SPETTACOLI- Pagina 60

Al via “Modulazioni. Musica senza tempo”

La terza edizione della rassegna, per un viaggio musicale tra Francia ed Italia

31 maggio – 1° giugno

Cuneo

“Portare la musica antica nei siti storici della città di Cuneo, con una ricca proposta pensata per tutte le fasce d’età e distribuita in tre fine settimana a partire dai mesi di  maggio – giugno fino al prossimo settembre”: è questo l’obiettivo di “Modulazioni. Musica senza tempo”, il Festival di “musica antica” prodotto da “Maestro Società Cooperativa” di Cuneo ed organizzato – con il sostegno e la collaborazione di Enti ed Associazioni locali – da “Noau – Officina Culturale”. Alla sua terza edizione, l’evento prenderà il via venerdì 31 maggio (18,30 ingresso libero), nel “Salone d’Onore” del Comune di Cuneo, al 28 di via Roma, con il concerto “Tous les matins du monde”, eseguito dal Gruppo “Le Viole del re”, composto (alla viola da gamba) da Virginia ed Eleonora Ghiringhelli, insieme ad Angelo Lombardo, con le musiche di Sainte-Colombe e Marin Marais. Si tratta di “un romanzo capitale – sottolineano i direttori artistici Alessandro Baudino e Paolo Cialdellanella storia della musica sei-settecentesca, un testo denso di poesia, dolore, desiderio che ha ispirato una pellicola simbolo, la cui colonna sonora supera il dialogo e l’immagine si fa profonda come sulla tela”. “Il programma della terza edizione viaggia tra Italia e Francia – continuano – delineandone sottili connessioni lungo epoche diverse, il tempo fisico si annulla e fa incrociare suoni storici e contemporanei, in cui le generazioni si specchiano e si incontrano”. Su queste basi intenzionali, la prima parte di “Tous le matins du monde” vede protagonista il grande Maestro, Monsieur de Sainte-Colombe (1640-1700 ca.) “che si presenta come ‘outsider’ nel programma musicale della seconda metà del Seicento”. La seconda parte è interamente dedicata a Marin Marais, il più celebre allievo di Sainte-Colombe che, con la pubblicazione dal 1686 dei suoi cinque libri di “Pièces de viole” si impone nel “mondo violistico” parigino come indiscussa autorità.

Il programma inaugurale proseguirà sabato 1° giugno, alle 18,30, a “Palazzo Samone” (via Amedeo Rossi, 4) con il concerto “Artemisia: di tenebra e di fiamma” (ingresso 10 euro) del “Gruppo Cleantha”, ensemble vocale a voci pari, composto da Elisa Franzetti, Barbara Maiulli, Giulia Beatini, Paola Cialdella (tutte alla Voce) e da Elisa La Marca (liuto e tiorba).

Al centro del concerto l’intricata vicenda umana della grande Artemisia Gentileschi, figura intersecante la transizione al “mondo nuovo”, da Copernico a Caravaggio a Galileo Galilei, con il quale ebbe scambi epistolari personali. Compagna ideale di altre donne artiste, come Francesca Caccini, pioniera dell’emancipazione femminile, Vittoria Aleotti, Barbara Strozzi e Anna Guarini, con loro Artemisia ebbe a intrecciare personali e comuni tratti biografici. Anche nel dramma – la violenza sulla giovanissima Artemisia, l’uxoricidio di Anna – nella provenienza da famiglie di artisti e “nel percorso di formazione personale, di accesso allo studio, alla fama in vita”.

Per info sul programma completo: www.modulazioni.net . I biglietti per gli ingressi a pagamento sul portale ticket.it

g. m.

Nelle foto: Immagine guida “Modulazioni. Musica senza tempo”;  “Le Viole del re”;  “Gruppo Cleantha”

Per l’ultimo concerto della stagione della RAI, sul podio DanielHarding, al violino Franz Zimmermann

 

 

Per l’ultimo concerto della stagione della RAI sul podio dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai torna uno dei più apprezzati direttori contemporanei Daniel Harding, con Franz Zimmermann al violino.

I due musicisti saranno protagonisti del concerto di venerdì 31 maggio alle 20 all’Auditorium RAI Arturo Toscanini di Torino. Per Harding si tratta del quinto impegno in pochi anni con la compagine RAI, a partire dal suo debutto, avvenuto il 13 dicembre del 2020.

In apertura di serata Harding e Zimmermann proporranno il Concerto gregoriano per violino e orchestra di Ottorino Respighi, composto nel 1921 utilizzando stilemi modali arcaizzanti propri del canto gregoriano, ma anche includendo aspetti timbrici tipici del XX secolo.

Chiude il concerto la Sinfonia  n. 1 in re maggiore di Gustav Mahler nota con il soprannome del ‘Titano’. Il compositore le diede lo stesso nome di un romanzo di Jean Paul.

La pagina si accompagna all’infelice esperienza amorosa vissuta dal musicista con la cantante Johanna Richter a Lipsia, dove la composizione venne ultimata nel 1888. Tenacemente radicata nello spirito del Romanticismo tedesco, è  già proiettata oltre la realtà musicale del suo tempo. La partitura è  tutto un riecheggiaredi richiami alla natura, che mutano dalla serenità pasquale innocente all’inquietudine struggente della modernità.

