SPETTACOLI- Pagina 27

Tutti alla ricerca di una chiave: o c’è dell’altro?

Il panico” di Spregelburd, uno spettacolo difficile ma di gran successo

Il nome di Rafael Spregelburd – attore, drammaturgo e regista teatrale argentino, oggi 54enne, tradotto ormai in una ventina di lingue, autore residente in teatri inglesi e tedeschi, una trentina di opere proposte in Sud America, in Europa e negli Stati Uniti – circola con sempre maggiore curiosità e convinzione nelle sale teatrali di casa nostra, più o meno dal 2008, con il lavoro dell’abituale traduttrice Manuela Cherubini (un lavoro pressoché intimo, sempre più profondo, “il primo incontro è stato quello con le sue opere, e per conoscere e comprendere meglio sono stata a lungo a Buenos Aires, a guardare da vicino questo “Pinter tropicale”, a guardare dove vivesse, quale fosse l’ambiente teatrale in cui era possibile concepire opere così straordinariamente classiche e rivoluzionarie”; un affetto e una partecipazione presto contraccambiati, “quello che ha avuto tra le mani Manuela Cherubini, la più coraggiosa traduttrice italiana, caro spettatore, fu soltanto la mappa del labirinto, attraversarlo è un altra cosa, e traghettarlo verso un’altra cultura, tramite una traduzione, è un atto di fede e di empatico coraggio”), con la pubblicazione della sua intera “Eptalogia”, con le principali messe in scena di Ronconi (di cui non si disse particolarmente soddisfatto) e di Juri Ferrini, che dopo “Lucido” ha affrontato per la presente stagione dello Stabile torinese “Il panico”: con una regia tutta fuochi d’artificio, impetuosa, folgorante, intelligente, molto aiutato dall’ambiente fisso inventato da Anna Varaldo, nei colori rosso e giallo di esplicita memoria almodovariana (e penso che ad Almodovar imbattersi in Spregelbrud piacerebbe un sacco).

Il panico” è parte di un vasto disegno teatrale che nasce nel 1996, guardando alla tavola dei “Sette peccati capitali” dovuta al fiammingo Hieronymus Bosch, un accumularsi di infiniti e godibilissimi dettagli che impediscono la distinzione di un centro che ti venga in aiuto per la più soddisfacente disanima, la rappresentazione con linguaggio moderno della dissoluzione morale del nostro tempo come il pittore mostrava quella di un Medioevo prossimo ad un Umanesimo “non ancora definito”. Sette testi per sette peccati, che guardano alle colpe antiche per sviscerare le colpe moderne, sette opere che avrebbero dovuto essere brevi nella loro stesura, di facile e non costoso allestimento, magari date in contemporanea in sette teatri della città o una per ogni singolo giorno della settimana. Al contrario, in molti casi, le parole si sono moltiplicate alle parole, i personaggi ai personaggi, e se “L’inappetenza” ha una durata di “soli” venticinque minuti altri testi (“La stupidità”) possono arrivare alla durata delle quattro ore. Un arcipelago teatrale che può sconvolgere, spostare la mente e l’attenzione, dare delle certezze allo spettatore e rovesciarle dopo un attimo, legarsi a quella mancanza di punto focale e perdere (e far perdere) un intero percorso che logicamente debba avere un inizio e una sua conclusione.

Moduli, impressioni, sconcerti che rientrano perfettamente nel “Panico”: che tout court altro non è che il peccato dell’accidia, un ensemble di persone affannate a percorrere la propria vita, a tentare due o tre lavori, a correre senza requie nella ricerca di questo o di quello. Che -inoltre – a seguire ancora le parole della Cherubini – di perfetto aiuto nel dovere di districarsi in quello che è e rimane un rabbuiato labirinto – “è la parodia di un b-movie sulla trascendenza e sulla vita dopo la morte: la costruzione di una spiritualità attraverso banali strumenti retorici e grotteschi, con un riferimento alla contingenza della recessione argentina del 2001 (con la chiusura delle banche)… torna a emergere con chiarezza la messa in discussione del concetto di famiglia, che qui troviamo alle prese con la morte di un padre, fratello, amante, tra fantasmi incoscienti di esserlo ed esseri umani inconsapevoli di essere vivi”. Dove forse quel perno che cerchiamo (mentre in scena si catapultano ballerine tarantolate, un’agente immobiliare, una coreografa, un travestito e altri appartenenti ad una copiosa fauna umana) potrebbe essere la ricerca di una chiave che aprirebbe una cassetta di sicurezza, capace con il proprio contenuto di dare sicurezza ad una intera famiglia, lasciata ben nascosta in casa dallo scomparso Emilio qui ridotto a fantasma: ma siamo sicuri che sia quello il perno che stiamo cercando? Forse per un attimo (una delle scene più divertenti dello spettacolo visto al Gobetti in finale di stagione, capitanata in grande stile da una Arianna Scommegna in vero stato di grazie, certo non dimenticando i suoi compagni, Dalila Reas, Michele Puleio, Viola Marietti con una Roberta Calia d’eccezione come funzionaria di banca) ma non poi avanzando nello spettacolo (ma è lecito definire “Il panico” semplicemente “spettacolo”?); potrebbe essere il terapeuta (Ferrini) che visita la prigioniera in carcere (ancora la Calia, irriconoscibile, diversissima, ancora una bella prova) ma anche questo sbandamento non convince; perché non la sfacciata Susana (Elisabetta Mazzullo, un’altra pedina della serata che semina successo), con un linguaggio che corre a ruota libera, alle prese con il pupo di casa in fatto di grandi offerte erotiche.

