita, molte leggende. Teodora di Bisanzio santa e diavolessa

Con Paolo Cesaretti, Università degli Studi di Bergamo

Lunedì 17 luglio, ore 17

Il nostro debito con Bisanzio

Con Mario Gallina, già Professore ordinario di Storia bizantina presso l’Università degli Studi di Torino

Ingresso gratuito

Prenotazione consigliata: t. 011.4429629 (dal lun. al ven. 09.30 – 13.00; 14.00 – 16.00) oppure scrivere a madamadidattica@fondazionetorinomusei.it

 

Theatrum Sabaudiae propone visite guidate in museo

alle collezioni e alle mostre di Palazzo Madama, GAM e MAO.

Per informazioni e prenotazioni: 011.52.11.788 – prenotazioniftm@arteintorino.com

 

https://www.arteintorino.com/visite-guidate/gam.html

https://www.arteintorino.com/visite-guidate/mao.html

https://www.arteintorino.com/visite-guidate/palazzo-madama.html

 

‘Il comandante restò sulla collina’, un avvincente “romanzo verità”

Il 4 maggio del 1949 l’aereo FIAT G.212 che riporta in Patria il Torino si schianta sul colle di Superga. L’urto è terribile e nessuno verrà risparmiato dalla Grande Mietitrice, né i giocatori, né i dirigenti, i tecnici e gli accompagnatori, né i componenti dell’equipaggio. Ai comandi dell’aereo c’è Pierluigi Meroni, ufficiale pilota con alle spalle moltissime ore di volo, pluridecorato di guerra e istruttore di volo cieco nell’Aeronautica Militare, secondo pilota è Cesare Bianciardi (per una singolare coincidenza in precedenza, in guerra, era stato superiore di Meroni), il motorista Cesare D’Incà e il radiotelegrafista Antonio Pangrazzi. Da quel dramma il Grande Torino entra nella leggenda ed è ancora oggi vivo nel ricordo collettivo. Sul comandante Meroni e sull’equipaggio, invece, è calato quasi un velo di obblio che si è ispessito nel corso degli anni. E quando di parla di Meroni per gli sportivi la mente corre a Gigi Meroni calciatore del Torino e della Nazionale, morto investito da un’auto mentre attraversava la strada. A squarciare questo velo di obblio arriva un bel libro di Luigi Troiani, ‘Il comandante restò sulla collina’, edito per i tipi di Morrone Editore. In quasi 270 pagine l’autore ricostruisce, sotto forma di romanzo (anche se in realtà di romanzato c’è ben poco) la vita e la carriera di Pierluigi Meroni e della sua famiglia, in particolare nei ricordi di Giancarlo, il primogenito, che quando perse il padre aveva nove anni e due fratelli più piccoli. Non si aspetti il lettore di trovare un libro tutto incentrato su quanto accadde a Superga. Certamente l’autore, che è amico da sempre di Giancarlo Meroni, ne parla nell’ultima parte facendo anche alcune considerazioni sull’aereo che ‘rimase sulla collina’ (dei 12 esemplari costruiti ne risultano caduti almeno 6), viene descritto il rito funebre alla presenza della moglie e dei figli, ma il racconto si sviluppa attraverso la storia della famiglia Meroni avendo sullo sfondo l’affresco di un’Italia che non c’è più, quella dell’anteguerra, della guerra e del dopo guerra, che nel corso dei decenni ha letteralmente ‘cambiato pelle’. E’ un libro dove di storia e di umanità ce ne sono tante, che rimette al giusto posto nella storia figure come quella di Meroni e del suo equipaggio che tanto diedero in guerra ed in pace. ‘Un avvincente e convincente romanzo-verità’ l’ha descritto il critico letterario ed ex presidente Rai Walter Pedullà.

Luigi Troiani, l’autore, è docente di relazioni internazionali, conferenziere, opinionista (America Oggi, La Voce di New York), poeta e, amico da sempre di Giancarlo Meroni.

Il testo è stato presentato al Salone Internazionale del Libro di Torino 2023.