In occasione dell’esecuzione ad Amburgo nel 1893, Mahler definì quest’opera  “Titano”, un poema sinfonico in forma di sinfonia. Diviso in due parti, comprende la prima parte intitolata “Dai giorni di gioventù: fiori, frutti e spine”, formata dai primi tre movimenti, e la seconda la ‘Comoedia humana’ dagli ultimi due movimenti. Quando Mahler ne diresse la prima esecuzione il 20 novembre 1889 a Budapest, questa sinfonia non aveva ancora raggiunto la sua forma definitiva . Tra i primi abbozzi del 1884 e gli ultimi ritocchi del 1909 trascorsero venticinque anni, l’intero arco creativo del compositore.

 

Mara  Martellotta

La piuma di “Forrest Gump” e la scimmia/dessert di “Indiana Jones”, quando il Cinema è arte

Alla Mole, sino al 13 gennaio 2025, “Movie Icons. Oggetti dai set di Hollywood”

Penso che collezionisti si nasca, è una pulsione che si manifesta prepotente, irrefrenabile, che ti spinge a possedere l’oggetto che ti manca, una continua battaglia tra Eros e Thanatos, una sorta di malattia, per fortuna non mortale.” Luca Cableri è un signore giovanile e alto ed elegante, che da sempre coltiva la passione di raccogliere reperti e oggetti, che ragazzino andava lungo la spiaggia per conchiglie e poi le rivendeva ai turisti, che nell’ultima quindicina d’anni ha viaggiato negli States e che in alcuni di essi, il Wyoming ad esempio, ha ritrovato ossa di dinosauro (specifichiamo: dal cranio di triceratopo allo scheletro completo di un Tyrannosaurus Rex) e che non s’è risparmiato dal portare a casa pietre lunari cadute giù da noi. Che ospita in una sorta di Wunderkammer rinascimentale, in uno splendido palazzo aretino quel Theatrum Mundi che è ora la casa di ogni sua scoperta. Oggi – per un lunghissimo periodo che s’allunga sino al 13 gennaio 2025 – alcune, circa centoventi riguardanti esclusivamente il campo cinematografico, definendole “props” e guardando a quegli oggetti di scena che vengono usati dagli scenografi e dagli arredatori, questi suoi fantasiosi quanto curiosissimi reperti, certo affascinanti per quanti amano il cinema, oggetti che Cableri s’affretta definire “opere d’arte” e che come tali devono essere guardati, sono esposti nella mostra “Movie Icons. Oggetti dai set di Hollywood”, curata dallo stesso Cableri e dal Direttore del Museo del Cinema Domenico De Gaetano, con i prestiti altresì della casa d’aste londinese Propstore, nella Sala del Tempio alla Mole dell’Antonelli. Sei vetrine a ospitare al pian terreno il costume esiguo e antico dei militi spartani di “300”, l’abito scuro di “Men in Black”, quelli inventati per “Armageddon”, “Robocop”, “Io Robot” e la Cosa dei “Fantastici 4”; e poi un lungo anello che si snoda lungo la scala a immagazzinare sogni per gli occhi – e per i ricordi – per i tanti e prossimi visitatori, magari sogni sempre accarezzati e ai quali mai s’è potuto dare un corpo.

La mostra che ci porta a presentare questi oggetti meravigliosi – dice a inizio di conferenza stampa Enzo Ghigo, Presidente del Museo – può essere considerata il proseguimento ideale di quella che l’ha preceduta, “Il mondo di Tim Burton”, chiusa con un vero e proprio successo. È il panorama affascinante di una parte del cinema americano di questi ultimi decenni, un panorama costruito con titoli che tutti abbiamo visto, ragazzi e con le fidanzate, con le famiglie, con i genitori e con i figli, che animano ricordi e suscitano emozioni, che fanno rivivere tantissimi momenti della vita che fin qui abbiamo trascorso.” Una mostra per cui, come in poche altre, la parola d’ordine è lasciarsi trasportare, una mostra che piacerà ad adulti e ai giovani, ai cinefili incalliti che hanno saggiato quelle immagini ma che non hanno mai potuto godere, a pochi centimetri dai loro occhi, di tanta meraviglia, di questo o di quell’oggetto, ai tanti curiosi che forse per la prima volta vorranno oltrepassare l’ingresso della Mole. Se mai ancora ce ne sono. “Quando, più di un anno fa – dice De Gaetano -, Cableri mi ha chiamato per propormi la mostra, la proposta mi ha lasciato abbastanza scettico, forse non ci ho visto l’effettiva curiosità, non ho avvertito quel grandioso panorama che in questo momento abbiamo davanti agli occhi. Poi ci ho ripensato, credo quasi immediatamente, ricredendomi ed è nata una vivace collaborazione che guardando all’unione degli oggetti del Theatrum Mundi e di alcuni di proprietà del Museo e ai tesori di Propstore ha dato vita a “Movie Icons”. Si aggiunge Cableri: “Sono felice che gli oggetti di questa mia collezione possano approdare alla Mole, uno di quei luoghi che più non avrei potuto sperare: anche perché sono convinto che ogni collezione debba essere messa a disposizione del pubblico intero, perché tutti ne possano godere. In altre parole, fare cultura, dando la possibilità a tutti di apprezzarli e ammirarli.”