Sta allo spettatore cercare, scegliere, muoversi (“non si tratta di opere semplici, ma sì, questo lo posso assicurare, in termini assoluti divertenti”, ancora la traduttrice) mentre non ha quel dizionario di riferimento che non solo una volta ci mettiamo a cercare come la chiave del testo. Divertimento certo, innegabile, scaturito a piene mani dalla risata e dalla satira e dal continuo stravolgimento delle leggi e delle abitudini e delle norme che coinvolgono la maggior parte del genere umano. Nei ghirigori, negli zigzag, negli andare e venire della vicenda (l’ho effettivamente rilevato al termine dei 130’) chi scrive ha la sensazione che lo spettatore un tantino squinternato si debba ritrovare, che si diverta alle frasi e alle situazioni e al linguaggio che non ha peli sulla lingua ma che allo stesso tempo non percepisca/possa percepire e districare appieno tutto il tessuto sottile con cui Spregelburd ha costruito questo suo “Panico”. Difficoltà certo, ci hanno avvisati, come ci hanno avvisati di non legarci più strettamente alle emozioni che sorgono dalla pancia come a quelle che sorgono dalla testa, “certe distinzioni fra testa e pancia ormai da tempo hanno provato la loro inconsistenza”. E a noi non rimane che decifrare che cosa esattamente “nasconda” quella cassetta di sicurezza, quali significati siano nascosti al suo interno, come seguire tutta l’illogicità, la spensieratezza, la sconfinata anarchia, i paradossi, le sgraffignature, i percorsi sconnessi di un autore che guardi con una certa titubanza ma anche con una gran dose di rispetto. Presente in sala ad una delle repliche a cui ho assistito, a prendersi tutto il mare d’applausi che un pubblico foltissimo gli tributava.

Elio Rabbione

Le immagini dello spettacolo sono di Luigi De Palma

In scena al teatro Carignano “Hybris”

Con Antonio Rezza e Flavia Mastrella. In scena fino al 9 giugno

 

martedì 4 giugno alle 19.30.

Si tratta di uno spettacolo scritto e diretto da Antonio Rezza e Flavia Mastrella, già vincitori del Leone d’oro alla Biennale di Venezia nel 2018.

Antonio Rezza va in scena con Ivan Bellavista, Manolo Muoio, Chiara Perrini, Enzo Di Norscia, Antonella Rizzo, Daniele Cavaioli e Maria Grazia Sughi. L’habitat è di Flavia Mastrella, il disegno luci di Dario Crispino, le luci e la tecnica di Alice Mollica.

Lo spettacolo, coprodotto dalla Compagnia Rezza/Mastrella, la Fabbrica dell’attore Teatro Vascello, Sardegna Teatro e Spoleto Festival dei due Mondi resterà in scena per la stagione in abbonamento del Teatro Stabile fino a domenica 9 giugno.

Il nuovo lavoro di Rezza-Mastrella approda al teatro Carignano, portando con sé tutta la sua dirompente forza dissacratoria e innovativa. La loro folle ma, al tempo stesso, lucida scrittura scenica questa volta è incentrata su una porta, aperta e richiusa una decina di volte durante lo spettacolo, che diventa qui la cesura tra un ambiente e l’anticamera di un altro mondo o il filtro tra un dentro assoluto e un indefinibile fuori, tra l’essere, l’esserci e un eventuale sarei. Un pastiche teatrale e linguistico accuratamente studiato e calibrato per apparire disorientante quanto esilarante.

‘Come si possono riempire le cose vuole? È possibile che il vuoto sia solo un punto di vista? La porta… perché così ci si allontana. Ognuno perde l’orientamento, la certezza di essere in un luogo, perde il suo regno in terra. L’uomo fa il verso alla belva che lui stesso rappresenta. Senza rancore. La porta ha perso la stanza e il suo significato, apre e chiude sul nulla. Si ode quello che non c’è; intorno un ambiente asettico fatto di bagliori.

L’essere è prigioniero del corpo, fascinato dall’onnipotenza della sua immagine trasforma il suo aspetto per raggiungere la bellezza immobile e silente che tanto gli è cara. Le gabbie naturali imposte dal mondo legiferano della nascita, della crescita e della cultura, ma la morte di solito è insabbiata, al bambolotto queste cose sembrano inutili sofferenze, antiche volgarità. La porta attraversata dal corpo, che è di cervello e profondamente pigro, si trasforma in un portale nel vuoto. Al bordo del precipizio si può immaginare un mondo alternativo ma il bambolotto si lascia abitare da chiunque, di ognuno prende un pezzo, uno spunto, sicuro e consapevole di dare una direzione sua alle cose. La spina dorsale si allunga e si anima, finalmente si divide. Aprire la porta sulle altrui incertezze, sull’ambiguità, sull’insicurezza dell’essere e la meschinità dello stare. Chiunque sta in un punto. Detta legge in quel punto. Ci si conosce sotto i piedi, nulla può durare a lungo quando due persone si incontrano esattamente dove sono… I rapporti finiscono perché nascono sotto i calcagni, senza rispetto. Piccoli dittatori che fanno della posizione la loro roccaforte. Ma poi barcollano con una porta davanti gestita da un carnefice inesatto che stabilisce dove gli altri vivono. Non cambia molto essere un metro oltre o un metro prima, ma muta lo stato d’animo di chi sapeva dove era e adesso ignora dove andrà perché non sa da dove parte.

Chi bussa sta dentro, chi bussa cerca disperatamente che qualcuno da fuori gli chieda “Chi è“. Bussiamo troppo spesso da fuori per tutelare le poche persone che vivono all’interno , si tratta di famiglie di due o tre elementi , piccoli centri di potere chiusi a chiave. Dovremmo imparare a bussare ogni volta che usciamo perché fuori ci sono tutti, l’esterno è proprietà riservata, condominio esistenziale, casa aperta. L’educazione va sfoggiata in mezzo agli altri e non pretesa quando ci si spranga insieme al parentato. La famiglia la sera chiude fuori tutta l’umanità, che senso ha accogliere il diverso quando ogni notte ci barrichiamo dichiarando l’invalicabilità della nostra dimora? Infimi governanti delle pareti domestiche, come le bestie, L’uomo diventa circense, domatore della proprietà privata.