Mi permetto in coda a questa breve nota su ‘Il comandante restò sulla collina’. Come viene ricordato nel testo, la famiglia Meroni abitava a Milano in via Carpi. Qui abitava anche un’altra famiglia, i Gindari. Dopo la tragedia di Superga, Francesco Gindari acquistò dalla signora Meroni la lambretta del Comandante. Il caso della vita vuole che la figlia di Francesco, Marisa, sposò Marco Iaretti nel 1972, rimasto vedovo di Lucia nel 1969, con due figli, che Marisa crebbe come suoi e che la considerarono sempre una seconda Mamma senza se e senza ma. E ai figli raccontò, senza aggiungere molto d’altro di quella lambretta. Uno dei figli scrisse un articolo tre anni fa su iltorinese.it ‘Superga, il comandante Meroni e quella Lambretta in via Carpi’ dicendo che gli sarebbe piaciuti incontrare, parlare con i figli o i nipoti del comandante. Ed è rimasto letteramente di stucco quando ha ricevuto una mail del professor Troiani in cui ha appreso del libro e del contatto. E’ proprio vero che la vita è una sorpresa continua.

Massimo Iaretti

A Piossasco, a Casa Lajolo

Quando si varca il cancello della villa la vista è mozzafiato. Camminando nelle tranquille viuzze del borgo, all’esterno della dimora, non si penserebbe certo di vedere uno spettacolo simile. Nascosta dal muro di recinzione c’è una villa di campagna di metà Settecento che conserva intatto il suo antico fascino. Ma è il giardino che rapisce gli sguardi. Si resta ammirati dall’eleganza di quel piccolo parco più che dalla villa. Siamo a Casa Lajolo, residenza nobiliare nell’antico borgo di San Vito, sulla collina di Piossasco, alle pendici del Monte San Giorgio. Entriamo con i volontari di “Dimore storiche italiane”, l’associazione nazionale che, d’intesa con i proprietari, apre le porte al pubblico di palazzi, ville, castelli e tenute agricole, tutte proprietà private e abitate, consentendo di scoprirne la storia e le bellezze artistiche e di passeggiare in giardini incantati e parchi storici ammirando alberi secolari, piante poco conosciute e specie esotiche. Qui a Piossasco, insieme ai responsabili dell’associazione c’è il conte Lajolo, il proprietario, è lui che apre le porte di questa meraviglia, da aprile a ottobre. Davanti a noi un giardino all’italiana, tra ortensie, iris, agrumi, fiori perenni e annuali, poi un’alta siepe di tassi che custodisce un giardino all’inglese, poi ancora un orto-giardino in cui perdersi tra colori e profumi. Una dimora da visitare per trascorrere una giornata di relax. Appartenuta nel Settecento alla famiglia Ambrosio conti di Chialamberto, la proprietà fu ereditata dai cugini nella metà dell’Ottocento, i conti Lajolo di Cossano, antica famiglia astigiana, tuttora proprietaria della dimora. Oggi l’obiettivo della Fondazione Casa Lajolo è quello di conservare e valorizzare un patrimonio di notevole valore artistico e storico. Le visite si svolgono, su prenotazione, da aprile a fine ottobre, contattando l’Associazione “Dimore storiche italiane”. È possibile vedere il piano terreno della casa padronale, il giardino e l’orto botanico, con visite guidate da giovani botanici che ci fanno conoscere, tra l’altro, la pianta del cappero e una pianta di canfora, ci presentano una piccola coltivazione di alberi da frutto, una ricca varietà di ulivi, un noce americano e una pawlonia. In villa si tengono concerti di musica contemporanea, mostre d’arte, laboratori per bambini e concorsi fotografici. Tra i prossimi appuntamenti, sabato 17 giugno, una giornata dedicata agli amanti di orti e giardini per imparare le basi del giardinaggio e della cura dell’orto. Dal 25 giugno fino all’8 ottobre sarà invece la volta di “Bellezza tra le righe, maneggiare con cura, incontri e letture per mettersi in salvo” con autori e libri nei giardini storici di alcune dimore del pinerolese, Casa Lajolo, Castello di Miradolo e Palazzo Bricherasio. Le visite guidate si svolgono ogni ultima domenica del mese e partono ogni 30′, dalle 10 alle 13 e dalle 14,30 alle 18. Si può prenotare la visita contattando il sito di Casa Lajolo o telefonando al 333-3270586.                                               Filippo Re

Giordano Bruno Guerri intervistato da “La Stampa”