Poi si inizia a salire la scala ed è un susseguirsi di preziosità e di ricordi, in un allestimento dove predominano i colori scuri e dove in un alternarsi di manifesti dalla presenza immediata e di più o meno grandi “personaggi” che diventano quasi religiosi simulacri di questo Sancta Sanctorum, si affacciano teche ottimamente illuminate a contenere gli oggetti di una vita cinematografica. il mostro di “Alien vs. Predator”, nella sua altezza, nei suoi artigli e nella completa presa delle fauci, capolavoro dell’artista svizzero H.R. Giger, il costume da extraterrestre inventato per “Incontri ravvicinati del terzo tipo” (il pezzo più antico della collezione: esiste anche quello sempre sfuggito, il costume completo di Darth Vader che dal 1977 riempie “Guerre stellari”), il divertente modello di marziano per stop-motion dovuto alla fantasia di Tim Burton e della sua equipe per “Mars Attaks!” (1996), il macabro orecchio a punta (una protesi auricolare in lattice) del vulcaniano Spock, interpretato per l’intera saga da Leonard Nimoy e una ciocca di pelo di Chewbecca, lo scimmione di “Guerre stellari”.

Puoi finalmente toccare il giubbotto di pelle (marrone) utilizzato da Tom Cruise per “La guerra dei mondi” di Spielberg (nella tasca interna è cucita un’etichetta con la scritta “Tom Cruise, Regular Size”: Ray Ferrier lo indossa per l’intero film, pertanto furono prodotti diversi esemplari che ne attestassero il progressivo deterioramento con l’intensificarsi dell’azione), la testa d’automa di “Hugo Cabret” firmato da Scorsese nel 2011, e fa quasi tenerezza quella piuma bianca che abbiamo visto tante, tante volte all’inizio e alla fine di “Forrest Gump”, accanto al cappellino con il marchio “Bubba Gump Shrimp Co.” e all’immagine del protagonista Hanks con Gary Sinise a reclamizzare il cocktail di gamberi sulla copertina di “Fortune”. E ancora i guantoni di Rocky, la macabra testa di scimmia usata per il dessert di “Indiana Jones e il tempio maledetto” nel palazzo di Pankot, gran finale dopo gli occhi in brodo con questo cervello di scimmia semifreddo servito direttamente dentro il cranio aperto del povero animale, il tricorno posto sulla testa di Johnny Depp nei “Pirati dei Caraibi” e una delle tute di salvataggio di quello strappalacrime che è stato per tutti noi “Titanic”, come – vera opera d’arte vista da vicino, quando già ci aveva entusiasmato al cinema, sofferenza ed emozioni perfette, quasi tre anni di lavoro perché ne uscisse il capolavoro che sarebbe stato, indossato da Doug Jones durante le riprese – la maschera dell’uomo anfibio per “La forma dell’acqua” di Guillermo Del Toro.

Non mancano “I Flintstone” e non manca “Jurassic Park”, non mancano le tavolette di cioccolato della dolce “Fabbrica” narrata da Burton, non mancano i ricordi di Harry Potter, come la sua bacchetta, 28 centimetri che sono l’unione dell’agrifoglio sempreverde e di una piume di fenice che è simbolo di rinascita, come quella di Voldemort nel “Calice di fuoco”. In un incrociarsi di epoche e di stili, di storie e ancora di emozioni, la spada di “Excalibur” e il mitra Thompson tolto dalle immagini che vedevano l’Oscar Sean Connery combattere negli “Intoccabili” l’Al Capone di De Niro e gli altri cattivoni, le fiches e le carte che vedono al tavolo da gioco Bond, James Bond, in Casino Royale, i costumi che tutti abbiamo davanti agli occhi della triade Superman/Matman/Robin per continuare con quello rossoblù di Spider Man. Altro oscarizzabile nel 2004 per i Migliori Effetti Visivi, il tentacolo del dottor Octopus (Alfred Molina) in “Spider-Man 2”, un supplizio di complessivi 45 chilogrammi composto da un corsetto, una cintura di metallo e gomma, una colonna vertebrale in gomma e quattro tentacoli di gommapiuma lunghi circa 2,5 metri. Per tacere del martello di Thor, della mano dell’Incredibile Hulk, dello scudo di Capitan America dai cerchi concentrici di colore rosso e bianco e con al centro una stella bianca su un fondo blu, calcolato il tutto sul mercato per un gruzzoletto che va ben oltre il milione di dollari. Degli artigli di Volverine, del modello di uno dei Gremlins, del modellino dello “Squalo”, della maschera dell’orripilante Hardy Kruger e dell’inquietante modellino, palloncini multicolore in una mano, si Pennywise, alias “It”, che il suo costruttore, Bart J. Mixon, aveva voluto “il più innocuo e amichevole possibile”.