Teatro Carignano, piazza Carignano 6

Orario degli spettacoli martedì, giovedì e sabato ore 19.30, mercoledì e venerdì ore 20.45

 

Mara Martellotta

Stupinigi a passo di danza

Il progetto “Orme sonore” con il Primo Liceo Artistico Statale Coreutico di Torino alla Palazzina di Caccia di Stupinigi (TO)

 

Nel Salone d’Onore della Palazzina di Caccia di Stupinigi, un tempo destinato alle feste e ai balli di corte, si è concluso con una performance a passo di danza il progetto “Orme sonore” che, per il secondo anno consecutivo, ha coinvolto gli studenti del Primo Liceo Artistico Statale Coreutico di Torino.

A febbraio è iniziata l’esperienza di ascolto di brani classici correlati con gli ambienti della Palazzina, individuati insieme ai Servizi Educativi del Teatro Regio di Torino. Attraverso coreografie ed improvvisazioni di danza, le classi coinvolte avevano il compito di riconoscere e valorizzare i contenuti artistici (architettura ed apparati decorativi) della palazzina, simbolo dell’arte e dell’architettura barocca e rococò. Acquisiti gli strumenti, i ragazzi hanno progettato – in collaborazione con i Servizi Educativi della Palazzina di Caccia di Stupinigi guidati da Serena Fumero – una performance basata su una visione trasversale del luogo. La natura, gli animali e le correlazioni con la musica li hanno portati ad esplorare il Carnevale degli Animali di Camille Saint-Saëns e le storie legate al mito, da Fetonte a Diana e Atteone attraverso composizioni musicali contemporanee realizzate dagli stessi docenti. Durante le due giornate di restituzione, a museo aperto, sono stati anche presentati i lavori di scenografia relativi al brano Acquario del Carnevale degli Animali.

INFO

Palazzina di Caccia di Stupinigi

piazza Principe Amedeo 7, Stupinigi – Nichelino (TO)

www.ordinemauriziano.it

I nove danzatori di Pendleton in uno spettacolo fatto di pura magia

All’Alfieri, sino a domenica 2 giugno, “Back to Momix”

Che cosa dire ancora dei Momix? Che cosa dire al di là di quanto s’è detto in questi loro 45 anni di vita, gruppo fondato da un Moses Pendleton arrivato oggi ormai ai settantacinque, passato dai successi dell’iniziale sci di fondo ai palcoscenici di Broadway, con una laurea in letteratura inglese al Dartmounth College e la creazione del Pilobolus Dance Theatre come tappe di passaggio? Forse non c’è più spazio per ripetere della professionalità, della genialità in alcuni tratti, che nello spettatore porterebbe facilmente all’incredulità, della gravità continuamente sfidata, del trasformismo ininterrotto, dei mille movimenti costruiti e studiati e riproposti nella frazione esatta della loro esistenza e della loro necessità d’essere, dei corpi che esprimono tutto il potere che portano in sé e allo stesso tempo la leggerezza che li fa divenire impercettibili, aerei, leggerissimi, della luce che li circonda e ne ricrea ulteriormente le forme, la potenza dei corpi maschili e l’avvenente presenza di quelli femminili, la sensualità emanata e la delicatezza. Dell’amalgama di costumi e colori a cui fanno da sfondo scenografie stupendamente immaginifiche, di una colonna musicale che s’apre al moderno ma che è anche capace di viaggiare attraverso i secoli, che diventa attimo dopo attimo una festa per gli occhi. Oppure è guardare da parte dello spettatore ad un ricreare continuo, la battaglia di nove ballerini (tre) e ballerine (sei) anche intorno ad un passato interrotto da una pandemia che ha allontanato per qualche anno il gruppo dal pubblico italiano (torinese, per quanto ci riguarda: è sino a domenica 2 giugno sul palcoscenico dell’Alfieri, e sin d’ora dico a tutti non perdeteveli), il disinteresse nel fornire percorsi e suggestioni già proposti in passato senza ricorrere a invenzione del tutto nuove. “Back to Momix” è il titolo dello spettacolo, due tempi da tre quarti d’ora ciascuno, sedici brani a cui dà vita un gruppo dentro il quale alcuni per il primo anno danno il loro fantastico apporto, un gioco di parole che richiama un classico della cinematografia degli anni Ottanta, ma anche – “con il desiderio di leggerezza e spensieratezza”, recita il comunicato stampa – il desiderio di guardare al futuro, con ritrovata serenità, prendendo magari per mano il pubblico di domani.

Si catturano momenti degli storici “MomixClassics”, “Passion”, “Baseball”, “Opus Cactus”, SunFlower Moon” fino a “Bothanica” e “Alchemy”, setacciando ancora una volta sul palcoscenico e da parte nostra allo stesso tempo ricordi e frequentazioni, sensazioni, quelle emozioni forti che hanno occupato gli appuntamenti precedenti. Forse come un tempo, si continua a coltivare preferenze, magari un paio di numeri appaiono più statici e in ombra se paragonati a quelli srotolati prima o che verranno dopo: ma il successo non può cambiare. A fare da focus, anche impercettibile, dell’intero spettacolo, è l’amore di Pendleton (con l’apporto insostituibile della moglie Cynthia Quinn) per la natura, per la sua vita trascorsa tra il verde della campagna, per il mondo naturale che ci circonda e che troppo spesso avviliamo, che si fa intimità e forse sogno, impercettibile sino a fondersi in un panteismo che coinvolge tutti quanti: attimi che sfociano in quell’atmosfera di magia che percorre tutto quanto lo spettacolo. La Natura è bellezza nelle sue forme e nei suoi colori, a volte anche nelle proprie asprezze: e su quel palcoscenico ogni ballerino riconduce la propria bravura e la propria bellezza alla Natura, come in un cerchio magico.