IL COMMENTO  Di Pier Franco Quaglieni

L’intervista a  Giordano Bruno Guerri su “La Stampa  del 2 giugno  rappresenta qualcosa di importante sia perché è un fatto davvero inusuale che il giornale di Giannini dia voce a personalità libere come Guerri, sia perché  essa chiarisce in modo inequivocabile la posizione dello storico e dello scrittore, attuale presidente del Vittoriale. Guerri ha spiegato  in modo ineccepibile che occuparsi in termini storici di fascismo , non significa affatto essere  nostalgici. L’accusa di aver sdoganato il fascismo con la sua opera storica colpì in primis Renzo  De Felice e venne rivolta a tutti coloro che con il necessario distacco storico si occuparono del Ventennio e vennero accusati di revisionismo.
L’aver scritto di Bottai, di Marinetti, di D’Annunzio “per cambiare una vulgata sbagliata“ è  stato il  nobile compito che Guerri si è assunto ,infrangendo la feroce egemonia culturale che ha gravato pesantemente sulla cultura italiana per decenni. Guerri ha anche dichiarato di detestare il fascismo ed ha aggiunto che sarebbe stato “ un furioso antifascista durante il regime “ l’unica scelta che resta importante perché esserlo oggi senza rischi, anzi con molti vantaggi,  appare del tutto fuori tempo. L’antifascismo dei molti che cambiarono camicia dopo il 25 aprile 1945 ,andando in soccorso ai vincitori, come diceva Flaiano, non ha nulla di eroico, anzi esprime il più volgare opportunismo che non riguardò  solo gli intellettuali ma tanti italiani qualunque. Ernesto Rossi che subì’ carcere e confino ,scrisse in una lettera a Salvemini che molti a Firenze salutavano con il pugno chiuso perché, se avessero aperto la mano, sarebbe caduto in terra il distintivo fascista che avevano appena tolto dal bavero.
Guerri ha evidenziato nell’intervista come l’egemonia culturale del PCI  appaia un fatto storico indiscutibile. De Gasperi e i partiti laici scelsero la gestione del  potere, Togliatti rivolse la sua attenzione alla cultura che finì di prostrarsi al PCI : gli intellettuali – ha ricordato Guerri – “non sono leoni e sappiamo bene da dove vengono , dal Rinascimento stipendiati da un signore”.
Guerri ha anche spiegato come Berlusconi abbia  sottoscritto un tacito accordo con la sinistra, tenendo per se’ le televisioni e la cultura di massa. Il resto lo ha lasciato alla sinistra.” Secondo Guerri” non ha mai usato Mondadori o Einaudi a fini politici perché a lui non interessava. Sarebbero stati strumenti formidabili; anche sotto Berlusconi la cultura alta di destra è rimasta orfana.”Una verità sui limiti abissali di Forza Italia che ha i premiato spesso gli sprovveduti e gli incolti, lasciandosi scappare i “professori”, ma non soltanto quelli.
Nell’ intervista Guerri (che ha appena pubblicato un nuovo libro su D’Annunzio “Gabriele  D’Annunzio. La vita come opera d’arte” – Rizzoli 2023 ) ha anche  spiegato le distanze del Vate dal fascismo  come è ormai assodato dalla storiografia più seria. Guerri ha anche raccontato  un episodio emblematico: “Quando sono arrivato al Vittoriale fuori c’erano bancarelle con paccottiglia varia, i gagliardetti, gli Eja Eja Alalà, i manganelli, le magliette con la scritta “me ne frego“. Prima gli imposi di vendere  anche le magliette con Che Guevara. Quando scadde la concessione, sono riuscito a far rimuovere le bancarelle e a Gardone non si trova più un accendino con il duce. Per questo mi sono inimicato un sacco di gente a destra, prima di tutti Casa Pound.”
Conosco Guerri ed ho letto quasi tutti i suoi libri. Egli è davvero un intellettuale libero e la sua laicità è davvero un aspetto importante della sua opera. E’ un chierico che non ha tradito, se vogliamo evocare il grande e dimenticato  libro di Julien Benda.

Hortus Conclusus: Ranverso e il suo giardino

Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso

Sabato 3 giugno, ore 15.30

 

“Hortus Conclusus” è una visita alla Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso alla scoperta del giardino, tema centrale delle cure dei monaci Antoniani. Partendo da una passeggiata sull’antica via Francigena si andrà alla scoperta della Precettoria di Ranverso, luogo di arte, storia e antiche cure.