Accanto alle autorità del Museo e al collezionista Luca Cableri, erano presenti in conferenza stampa Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo, compagni di vita e di arte, scenografi e molto di più entrambi, sei premi Oscar in due – per “The Aviator” e “Hugo Cabret” di Scorsese e per “Sweeney Todd” di Tim Burton, applauditissimi, la sera avrebbe ricevuto la Stella della Mole e tenuto una Masterclass. Chi stende queste note ha avuto la fortuna di percorrere gran parte del percorso attraverso quelle opere d’arte con la parte femminile della coppia: e tra commenti e sorrisi e ricordi e apprezzamenti, ha visto come un premio Oscar rimanga stupefatta, sempre, in ogni momento, davanti alla magia del cinema. E dei tanti che vi lavorano all’interno.

Elio Rabbione

Nelle fotografie di Stefano Guidi, alcune immagini degli oggetti esposti e dell’allestimento della mostra in questi giorni alla Mole.

La nuova stagione di Lingotto Musica

Parte la nuova stagione di Lingotto Musica che presenta un nuovo logo che combina la iconica pista 500 del Lingotto con l’anfiteatro orchestrale, il tutto in un design moderno ed elegante.

“La stagione che si chiuderà giovedì prossimo ha prodotto un bilancio straordinario, gli ultimi tre anni sono stati un crescendo, dalle prospettive postcovid in cui il pubblico sembrava non tornare a questa stagione che ha co seguito numeri impressionanti – spiega il Direttore di Lingotto Musica Giuseppe Proto – siamo arrivati ad avere 1700 posti per concerto in media, quasi 900 abbonamenti e il ritorno dell’entusiasmo da parte del grande pubblico”.

Lingotto Musica si prepara a una importante novità, il compimento del suo 30esimo anno di attività, superati i tempi incerti della pandemia e il lutto per la scomparsa, nel 2022, della fondatrice Francesca Gentile Camerana: accanto alla consueta sinfonia di orchestre e star dei concerti del Lingotto all’Auditorium Agnelli, nella prossima stagione si affiancherà un nuovo ciclo, “I pianisti del Lingotto”, con solisti internazionali impegnati in recital nella Sala 500. Nella rassegna “I pianisti del Lingotto” saranno presenti cinque grandi solisti: Angela Hewitt, Fazil Say, Leif Ove Andsnes, Rafal Blechaz e Alexander Dovgan, nomi che andranno ad aggiungersi ad illustri acclamati e virtuose formazioni come Martha Argerich, un atteso ritorno al Lingotto l’11 febbraio per una serata tributo a Ravel nel 150esimo anniversario della nascita e in collaborazione con la Fondazione Ricerca Molinette, Grigory Sokolov, Yefim Bronfman, HélèneGrimaud, Bertrand Chamayou, Sergey Khachatryan, Sir Antonio Pappano e la Chamber Orchestra of Europe, l’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia con Myung-Whun Chung, che eseguirà la Settima Sinfonia di Beethoven il 10 gennaio 2025, Alan Gilbert, la Ndr Elbphilharmonie Orchester, cui è  affidata l’inaugurazione e che affronterà proprio il 18 ottobre il celebre Concerto n.3 di Rachmaninov con il musicista Yefim Bronfman,l’Orchester Philarmonique di Montecarlo con Charles Dutoit, la Amsterdam Baroque Orchestra diretta da Ton Koopman l’11 marzo all’Auditorium, la Camerata Salzburg, Les Musiciens duLouvre di Marc Minkovski.

Gli otto concerti all’Auditorium del Lingotto e i cinque recital in Sala 500, che sostituiranno la sezione Lingotto Giovani, si svilupperanno dal 18 ottobre 2024 al 20 maggio 2025. La rassegna “Natale in Reggia” avrà luogo alla Venaria Reale dal 27 al 30 dicembre, e a questa si aggiungerà un  uovo progetto diffuso in coproduzione con la Fondazione Sermig Arsenale della Pace dal titolo “Sotto lo stesso cielo-la musica che include”, dall’11 al 13 ottobre prossimi.

MARA MARTELLOTTA

L’atteso ritorno al teatro Alfieri dei Momix

Da oggi a domenica la compagnia di Moses Pendleton, con lo spettacolo “Back to Momix”

 

Con 43 anni di vita, la compagnia a stelle e strisce di danzatori e illusionisti fondata da Moses Pendleton ha mantenuto intatta la freschezza, la magia e l’incanto che ha saputo infondere in quasi mezzo secolo di attività artistica. Dopo anni difficili, che hanno allontanato la compagnia dal suo pubblico, complice il Covid, Momix torna con un desiderio di leggerezza, spensieratezza e uno sguardo teso al futuro. Il gioco di parole nel titolo, “Back to Momix”, nasce dal desiderio di tornare a calcare le scene dopo gli anni complicati della pandemia, richiamando un classico della cinematografia anni Ottanta. Momix, che di anni ormai ne ha 43, non sembra accorgersene e affronta le sfide della gravità, le acrobazie dei suoi incredibili ballerini e il trasformismo dei suoi personaggi che evocano sensazioni e colori sempre nuovi con l’occhio di un bambino un po’ cresciuto. Coadiuvato nella direzione artistica dalla moglie Cynthia Quinn, Pendleton ripercorrerà, con nove eccezionali ballerini e acrobati, i loro brani più famosi, e le coreografie che li hanno resi famosi nel mondo. Tra gli artisti figurano Lyvia Baldner, Blake Bellanger, Anthony Bocconi, Jared Bogart, Madeleine Dwyer, Adrienne Elion, TeddyFatscher, Aurelie Garcia e Piper Jo Whitt. Non è un caso che il titolo “Back to Momix” rimandi a quello del film di Robert Zemeckis “Back to the future”.