La Natura che si esprime attraverso un fiore color corallo che si snoda sino a diventare una lunga gonna sui corpi delle cinque ballerine, attraverso il volo di un’ape, attraverso uno stormo d’uccelli, attraverso i corpi che si riflettono in uno specchio e si rifrangono con la bellezza dei loro movimenti in mille immagini. Una Natura che per un attimo può lasciare spazio all’Eros, al ricercarsi continuo di un uomo e di una donna, come all’ironia che spunta all’improvviso forse inaspettata. I fasci luminosi che attraversano velocissimi, in un alternarsi di linearità e di gibbosità, quasi uno spot televisivo di antica memoria, i rotoli di carta che giocano con avvolgimenti e srotolature, i tanti pupazzi con cui ballerine e ballerini fanno coppia per poi spedirli nel finale verso l’alto, felicemente, i tre cowboy spettacolari nella loro bravura: senza i cavalli, chiaramente, che tuttavia s’intuiscono nei loro immaginabili movimenti, i tre – credetemi – che li cavalcano e che agiscono in bellezza su quell’unico trampolo legato a una delle gambe, dritti, “in piedi”, obliqui, equilibristi perfetti. Una perfezione che ti lascia senza fiato. Non può non suonare perfetto al termine “Back to Momix”, nella risposta di un pubblico che non si stanca di applaudire e di ammirare.

Elio Rabbione

Le foto dello spettacolo sono di Charles Azzopardi, di Renato Mangolin e di Quinn Pendleton

Le Nina’s Drag Queens e Dragpennyopera

Sabato sera al teatro Colosseo conclusione della stagione del Baretti

La prima stagione del teatro Baretti , intitolata “Regine” e capitanata dal direttore Sax Nicosia, ha preso avvio con le Nina’sDrag Queens e con loro terminerà stasera e sabato sera al teatro Colosseo alle 21 con “Dragpennyopera”.

Per la regia di Sax Nicosia, siamo di fronte ad una  storia di amore, morte, sesso e soldi  sullo sfondo di una città corrotta en travesti. Sono donne che tradiscono, che lottano, donne che si usano a vicenda. Cuori neri dalla nascita e anneriti dalla vita,  che pulsano vitali in uno scenario desolato. Si tratta di uno degli spettacoli più iconici di una compagnia iconica, rappresentato per la prima volta a Torino.

“Volevo dare la possibilità  a tutti i fan del Baretti di vedere uno show a un prezzo più basso rispetto ai circuiti teatrali – spiega Sax Nicosia – e siamo stati sostenuti dalle persone di San Salvario in questa stagione, che ha visto il pubblico aumentare del 30 per cento. Dragpennyopera è  uno spettacolo sontuoso che non poteva essere rappresentato al Baretti, così ci ha ospitati il Colosseo”.

“Le Nina’s si caratterizzano per interpretare e rivisitare i grandi classici della letteratura e del teatro, da Checov a Shakespeare “  – prosegue Sax Nicosia. Macheath è  l’unico uomo, il bandito, l’eterno assente, e suscita in questi cuori sentimenti neri assoluti. Amato, odiato e agognato.

La composizione di questo spettacolo si ispira a The Beggar’sOpera di John Gay, commedia musicale scritta nel 1728, in cui l’autore miscelava la musica colta alla canzone da osteria, la presa in giro del “gran teatro”, la satira più  nera e adatta a canzoni già note al pubblico, fossero ballate o arie d’opera. Il linguaggio teatrale delle Nina ‘s Drag Queens è  un pastone di citazioni, parodie affettuose, brani cantati in playback, attinti dal panorama della musica contemporanea e reinventati in un gioco scenico.

La Compagnia di Nina’s Drag Queens è formata da attori e danzatori che hanno scelto di coniugare teatro e arti performative intorno alla figura eclettica e irriverente della Drag Queen, vera e propria maschera post moderna, in un  percorso di ricerca legato alla rilettura e riscoperta dei classici teatrali. La compagnia propone una riflessione sul ruolo del teatro nella società,  sulle forme in cui una storia può essere esemplare e etica.

“È un’assemblea di attori che chiedono il permesso di parlare. Nel nostro caso siamo di fronte ad un rovesciamento dei ruoli, il travestimento dei personaggi, maschili e femminili,  è un’arma espressiva spiazzante in una società come la nostra ancora profondamente maschilista. È una piccola rivoluzione e le Ninassono portatrici di tutte le istanze, i problemi e le necessità della comunità Lgbtq+”.

Nonostante Sax Nicosia sia in futuro impegnato come coprotagonista in una serie di Netfix e nel primo film da regista di Davide Livermore accanto a Fanny Ardant e Vincent Cassell, la sua priorità rimane il teatro Baretti, dove le Nina’s torneranno con la performance Botanica Queer, una camminata artistica guidata da un biologo, Ulisse Romanò, per mostrare, per esempio al parco del Valentino, il lato queer della natura.

MARA MARTELLOTTA

Burattinarte annuncia la trentesima edizione

Due anteprime a Corneliano e a Novello

 

Nel primo fine settimana di giugno Burattinarte accende i riflettori sulla sua trentesima edizione con due anteprime sabato primo giugno a Corneliano e domenica 2 giugno a Novello.

Le due anteprime che Burattinarte offre al pubblico di Langhe e Roero nel primo fine settimana di giugno anticipano lo spirito della trentesima edizione, che si aprirà il 27 giugno, con 4 giorni ricchi di sorprese e ben 27 appuntamenti molto coinvolgenti ad Alba.

