Giovedì 12 dicembre, alle 18.30, nella sala Gymnasium, verrà approfondita la vicenda umana e artistica di Tina Modotti presso Camera, fino al 2 febbraio 2015, con la proiezione “Que viva Tina!” di Silvano Castano, risalente al 1997 e girata in Francia. Si tratta del viaggio nella vita avventura e girovaga della fotografa friulana, da Udine a Città del Messico, passando per la Hollywood degli anni Venti, la Russia e la Spagna della guerra civile degli anni Trenta. Migrante, attrice artista e attivista, quella di Tina Modotti è la storia di tante vite, opere, luoghi e incontri, tra i quali troviamo Edward Weston, Roubaix de l’Abrie, detto Robo, Diego Ribera, Julio Antonio Mella e Vittorio Vidali, e che il documentario ci restituisce attraverso una lunga ricerca tra gli archivi di tutto il mondo, collezionando documenti, testimonianze e, naturalmente, fotografie.
Con gli interventi del curatore della mostra, Riccardo Costantini, e di Carlo Chatrian, direttore del Museo Nazionale del Cinema, l’incontro sarà un’occasione per soffermarsi anche sul lavoro di studio e ricerca attorno alla storia cinematografica di Tina Modotti. Partendo dal caso dell’unico film ritrovato e restaurato con Tina Modotti attrice “Tiger’s Coat” del 1920, verranno approfondite quali siano le pratiche, le necessità e le opportunità per far sì che la storia del cinema sia viva nel tempo.
La proiezione verrà realizzata in collaborazione con Cinema Zero.
Mara Martellotta
Il funambolico pianista e compositore turco, che si destreggia tra jazz, pianismo romantico e folklore, martedì 17 dicembre, alle ore 20.30, presso la Sala dei Cinquecento di via Nizza 280, si esibirà in un concerto che segna l’avvio della nuova rassegna musicale “Pianisti del Lingotto”.
Già ospite dei concerti del Lingotto nel 2005, con la Rhapsody in Blue di Gershwin accanto alla Baltimore Symphony Orchestra, diretta da Juri Temirkanov, Fazil Say inaugura il ciclo che a partire da questa stagione Lingotto Musica dedica al pianoforte e alla letteratura per lo strumento dal Barocco alla contemporaneità. Da quasi trent’anni Fazil Say incanta il pubblico con il suo talento incontenibile e multiforme, in bilico tra la forma del virtuoso e l’improvvisazione da jazzista. Definito un “genio” da Le Figaro, si è affermato grazie al suo eccentrico modo di interpretare i classici e alla sua rara sensibilità per ogni genere. Il pianista turco, nel suo recital, al confine tra jazz, pianismo romantico e folklore, si misurerà con l’ultima Sonata di Shubert, la KV 331 mozartiana, con il suo celebre “allegretto alla turca” e un proprio lavoro nato nei tempi della pandemia: “Yeni Hayat”.
Apre il programma la Sonata n.21 in Si bemolle maggiore D 960 di Franz Shubert, l’ultima delle tre Sonate composte dall’autore nel settembre 1828, a poche settimane dalla morte. La prima esecuzione si tenne a Vienna in forma privata, un giorno esatto dopo la conclusione della partitura, e fu Shubert stesso a interpretarla in una serata musicale a casa del Dottor Ignaz Menz. Pervasa da un lirismo senza fine e dilatata nelle proporzioni, è considerata una sorta di testamento spirituale del compositore. Segue la giovanile Sonata n.11 in La maggiore KV 331 di Mozart, divenuta celeberrima grazie allo spettacolare “allegretto alla turca” finale, vivace reazione alla moda della “turquerie” diffusa in tutta Europa a fine Settecento. La pagina è inclusa nel monumentale ciclo integrale delle Sonate per pianoforte di Mozart inciso da Say al Mozarteum di Salisburgo nel 2016 per Warner Classics. Chiude la serata la Sonata op.99 Yeni hayat (New Life) composta dallo stesso Fazil Say per il suo primo concerto post-pandemia nel luglio 2021. Caratterizzato da una grande sperimentazione timbrica, il brano esprime il miscuglio di incertezza, ansia e speranza seguita a quella tragica esperienza globale.
Biglietteria: uffici Lingotto Musica – via Nizza 262/63
Telefono: 333 9382545
Solo il giorno del concerto, presso il foyer di Sala del Cinquecento, aprirà la vendita dei biglietti a partire dalle 19.30 fino alle 20.30
GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA
Lunedì. Al teatro Concordia di Venaria si esibisce Olly. in replica giovedì 12.