Il tema della medicina del Medioevo sarà lo spunto che condurrà attraverso le strutture dell’antico complesso Antoniano: l’ospedale, il portico, il chiostro, la chiesa e il giardino interno, luogo in cui terminerà il viaggio immersivo, con letture e riflessioni sul tema della cura, del corpo e dell’anima. L’evento rientra tra le iniziative di APGI – Associazione Parchi e Giardini d’Italia.

 

INFO

Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso

Località Sant’Antonio di Ranverso, Buttigliera Alta (TO)

Sabato 3 giugno, ore 15.30

L’attività costa 5 euro + il costo del biglietto di ingresso

(intero: 5 euro, ridotto: 4 euro)

Hanno diritto alla riduzione: minori di 18 anni, over 65, gruppi min. 15 persone

Fino a 6 anni e possessori di Abbonamento Musei: biglietto ingresso gratuito

Info e prenotazioni: 011 9367450 (attivo da mercoledì a domenica) o ranverso@biglietteria.ordinemauriziano.it

www.ordinemauriziano.it

 

Nei castelli della Valle d’Aosta tra dame e cavalieri


Sembra una fortezza inespugnabile il castello di Fénis con la doppia cinta muraria merlata e le torrette di guardia munite di feritoie ma in realtà non è mai stato assediato e mai si sono visti eserciti nemici attaccare le sue mura.

Non è stato costruito come centro difensivo ma piuttosto per essere una residenza sfarzosa e ben protetta: così volle la nobile famiglia Challant che visse per tanti anni al suo interno. Avvicinandosi al castello colpisce il fatto che, contrariamente a tanti altri castelli eretti per scopi difensivi, quello di Fénis non si trova su un monte o su un’alta collina ma su una lieve altura circondata da prati e vigneti. È un gran bel castello medievale, uno dei più belli d’Italia, che ogni anno viene visitato da oltre 80.000 persone. Lasciarselo sfuggire transitando per la Valle d’Aosta sarebbe un vero peccato. Più che ad arcieri e soldati dobbiamo immaginare un via vai di cavalieri, dame e principesse nelle sale del castello fino al cortile affrescato con San Giorgio che uccide il drago, tra preziosi affreschi, enormi camini, scaloni e simboli del potere.
Ma è anche l’incredibile storia di un castello che a un certo punto viene abbandonato e trasformato perfino in una stalla prima di essere sottoposto a un lungo e accurato restauro. Il castello di Fénis, a 17 chilometri da Aosta, fu sia fortificazione sia residenza signorile: i Challant, oltre a rafforzare l’apparato difensivo, abbellirono il maniero con eleganti decorazioni pittoriche, aggiunsero una sala d’armi e i dipinti dell’Annunciazione e di San Cristoforo attribuiti a pittori della bottega del torinese Giacomo Jaquerio e datati 1425-30. C’è il refettorio per soldati e servitori, la cucina e la dispensa mentre al primo piano si trovano la cappella, la sala da pranzo dei signori e la sala di giustizia. Nel 1716 il castello, appartenuto fino a quell’anno ai Challant, fu ceduto ai conti di Saluzzo Paesana. Fu in questo periodo che ebbe inizio il degrado del castello che divenne un edificio agricolo con stalle, depositi e magazzini per i viveri. Alfredo d’Andrade lo riportò all’antico splendore. L’architetto portoghese, naturalizzato italiano, acquistò il castello di Fénis alla fine dell’Ottocento e lo donò allo Stato dopo averlo restaurato. Oggi è di proprietà della Regione autonoma Valle d’Aosta.
Tra feste e tradizioni locali il piccolo comune di Fénis,1700 abitanti, offre ai turisti un calendario ricco di eventi anche dopo l’estate. A fine settembre “Castello in fiera” con mercatini, musica e intrattenimenti all’esterno e all’interno del maniero e a ottobre sarà la volta della rassegna dedicata alla castagna. Gli Challant conducono le danze anche al castello di Aymavilles, a dieci chilometri da Aosta, su una collina circondata da vigneti in Valle Cogne. Imponente, elegante e torreggiante, domina dalla sommità di un’altura la valle centrale e da lassù si ammirano il castello reale di Sarre, residenza di caccia dei Savoia, e il fiabesco castello di Saint-Pierre che aprirà al pubblico il prossimo anno. In origine Aymavilles era circondato da una cinta muraria, oggi scomparsa e sostituita da giardini e aiuole fiorite. Assoluta novità di quest’estate, il maniero è stato aperto al pubblico a maggio dopo oltre dieci anni di restauri. Il primo riferimento storico del castello risale al 1207 e dal Trecento, con il passaggio dai Savoia agli Challant, nobile famiglia della Valle d’Aosta, l’edificio subisce, tra medioevo e barocco, grandi trasformazioni. Il nuovo maniero, realizzato all’inizio del Quattrocento, fu sopraelevato, ai quattro angoli furono costruite delle torri semicircolari e fu scavato un fossato ma è nel Settecento che il castello venne trasformato in una residenza. Tutto fu ristrutturato e rinnovato, sia all’esterno che all’interno. Del vecchio castello rimase ben poco e l’edificio perse il suo antico aspetto difensivo medievale. Oggi ci troviamo davanti a una moderna residenza signorile immersa nel verde che negli ultimi due secoli ha avuto diversi nuovi proprietari, liguri e piemontesi, che hanno più volte modificato gli interni, utilizzando il castello come museo e poi come luogo di villeggiatura estiva. Nelle sue sale, oltre alla storia del castello, si può ammirare la raccolta d’arte e archeologia dell’Académie Saint-Anselme. Nel 1970 il castello di Aymavilles è stato acquisito dalla Regione autonoma Valle d’Aosta. Per contatti e informazioni telefonare al castello di Fénis 0165-764263. Per il castello di Aymavilles telefono 0165-906040. E’ consigliabile la prenotazione online.         Filippo Re
Nell’ordine foto del Castello di Fénis, Castello di Saint Pierre, Castello di Aymavilles