Claudio Giri e Consuelo Conterno, direttori artistici di Burattinarte, hanno scelto di aprire virtualmente il calendario del trentennale in due luoghi simbolo della rassegna, il Circolo Arci Cinema Vekkio di Corneliano, con cui da anni esiste una solida e generosa collaborazione e Novello, il Paese di Langa in cui, per tradizione, si chiude la rassegna estiva.

Sabato 1 giugno appuntamento con il Laborincolo e lo spettacolo Cracrà Punk, a Corneliano, alle 21, e domenica 2 giugno con Giorgio Gabrielli e un classico della tradizione emiliana “A spasso con Sandrone”.

“Il Laborincolo – spiegano i direttori di Burattinarte – è un progetto teatrale fondato da Marco Lucci in Umbria nel 2005 con l’intenzione di approfondire i linguaggi e le forme di questo spettacolo, ad esempio le diverse tecniche di figura e i molteplici piani della scenografia, gli scenari che si aprono e sorprendono, gli oblò che aprono nuovi orizzonti. I suoi spettacoli sono pensati per un pubblico misto di adulti e di bambini e riescono a raccontare con passione e poesia storie significative, in cui viene valorizzata la dimensione artigiana del teatro di figura.”

“Cracrà Punk è una storia curiosa e gentile che tratta di genitorialità, crescita, ricerca delle proprie origini. “Caduto dal cielo per una svista della cicogna, un neonato si trova davanti alla porta di Ada, la signora Morte, che non resiste di fronte a tanta tenerezza e si trasforma in una dolce mamma, impegnata in giochi sulla neve, indovinelli e ninne nanna. Fino a quando il bimbo non diventa un ragazzo e chiede chi sia suo padre. Mamma Ada non ha una risposta pronta e per tenerlo con sé inventa una storia impossibile. Al ragazzo non rimane che partire in cerca dei genitori, attraversare il mare, fare tornare il sorriso sulle labbra della regina e in mezzo alla burrasca incontrare la cicogna Tiresia, l’unica in grado di rivelare la verità e indicargli la strada”.

II weekend sarà completato da un’incursione in Langa, a Novello, di Giorgio Gabrielli, uno dei più apprezzati burattinai d’Italia, che porterà in scena un cavallo di battaglia della tradizione emiliana “A casa con Sandrone”.

Come nella prima edizione i riflettori saranno puntati su Alba, con 27 appuntamenti tra spettacoli, giochi di piazza e laboratori. “Invaderemo la città – spiega Consuelo Conterno – con burattini, teatro in miniatura, marionette, muppet, laboratori, giochi catalani e una buffissima battaglia con i cuscini. Vi saranno spettacoli inediti. Il centro di Alba si trasformerà in un teatro diffuso e sorprendente con spettacoli all’improvviso e altri programmati”.

In trenta anni di attività Burattinarte si è evoluto mantenendo due costanti, di cui la prima è perseguire un obiettivo sociale, portando il teatro ovunque, anche nel più piccolo paesino, renderlo comprensibile a tutti, dal bambino all’anziano e accessibile, con un’offerta libera, di modo che tutti possano godere dello spettacolo.

La seconda è la vocazione internazionale; per merito delle connessioni virtuose con altri festival italiani e internazionali sono intervenute produzioni artistiche di rilievo da tutta Italia, dalla Sicilia a Friuli, al Sud America, dall’India alla Russia e all’Europa.

‘Volevamo portare il teatro nei piccoli centri – spiegano I direttori artistici – dove di solito non arrivano artisti di esperienze internazionali. All’inizio degli anni Duemila il festival si è ampliato al Monferrato, coprendo una decina di giorni a giugno e, in certe serate, c’erano almeno tre spettacoli diversi in altrettanti Paesi, uno astigiano, uno ad Alba, uno nelle Langhe, diffusi in un raggio amplissimo”.

 

Mara Martellotta

Al via “Modulazioni. Musica senza tempo”

La terza edizione della rassegna, per un viaggio musicale tra Francia ed Italia

31 maggio – 1° giugno

Cuneo

“Portare la musica antica nei siti storici della città di Cuneo, con una ricca proposta pensata per tutte le fasce d’età e distribuita in tre fine settimana a partire dai mesi di  maggio – giugno fino al prossimo settembre”: è questo l’obiettivo di “Modulazioni. Musica senza tempo”, il Festival di “musica antica” prodotto da “Maestro Società Cooperativa” di Cuneo ed organizzato – con il sostegno e la collaborazione di Enti ed Associazioni locali – da “Noau – Officina Culturale”. Alla sua terza edizione, l’evento prenderà il via venerdì 31 maggio (18,30 ingresso libero), nel “Salone d’Onore” del Comune di Cuneo, al 28 di via Roma, con il concerto “Tous les matins du monde”, eseguito dal Gruppo “Le Viole del re”, composto (alla viola da gamba) da Virginia ed Eleonora Ghiringhelli, insieme ad Angelo Lombardo, con le musiche di Sainte-Colombe e Marin Marais. Si tratta di “un romanzo capitale – sottolineano i direttori artistici Alessandro Baudino e Paolo Cialdellanella storia della musica sei-settecentesca, un testo denso di poesia, dolore, desiderio che ha ispirato una pellicola simbolo, la cui colonna sonora supera il dialogo e l’immagine si fa profonda come sulla tela”. “Il programma della terza edizione viaggia tra Italia e Francia – continuano – delineandone sottili connessioni lungo epoche diverse, il tempo fisico si annulla e fa incrociare suoni storici e contemporanei, in cui le generazioni si specchiano e si incontrano”. Su queste basi intenzionali, la prima parte di “Tous le matins du monde” vede protagonista il grande Maestro, Monsieur de Sainte-Colombe (1640-1700 ca.) “che si presenta come ‘outsider’ nel programma musicale della seconda metà del Seicento”. La seconda parte è interamente dedicata a Marin Marais, il più celebre allievo di Sainte-Colombe che, con la pubblicazione dal 1686 dei suoi cinque libri di “Pièces de viole” si impone nel “mondo violistico” parigino come indiscussa autorità.