Martedì. Al Jazz Club suona il Camera Pretti Duo. Al Blah Blah sono di scena i Not My Value.
Mercoledì. Al Blah Blah suonano i Still Fucking Hostile. All’Osteria Rabezzana si esibiscono
i Four Steps. Al Jazz Club serata “The Chicago Blues Jam!”. Alla Divina Commedia suonano
i Rat-Pack. All’Hiroshima Mon Amour si esibiscono I tre Allegri Ragazzi Morti con uno
spettacolo intitolato “Pasolini concerto disegnato”.
Giovedì. Al Blah blah sono di scena i Mai Mai Mai. Allo Spazio 211 si esibisce Carlotta Sillano.
All’Off Topic sono di scena i Giallorenzo. Al Magazzino sul Po suonano i Dame Area. Al
teatro Colosseo primo di 4 concerti consecutivi per gli Stomp. All’Hiroshima Mon Amour suonano
i Diaframma. Alla Divina Commedia sono di scena i Razza Sospetta. Al Jazz Club si esibiscono
i Masato & Friends.
Venerdì. Al Blah Blah suonano i Gotho. Allo Spazio 211 sono di scena i Madbeat+ Strappacapelli.
Al Folk Club suona Luke Winslow King +Roberto Luti. Al Jazz Club si esibiscono gli
All You Can Beat. Al teatro Concordia di Venaria sono di scena i Cantera. Alla Divina Commedia suonano i Blascokom.
Sabato. Allo Ziggy si esibiscono gli Hellcrash+ Alchemist. Al Blah Blah suonano i Jadish.
Al Folk Club è di scena Randolph Matthews. Alla Divina Commedia si esibiscono i Godfather
of Soul & Funky Machine.
Domenica. Alla Divina Commedia suonano i Zero Vero. All’Inalpi Arena arriva Alessandra
Amoroso. Al Jazz Club si esibiscono i The Bartenders.
Pier Luigi Fuggetta
È Gennaro Sangiuliano il “personaggio più memato dell’anno” ai Meme Awards di Memissima 2024: il festival della cultura memetica ideato da Max Magaldi e prodotto da The Goodness Factory che si svolge ogni anno a Torino e che assegna l’Oscar dei meme e premia le pagine e i memer più irriverenti e creativi da tutta Italia all’interno di un grande evento che ha ospitato anche le migliori agenzie di comunicazione.
Tornato alla ribalta proprio in questi giorni per le nuove intercettazioni sul caso Sangiuliano – Boccia, l’ex ministro della Cultura trionfa nella notte degli Oscar dei Meme, stravincendo la categoria di personaggio più memato dell’anno. La statuina dell’Oscar – “trasfigurata” nel volto da un meme, appunto – viene ‘virtualmente’ accettata da un divertentissimo Sangiuliano in AI che ringrazia il festival attraverso un video meme (scaricabile qui) che il festival invita a condividere sul web.
“I meme – racconta il direttore artistico Max Magaldi al termine dell’evento – sono il mezzo di comunicazione più potente del contemporaneo perché nessuno pensa che i meme siano il mezzo di comunicazione più potente del contemporaneo. Memissima nasce per creare massa critica aggregando persone che producono, consumano, condividono e studiano queste immagini che tutti vediamo centinaia di volte al giorno e che influenzano l’estetica e il dibattito pubblico contemporaneo molto più di quanto pensiamo.
Insieme al personaggio più memato dell’anno, nella serata di sabato 7 dicembre, sono stati assegnati a OFF TOPIC anche gli Oscar dei Meme alle 13 pagine e creator vincitori e vincitrici per ogni categoria:
- Personaggio più memato dell’anno: Gennaro Sangiuliano
- Politica: Grande Flagello
- Tik Tok: Marco Ballarini Sindaco
- 7 Reels: Everything is Italian
- 4 IGP: Relatable Roma Memes
- Scuola, Università e Lavoro: Cat splaining
- TrashDankNonsense: Liskokopulos Cliiffiao
- Musica, Arte e Spettacolo: Correttore Mematico
- Sport: Er Club La Riserva
- Attualità: Il Silmemillion
- Nerd: Memopoli Capopalestra
- Troppo io: Produci Consuma Mema
- Premio URMET: Filosofia Coatta
Quasi 400 i meme candidati e 13 i vincitori scelti. Per la prima volta quest’anno, grazie al sostegno e all’ intraprendenza di URMET, meme per gli acquisti è diventato anche un contest che ha invitato le pagine di meme ad immaginare contenuti legati all’azienda. Le Decine di proposte/meme arrivate sono state vagliate dal reparto creativo di Urmet che ha decretato inoltre il vincitore premiato durante i meme awards con un premio in denaro da 500€ assegnato a Giulio Armeni e la sua pagina Filosofia Coatta.
