SPETTACOLI- Pagina 197

“La ballata dei gusci infranti”

Il film del giovane regista Simone Riccioni sostenuto dalla Pastorale Giovanile e dall’UCID TORINO in programma all’UCI Cinemas del Lingotto

 

Appuntamento all’UCI Cinemas del Lingotto, mercoledì 6 aprile, alle 20.45, con il film intitolato “La Ballata dei gusci infranti” del regista Simone Riccioni.
L’UCID di Torino, unitamente alla Pastorale Giovanile, alla Pastorale Universitaria, al Sermig e al Murialdo For, ha deciso di appoggiare questo giovane imprenditore cinematografico che ha avuto il coraggio, in tempo di pandemia, di investire in un nuovo progetto.
Il film, di cui all’UCI avverrà la proiezione, accompagnata dalla testimonianza del regista, narra la preziosità e la fragilità della vita. Si intrecciano tra loro quattro storie e ognuno dei rispettivi protagonisti pare essere racchiuso in un guscio, ognuno conduce una vita fatta di scelte che riguardano luoghi in cui vivere e persone da tenere al proprio fianco. Ma la vita può anche riservare sorprese e imprevisti e il guscio può infrangersi.
Il film, per i messaggi culturali che contiene, tra cui molte citazioni tratte dalla Divina Commedia, per commemorare il Sommo Poeta nell’anniversario dei 700 anni dalla sua morte, per i messaggi educativi e emotivi che veicola, è stato anche inserito nel progetto “Cine-Educando”. Sarà disponibile anche a livello nazionale per le proiezioni in classe e ha ottenuto il patrocinio della Città di Torino.

Prenotando attraverso l’UCID ( ucid@ucidtorino.it) il biglietto costerà 7 euro anziché 9 euro.
Sarà possibile pagare con satispay al 335 7724802 e ritirare i biglietti direttamente al cinema.

 Mara Martellotta

Dario Argento, il Maestro. Alla Mole la prima grande mostra dedicata al regista

6 aprile 2022 – 16 gennaio 2023 Museo Nazionale del Cinema – Mole Antonelliana

Via Montebello 20, Torino

 

DARIO ARGENTO – The Exhibit

Mostra a cura di Domenico De Gaetano e Marcello Garofalo

 

Il Museo Nazionale del Cinema e Solares Fondazione delle Arti hanno presentato la prima grande mostra dedicata a un grande maestro del cinema: il regista, sceneggiatore e produttore Dario Argento (Roma, 1940). DARIO ARGENTO – THE EXHIBIT, a cura di Domenico De Gaetano Marcello Garofalo è ospitata alla Mole Antonelliana di Torino, sede del Museo Nazionale del Cinema, e visibile al pubblico da mercoledì 6 aprile 2022 a lunedì 16 gennaio 2023.

 

A completamente della giornata di festeggiamenti in onore del Maestro, martedì 5 aprile alle ore 21.00 il Cinema Massimo ospita la proiezione della copia restaurata del celebre Suspiria (Italia 1977, 98’, DCP, col.), con introduzione di Dario Argento.

 

In occasione della conferenza stampa di inaugurazione del progetto espositivo, tenutasi alla presenza del regista, il Museo Nazionale del Cinema di Torino ha omaggiato il genio e l’opera del cineasta, visionario maestro del thriller, con il conferimento della Stella della Mole.

“Dario Argento è uno dei Maestri del cinema italiano più conosciuti e apprezzati a livello internazionale.” – ha spiegato Enzo Ghigo, presidente del Museo Nazionale del Cinema di Torino, nel leggere la motivazione –. “Dal suo esordio dietro la macchina da presa con L’uccello dalle piume di cristallo all’ultimo film Occhiali neri, ha spaziato tra giallo, thriller e horror, creando e imponendo a generazioni di spettatori il suo personalissimo immaginario, frutto di un talento figurativo fuori dal comune. Un regista ma anche un artista. Infatti, il suo cinema visionario dialoga costantemente con le altre arti, creando universi visivi seducenti e messe in scena sontuose attraverso un uso vitale e libero della macchina da presa. Ogni film è una riflessione sulla natura dell’immagine e sulla sua percezione, facendo tesoro delle esperienze del precinema e degli studi a cavallo tra ottica e psicanalisi. Nelle ambientazioni spettrali dei suoi film ha restituito di Torino un’immagine inedita e perturbante che arricchisce di fascino e mistero il nostro sguardo verso la città.”

DARIO ARGENTO – The Exhibit propone un percorso cronologico attraverso tutta la produzione di Dario Argento, dagli esordi de L’uccello dalle piume di cristallo (1970) al suo ultimo lavoro Occhiali neri (2022), recentemente presentato al Festival del Cinema di Berlino nella sezione Special Gala: tutta la carriera del regista e sceneggiatore Dario Argento costruita sul confine tra cinema di genere e d’autore.

A partire da una sintesi visiva delle tematiche da lui predilette, la mostra propone per ciascun titolo della vasta filmografia del regista curiosità, citazioni, fotografie, sequenze filmiche, bozzetti, manifesti, costumi, creature meccanizzate e colonne sonore. Un excursus lungo tutti i vari linguaggi che concorrono alla definizione dell’estetica che lo ha reso celebre e apprezzato in tutto il mondo.

Tra le collezioni esposte anche opere di maison di alta moda che per Argento hanno realizzato costumi e gioielli, e le creazioni di maestri italiani degli effetti speciali.

Per la prima volta un progetto espositivo compone un completo e articolato discorso visivo sull’immaginario che il regista romano ha portato sullo schermo nel corso del proprio cinquantennale viaggio nei perturbanti territori dell’incubo.