Il programma inaugurale proseguirà sabato 1° giugno, alle 18,30, a “Palazzo Samone” (via Amedeo Rossi, 4) con il concerto “Artemisia: di tenebra e di fiamma” (ingresso 10 euro) del “Gruppo Cleantha”, ensemble vocale a voci pari, composto da Elisa Franzetti, Barbara Maiulli, Giulia Beatini, Paola Cialdella (tutte alla Voce) e da Elisa La Marca (liuto e tiorba).

Al centro del concerto l’intricata vicenda umana della grande Artemisia Gentileschi, figura intersecante la transizione al “mondo nuovo”, da Copernico a Caravaggio a Galileo Galilei, con il quale ebbe scambi epistolari personali. Compagna ideale di altre donne artiste, come Francesca Caccini, pioniera dell’emancipazione femminile, Vittoria Aleotti, Barbara Strozzi e Anna Guarini, con loro Artemisia ebbe a intrecciare personali e comuni tratti biografici. Anche nel dramma – la violenza sulla giovanissima Artemisia, l’uxoricidio di Anna – nella provenienza da famiglie di artisti e “nel percorso di formazione personale, di accesso allo studio, alla fama in vita”.

Per info sul programma completo: www.modulazioni.net . I biglietti per gli ingressi a pagamento sul portale ticket.it

g. m.

Nelle foto: Immagine guida “Modulazioni. Musica senza tempo”;  “Le Viole del re”;  “Gruppo Cleantha”

Per l’ultimo concerto della stagione della RAI, sul podio DanielHarding, al violino Franz Zimmermann

 

 

Per l’ultimo concerto della stagione della RAI sul podio dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai torna uno dei più apprezzati direttori contemporanei Daniel Harding, con Franz Zimmermann al violino.

I due musicisti saranno protagonisti del concerto di venerdì 31 maggio alle 20 all’Auditorium RAI Arturo Toscanini di Torino. Per Harding si tratta del quinto impegno in pochi anni con la compagine RAI, a partire dal suo debutto, avvenuto il 13 dicembre del 2020.

In apertura di serata Harding e Zimmermann proporranno il Concerto gregoriano per violino e orchestra di Ottorino Respighi, composto nel 1921 utilizzando stilemi modali arcaizzanti propri del canto gregoriano, ma anche includendo aspetti timbrici tipici del XX secolo.

Chiude il concerto la Sinfonia  n. 1 in re maggiore di Gustav Mahler nota con il soprannome del ‘Titano’. Il compositore le diede lo stesso nome di un romanzo di Jean Paul.

La pagina si accompagna all’infelice esperienza amorosa vissuta dal musicista con la cantante Johanna Richter a Lipsia, dove la composizione venne ultimata nel 1888. Tenacemente radicata nello spirito del Romanticismo tedesco, è  già proiettata oltre la realtà musicale del suo tempo. La partitura è  tutto un riecheggiaredi richiami alla natura, che mutano dalla serenità pasquale innocente all’inquietudine struggente della modernità.

In occasione dell’esecuzione ad Amburgo nel 1893, Mahler definì quest’opera  “Titano”, un poema sinfonico in forma di sinfonia. Diviso in due parti, comprende la prima parte intitolata “Dai giorni di gioventù: fiori, frutti e spine”, formata dai primi tre movimenti, e la seconda la ‘Comoedia humana’ dagli ultimi due movimenti. Quando Mahler ne diresse la prima esecuzione il 20 novembre 1889 a Budapest, questa sinfonia non aveva ancora raggiunto la sua forma definitiva . Tra i primi abbozzi del 1884 e gli ultimi ritocchi del 1909 trascorsero venticinque anni, l’intero arco creativo del compositore.

 

Mara  Martellotta

La piuma di “Forrest Gump” e la scimmia/dessert di “Indiana Jones”, quando il Cinema è arte

Alla Mole, sino al 13 gennaio 2025, “Movie Icons. Oggetti dai set di Hollywood”

Penso che collezionisti si nasca, è una pulsione che si manifesta prepotente, irrefrenabile, che ti spinge a possedere l’oggetto che ti manca, una continua battaglia tra Eros e Thanatos, una sorta di malattia, per fortuna non mortale.” Luca Cableri è un signore giovanile e alto ed elegante, che da sempre coltiva la passione di raccogliere reperti e oggetti, che ragazzino andava lungo la spiaggia per conchiglie e poi le rivendeva ai turisti, che nell’ultima quindicina d’anni ha viaggiato negli States e che in alcuni di essi, il Wyoming ad esempio, ha ritrovato ossa di dinosauro (specifichiamo: dal cranio di triceratopo allo scheletro completo di un Tyrannosaurus Rex) e che non s’è risparmiato dal portare a casa pietre lunari cadute giù da noi. Che ospita in una sorta di Wunderkammer rinascimentale, in uno splendido palazzo aretino quel Theatrum Mundi che è ora la casa di ogni sua scoperta. Oggi – per un lunghissimo periodo che s’allunga sino al 13 gennaio 2025 – alcune, circa centoventi riguardanti esclusivamente il campo cinematografico, definendole “props” e guardando a quegli oggetti di scena che vengono usati dagli scenografi e dagli arredatori, questi suoi fantasiosi quanto curiosissimi reperti, certo affascinanti per quanti amano il cinema, oggetti che Cableri s’affretta definire “opere d’arte” e che come tali devono essere guardati, sono esposti nella mostra “Movie Icons. Oggetti dai set di Hollywood”, curata dallo stesso Cableri e dal Direttore del Museo del Cinema Domenico De Gaetano, con i prestiti altresì della casa d’aste londinese Propstore, nella Sala del Tempio alla Mole dell’Antonelli. Sei vetrine a ospitare al pian terreno il costume esiguo e antico dei militi spartani di “300”, l’abito scuro di “Men in Black”, quelli inventati per “Armageddon”, “Robocop”, “Io Robot” e la Cosa dei “Fantastici 4”; e poi un lungo anello che si snoda lungo la scala a immagazzinare sogni per gli occhi – e per i ricordi – per i tanti e prossimi visitatori, magari sogni sempre accarezzati e ai quali mai s’è potuto dare un corpo.