Tra le novità di questa edizione, anche ‘Meme per gli acquisti’, l’incubatore sul memevertising che ha ospitato alcune delle migliori agenzie di comunicazione italiane, pensato per studiare il rapporto tra meme e pubblicità nell’incontro fra memer e admin di pagine meme con agenzie di comunicazione e aziende come URMET, UNA, dieci04, ti:mbro agency e molte altre.
Memissima è stata una quattro giorni intensa di formazione e lectio magistralis di ‘scrittura memetica’ fra Scuola Holden e OFF TOPIC fra talk, speed date, presentazioni di libri e tanto spettacolo, con performance si stand up comedy che hanno coinvolto artisti, docenti universitari ed esperti del mondo della comunicazione per imparare a riflettere e conoscere come quanto i meme possano e debbano oggi essere integrati all’interno di una strategia di comunicazione, per imparare a conoscerne i rischi, ma anche tutte le opportunità.
Si è parlato di attivismo nel mondo dei meme, di come l’IA stia cambiando la creatività, ma anche di storie, tradizioni, dialetti e località per imparare a scrivere nell’era in cui tutti scrivono adottando un proprio stile riconoscibile, ma anche di algoritmi e bot, fino ai doppiaggi live dell’ospite Fabio Celenza, da Giorgia Meloni e il Dalai Lama fino a Matteo Salvini e Mick Jagger, scoprendo anche come comunicare l’arte nell’era dei social.
Fra le pagine protagoniste di MEMISSIMA 2024 troviamo madonnafreeeda, cyaomamma, filosofiacoatta, Fabio Celenza, Il Sindaco Marco Ballarini, Hipster Democratici e giornalistichenonriesconoascopare.
Gli eventi sono stati realizzati in collaborazione con Scuola Holden, OFF TOPIC, Torino Comedy Lounge, ADCI, Except, URMET, UNA, dieci04, ti:mbro srl, Lorenzo Carnielo, Claudia Grande, Gabriele Marino, Bruno Surace, Simona Quaglia, Sebastiano Iannizzotto, Dario Bassani, Vincenzo Franciosa, Francesco Calarco, Daniele Di Sica, Giovanni Lo Leggio, Marco Rubiola, Luna Bianchi e Domenico Emanuele Spagnuolo.
Memissima, il festival della cultura memetica, è prodotto da The Goodness Factory, con il sostegno di Camera di commercio di Torino e Fondazione CRT e con il contributo di UNA e URMET. Un progetto realizzato nell’ambito di Creative Living Lab, in collaborazione con OFF TOPIC, Scuola Holden, Torino Comedy Lounge, ADCI e con la media production partnership di Except.
La violinista Irene Abrigo e il direttore d’orchestra Antonmario Semolini protagonisti di un concerto unico dedicato allo straordinario compositore
I virtuosi dell’Accademia di San Giovanni proporranno, il 16 dicembre alle ore 21, in piazza Bodoni, presso il Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino, il concerto intitolato “Buon Compleanno Beethoven”. Si tratta di un’iniziativa lodevole a sostegno delle borse di studio per studenti meritevoli ma con difficoltà economiche dell’Istituto Superiore di Studi Musicali (ISSM) Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino. La serata è organizzata e sostenuta dal Rotary Club Torino Duomo (distretto 2031) nell’ambito del progetto “Lo spirituale nell’arte” dell’Accademia della Cattedrale di San Giovanni, con il patrocinio del Conservatorio Giuseppe Verdi, dell’Associazione Culturale Ipotenusa Camelot e sotto l’egida di “Magia del Rotary International”. Protagonisti la violinista italo elvetica Irene Abrigo e il direttore d’orchestra Antonmario Semolini. I principi ispiratori del Rotary di servizio e comunità si riflettono nella scelta del programma musicale del concerto, articolato in due celebri opere di Beethoven, ispirate a unità, armonia e natura, capaci di toccare il cuore degli ascoltatori. La prima parte del programma sarà dedicata al Concerto per violino in Re maggiore op.61, la seconda alla Sinfonia n.6 in Fa maggiore op.68, definita “Pastorale”.