Le proiezioni presentano photogallery, sequenze e montaggi tratti dalle sue opere, documentazione sugli effetti speciali e sulla musica nei suoi film. Le fotografie sul set rivelano l’artificio e la potenza della messa in scena. I video restituiscono il rapporto di Argento con la musica e l’arte evidenziando anche i tributi rivolti a registi da lui molto amati, come Lang e Hitchcock, così come i frequenti riferimenti a quadri, fumetti, opere letterarie e oggetti di design.

Sulla rampa espositiva della Mole il visitatore troverà un’imponente messe di memorabilia argentiani: 44 oggetti di scena, 12 preziosi manifesti e locandine originali del Museo Nazionale del Cinema, bozzetti scenografici, creature meccaniche, fotografie inedite e molto altro.

Particolarmente significativi e di forte impatto sono i dieci costumi di alcuni dei suoi film, tra cui quello ricreato appositamente da Giorgio Armani, che aveva firmato gli abiti di Jennifer Connelly sul set di Phenomena (1985), mentre oltre 60 pannelli ricostruiscono il percorso biografico e artistico di Argento, raccolgono le sue testimonianze e quelle di celebri personalità del cinema e della cultura.

I pezzi esposti provengono dalle collezioni del Museo Nazionale del Cinema, del CSC – Centro Sperimentale di Cinematografia (Archivio fotografico della Cineteca Nazionale e Scuola Nazionale di Cinema) e di numerosi collezionisti privati, con importanti contributi da parte di professionisti del cinema quali Sergio Stivaletti, effettista di molti film di Argento da Phenomena del 1985 in poi, Luigi Cozzi, stretto collaboratore di Argento fin dagli esordi, Franco BellomoStefano OggianoGabriele Farina, Roberto Attanasio e Carlo Rambaldi, uno dei più importanti artisti degli effetti speciali a livello mondiale.

“Il percorso della mostra” – spiega Domenico De Gaetano, Direttore del Museo Nazionale del Cinema e co-curatore dell’esposizione torinese – “propone un approccio ‘altro’ all’opera di Dario Argento, considerandolo soprattutto un regista profondamente innamorato delle possibilità del mezzo filmico che attraverso una poetica del delirio visivo ha saputo diventare uno dei grandi creatori di immagini del nostro tempo, demiurgo di un mondo i cui tratti – sospesi tra l’onirico e il fantastico, tra l’astrazione e la tentazione del sublime – sono sfaccettati, molteplici e complessi, sempre posti oltre il confine della visione”.

Marcello Garofalo, critico cinematografico co-curatore della mostra, ribadisce che “Argento costruisce la sua modernità nel paradosso di uno sguardo che spesso collide tra quello del protagonista della storia e quello dello spettatore, abbagliati entrambi da una ‘messa in scena’ che del gioco non ha nulla, se non la derisione per una ingannevolezza dello sguardo, incapace di guardare l’essenziale e raggirato dal grande ‘trucco’ del cinema, l’apparire quando si crede di vivere, il sognare (o precipitare nell’incubo) quando si crede di essere vigili e di poter dominare la realtà. Tutti i protagonisti del cinema di Argento hanno in comune il fatto di assomigliarci, perché possiedono, prima ancora di una psicologia e di un comportamento, la tendenza a vedere sempre troppo o troppo poco, a essere vittime di abbagli e di visioni, fino a non distinguere più ciò che è vero da ciò che è falso. In tutta la sua opera il sogno diviene spazio, quasi come una rete invisibile e l’onirico si insinua nella realtà, non perché in contrapposizione, ma in quanto terribilmente somigliante a essa. Emblematiche le parole che in Inferno, Argento affida, quasi fossimo in un film di Godard, alla contessa Elise De Longvalle Adler (Daria Nicolodi): ‘È pittura, non sangue’.

Quando ha appreso la notizia di questa mostra, Dario Argento ha espresso grande soddisfazione:

Sono davvero felice che il Museo Nazionale del Cinema di Torino mi abbia comunicato che uno dei loro eventi previsti per l’inizio del prossimo anno sia una grande mostra dedicata al mio cinema: nel corso della mia carriera, iniziata nell’ormai lontano 1970, ho avuto modo di ricevere diversi apprezzamenti in tutto il mondo, specialmente in Francia, in America, in Giappone; in Italia di recente mi hanno consegnato il David di Donatello alla carriera, ma questo omaggio che il Museo del Cinema di Torino mi dedicherà, mi entusiasma in particolar modo, non solo perché si svolgerà in una città da me molto amata, dove ho avuto modo di girare diversi film e in una sede prestigiosa quale è il Museo del Cinema, ma perché, grazie al lavoro accuratissimo che gli organizzatori e i curatori dell’evento stanno svolgendo – ho avuto modo di visionare in anteprima diversi bellissimi “layout” dell’allestimento – avrò la possibilità di far conoscere anche ai più giovani l’intero mio percorso cinematografico, accompagnandoli all’interno del mio ‘cinema idealista’, fatto di incubi, sogni e visioni, ove la grigia realtà non è mai arrivata e mai ci arriverà. In un film che ho realizzato nel 1993, Trauma, mentre scorrono i titoli di coda l’obiettivo si sposta, continuando a raccontare possibili inizi di altre vicende. Questo perché mi piace credere che i miei film possano conquistare un grande spazio nella memoria dei miei spettatori, diventando anche dopo la visione un tutt’uno con la loro vita. Credo che questa mostra possa rendere ancora più realizzabile, luminoso e concreto questo mio desiderio”.

 

La mostra è accompagnata da un catalogo riccamente illustrato, pubblicato da Silvana Editoriale, contenente una intervista esclusiva a Dario Argento realizzata dai curatori che ripercorre tutte le tappe della sua carriera. Molti i materiali inediti, tra cui i saggi di Mick Garris, Domenico De Gaetano, Marcello Garofalo, Stefano Della Casa, Piera Detassis, Roberto Pugliese, Alan Jones, Domenico Monetti e le testimonianze di Stefania Casini, Franco Bellomo, Luigi Cozzi, Claudio Simonetti, Sergio Stivaletti, Luciano Tovoli, Antonello Geleng, Pupi Oggiano. Completano il volume i fotogrammi tematici di Grazia Paganelli, Matteo Pollone, Fabio Pezzetti Tonion, una dettagliata biografia e le schede di tutti i suoi film.