La mostra che ci porta a presentare questi oggetti meravigliosi – dice a inizio di conferenza stampa Enzo Ghigo, Presidente del Museo – può essere considerata il proseguimento ideale di quella che l’ha preceduta, “Il mondo di Tim Burton”, chiusa con un vero e proprio successo. È il panorama affascinante di una parte del cinema americano di questi ultimi decenni, un panorama costruito con titoli che tutti abbiamo visto, ragazzi e con le fidanzate, con le famiglie, con i genitori e con i figli, che animano ricordi e suscitano emozioni, che fanno rivivere tantissimi momenti della vita che fin qui abbiamo trascorso.” Una mostra per cui, come in poche altre, la parola d’ordine è lasciarsi trasportare, una mostra che piacerà ad adulti e ai giovani, ai cinefili incalliti che hanno saggiato quelle immagini ma che non hanno mai potuto godere, a pochi centimetri dai loro occhi, di tanta meraviglia, di questo o di quell’oggetto, ai tanti curiosi che forse per la prima volta vorranno oltrepassare l’ingresso della Mole. Se mai ancora ce ne sono. “Quando, più di un anno fa – dice De Gaetano -, Cableri mi ha chiamato per propormi la mostra, la proposta mi ha lasciato abbastanza scettico, forse non ci ho visto l’effettiva curiosità, non ho avvertito quel grandioso panorama che in questo momento abbiamo davanti agli occhi. Poi ci ho ripensato, credo quasi immediatamente, ricredendomi ed è nata una vivace collaborazione che guardando all’unione degli oggetti del Theatrum Mundi e di alcuni di proprietà del Museo e ai tesori di Propstore ha dato vita a “Movie Icons”. Si aggiunge Cableri: “Sono felice che gli oggetti di questa mia collezione possano approdare alla Mole, uno di quei luoghi che più non avrei potuto sperare: anche perché sono convinto che ogni collezione debba essere messa a disposizione del pubblico intero, perché tutti ne possano godere. In altre parole, fare cultura, dando la possibilità a tutti di apprezzarli e ammirarli.”

Poi si inizia a salire la scala ed è un susseguirsi di preziosità e di ricordi, in un allestimento dove predominano i colori scuri e dove in un alternarsi di manifesti dalla presenza immediata e di più o meno grandi “personaggi” che diventano quasi religiosi simulacri di questo Sancta Sanctorum, si affacciano teche ottimamente illuminate a contenere gli oggetti di una vita cinematografica. il mostro di “Alien vs. Predator”, nella sua altezza, nei suoi artigli e nella completa presa delle fauci, capolavoro dell’artista svizzero H.R. Giger, il costume da extraterrestre inventato per “Incontri ravvicinati del terzo tipo” (il pezzo più antico della collezione: esiste anche quello sempre sfuggito, il costume completo di Darth Vader che dal 1977 riempie “Guerre stellari”), il divertente modello di marziano per stop-motion dovuto alla fantasia di Tim Burton e della sua equipe per “Mars Attaks!” (1996), il macabro orecchio a punta (una protesi auricolare in lattice) del vulcaniano Spock, interpretato per l’intera saga da Leonard Nimoy e una ciocca di pelo di Chewbecca, lo scimmione di “Guerre stellari”.

Puoi finalmente toccare il giubbotto di pelle (marrone) utilizzato da Tom Cruise per “La guerra dei mondi” di Spielberg (nella tasca interna è cucita un’etichetta con la scritta “Tom Cruise, Regular Size”: Ray Ferrier lo indossa per l’intero film, pertanto furono prodotti diversi esemplari che ne attestassero il progressivo deterioramento con l’intensificarsi dell’azione), la testa d’automa di “Hugo Cabret” firmato da Scorsese nel 2011, e fa quasi tenerezza quella piuma bianca che abbiamo visto tante, tante volte all’inizio e alla fine di “Forrest Gump”, accanto al cappellino con il marchio “Bubba Gump Shrimp Co.” e all’immagine del protagonista Hanks con Gary Sinise a reclamizzare il cocktail di gamberi sulla copertina di “Fortune”. E ancora i guantoni di Rocky, la macabra testa di scimmia usata per il dessert di “Indiana Jones e il tempio maledetto” nel palazzo di Pankot, gran finale dopo gli occhi in brodo con questo cervello di scimmia semifreddo servito direttamente dentro il cranio aperto del povero animale, il tricorno posto sulla testa di Johnny Depp nei “Pirati dei Caraibi” e una delle tute di salvataggio di quello strappalacrime che è stato per tutti noi “Titanic”, come – vera opera d’arte vista da vicino, quando già ci aveva entusiasmato al cinema, sofferenza ed emozioni perfette, quasi tre anni di lavoro perché ne uscisse il capolavoro che sarebbe stato, indossato da Doug Jones durante le riprese – la maschera dell’uomo anfibio per “La forma dell’acqua” di Guillermo Del Toro.