Il Concerto per violino in Re maggiore op.61 rappresenta la principale opera per violino di Beethoven e una delle opere più amate e ammirate dal pubblico di tutto il mondo. Alla fama notevole della Sinfonia contribuisce non poco il lirismo del violino, le espansioni contabili, le suggestioni dei passi virtuosistici che con nessuno strumento tanto impressionano quanto con il violino (tanto che si narra che il violino sia lo strumento preferito dal Demonio). Il Concerto fu composto nel 1806.
La Sinfonia n.6 in Fa maggiore op.68 fu composta da Beethoven tra il 1807 e l’inizio del 1808. La prima esecuzione avvenne a Vienna il 22 dicembre 1808 al Theater an der Wien, aprendo il medesimo concerto nel quale debuttò la Sinfonia n.5. Beethoven a quell’epoca trascorreva molto tempo in campagna, e ne era affascinato. Lo stare a contatto con la natura lo colpiva nell’intimo, creandogli quell’immenso piacere di partecipare in prima persona alla vita campestre, di cercare in essa il raggiungimento della pace. Dai suoi trascorsi ricordi nasce la “Pastorale”, composta in contemporanea con la Sinfonia n.5.
Ingresso libero fino ai 18 anni e oltre gli 80.
Info: rc.torinoduomoeventicastalia@gmail.com
Quale potrebbe essere il trait d’union fra due tradizioni apparentemente così lontane come il Tango Argentino e la Via del Sale che unisce Torre Pellice a Sanremo?
Apparentemente poco o niente. Eppure, scavando fra le pieghe di alcuni fatti umani, si possono scorgere strette connessioni; il tango è una danza creata nei più poveri barrios di Buenos Aires tra immigrati europei arrivati nel Nuovo Mondo alla ricerca di riscatto e di un futuro unicamente da scavare con le proprie mani. Sono uniti da solitudine affettiva, una cultura diversa ed emarginante, il relativo prezzo di emarginazione sociale che ogni immigrato deve sempre pagare e da profonde nostalgie per una terra natìa che probabilmente non rivedranno mai più.
Nei barrios malfamati, evitati dalla borghesia ispanica, giovani uomini e donne del vecchio continente ‘malati di vita’ iniziano ad incontrarsi al suono di pochi strumenti, su palchetti improvvisati, unendo i loro corpi al suono di ritmi spontanei, desiderio di trasgressione, un erotismo non più da nascondere come nei Paesi d’origine (la leggenda del tango argentino nasce a fine XIX secolo), ma da valorizzare al ritmo di un’unione precisa nei movimenti, creata per atletiche fisicità. Come non poche volte nel cammino umano, l’esigenza, l’abitudine, la continua sperimentazione si solidificherà in Cultura, in un discorso complesso, un valore sempre più globale e simbolicamente più tardi riassunto dal famosissimo Tango de Gardel di Piazzolla.
Le vie del sale, rotte commerciali la cui origine si perde nella notte dei tempi, erano antichi percorsi e rotte di navigazione. Non esisteva un’unica via del sale: vari popoli utilizzavano diverse reti di collegamenti per portare varie merci, in cambio di un elemento indispensabile per la conservazione degli alimenti nel lungo periodo. Ogni produzione alimentare aveva estremo bisogno di elevate quantità di sale marino, ma anche attività artigianali come la concia delle pelli e la tintura ne richiedevano l’uso.
Per quanto riguarda la nostra piccola parte di mondo, incastonata fra il mediterraneo occidentale e le alpi, l’antica comunicazione fra la pianura padana, la Liguria, i territori francesi di Provenza, Savoia, Svizzera, permetteva il commercio di questo materiale prezioso, di difficile reperibilità per regioni lontane dal mare.
Fu il Sacro Romano Impero a costituire feudi con lo scopo di mantenere un passaggio sicuro verso il mare; assegnò questi territori a famiglie fedeli che per secoli controllarono le vallate, garantendone la sicurezza dei convogli. Il trasporto su terreni accidentati veniva effettuato a dorso di mulo. Le pianure, dove possibile, trasportavano invece il sale per via fluviale mediante grandi chiatte.