“Napoleonica” fa 7 al Forte di Bard

Si torna a rievocare, per il settimo anno, il passaggio di Napoleone attraverso la Valle d’Aosta e l’assedio alla Fortificazione sabauda

Da venerdì 2 a domenica 4 giugno

Bard (Aosta)

Tre giorni di fitti appuntamenti, da venerdì 2 a domenica 4 giugno, e una preziosa (dal punto di vista storico e artistico) rassegna espositiva: questo il ricco programma della settima edizionedi “Napoleonica”, la grande rievocazione storica del passaggio attraverso la Valle d’Aosta di Napoleone Bonaparte con le sue truppe, avvenuto nel maggio del 1800 nel corso della “Seconda Campagna d’Italia” e conclusasi con l’invasione da parte dell’“Armée de Reserve” francese della Valle e l’assedio al  Forte di Bard (“le vilain castel”), che dopo due settimane capitolò ma con l’onore delle armi. Per rivivere quell’episodio storico, sono attesi a Bard più di 300 rievocatori provenienti da tutta Europa. Uomini e donne con abiti dell’epoca, cannoni, cavalli, tutto riporterà agli inizi del XIX secolo. L’evento è promosso dall’“Associazione Forte di Bard” in collaborazione con l’Associazione storico-culturale “Il segno del passato” e con i Comuni di Bard e Hône.

I giochi si apriranno venerdì 2 giugno, dalle ore 16, nel Borgo, con l’apertura delle taverne, giochi per bambini, musiche itineranti, ambientazioni d’epoca. Il via ufficiale sabato 3 giugno dalle 10.30 con la grande parata delle truppe dagli accampamenti alla Piazza d’Armi. In mattinata aprirà anche il Mercatino di oggettistica napoleonica nella Piazza di Gola del Forte. Al pomeriggio, dalle ore 16, la prima grande novità di questa edizione: la “Battaglia campale” nelle campagne di Hône. In serata, alle 21.30, la rievocazione del tentativo di passaggio notturno di soldati e cannoni francesi nel Borgo e, alle 22.15, il suggestivo spettacolo piromusicale, con simulazione di incendi e cannoneggiamenti. Domenica 4 giugno, dalle ore 10, riaprirà il Mercatino a tema storico nel Forte; dalle 10.30gara di abilità tra fucilieri, musiche itineranti, giochi d’epoca in Piazza d’Armi e si darà il via al “Trofeo Marbot”: prova itinerante per “rievocatori a cavallo”. Non mancheranno dimostrazioni di “medicina militare”, mentre nel pomeriggio, dalle 14.30, ci saranno la rievocazione dell’assedio e l’ attacco finale al Forte e alle 16.30 in Piazza d’Armi, la presa del Forte, il raggruppamento delle truppe e la firma della resa.