“Ci sono pezzi vecchi rivisti come fossero nuovi – spiega Pendleton – e abbiamo inserito elementi tecnici che hanno conferito loro una nuova veste”.

‘Botanica’ è la rappresentazione e che segue il ritmo delle quattro stagioni, ‘Opus Cactus’ è un viaggio visionario nei misteri del deserto e dei paesaggi dell’Arizona e del Texas. Atmosfere notturne rischiarate da qualche sprazzo di luce si percepiscono in ‘Sunflower Moon’. Una creazione ricca di fantasia e mistero è quella chiamata ‘Alchemy’, dedicata allo svelamento dei quattro elementi primordiali, terra, acqua, fuoco, aria. Seguiranno lo storico ‘Momix Calssics’, che ha conferito al gruppo fama internazionale, e ‘Baseball’, coreografia creata per la celebre squadra di San Francisco, i San Francisco Giants. Il tema principale di tutto lo spettacolo, il fil rouge, è l’amore verso la natura, da sempre ispiratrice dei lavori di Moses Pendleton, nato e cresciuto in una fattoria nel nord del Vermont.

 

Mara Martellotta

 

Il 30 maggio chiude la stagione del Lingotto con Bayerisches Staatsorchetrer

Alexander Melnikov pianista solista del Quinto Concerto di Beethoven

 

Al centro del concerto che giovedì 30 maggio, alle 20.30, chiuderà all’Auditorium Giovanni Agnelli la stagione 2023/2024 di Lingotto Musica, è la solennità eroica e trionfale della tradizione romantica tedesca, affidata all’estro di Vladirmir Jurowski e della Bayerisches Staatsorchester.

L’appuntamento, che corona le celebrazioni per il trentesimo anniversario dei concerti del Lingotto, unisce la più antica orchestra di Monaco di Baviera, universalmente riconosciuta da mezzo millennio, tanto in sede operistica quanto in sala da concerto, e il maestro russo naturalizzato tedesco che, nel 2021, è succeduto a Kirill Petrenko come direttore generale della Bayerisches Staatsorchester.

Jurowski ha debuttato al Lingotto nel 2006 sul podio della Russian National Orchestra, ed è tornato altre due volte in cartellone con la Chamber Orchestra of Europe nel 2010 e con la LondonPhilarmonic nel 2018. L’impaginato della serata offre uno spaccato della Germania vitalistica ottocentesca, in armonia con il fiorire della coscienza nazionale, e traccia un ponte tra l’Ouverture tratta da Oberon di Weber e la Terza Sinfonia Renana di Schumann, passando per il Quinto Concerto Imperatore ci Beethoven affidato a un pianista di grande intelligenza e versatilità come il russo Alexander Melnikov, già ospite a Lingotto Musica nel 2004 e nel 2017. Jurowski è una delle bacchette più ricercate della sua generazione ed è apprezzato per la sua capacità di concentrazione e visione artistica. Nato a Mosca nel 1972, città dove ha iniziato la sua formazione musicale, si è poi trasferito in Germania nel 1890 per proseguire gli studi a Dresda e a Berlino. La Bayerisches Staatsorchester è composta da 144 strumentisti provenienti da 24 nazioni ed è la formazione residente della Bayerische Staatsoper di Monaco. Erede dell’orchestra del teatro di corte cittadino, le sue origini risalgono al 1523, e il primo a dirigerla fu il compositore fiammingo Orlando Di Lasso, a partire dal 1563. Fulcro iniziale della sua attività era la musica sacra, ma fra 1600 e 1700 spettacoli operistici e sinfonici si aggiunsero stabilmente in repertorio. Apre il programma l’Ouverture in tre atti tratta da Oberon, che Weber scrisse per il Coven Garden di Londra nel 1826 sulle soglie della morte. Tratto dall’omonima poema “Wieland” nel 1780, in cui le suggestioni della poesia cavalleresca medievale, dall’esotismo de “Le mille e una notte” e di “Sogno di mezza estate” di Shakespeare sono raccolte con elegante verità. Oberon raduna quei tratti fantastici e leggendari, grazie ai quali Weber fonda la nuova tradizione nazionale dell’opera tedesca.