 

In occasione della mostra, il Museo Nazionale del Cinema di Torino propone una serie di iniziative di approfondimento dei contenuti dell’opera e della vita del Maestro. Appuntamenti speciali con cadenza mensile rivolti alle scuole e a tutte le fasce di pubblico: cine-lezioni, un concorso nazionale in collaborazione con Iter-Città di Torino, proiezioni, il tour alle location torinesi toccate dalla filmografia di Argento e collaborazioni con altre istituzioni culturali, come Solares Fondazione per le Arti, i Musei Civici di Pinerolo, la Cineteca Nazionale – CSC.

 

Rientra in questo ambito anche la retrospettiva filmica completa sull’opera del regista in scena presso il Cinema Massimo. Il programma è strutturato in due fasi, la prima apre al pubblico martedì 5 aprile alle 21.00 alla presenza di Dario Argento con la proiezione della copia restaurata di Suspiria. La seconda parte di cartellone è in calendario per il mese di ottobre.

In occasione di questo importante progetto espositivo che porta luce sulla produzione di uno dei principali autori del cinema italiano, il Museo Nazionale del Cinema di Torino ha disegnato inoltre un complesso di iniziative per il pubblico nel segno della totale accessibilità: DARIO ARGENTO. THE EXHIBIT – FOR ALL. A disposizione del visitatore una serie di schede di consultazione con testi facilitati ad alta leggibilità, una selezione di immagini fotografiche, manifesti visivo-tattili – realizzati cioè con inchiostro in rilievo trasparente – e la descrizione audio dei contenuti testuali. Le schede sono fruibili anche attraverso il sito www.museocinema.it

 

L’inedita video intervista al Maestro presentata in mostra e il testo introduttivo alla mostra sono disponibili nella versione in LIS Lingua dei Segni Italiana, quest’ultimo anche in IS Segni Internazionali. Inoltre, nella stanza dedicata alle colonne sonore, la pedana sensoriale, grazie alla superficie in legno, trasforma in vibrazioni la musica dei film di Dario Argento.

 

La mostra DARIO ARGENTO – The Exhibit è realizzata con il patrocinio del MiC Ministero della Cultura.

 

Per orari, biglietti, prenotazioni e modalità di accesso www.museocinema.it

“Ghiaccio”, angosciosa e lucida messinscena intorno alla mente del serial killer

Il testo di Bryony Lavery sul palcoscenico del Gobetti, sino a domenica 10 aprile

C’è un grumo rosso (come quello che attraversava l’orrore del ghetto di Cracovia sotto l’occhio in bianco e nero di Steven Spielberg in “Schindler’s List”, la bambina tragicamente smarrita e avvolta nel suo cappottino) sul palcoscenico del Gobetti che fino a domenica 10 aprile ospita “Ghiaccio” dell’autrice inglese Bryony Lavery, nella traduzione di Monica Capuani e Massimiliano Farau e messo in scena da Filippo Dini. È l’impermeabile della piccola Rhona, una Cappuccetto Rosso che non è uscita dalla penna dei Grimm ma che è travolta e immersa nell’orrore del nostro quotidiano, che mentre portava alla nonna un paio di cesoie da giardino ha incontrato il lupo cattivo, Ralph, un pedofilo, uno stupratore e killer seriale di bambine e ne è rimasta sopraffatta.

Il testo della pluripremiata (dopo il debutto nel 1998 al Birmingham Repertory Theatre) Lavery – che nel 2019 “The Indipendent” incluse nella sua classifica dei 40 testi teatrali migliori mai scritti – non è una favola, non è neppure l’amaro resoconto di un caso realmente avvenuto pochi o più anni fa, è un raggrupparsi di tante storie diverse, di attimi neri catturati qua e là, laceranti e sconvolgenti, che si raccolgono nella disperazione di una madre, Nancy, e nella distruzione di una intera famiglia, nella tragedia in cui si dibatte il mostro, nello scompiglio della sua mente criminale, nella esistenza angosciosa di una psichiatra americana di origini islandesi, Agnetha, che combatte con il ricordo della morte di un amico e che tra attacchi di panico tenta di portare avanti il proprio intervento, “Serial killer: si può perdonarli?”, e un personale studio secondo cui viene attribuito “a lesioni nei lobi frontali l’assenza di inibizione che induce comportamenti criminali”. Sottolineando che “il mio intervento è un esame critico delle differenze tra crimini frutto di malvagità e crimini frutto di patologia”.