Da lontanissime origini e storie si arriva perciò all’oggi. L’umile saliera presente in ogni cucina, rappresenta l’ultimo anello di una catena lunghissima che ha permesso alle genti di vivere, viaggiare, far prosperare economie.
Quindi abbiamo forse trovato il l’emblematico trait d’union fra questi lontani argomenti. La carovana del Tango Argentino e la Via del Sale, che da Torre Pellice arriva a Sanremo racconta – su differenti scale – l’incessabile cammino dell’uomo, il suo nomadico spostarsi per placare bisogni e sete di conoscenza. Dietro ogni nuovo insediamento si creano codici che, inizialmente partiti da esigenze di sopravvivenza, si sedimentano in culture, mix di informazioni che si spostano, contaminandosi vicendevolmente in millenari rivoli che saranno a loro volta nuovamente rielaborati in un cammino polisemico senza fine.
A breve questo racconterà la bellissima Capitale dei Valdesi, con una serie di avvenimenti a partire da domenica 8 fino al 15 dicembre, grazie alle idee e la direzione artistica di una sempre effervescente e coltissima Monica Nucera Mantelli.
Ferruccio Capra Quarelli
Sino a domenica 8 al Gioiello, poi all’Erba per le feste natalizie
Tutto ha avuto inizio una trentina di anni fa con l’immancabile “Trappoli per topi”, capolavoro a lunghissima tenitura, poi un’altra mezza dozzina di titoli per arrivare all’ultimo “Verso l’ora zero”, la traduzione è di Emanuele Aldrovandi, un succedersi di applauditi successi da parte di Torino Spettacoli a rinverdire – se ce ne fosse ancora necessità – la fama della regina del giallo, Agatha Christie. Testo collaudato sui palcoscenici londinesi a metà degli anni Quaranta, esattamente a pochi giorni dalla fine del conflitto mondiale, ancora una volta il disegno perfetto di un plot e lo studio accurato delle psicologie dei personaggi che si muovono sulla scena.
La bella scena firmata da Gian Mesturino, elegantemente british, racchiude un angolo della villa della anziana lady Tressilian, una bella dimora costruita sulla scogliera e sul mare, inondata dai versi dei gabbiani che sembrano virare di quando in quando in acide risate. La raccolta di uno scampolo d’umanità per il finire dell’estate, un soggiorno di un paio di settimane che si dovrebbe annunciare tranquillo e che al contrario sin dal suo inizio nasconde una sensazione di tragedia. Sono ospiti il giovane Nevile Strange, il nipote della padrona di casa che ha pensato di portare con sé allo stesso tempo l’attuale moglie Kay e la donna da cui ha divorziato, Audrey, a cui mostra di essere ancora molto legato, l’infelice governante che cova in sé parecchie zone d’ombra, Ted che si mostra interessato a Kay e Thomas, un cugino tornato di recente da un viaggio in Estremo Oriente, che è parso liberatorio, ma fino a che punto?, di un passato che continua a tormentarlo. Vecchio amico di lady Tressilian è l’avvocato Treves, il deus ex machina che con giusta intuizione, non soltanto letteraria, mette in moto, in maniera chiarificatrice, il meccanismo che accompagnerà le indagini del commissario di turno: “Mi piacciono le storie gialle, ma come sapete cominciano sempre da un punto sbagliato. Cioè cominciano con il delitto. Ma il delitto è la fine. La storia inizia molto prima, a volte anni prima, con tutte le cause e gli eventi che portano certa gente in un certo punto a una certa ora di un certo giorno…”. Ragionamenti, suggestioni, presenze inquietanti e accuse che hanno preso strade sbagliate, personaggi che la Christie, ancora una volta grande conoscitrice dell’animo umano, fatto di luci e di ombre, maneggia con cura, costruzioni e architetture che mantengono più che viva l’attenzione dello spettatore.