Segue il Concerto per pianoforte e orchestra n.5 i  mi bemolle maggiore op.73 composta da Beethoven  nel 1809, con dedica all’Arciduca Rodolfo. Ultimo lavoro di tutta la produzione beethoveniana per strumenti solisti e orchestra, costituisce il risultato avveniristico più importante dell’autore in questo campo. Il sottotitolo “Imperatore” non è originale e fu attribuito all’opera per l’intonazione sontuosa e marziale che la caratterizza. L’ultimo concerto di Beethoven nacque piuttosto speditamente durante l’anno 1809 e fu stampato all’inizio del 1811. Fu presentato per la prima volta a Lipsia il 28 novembre 1811 nella settima serata della stagione al Gewandhaus. Il pianista fu Friedrich Schneider. Eseguito successivamente da pianisti meno noti, suscitò sempre una grande impressione per la grandiosità e originalità della sua forma. Il titolo “Imperatore” sembra sia stato messo in circolazione dal pianista, editore e compositore Johann BaptistCramer. È un epiteto appropriato e sembra possa essere messo in relazione con la contemporanea occupazione di Vienna da parte dei francesi di Napoleone Imperatore, oppure, più generalmente, per alcu e analogie con la sinfonia eroica e la propensione alla costruzione grandiosa e solenne. Chiude la serata la Sinfonia n.3 in mi bemolle maggiore op.97 detta “Renana”, la più vitale delle quattro composte da Robert Schumann. La pagina appartiene all’ultima fase della sua produzione e si colloca nel momento di felice energia creativa che seguì il trasferimento a Dusseldorf. Il sottotitolo, che pure non va inteso in senso programmatico, rimanda al germanesimo di Schumann, al culto del padre Reno, luogo emblematico per la civiltà tedesca.

Biglietti acquistabili su anyticket.it

Biglietteria Uffici di Lingotto Musica

 

Mara Martellotta

Al Regio il Trittico Pucciniano de Il Tabarro, Suor Angelica e Gianni Schicchi

Conclude la stagione 

 

L’ultima produzione della stagione 2023/2024 del teatro Regio sarà il Trittico Pucciniano de Il Tabacco, Suor Angelica e Gianni Schicchi, in scena dal 21 giugno prossimo al 4 luglio 2024.

Pinchas Steinberg dirige il nuovo allestimento firmato da Tobias Kratzer.

Il Trittico viene proposto come il compositore lo concepì, come un percorso unitario dall’oscurità verso la luce, il cui effetto finale è più potente della semplice somma delle parti.

“È come la vita a 360 gradi – spiega il Sovrintendente del teatro Regio Mathieu Jouvin – c’è l’amore, c’è il dramma e c’è anche il risvolto buffo. Si incontrano qui la tre dimensioni dell’amore e il Trittico è così potente da mostrare, oltre all’amore, tutte le sfumature delle emozioni e dei sentimenti.

Sul podio dell’Orchestra, del Coro e del Coro di Voci bianche del Regio sale Pinchas Steinberg, un ritorno sempre molto gradito per il teatro Regio, interprete ideale per affrontare le sfide imponenti poste da questo trittico e direttore in grado di percepire il respiro unitario delle tre partiture.

Ulisse Trabacchin è maestro del Coro e Claudio Fenoglio istruisce il coro di voci bianche.

Il nuovo allestimento, in coproduzione con il Théatre Royal de la Monnaie di Bruxelles, è firmato da Tobias Kratzer, che rilegge la triade, ma in chiave moderna, esaltando le differenze e creando rimandi e connessioni.

Protagonista de Il Tabarro e Gianni Schicchi è Roberto Frontali, mentre Elena Stikhina e Anna Maria Chiuri affronteranno I personaggi intensi della protagonista di Suor Angelica e della zia principessa.

Dopo aver studiato storia dell’arte e filosofia a Monaco e a Berna, il regista tedesco Tobias Kratzer si è formato in regia teatrale e operistica all’Accademia Teatrale bavarese August Everding, partecipando poi con due pseudonimi al concorso internazionale di regia Ring Award Graz e vincendo il primo premio e i premi speciali con entrambe le identità. Tra i momenti salienti della sua carriera ricordiamo il Tannhauser al Festival di Bayreuth, Fidelio alla Royal Opera House Convent Garden e Guglielmo Tell all’Opéra di Lyon.

“Ci sonidentità.isse in teatro: interessare, sorprendere e commuovere o far ridere bene”. Questa massima estetica di Puccini si riflette nella sua penultima creazione, il Trittico, capace di fondere in un’unica opera il dramma, la spiritualità e la commedia, dimostrando una maestria unica nel trattare temi così diversi. Puccini era allora un musicista affermato, ansioso di rinnovare il suo teatro musicale, sempre attento al panorama artistico internazionale e desideroso di esplorare i diversi aspetti della condizione umana e della vita.

Il Trittico di Giacomo Puccini è l’insieme di tre opere costituito da tre atti unici concepiti per essere eseguiti di seguito come unico corpo, successivo a Madama Butterfly e La Fanciulla del West.

Il compositore lucchese era alla ricerca febbrile di nuovi soggetti e sollecitava continuamente gli autori per poter visionare nuovi lavori che puntualmente abbinava alla richiesta di modifiche.

Dal 1904 aveva il progetto di comporre un’opera in un solo atto, idea generata dal grande successo ottenuto da Cavalleria Rusticana e i Pagliacci. Lo scrittore Giovacchino Forzano fece mutare idea a Puccini, proponendogli non un’opera unica, bensì tre atti unici, inizialmente basati sulle tre cantiche dantesche, poi tramutate nel celebre Trittico.