Non soltanto questi tre personaggi. Non li vediamo in scena, ma ne avvertiamo la presenza, debolissima di Bob, il marito di Nancy, ben più presente quella di Ingrid, la figlia maggiore della coppia, attraverso le parole della madre un dolore che muta, che all’inizio affonda nella pretesa consapevolezza di una dolorosa sopravvivenza per poi passare ad una ribellione e al rifiuto di vivere nel culto della vittima, per affrontare un percorso buddistico, un viaggio verso l’Oriente all’inizio poco credibile, un misticismo di profonde radici che saprà liberarla dalle colpe che lei ha immaginato. Il risultato visivo sono quelle interminabili file di bandierine tibetane con cui Dini inonda nella conclusione la sala teatrale, multicolori, leggere, riappacificatrici. Due zone, un prima e un poi, per tutti. Le tre vite principali intrise di crimine e di vendetta, la determinazione a sopravvivere nel gelido stato, nel ghiaccio della conservazione, nel tentativo, nel mestiere di vivere: poi, dopo giorni mesi anni di disperazione e sempre eguali la scoperta del perdono da un lato, l’affrontare con il suicidio la propria cruenta realtà dall’altro. La vita riprendere a scorrere, non è più quella di prima ma porta finalmente con sé un alleggerimento, uno sguardo diverso, lo scioglimento di quel ghiaccio. La disgregazione in qualche modo si ricompone. “Ghiaccio” è uno spettacolo da vedere e applaudire, duro, di massima tensione, “crudele” nelle parole e negli atti, lo sguardo esatto da parte di Dini delle angosce dei personaggi, della disperazione, della morte dentro, che ci mette lucidamente di fronte ad una realtà troppe volte letta sui giornali o vista nei tiggì, in monologhi o in un dialogo aspro e faticoso e rotto, che riversa la propria ansia giù tra il pubblico, in un freddo labirinto inventato da Maria Spazzi, corridoi e plastica, sotto le luci improvvise o accecanti di Pasquale Mari. Uno spettacolo con tre spettacolari interpreti, che rendono appieno gli spasimi, i dolori, le incertezze, il cammino completo di Nancy, di Ralph, di Agnetha: Mariangela Granelli rende con una bravura rara ogni particolare del dolore e dell’inimmaginabile perdono di una madre, Filippo Dini concretizza la fragilità e il terrore come il rimorso del suo killer, Lucia Mascino disegna con magnifica convinzione i momenti di paura e il denso pensiero della sua psichiatra.


A proposito di perdono. Chi frequenti il cinema ricorderà un film del 2009 di Peter Jackson tratto dal romanzo omonimo di Alice Sebold, “Amabili resti”, dove la giovane protagonista Susie – come la Rhona della Lavery – è vittima del vicino di casa, che la violenta e la uccide. Si ritroverà a “sopravvivere” in un passaggio intermedio, tra il mondo terreno e il paradiso, ad osservare anche qui lo sfacelo della propria famiglia e le mosse dell’assassino. Considerate dopo le proiezioni di prova le reazioni degli spettatori, che considerarono le scene della morte del killer non troppo soddisfacenti e rivolte piuttosto ad un’agonia e ad una fine più cruda e atroce, Jackson s’impegnò a rifarle, “ho dovuto creare una scena di morte piena di sofferenza solo per dare alla gente la soddisfazione che desiderava”. Il perdono, in quell’occasione, rivolse gli occhi da un’altra parte. E non credo fosse soltanto pretesa spettacolarizzazione.

Elio Rabbione

Le immagini dello spettacolo sono di Luigi De Palma

Simone Campa & La Paranza del Geco Dalla Puglia al Piemonte

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Osteria Rabezzana, via San Francesco d’Assisi 23/c, Torino Mercoledì 6 aprile, dalle ore 20

Un viaggio tra tradizioni, cibo e storia sul filo di Margherita di Savoia, prima regina d’Italia e cittadina pugliese

Dalla Puglia al Piemonte – ideato da Simone Campa, Osteria Rabezzana, Casa Puglia Piemonte e Pastificio Giustetto – vuole valorizzare l’incontro tra Puglia e Piemonte e celebrare le rispettive tradizioni culturali ed enogastronomiche, musicali e artistiche attraverso l’esperienza, il gusto, la musica popolare.

Un evento all’insegna dell’esperienza conviviale che parte alle ore 20 con un incontro dedicato a Margherita di Savoia, la cittadina pugliese affacciata sul golfo di Manfredonia, a sud del Gargano, sede delle saline più grandi d’Europa. La località è stata intitolata nel 1879 alla prima regina d’Italia, figura storica che più ha influenzato il costume del suo tempo. Un collegamento con il Piemonte pensato in occasione della mostra che Palazzo Madama dedicherà alla regina nel prossimo ottobre.

Si prosegue alle 20.15 con il menù a carta dello chef Giuseppe Zizzo, integrato per l’occasione da piatti della tradizione “margheritana”. Colonna sonora dell’evento, i suoni, i canti ed i ritmi de La Paranza del Geco, vera e propria istituzione culturale di Torino, con i suoi vent’anni di attività artistica in Italia e all’estero.

PROGRAMMA

Ore 20 – L’INCONTRO

Margherita di Savoia, la regina d’Italia, padrona di casa delle più grandi saline d’Europa sulla costa pugliese a sud del Gargano.

Ore 20,15 – LA CENA

Incontri di sapori e ricette pugliesi e piemontesi, con il menù alla carta dello chef Giuseppe Zizzo, affiancato dai piatti della tradizione garganica: incontro tra la Regina e il Re (cipolla bianca di Margherita igp al forno con salsiccia di Bra e crema di toma di Lanzo), zuppetta di mare del Gargano con crostini, fave e cicoria.

Ore 21,30 – IL CONCERTO

I suoni della tradizione con Simone Campa & La Paranza del Geco. Un repertorio speciale dedicato al tema della vita legata al mare, dai canti dei marinai ai lavoratori delle saline, ai testi che si rivolgono alle tradizioni delle sponde nostrane dell’Adriatico e del Mediterraneo. In programma anche musiche dedicate al ballo ed alla festa, attraversando in un viaggio sonoro tutta la ricchezza culturale della Puglia: pizzica e taranta del Salento, tarantelle del Gargano, canti d’amore e serenate dalla Bassa Murgia. Musiche suonate con l’energia coinvolgente ed entusiasmante de La Paranza del Geco, la compagnia musicale fondata e diretta da Simone Campa che festeggia oltre mille concerti realizzati in Italia ed in tutto il mondo e che da oltre vent’anni sintonizza Torino sui ritmi del sud.