Certo ci vuole una buona professionalità, un mestiere solido e un passato più che collaudato per rendere ogni cosa, ogni passaggio inventato dall’autrice, quel suo seminare e capovolgere indizi, plausibile e avvincente. Sono quei trascorsi successi e l’affiatamento che ormai si notano nei componenti della compagnia tutta a offrire una piena certezza, a fare apprezzare appieno la verità e il gioco teatrale con cui si srotolano tensioni e sospetti, l’avvicendarsi dei sottili interrogatori, l’incastro delle differenti psicologie, il tutto guidato dalla regia precisa di Girolamo Angione. C’è la vittima e c’è chi vorrebbe riscattare un’antica passione e un tradimento, ci sono – svelati nel travolgente finale: guai a svelare in nessun caso lo svolgimento della vicenda! – gli elementi messi in bell’ordine a costruire una colpa e un colpevole, un ingranaggio perfetto e difficilmente presunto. Nel gioco stanno con convinzione Elia Tedesco e Andrea Beltramo, il misterioso e combattuto Thomas di Matteo Anselmi, Elena Soffiato e Jessica Grande, Patrizia Pozzi e Barbara Cinquatti, Stefano Bianco, Stefano Fiorillo e Simone Marietta.
Per la stagione del Fabrizio Di Fiore Entertainment si replica al Gioiello sino a domani, domenica 8 dicembre, alle ore 16; poi “Verso l’ora zero” passerà, per il calendario di Torino Spettacoli, padrone di casa al teatro Erba, dal 12 al 15 dicembre e dal 28 al 6 gennaio prossimi. Per il più che convincente divertimento di tutti.
Elio Rabbione
Nelle immagini, alcuni momenti dello spettacolo.
“La locandiera”, con Sonia Bergamasco, al Carignano sino al 15 dicembre
Un fondale di legno riempito di intarsi irregolari, di differente grandezza e interrotti. Sulla scena (firmata da Annelisa Zaccheria) un tavolo che diremmo vecchio da un lato con quattro sedie che andrebbero bene a un bar sulla spiaggia dei bagni, in riva al mare, di plastica verde, dall’altro una cucina moderna, un lavello, una gran pentola rossa, un angolo dove all’occorrenza mangiar mele e sbucciare patate. Al tavolo, siedono il marchese di Forlimpopoli (Giovanni Franzoni) e il conte d’Albafiorita (Francesco Manetti), modernamente vestiti (i costumi sono firmati da Graziella Pepe), quello con un maglione dopo una sciata sulle nevi del Sestriere, questo in pantaloni da tuta e cappellino con ampia visiera, entrambi a sbandierare la passione e l’innamoramento per la padroncina della locanda ma mai a chiederla in sposa. Arriverà pure poco dopo il cavaliere di Ripafratta, il cavaliere “selvatico”, refrattario a tutto quel genere delle donne che sono “una infermità insopportabile”, paletot marrone tipo il vecchio Brando nel “Tango” di Bertolucci e infradito ai piedi – volontaria controcorrente sbadataggine menefreghismo che si mescola alla comodità ad ogni ora? non lo sapremo (capiremo) mai, passerà così più di due ore per poi passare a un vestito più – diremmo? – consono -, a urlare tutta la sua misogenia e il proprio odio per quella Mirandolina che se lo gira tra le mani e circola in minuscole camiciole a mostrar le gambe e attimo dopo attimo lo fa innamorare, fuori da ogni ragionamento e idea da sempre coltivata. Questa – anche – “La locandiera goldoniana”, scritta più o meno 270 anni fa, giunta al Carignano per la stagione dello Stabile torinese al suo secondo anno di repliche (qui sino a domenica 15 dicembre), reinventata da Antonio Latella, studiata e analizzata ad ogni ansa, guardata in profondità, con gli interventi di Linda Dalisi in veste di dramaturg: diciamo immediatamente approcciata da chi scrive con un certo malgusto, guastato com’è da uno spericolato Cechov che ha davvero lasciato la rabbia e il segno. Qui non si fa l’occhiolino a idee vuote o a mode del momento, giochetti gratuiti che guardano poco lontano da sé, per cui c’è da ricredersi, subito subito, qui senti tutta la spinta degli stimoli offerti allo spettatore, il fermento delle suggestioni, anche le cose che non ti convincono appieno hanno un proprio intimissimo perché, ti convince quel testo non toccato nemmeno di una virgola e immesso senza forzature in quell’ambiente descritto, un testo cucinato su quella stufa senza gli stereotipi che tante volte abbiamo visto in questi decenni di vita teatrale, un testo che riempie i personaggi di umanità e di carnalità.