Forzano propose l’idea di un soggetto di genere drammatico, che era il Tabarro di Adami che Puccini aveva già tra le mani, uno lirico- religioso e l’ultimo comico. Nacquero così Suor Angelica e Gianni Schicchi che con il già citato Tabarro costituiscono il Trittico. La prima era prevista al teatro Costanzi di Roma, ma l’evento non fu reso possibile a causa della guerra che rendeva difficile la messinscena dell’opera, che venne invece rappresentata il 14 dicembre 1918 al Metropolitan di New York, che si confermò come una prestigiosa propaggine dell’opera italiana in America. Gianni Schicchi fu molto apprezzato mentre il Tabarro e Suor Angelica meno. Dopo la prima italiana Suor Angelica fu riabilitata rispetto alle critiche che le vennero mosse dagli americani. Il successo di Gianni Schicchi aumentò, mentre il Tabarro fu stroncato da Arturo Toscanini, inasprendo i suoi rapporti con Puccini e venne considerato troppo crudo e violento.

Dramma, passione e denuncia sociale per il Tabarro, una tragica vicenda di gelosia e omicidio ambientata sulle rive della Senna dove la tristezza greve del fiume accompagna la faticosa esistenza di un popolo di vinti e ne distrugge i sogni e le speranze. L’amore romantico tra Michele e Giorgetta è sfumato e dopo la morte del figlio non sono più riusciti a ritrovarsi. Man mano che invecchia Michele osserva sempre di più, nel faticoso lavoro sulla sua chiatta, la situazione di disagio e disperazione che lo circonda. Giorgetta, per dimenticare un passato di sofferenza, insegue il suo sogno di felicità e si rifugia in una relazione appassionata con un dipendente del marito, Luigi. Quando Michele scopre il segreto accade il disastro, uccide il rivale e mostra a Giorgetta il corpo dell’amante, nascosto sotto il tabarro con cui lui stesso la riscaldava nei momenti più felici. Sono protagonisti il baritono Roberto Fontali come Michele, il soprano Elena Stikhina come Giorgetta e il tenore Samuele Simoncini come Luigi.

Suor Angelica rappresenta il pannello centrale del Trittico pucciniano, “opera monacale”, come ebbe a definirla lo stesso compositore, fatta di passioni represse, desideri inappagati e espiazione. Ambientata in un monastero sul finire del Seicento, la composizione è, di fatto, un omaggio alla vocalità femminile, essendo il cast formato da sole donne. Il libretto narra la triste vicenda di Suor Angelica, monaca per punizione, costretta a espiare la nascita del suo bimbo, venuto alla luce fuori dal matrimonio; quando, in un drammatico e serrato confronto con la zia principessa Angelica apprende della morte del figlio, decide di uccidersi, affidandosi ad un segno divino e trovando conforto nelle sonorità dei cori celesti.

Nel ruolo di Suor Angelica canta il soprano Elena Stikhina, il contralto Anna Maria Chiuri è la zia principessa, Tineke van Ingelgem la suora infermiera e la maestra delle novizie, Annunziata Vestri la suora zelatrice, Lucrezia Drei Suor Genovieffa e Monica Bacelli la badessa.

Sin dal suo debutto l’opera più popolare del Trittico fu sicuramente Gianni Schicchi, una commedia ispirata a un episodio della Divina Commedia di Dante. Prima d’allora il musicista non aveva mai affrontato il genere comico, nonostante nelle sue precedenti opere avesse inserito alcune macchiette dipinte con umoristica cattiveria. Questo stesso umorismo venne impiegato per ritrarre tutta una galleria di personaggi. L’opera è contraddistinta dalla pressoché costante presenza di un coro da camera, composto dai parenti del defunto Buoso Donati, che si sono riuniti per vegliare la salma. I pianti ipocriti per la scomparsa del vecchio si interrompono quando si scopre che egli ha lasciato tutte le sue ricchezze in beneficenza. Rinuccio, nipote di Buoso, propone di chiedere consiglio a un uomo pieno di risorse, Gianni Schicchi, padre della sua fidanzata Lauretta. Al suo arrivo Schicchi fa subito nascondere il cadavere e, mettendosi a letto travestito da Buoso, fa chiamare il notaio per preparare un nuovo testamento. Temendo di essere condannati come complici dell’imbroglio, i famigliari di Buoso decidono di ritirarsi senza protestare, ma capendo che Schicchi ha truffato tutti riservando quei beni per sé nel nuovo testamento. In realtà lo ha fatto a fin di bene, perché tutti quegli averi un giorno saranno di sua figlia e del suo promesso sposo, Rinuccio.

Tobias Kratzer conserva l’ordine originale dei tre atti unici, intrecciando con legami tali da formare un cerchio senza fine, un tutt’uno. Il quarantaquattrenne regista tedesco si è ispirato ai fumetti utilizzandolo in modi diversi in ciascuna delle opere. Ne Il tabarro la scena è suddivisa in quattro sezioni come una pagina a fumetti, dove a dominare sono il bianco e il nero, legato da un cielo rosso sangue. Il titolo del fumetto rappresenta la chiave di lettura. Parigi è Sin City, il film noir di Franck Miller e Robert Rodriguez. In Suor Angelica la scena si svuota e si raffredda e a dominare sono le tinte blu. I fumetti diventano simbolo di desiderio e di peccato quando le suore ne sfogliano con avidità le pagine trovandovi la storia illustrata de Il tabarro. Sullo sfondo un enorme schermo vede proiettarsi le luci in bianco e nero del monastero. Per Gianni Schicchi Kratzer porta in scena gli spettatori, ideando delle scale da dove il pubblico possa osservare la storia della famiglia, come se fosse uno studio televisivo in cui si segue un reality show. Questo è lo spettacolo che Michele guarda sullo schermo della sua televisione. Buoso Donati nasconde il testamento nella busta del disco di Suor Angelica, che ascolta prima della morte.