Info e prenotazioni

Web: www.osteriarabezzana.it

Tel: 011.543070 – E-mail: info@osteriarabezzana.it

Rock Jazz e dintorni I Ministri e gli Zen Circus

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GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA 

Lunedì. All’Hiroshima Mon Amour si esibiscono I Ministri.Al Teatro Colosseo prima di due date consecutive per Tommaso Paradiso.

Martedì. All’Otium Pea Club suona il LT Trombone Quartet. Al Magazzino di Gilgamesh blues con Max Altieri.Al Concordia di Venaria è di scena Frach Quintale. Al Jazz Club suona il pianista Massimo Danilo Ilardo mentre al Blah Blah si esibiscono i The Whiffs.

Mercoledì. Al Jazz Club jam session blues con Dodo &Charlie. Al Cafè Neruda suona il trio di Sergio Di Gennaro. Al Maffei è di scena il cantautore Apice.

Giovedì. Al Jazz Club si esibisce il trio dell’organista Hammond Yazan Greselin. Alle OGR suonano i Zen Circus. Al Cafè Neruda suona il trio di Luigi Tessarollo con la vocalist Rachel Gould. Al Blah Blah sono di scena gli Ottone Pesante. Al Cap 10100 si esibisce Pier Cortese. Al Magazzino sul Po sono di scena Palumbo e Fabrizio Modenese dei Larsen.

Venerdì. Al Folk Club suona il Ziribop Quartet. Al Cafè Neruda si esibiscono i Derby Mates. Al Blah Blah suonano i Not Moving Ltd. Al Bunker è di scena la Rhabdomantic Orchestra con Balk Saagan e Alek Hidell. All’Arteficio suona il quartetto di Gigi Venegoni e Roberta Bacciolo. All’OffTopic per l’”Hanami Fest” si esibisce Galea, Elasi e Missey. Al Cap 10100 sono di scena Flat Mates 205, The Playground e Rimozione.

Sabato. All’Arteficio suona il Jazzò Quartet. Al Maffei si esibisce Lorenzo Kruger. Al Cafè Neruda si esibisce la cantante americana Kellie Rucker affiancata dal gruppo del chitarrista Fast Frank. Al Concordia di Venaria è di scena Massimo Pericolo. Al Cap 10100 si esibiscono gli Le Endrigomentre allo Ziggy suona il trio Stella Diana. Al Blah Blah sono di scena i Total Recall e gli Anno zero.

Domenica. Sempre al Blah Blah suonano i The Courettes.

Pier Luigi Fuggetta

“Cinemautismo 2022” Al Greenwich Village

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Ritorna in presenza la rassegna cinematografica dedicata allo “spettro autistico”

Sabato 2 aprile

Tre film. Tutti proiettati in una sola giornata, ad ingresso libero, al cinema “Greenwich Village”, in via Po 30, a Torino. L’appuntamento è per sabato 2 aprile, data in cui si celebra la “Giornata Mondiale della Consapevolezza dell’Autismo 2022”. E data in cui ritorna “in presenza”, dopo due anni di proiezioni in streaming, “Cinemautismo”, la prima rassegna cinematografica italiana dedicata allo “spettro autistico” alla sua XIV edizione.

Curata da Marco Mastino e Ginevra Tomei e organizzata dall’“Associazione Museo Nazionale del Cinema” ( con il patrocinio di Regione Piemonte, Città Metropolitana, Città di Torino, Fondazione “Paideia” e “Comitato Siblings Onlus”), l’iniziativa offre al pubblico non solo la possibilità di condividere le storie raccontate dai film in programma, ma anche momenti di dibattito e confronto, da sempre caratteristiche distintive della rassegna. “La possibilità di ritornare in un cinema dopo questi anni ‘virtuali’ – commentano i curatori – ci emoziona moltissimo. Finalmente potremo tornare ad avere uno spazio di condivisione e dibattito perché ‘Cinemautismo’ è anche questo: un’esperienza individuale, ma anche collettiva, in cui ci si parla e ci si confronta, sempre a partire ovviamente dai film, sull’autismo, ma anche su vari aspetti della vita. Quest’anno con ‘Cinemautismo’ attraverseremo continenti (abbiamo film da Argentina, Stati Uniti e Israele) e varie fasi della vita. Parleremo di infanzia, ma anche del divenire adulti e delle relazioni. Cercheremo di affrontare molteplici temi, come molteplici sono gli aspetti della vita delle persone autistiche e – in effetti – di ognuno di noi”. Tre i film in programma, si diceva. Tre film che hanno ricevuto importanti riconoscimenti in alcuni dei più famosi festival cinematografici internazionali. Il tutto concentrato nella giornata di sabato 2 aprile.

 

Si inizia  con “Una escuela en Cerro Hueso” di Betania Cappato, delicato film argentino che racconta l’esperienza della piccola Ema e della sua famiglia in un nuovo villaggio e in una nuova scuola (ore 15.30 “Greenwich Village”). La regista, sorella di una persona autistica, ha ottenuto con questo suo primo lavoro autobiografico la menzione speciale della giuria al “Festival di Berlino” del 2021 nella Sezione “GenerationKPlus”.

La giornata prosegue con la proiezione di “Dina” di Dan Sickles e Antonio Santini, pluripremiato documentario americano – tra cui il Gran Premio della Giuria della sezioni documentari al “Sundance Film Festival” del 2017 – che racconta la storia d’amore tra Dina, eccentrica donna di periferia, e Scott, usciere dei magazzini “Walmart”, entrambi nello spettro autistico (ore 18.00 Greenwich Village).

La sera si conclude con “Here We Are” di Nir Bergman, pellicola israeliana selezionata in concorso ufficiale al “Festival di Cannes” del 2020, che racconta del rapporto tra un padre e il figlio autistico ormai divenuto adulto (ore 21Greenwich Village). Il film, distribuito da “Tucker Film”, uscirà il 5 maggio nelle sale italiane con il titolo “Noi due”.

g.m.