Una delle più belle commedie della drammaturgia italiana, non guastata, dove nulla è scontato. Che se abbandona in modo definitivo i tanti sguardi buttati prima – credo che non sia arrivata di brutto sulla scena italiana ma che alle sue spalle ci stiano a buon diritto Strehler e Missiroli e Castri e Cobelli -, dice ancora qualcosa di nuovo. Per esempio un Ripafratta che nella completezza e complessità del suo struggersi acquista quasi il ruolo di protagonista, figura “rustega” per eccellenza (un ottimo Ludovico Fededegni), la presenza incombente ed esatta del cameriere Fabrizio, punto finale di quella eredità che Mirandolina aveva ricevuto con la locanda dal padre in punto di morte, lui come gli altri personaggi condotto a seguire quei percorsi di precisa geometria che attraversa quel “luogo-mondo che accoglie infiniti mondi”, scrive Latella nelle note di regia. Anche con una ben scoperta proprietà di gesti delle sopraggiunte nobildonne o ancor meglio comiche, viste in contrapposizione alla padroncina, persino un orgasmo – che nemmeno Meg Ryan – aiuta a comporle con più spessore, Marta Cortellazzo Wiel e Marta Pizzigallo soprattutto.
Mette maggiormente a fuoco – o forse non lo avevamo mai pienamente fatto nostro prima – l’arco amoroso che Mirandolina guida, e dal quale è sul finale guidata, con una ricchezza di intenti e di risultati che Sonia Bergamasco porta avanti con padronanza: anche se alla fine ti rimane il dubbio che abbia recitato in una sottrazione non sempre necessaria (una richiesta del solo regista?), sia scivolata in lacrime di cui si potrebbe fare a meno, che si sia malamente afflosciata lungo quella parete, che nella sbandierata rivoluzione del personaggio finisca limitatamente libera, chiedendoci noi della sua vittoria di fronte a un Fabrizio che è pur sempre un obbligo e verso il quale l’innamoramento non esiste, con il quale chiedendoci noi quale sarà il domani?; e di fronte a un Ripafratta, dissoltosi tra i canali di Venezia, con cui esistono tutti i presupposti per costruire una lunga, amorosissima relazione? È vero, negli attimi finali, Mirandolina è lì, in proscenio, spalle al pubblico, su un piccolo sgabello, come se la regia della vita e dello spettacolo fossero passate a lei e a lei spettasse un finale convincente: teme “per la mia onestà”, e Fabrizio (Annibale Pavone) è lì, diremmo a portata di mano. Secondo le volontà del padre. Se tutto è stato un gioco, il gioco è finito male, non come era nei desideri, qualcuno in sostituzione ha disseminato sul tavolo i bastoncini dello shanghai. Anche il gioco, o la recita, dei nobilastri è finito, a chiusura si stampano un bacio sulla bocca. Quante domande o quante riletture ti nascono ancora quando il sipario si chiude. Anche questo è teatro, quello autentico.
Elio Rabbione
UniVerso, il programma di eventi culturali dell’Università di Torino, presenta sino a mercoledì 18 dicembre, la mostra fotografica “Volti da scoprire, ritratti di cinema”. Un percorso curato dal critico cinematografico Paolo Mereghetti, assurto da anni a grande notorietà per l’omonimo dizionario dei film, il più venduto in Italia, che iniziato a scrivere a partire dal 1990, esce per la prima volta nel ’93, ha festeggiato lo scorso anno il suo trentennale.
La mostra propone una serie di ritratti realizzati negli anni Ottanta e Novanta da Pino Guidolotti esposti su scenografici ingrandimenti inseriti nella splendida cornice del Cortile del Palazzo del Rettorato dell’Università di Torino, in via Verdi, 8 ed in via Po,17. Scatti in bianco e nero che raccontano donne e uomini di cinema, attori, registi e sceneggiatori messi in scena dal fotografo, anche se ultimamente Guidolotti sembra preferire il disegno, grazie alla sua capacità di entrare con loro in una profonda relazione umana.
Spirito libero, curioso ed insofferente alle etichette, Pino Guidolotti ha sempre avuto la bellezza come sua personalissima bussola sia che dovesse documentare opere artistiche o architettoniche sia che dovesse ritrarre personaggi dello spettacolo o della cultura.
La sua attività di ritrattista ci ha lasciato una serie di straordinari ritratti, capaci di cogliere sempre il segreto che si nasconde dietro i volti e i corpi di Wim Wenders o di Jeanne Moreau, di Mario Soldati o di una giovanissima Juliette Binoche, che per la prima volta sono esposti, insieme a quelli di Michel Piccoli, di Marco Ferreri e tanti altri ancora, e tutti da scoprire, qui a Torino al Rettorato.
Igino Macagno