L’ingresso alla manifestazione è a pagamento (8 Euro, gratuito per bambini da 0 a 10 anni) nelle giornate di sabato 3 e domenica 4 giugno.

A prezioso corollario delle molteplici iniziative, la mostra “Napoleone nei documenti storici di Ceva e Moretta. Documenti messi a disposizione dal Comune di Ceva e dal Comune di Moretta”, curata da Andrea Briatore e Silvia Oberto. La rassegna presenta al pubblico, all’interno della Cappella del Forte, una serie di preziosi documenti e opere d’arte che testimoniano il legame tra le tre realtà e il passaggio di Napoleone Bonaparte. Il Forte di Ceva, al pari del precedente Castello di Bard, venne fatto radere al suolo per volontà dell’imperatore francese. Un grande plastico illustra le peculiarità architettoniche del Forte di Ceva edificato nel XVI secolo e mai più ricostruito, affiancato da una serie di acquerelli su tela prestati dall’“Archivio di Stato di Torino”, oltre a documenti originali tratti dagli archivi comunali. La sezione dedicata a Moretta presenta invece una serie di cartografie che documentano l’introduzione delle forme di Catasto volute da Napoleone, dopo la sua conquista di gran parte del “Regno Italico”, messe in relazione con il precedente “Catasto particellare Sabaudo”. L’esposizione è aperta negli abituali orari di apertura del Forte di Bard sino a domenica 4 giugno. L’accesso è incluso nel biglietto di ingresso alle altre aree espositive.

g.m.

Per info: “Associazione Forte di Bard”, tel. 0125/833811 o www.fortedibard.it

San Paolo Solbrito: il ritorno del Crociato

Un tuffo nel Medioevo nel weekend a San Paolo Solbrito. Il cavaliere sta per tornare a casa dopo una lunga assenza.

Messaggeri, araldi e giullari si recano nelle borgate del paese per annunciare il ritorno in patria del nobile Crociato. Sono i giorni che precedono la festa a cui il paese lavora tutto l’anno provando più volte le scene in costume. San Paolo Solbrito, nell’astigiano, 35 chilometri da Torino, è pronto ad accogliere calorosamente Andrea Riccio, Signore di Solbrito, che apparteneva ad un’antica famiglia nobile di Asti, proprietaria del castello. Come cavaliere templare prese parte alla IV Crociata nel 1204 a Costantinopoli. È lui il personaggio principale della rievocazione storica che si svolgerà sabato sera 27 maggio e domenica 28 per iniziativa del Gruppo storico San Paolo Solbrito. Il Medioevo torna in questo piccolo paese di 1200 abitanti con un banchetto medioevale (sabato sera) che sarà seguito nella giornata di domenica da una solenne cerimonia religiosa (ore 9,30) e dal tradizionale corteo storico (ore 17.00) a cui partecipano nobili e popolani. Vestito da cavaliere templare Andrea Riccio farà il suo ingresso in paese e si recherà in chiesa per ringraziare Dio dello scampato pericolo.
La cena inizierà con l’arrivo del crociato. Un banchetto abbondante, con ricette del Duecento, verrà consumato alla presenza dei personaggi più influenti dell’aristocrazia astese dell’epoca. Poco lontano, nella “taverna della plebe”, il popolo festeggerà il ritorno del Crociato. La sfilata del corteo storico si terrà domenica per le vie del paese partendo dai due antichi castelli di Solbrito e di San Paolo con dame e cavalieri e un centinaio di figuranti divisi in gruppi, con la propria corte e la servitù. Non mancheranno sbandieratori e spadonari che si esibiranno al termine della sfilata nella piazza principale. La festa consolerà il cavaliere dalle fatiche della Quarta Crociata, ahimè, una carneficina terribile nella capitale imperiale sul Bosforo, che non vide scontrarsi cristiani e musulmani ma cristiani contro cristiani in un orrendo bagno di sangue. È la storia del sacco di Costantinopoli che cadde non sotto il segno della Mezzaluna ma della croce latina. Il templare astigiano Andrea Riccio fu uno dei tanti crociati che diedero l’assalto alle mura di Bisanzio come si vede nei grandi quadri di Tintoretto e di Palma il Giovane. Ma che la festa continui. Domenica mattina il nobile cavaliere arriverà in paese accompagnato da signorie e sbandieratori. Dopo la Messa gli onori al Crociato e la presentazione di una copia della Sindone.        Filippo Re