Per info: Cinema “Greenwich Village”, via Po 30, Torino; tel. 011/281823 o www.cinemautismo.it

Nelle foto:

–       “Una escuela en Cherro Hueso”

–       “Dina”

–       “Here We Are”

 

le marionette Grilli per “La Cenerentola”

Un’incredibile riduzione dell’opera di Gioacchino Rossini “La Cenerentola”, approda all’Alfa Teatro di Torino con le marionette della Compagnia Marionette GRILLI  

Tantissimi elementi della storia originale che erano stati trascurati sono stati reinseriti nella vicenda, grazie anche a una scenografia che muta in continuazione…
1-2 aprile alle ore 20.30 e il 3 aprile alle ore 17.00!!
INFO: +39 334 2617947
🎫PRENOTAZIONI E ACQUISTO BIGLIETTI
ONLINE: https://bit.ly/3iAEeSh
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“Tempora mutantur”, secondo concerto di primavera

L’Orchestra Polledro impegnata al teatro Vittoria martedì  5 aprile, nell’ambito della rassegna musicale 

 

Sarà  la musica di Wolfgang Amadeus Mozart protagonista del secondo concerto di primavera in programma martedì  5 aprile prossimo, alle 21, al teatro Vittoria, con l’Orchestra Polledro, nell’ambito della rassegna “Tempora mutantur”.

Sul podio Federico Bisio, direttore stabile d’orchestra, e primo oboe il maestro Carlo Romano, già primo oboe dell’Orchestra della RAI.

In programma la Serenata in Si bemolle maggiore KV 361 denominata  “Gran Partita”, con  Carlo Romano come oboe.

La Serenata n. 10 in Si bemolle maggiore K 361, nota anche come “Gran Partita”, fu probabilmente eseguita il 23 marzo 1784 nell’ambito di una “academie” del clarinettista Anton Stadler, presso il National Hoftheater di Vienna. Un articolo uscito in quell’occasione sul Wiener Blattchen annunciava di “un importante concerto di musica per fiati di un genere particolare, composto dal signor Mozart”.

Il resoconto di Gabriel Wilhelm Steinfeld conferma  che si doveva trattare della “Gran partita”, titolo non originale, ma apposto da mano ignota sul manoscritto  il quale, dopo un passaggio di proprietà, divenne accessibile agli studiosi solo dopo il 1942.

Notizie certe di una esecuzione della “Gran Partita” ci conducono a Vienna nel 1784, quando quattro movimenti della Serenata furono eseguiti  dalla Harmonie, gruppo di fiati di un’orchestra, della Corte imperiale su iniziativa del clarinettista Anton Stadler.

Questa composizione, il cui manoscritto è conservato presso la Gertrude Clarke Whittall Foundation Collection, nella Libreria del Congresso a Washington, si discosta dal tema galante che risultatipico di molte serenate mozartiane precedenti. Questo brano prevede ben tredici strumenti, di cui dodici a fiato e contrabbasso, e rappresenta la più ampia e complessa delle opere di questo compositore. La presenza del contrabbasso ha lo scopo di rendere piena e corposa la linea del basso e, per questo motivo, non è  corretto riferirsi a questa composizione come Serenata per tredici strumenti a fiato. La partitura originale non prevedeva la sostituzione del contrabbasso con il controfagotto; per la prima volta in una partitura di Mozart compare il corno di bassetto, un particolare tipo di clarinetto che suona una quinta sotto e che verrà utilizzato da Mozart anche ne “Il ratto del serraglio” e nel Concerto K 622, per il suo timbro  più scuro e pastoso rispetto al clarinetto classico.

Nel catalogo mozartiano la Gran Partita occupa una posizione di particolare rilievo per la grandiosità  della sua struttura formale, che conta ben sette movimenti, per la felicità dell’invenzione melodica  e armonica, oltre che per l’originalità dell’organico strumentale. Al complesso tradizionale di due oboi, due clarinetti, due fagotti e due corni, Mozart aggiunse una seconda coppia di corni, il contrabbasso e due corni di bassetto, che fanno per la prima volta la loro comparsa nell’opus mozartiano.

L’impianto, che è quello della Serenata, presenta il primo movimento, un Largo, che si apre con un’introduzione lenta, quasi sinfonica, che verrà  utilizzata poche altre volte dal musicista. L’introduzione così lenta in una Serenata risulta un aspetto piuttosto insolito, mentre sarebbe più usuale ritrovarla in una sinfonia o un in un quartetto.

L’Allegro molto, successivo, è  costituito da un solo tema che si sviluppa nella capacità  di dialogo tra i vari strumenti; i successivi sono due Minuetti con trii, che evocano melodie popolari. Tra di loro è racchiuso il celebre Adagio, che costituisce il punto più elevato della composizione e uno dei vertici della musica mozartiana sia per la ricercatezza del suono sia per la dolcezza della melodia e per la sua novità strutturale. Una sola coppia di corni sostiene e accompagna ora l’oboe, ora il clarinetto, ora il fagotto. Una Romanza anticipa il Tema con variazioni, in cui Mozart di volta in volta aggrega timbri strumentali.

Il finale è affidato a un Rondò. Allegro molto è un brano di grande colore, simile a una marcia, dove trova un’efficace espressione lo spirito gioviale e allegro del compositore, trattenuto solo da un uso contenuto del volume degli strumenti.

MARA MARTELLOTTA 

Ente organizzatore:

Orchestra da Camera Giovanni Battista Polledro

info@orchestrapolledro.eu

Biglietti in prevendita 15 euro su www.ticket.it

20 euro la sera del concerto presso il Teatro Vittoria, via Gramsci 4, a Torino, a partire dalle ore 20.