Non mancano “I Flintstone” e non manca “Jurassic Park”, non mancano le tavolette di cioccolato della dolce “Fabbrica” narrata da Burton, non mancano i ricordi di Harry Potter, come la sua bacchetta, 28 centimetri che sono l’unione dell’agrifoglio sempreverde e di una piume di fenice che è simbolo di rinascita, come quella di Voldemort nel “Calice di fuoco”. In un incrociarsi di epoche e di stili, di storie e ancora di emozioni, la spada di “Excalibur” e il mitra Thompson tolto dalle immagini che vedevano l’Oscar Sean Connery combattere negli “Intoccabili” l’Al Capone di De Niro e gli altri cattivoni, le fiches e le carte che vedono al tavolo da gioco Bond, James Bond, in Casino Royale, i costumi che tutti abbiamo davanti agli occhi della triade Superman/Matman/Robin per continuare con quello rossoblù di Spider Man. Altro oscarizzabile nel 2004 per i Migliori Effetti Visivi, il tentacolo del dottor Octopus (Alfred Molina) in “Spider-Man 2”, un supplizio di complessivi 45 chilogrammi composto da un corsetto, una cintura di metallo e gomma, una colonna vertebrale in gomma e quattro tentacoli di gommapiuma lunghi circa 2,5 metri. Per tacere del martello di Thor, della mano dell’Incredibile Hulk, dello scudo di Capitan America dai cerchi concentrici di colore rosso e bianco e con al centro una stella bianca su un fondo blu, calcolato il tutto sul mercato per un gruzzoletto che va ben oltre il milione di dollari. Degli artigli di Volverine, del modello di uno dei Gremlins, del modellino dello “Squalo”, della maschera dell’orripilante Hardy Kruger e dell’inquietante modellino, palloncini multicolore in una mano, si Pennywise, alias “It”, che il suo costruttore, Bart J. Mixon, aveva voluto “il più innocuo e amichevole possibile”.

Accanto alle autorità del Museo e al collezionista Luca Cableri, erano presenti in conferenza stampa Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo, compagni di vita e di arte, scenografi e molto di più entrambi, sei premi Oscar in due – per “The Aviator” e “Hugo Cabret” di Scorsese e per “Sweeney Todd” di Tim Burton, applauditissimi, la sera avrebbe ricevuto la Stella della Mole e tenuto una Masterclass. Chi stende queste note ha avuto la fortuna di percorrere gran parte del percorso attraverso quelle opere d’arte con la parte femminile della coppia: e tra commenti e sorrisi e ricordi e apprezzamenti, ha visto come un premio Oscar rimanga stupefatta, sempre, in ogni momento, davanti alla magia del cinema. E dei tanti che vi lavorano all’interno.

Elio Rabbione

Nelle fotografie di Stefano Guidi, alcune immagini degli oggetti esposti e dell’allestimento della mostra in questi giorni alla Mole.

La nuova stagione di Lingotto Musica

Parte la nuova stagione di Lingotto Musica che presenta un nuovo logo che combina la iconica pista 500 del Lingotto con l’anfiteatro orchestrale, il tutto in un design moderno ed elegante.

“La stagione che si chiuderà giovedì prossimo ha prodotto un bilancio straordinario, gli ultimi tre anni sono stati un crescendo, dalle prospettive postcovid in cui il pubblico sembrava non tornare a questa stagione che ha co seguito numeri impressionanti – spiega il Direttore di Lingotto Musica Giuseppe Proto – siamo arrivati ad avere 1700 posti per concerto in media, quasi 900 abbonamenti e il ritorno dell’entusiasmo da parte del grande pubblico”.

Lingotto Musica si prepara a una importante novità, il compimento del suo 30esimo anno di attività, superati i tempi incerti della pandemia e il lutto per la scomparsa, nel 2022, della fondatrice Francesca Gentile Camerana: accanto alla consueta sinfonia di orchestre e star dei concerti del Lingotto all’Auditorium Agnelli, nella prossima stagione si affiancherà un nuovo ciclo, “I pianisti del Lingotto”, con solisti internazionali impegnati in recital nella Sala 500. Nella rassegna “I pianisti del Lingotto” saranno presenti cinque grandi solisti: Angela Hewitt, Fazil Say, Leif Ove Andsnes, Rafal Blechaz e Alexander Dovgan, nomi che andranno ad aggiungersi ad illustri acclamati e virtuose formazioni come Martha Argerich, un atteso ritorno al Lingotto l’11 febbraio per una serata tributo a Ravel nel 150esimo anniversario della nascita e in collaborazione con la Fondazione Ricerca Molinette, Grigory Sokolov, Yefim Bronfman, HélèneGrimaud, Bertrand Chamayou, Sergey Khachatryan, Sir Antonio Pappano e la Chamber Orchestra of Europe, l’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia con Myung-Whun Chung, che eseguirà la Settima Sinfonia di Beethoven il 10 gennaio 2025, Alan Gilbert, la Ndr Elbphilharmonie Orchester, cui è  affidata l’inaugurazione e che affronterà proprio il 18 ottobre il celebre Concerto n.3 di Rachmaninov con il musicista Yefim Bronfman,l’Orchester Philarmonique di Montecarlo con Charles Dutoit, la Amsterdam Baroque Orchestra diretta da Ton Koopman l’11 marzo all’Auditorium, la Camerata Salzburg, Les Musiciens duLouvre di Marc Minkovski.

Gli otto concerti all’Auditorium del Lingotto e i cinque recital in Sala 500, che sostituiranno la sezione Lingotto Giovani, si svilupperanno dal 18 ottobre 2024 al 20 maggio 2025. La rassegna “Natale in Reggia” avrà luogo alla Venaria Reale dal 27 al 30 dicembre, e a questa si aggiungerà un  uovo progetto diffuso in coproduzione con la Fondazione Sermig Arsenale della Pace dal titolo “Sotto lo stesso cielo-la musica che include”, dall’11 al 13 ottobre prossimi.

MARA MARTELLOTTA