La regia è firmata da Ludivine Petit, che riprende quella di Tobias Kratzer.

L’Anteprima giovani, riservata agli under 30, è in programma martedì 18 giugno alle19.30.

Tutte le recite serali avranno inizio alle 19.30 e non alle 20.

Biglietteria del teatro Regio

Piazza Castello 215 Torino

Tel 011/8815241-242

 

Mara Martellotta

“Je t’appartiens…dans l’image”, suggestioni artistiche e poetiche

L’ Accademia di cultura nicese “L’Erca” ha organizzato una serata dal titolo “Je t’appartiens…dans l’image” nella giornata di mercoledì 29 maggio alle ore 21, presso l’auditorium Trinità in via Pistone a Nizza Monferrato.

La serata, promossa dalla prof.ssa Elisa Piana, ci offrirà suggestioni artistiche e poetiche tratte dagli scatti fotografici di Maria Luisa Stepanek. L’evento verterà intorno al concetto di donna attraverso le diverse sfaccettature, con spunti poetici, filosofici, artistici e letterari, La serata sarà accompagnata dalla musica al pianoforte suonata da Nino Caprì e da profondi momenti di lettura.

Da martedì 2 giugno ‘Il codice del volo’ con Flavio Albanese

Spettacolo dell’attore e autore barese Flavio Albanese, nell’ambito del Fringe Festival

 

Ai Musei Reali di Torino prosegue la mostra dedicata al genio di Leonardo e al suo Autoritratto, nella biblioteca Reale con due percorsi collaterali alla galleria Sabauda, che espone fino al 30 giugno il Codice sul volo degli uccelli. Nello stesso periodoTorino ospita uno spettacolo ispirato a quel codice che si intitola “Il codice del volo” dell’attore e autore barese Flavio Albanese.Sarà in scena al Lombroso 16 nell’ambito del Torino Fringe Festival da martedì 2 giugno.

L’opera è nata quindici anni fa al Piccolo Teatro di Milano, ha all’attivo ben 450 replich3 e approda per la prima volta sotto la Mole. L’attore si è  documentato con numerosi libri e f9nti dirette per elaborare il testo relativo al percorso che fece Leonardo da quando intuì che si poteva costruire una macchina per volare con il primo presunto tentativo di volo di Tommaso Masini che fu un insuccesso.

“Vedendo una foglia – aggiunge l’attore –  si dice che Leonardo abbia intuito come planare”. Da questa intuizione nacque quello che noi chiamiamo aliante.

“Leonardo era uomo di poche lettere ed è stato autodidatta – precisa Albanese – ma  cercava di andare oltre i limiti ispirandosi alla natura. Come per tutte le grandi cose, non sempre riusciva al primo tentativo. Racconto di un grande fallimento dimostrando che anche attraverso gli errori si possono compiere associazioni mentali geniali”.

Nel testo teatrale vengono anche narrate vicende poco note, come l’apertura di una trattoria a Firenze da parte di Leonardo da Vinci e Sandro Botticelli, poi chiusa, forse perché vi furono degli intossicati.

“Quando avrete imparato a volare, è  la frase conclusiva dello spettacolo, camminerete sulla terra guardando il cielo, perché è lì che siete stati e che volete stare”.

 

Mara Martellotta

Sabine Salamé per Tradui/zioni d’Eurasia Reloaded

 

Performance nell’ambito del public program di Tradui/zioni d’Eurasia Reloaded

a cura di Chiara Lee e freddie Murphy

Mercoledì 29 maggio ore 18.30

MAO Museo d’Arte Orientale, Torino

Il secondo appuntamento musicale del public program di Tradu/izioni d’Eurasia Reloaded porta al MAO la rapper libanese Sabine Salamé che, all’interno del dinamico panorama dell’hip hop in lingua araba, rappresenta una voce unica, capace di riportare il genere alla sua essenza.

Sabine Salamé, rapper e poetessa libanese, con il suo ultimo lavoro “Taffe Daw…”, composto insieme al produttore libanese Jawad Nawfal (Munma), accompagna gli ascoltatori in un viaggio attraverso le fasi emotive della sua migrazione. Miscelando vari stili musicali e una narrazione sincera, “Taffe Daw…” va oltre la semplice raccolta di canzoni, diventando un riflesso delle esperienze di Salamé e delle sue complesse emozioni.

Usando il potere della vulnerabilità per affrontare questioni politiche e personali da una prospettiva non convenzionale, Salamé costruisce una testimonianza per il futuro con l’obiettivo di far sentire meno soli tutti coloro che attraversano un simile tumulto.

Costo: 15 € intero – 10 € ridotto studenti (disponibile solo in museo).

I biglietti sono acquistabili il giorno del concerto presso la biglietteria del museo e in prevendita sul nostro sito e su Ticketone.