Un concerto in Duomo per le vittime del ponte Morandi

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Concerto dedicato alle vittime del Ponte Morandi, in anteprima assoluta nel Duomo di Torino, sabato 2 aprile, presentato dall’Accademia Corale Stefano Tempia e dall’Accademia della Cattedrale di San Giovanni, con il patrocinio del Rotary Club Torino Duomo

 

Il Ponte Morandi e la sua caduta. Una tragedia da non dimenticare, le cui vittime riceveranno un omaggio da parte della musica.

L’Accademia Corale Stefano Tempia e l’Accademia della Cattedrale di San Giovanni, il Comitato  Ricordo Vittime Ponte Morandi e il Rotary Club Torino Duomo presentano, infatti, in anteprima nazionale, il 2 aprile prossimo alle 21 il concerto del ricordo e della speranza dedicato alle vittime del Ponte Morandi.

Il concerto, in programma in anteprima nazionale nella Cattedrale di San Giovanni Battista in piazza San Giovanni, con il sostegno del Rotary Club Torino Duomo, presenta un programma che abbina tre brani commissionati per l’occasione alla “Pastorale d’ete’” per Orchestra di Honegger e al tenero brano del “Siegfried-Idyll”di Richard Wagner.

I brani commissionati per l’occasione sono il “14 agosto” per mezzosoprano, coro e orchestra di Giuliana Spalletti (è stata il 14 agosto 2018 la tragica data in cui si verificò  il crollo del ponte Morandi di Genova), “Disoriente”, per mezzosoprano e orchestra,di Marco Sinopoli e “Vele di luce”, per mezzosoprano e orchestra,di Giancarlo Zedde.

L’evento, realizzato con il patrocinio del Comune di Genova  e dell’Arcidiocesi  di Genova, oltre  a celebrare la memoria di questa spaventosa tragedia, consentirà al pubblico di  ascoltare in prima esecuzione assoluta tre opere di autori contemporanei, che risultano di ampio respiro, nell’esecuzione della mezzosoprano torinese Laura Capretti e dell’Orchestra e Coro dell’Accademia Stefano Tempia, diretta dal maestro Luigi Cociglio. Dopo la dura fase della pandemia, finalmente Coro e Orchestra tornano a realizzare una grande produzione sotto la direzione del maestro Antonmario Semolini, nuovo direttore musicale. I brani di Spalletti, Zedde e Sinopoli, composti su testi poetici di Bottino, sono in prima esecuzione assoluta.

“14 agosto” risulta la presa d’atto e di coscienza della tragedia avvenuta con il crollo del Ponte Morandi, oltre che una progressiva consapevolezza del fatto che  tale cafastrofe, inizialmente assolutamente incredibile, abbia generato una sorta di dolore cosmico, senza, comunque, mai perdere il contatto con la realtà della cronaca e della storia umana.

Il brano “Vele di luce”  rappresenta un vero e proprio inno alla città di Genova, alla sua anima che è  stata ben descritta dal poeta Anton Cechov con le seguenti parole “Per le strade di Genova  cammina una folla meravigliosa. Quando si esce, di sera, tutta la strada è  colma di gente. Poi te ne vai a zonzo, senza una meta, tra quella folla; vivi della sua vita, ti confondi a lei nell’anima; e cominci a credere che possa esistere una sola anima universale”.

“Disoriente” rappresenta una riflessione sui segni dei tempi che stiamo vivendo, sullo spaesamento,  il disorientamento, lo smarrimento dei punti cardinali tradizionali e sulla necessità  del recupero del senso dell’umanità come bussola per ristabilire una piena alleanza con la natura e una direzione per l’esistenza.

La “Pastorale d’ete’” venne composta da Arthur Honegger nel 1920, appena tre anni prima del “Pacific 231”, la musica delle macchine. Ispirata alla poesia di Arthur Rimbaud, mantenne una provocazione a livello di soluzioni strutturali, in cui la partitura risulta per archi, fiati singoli e corno. È  stata ispirata al compositore anche da un soggiorno sulle Alpi Svizzere sopra Berna e rappresenta il suo primo lavoro  di rilevante importanza prima dell’”Horace vittorieux”, che scrisse nell’inverno del 1920/21.

L’Idillio di Sigfrido è  una composizione per orchestra da camera che Richard Wagner scrisse nel 1870, nata quale regalo di compleanno per sua moglie Cosima, figlia del compositore Liszt, sposata il 25 agosto. La sua prima esecuzione si tenne, infatti  in forma privata nella mattina di Natale di quello stesso anno presso la villa dei Wagner. I due temi principali sono il tema iniziale della Pace, anche chiamato tema dell’”amata immortale”, che evoca, molto probabilmente, la serenità della vita domestica e familiare del compositore in quel periodo, e il tema rappresentante il personaggio di Siegfried. L’orchestrazione originale prevedeva flauto, oboe, due clarinetti, fagotto, due corni, tromba e archi.

Il concerto vuole esprimere una nuova idea di Umanesimo, capace di porre, più che l’uomo, il rapporto uomo-natura al centro di una nuova cosmologia. Questo progetto memoriale dedicato alle vittime del Ponte Morandi segue una costellazione di fatti e stati d’animo, a partire dal crollo, attraverso la lacerazione, la tragedia, quindi il soccorso, la solidarietà,  la rinascita spirituale e il desiderio di riconciliazione e di redenzione, di rinnovamento dell’alleanza tra l’uomo e la natura.

Un sottile fil rouge accomuna i cinque brani proposti nel concerto; si tratta, infatti, di cinque “isole” di un arcipelago il cui centro è costituito dall’impulso, dallo slancio vitale, nonostante tutto, e soprattutto dalla speranza, nonostante l’irrompere del male nella quotidianità.

Si tratta di un’alternanza di forme creative e stilistiche che rappresenta uno degli assi portanti dello spirito e della progettazione dell’Accademia della Cattedrale di San Giovanni, che costituisce il centro di irradiazione culturale e artistica del Duomo di Torino.

Il concerto verrà  poi eseguito il 3 aprile, sempre alle 21, in prima esecuzione nazionale assoluta, a Genova, presso la Basilica della Santissima Annunziata del Vastato, in piazza Nunziata 4, con ingresso libero.

Per informazioni dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 12.30 scrivere a

segreteria@stefanotempia.it oppure telefonare  al numero 3899117174.

 

Mara Martellotta

Il “Berretto” di Lavia, grande esempio di tragicità e divertimento

La commedia di Pirandello, al Carignano sino a domenica 3 aprile

Gabriele Lavia  continua a percorrere le strade che lo portano a esplorare sempre più la drammaturgia pirandelliana, in ultimo “I giganti” e “L’uomo dal fiore in bocca”, oggi “Il berretto a sonagli”, testo che lo scrittore siciliano scrisse per la grande vena comica di Angelo Musco nel 1916, con il titolo “A birritta cu’ i ciancianeddi” per trasportarlo nuovamente due anni in lingua (Eduardo ne consegnerà nel ’36 una versione napoletana) – sino a domenica 3 aprile al Carignano per la stagione dello Stabile torinese.

Con Lavia siamo abituati ad uno scavo profondo all’interno dei testi (tanto per cominciare, s’accoglie di buon grado quella contaminazione che ha deciso tra le due versioni, perché più si avvertano le differenze tra le classi sociali, o le eleganze o le affettazioni), si raffina con uno sguardo in più, ti avvolge sin dall’inizio della serata con quei manichini (o “pupi”) che scorgi entrando in sala, ai lati del palcoscenico, estremamente realistici, che diverranno una quindicina a sipario aperto, la gente del piccolo paese, curiosa, soffocante, pronta a giudicare, che vive di pregiudizi, vestita nelle vesti di primo Novecento, eleganti e no, tra cui si consumerà la tragedia di quell’uomo ridicolo che è Ciampa, lo scrivano del cavalier Fiorica, un uomo da poco, ma anche noi spettatori che assistiamo alla sua parabola.

In un ambiente altrettanto soffocante, costruito di mobili e piante e divani e poltrone sghembi, che esprimono un stato polveroso di precaria decadenza, ecco il calvario di Beatrice, la moglie del cavaliere, i suoi dubbi per una relazione tra il consorte e la giovane moglie dello scrivano, lemacchinazioni perché – come nel “Così è (se vi pare)” di quegli stessi anni – la verità venga alla luce. Ma perché rompere quelle regole che da sempre regolano la vita della città e la sua gente, perché nascondersi alle domande di Ciampa che le chiede di parlar chiaro, da galantuomo dando libero sfogo alla corda seria, perché non riuscire a vedere quelle conseguenze che porteranno al finale? Perché arrivare ad un arresto, ad uno scandalo? Si è scoperchiato il vaso, la gente mormora e parla a voce viva, le prove di quell’adulterio da grottesca ma dolorosa commedia non hanno valore, non esistono, bisognerà rimettere a tacere quel borbottìo che ha preso a invadere le strade del paese. È necessario riattivare la corda civile, sovrana al nostro vivere con gli altri, certe cose si possono anche fare, ma non se ne può dire. Più “raisonneur” di un Laudisi o dei tanti altri che occupano i dialoghi delle opere dell’autore, Ciampa, pronto a evadere dalla sua “stanza della tortura”, acchiappa al volo le parole degli stessi congiunti della signora, improvvise, pronunciate inavvertitamente, come un soffio, ma bandolo di ogni intricata matassa. Beatrice si proclamerà pazza, la pazzia di un momento ma irreparabile (quella pazzia che, verissima, toccava in quegli stessi anni Pirandello, costretto a far rinchiudere in un istituto la moglie Antonietta Portulano colpita da una follia fatta di gelosia e di terrore per un dissesto economico), basterà gridare in faccia a tutti la verità, nessuno la crederà e tutti la prenderanno per pazza, con grande tranquillità. La rottura della corda pazza. Pochi mesi di manicomio (che brutta parola, diciamo con il sorriso in faccia casa di salute!) e il gioco di sempre sarà ristabilito. Ancora una volta verità e finzione, realtà e camuffamenti, il gioco delle maschere da indossare, di volta in volta, secondo come gli altri ci vedono, come vorrebbero che fossimo.

C’è farsa e c’è tragicità in una delle più belle commedie di Pirandello e Lavia orchestra ogni cosa con grande, personalissima padronanza. Affida ai personaggi minori la risata e il divertimento – sempre con una piega brusca alla bocca, un pensiero fatto di tristezza, un capovolgersi della situazione in smarrimento, ma sempre divertimento – mentre, in un andare e venire di ombre scolpite sulla tela, a tratti incessante e incombente, da una tela a lato dalla quale Beatrice e Ciampa soli entrano ed escono, raccoglie in sé lo scorno, la disperazione, i ragionamenti, il “selvaggio piacere” che progrediscono man mano nel personaggio. Costruisce un personaggio perfetto, nella sospensione delle parole, nel modulare i toni della voce, nel muoversi attraverso il palcoscenico con gesti minimi, studiatissimi, decisi o impacciati, perfetto nel darsi in pasto agli altri. Gli è accanto Federica Di Martino, ossessionata e decisa, eccellente in quel disegno che architetta, nella rabbia e nel desiderio di rivincita che ritrova in se stessa, nel disorientamento che l’assale, nella sconfitta ultima. Non ultime le prove di Mario Pietramala (il delegato Spanò) e di Francesco Bonomo (don Fifì), che vive la propria vita tra le canzoni d’epoca buttate nell’aria da un grammofono e si muove e danza allegramente come un assiduo frequentatore di café chantant, ben assente dalla tragedia che s’è abbattuta sulla casa della sorella.

Elio Rabbione

Le foto dello spettacolo sono di Tommaso Le Pera