società- Pagina 65

I figli di coppie gay

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Lo stop del Prefetto al sindaco di Milano alla trascrizione dei figli di famiglie omogenitoriali  ha suscitato un vespaio di polemiche.
 Gli attacchi al governo che applica la vigente legge, sono stati roventi. Non si parla di famiglie gay, ma di coppie gay, non è una differenza di poco conto. Che il Senato abbia bocciato  il “certificato europeo di filiazione”non credo sia uno scandalo e non necessariamente quel voto ci fa identificare  con l’Ungheria illiberale. Qui non si tratta di non tutelare i figli delle coppie gay, ma di accertare se l’affitto dell’utero come e’ stato definito un po’ brutalmente, sia lecito o non lo sia.
Giustamente si parla di coppie gay e non di famiglie, come alcuni invece le definiscono del tutto impropriamente. Credo che sia ancora lecito dire che l’utero in affitto stravolge totalmente l’idea di famiglia. Due donne o due uomini come genitori a me non sembrano accettabili perché distorcono in partenza   l’educazione dei figli. La famiglia e’ quella formata da  un uomo e  una donna, come dice la laicissima Costituzione italiana.  I diritti dei figli vanno tutelati sempre, ma il problema sono i genitori e il non diritto di generarli attraverso l’utero in affitto che la legge italiana per ora  non consente . Per altri versi non esiste negli ordinamenti un matrimonio gay, ma esistono le unioni civili . Esse non contemplano la “nascita “ di figli. La strada potrebbe essere l’adozione ma anche qui avrei delle forti riserve.
La sola idea di andare contro la natura che stabilisce  senza margini di dubbio che la procreazione si realizza attraverso il rapporto sessuale tra un uomo e una donna, mi sembra degna di una riflessione  approfondita. Anche lo Stato più laico non può stravolgere la natura.
Non confondiamo i diritti con i desideri e non dimentichiamo anche i doveri imposti ai genitori. Sarò attardato e oscurantista, ma io non riesco ad unirmi al coro anche questa volta. Io scelgo sempre il libero pensiero, mai l’omologazione. Anche  in questa occasione dissento perché capisco il problema umano, ma non accetto lo stravolgimento dell’idea di famiglia che offende la dignità stessa della donna ridotta a fattrice che il femminismo, ma non solo, non potrà mai accettare.

Tempi difficili: guerra, pace. A Biennale Tecnologia

Biennale Tecnologia, un progetto del Politecnico di Torino, e l’Istituto dell’Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani

 

presentano:

TEMPI DIFFICILI

“Guerra, pace”

Da marzo a giugno 2023, 9 incontri gratuiti e aperti a tutti.

Un percorso di approfondimento con esperti e docenti d’eccezione

per riflettere sul tema della guerra e della pace da prospettive inedite.

Tra gli ospiti Rosa Elena Manzetti, Matteo Nucci, Maria Luisa Boccia, Francesca Mannocchi, Riccardo Noury, Carola Frediani, Nathalie Tocci, Nicola Verola, Raul Caruso, Massimiliano Panarari. Concluderà il ciclo lo spettacolo “Antigone e i suoi fratelli” di Gabriele Vacis con PEM (Potenziali Evocati Multimediali)

Dopo il successo ottenuto con la prima edizione di “Tempi difficili”, una serie di lezioni online dedicate alla pandemia Covid-19 e seguite dal 2021 a oggi da oltre 40.000 persone, quest’anno Biennale Tecnologia – un progetto del Politecnico di Torino – e l’Istituto dell’Enciclopedia Italiana propongono un nuovo percorso di approfondimento con l’obiettivo di offrire al pubblico un’opportunità unica per riflettere in maniera rigorosa su un altro tema di grande attualità: la guerra e la pace.

Viviamo infatti in un mondo segnato dai conflitti (non solo in Ucraina ma anche in molte altri parti del mondo), con prospettive che hanno indotto gli scienziati contrari alla guerra ad avvicinare il famoso “orologio dell’Apocalisse” ad appena 90 secondi alla metaforica mezzanotte, ovvero la catastrofe nucleare. In questo contesto, al Politecnico e a Treccani è sembrato importante ragionare sulla guerra e sulla pace da prospettive inedite, sganciate dalla contingenza quotidiana, ma proprio per questo forse più adatte a comprendere davvero che cosa stiamo vivendo e quali prospettive si delineano all’orizzonte.

“Istituzioni come il Politecnico e Treccani nascono con la vocazione di dare risposte alla società che le circonda e di cui sono parte integrante – sottolinea Guido Saracco, Rettore del Politecnico di Torino – L’iniziativa Tempi difficili è stata concepita con lo scopo di approfondire, con una doppia prospettiva umanistica e scientifica, i temi legati ai grandi cambiamenti del mondo di oggi. Dopo la prima serie dedicata alla pandemia di Covid-19, con ‘Tempi difficili: Guerra, pace’ vogliamo trovare una chiave di lettura al dramma della guerra, tornata improvvisamente in Europa dopo decenni.”

 

“La collaborazione con Biennale Tecnologia prosegue con un ciclo di incontri sul tema guerra e pace – spiega Massimo Bray, Direttore Generale dell’Istituto Treccani – che rimanda all’attualità ma la proietta in un orizzonte storico più ampio, e prova a offrire al pubblico voci, prospettive e punti di vista non scontati.”

“Comprendere i grandi temi che riguardano l’umanità e il pianeta è possibile solo col contributo di molti saperi in dialogo tra loro – affermano Juan Carlos De Martin e Luca De Biase, curatori scientifici di Biennale Tecnologia – “È la formula che caratterizza Biennale Tecnologia fin dalla prima edizione del 2019 e che caratterizza anche “Tempi difficili”.

 

“Tempi difficili: Guerra, pace” si struttura come un ciclo di nove incontri che tra il 15 marzo e il 7 giugno vedrà intellettuali, esperti e artisti di chiara fama gettare luce su nove aspetti distinti – importanti ma spesso trascurati – della guerra e della pace, viste e indagate di volta in volta attraverso le lenti della psicologia, della letteratura, delle donne, dell’infanzia, del digitale, della diplomazia, dell’economia, della propaganda e, infine, del teatro. Tra gli ospiti di un programma che è fin da ora disponibile online sulle rispettive pagine dedicate all’iniziativa – www.polito.it/tempidifficili e www.treccani.it –, Rosa Elena Manzetti, psicoanalista e membro dell’Istituto Psicoanalitico di Orientamento Lacaniano (che dà il via alla serie di incontri il 15 marzo alle ore 18.00 al Politecnico di Torino); lo scrittore e studioso di pensiero antico Matteo Nucci (Roma, 31 marzo); Maria Luisa Boccia, scrittrice e presidente del Centro per la Riforma dello Stato (Torino, 13 aprile); la giornalista e scrittrice Francesca Mannocchi e il portavoce di Amnesty International Italia Riccardo Noury (Roma, 17 aprile); Carola Frediani, giornalista, saggista, responsabile del progetto d’informazione indipendente guerredirete.it (Torino, 26 aprile); la politologa e direttrice dell’Istituto Affari Internazionali di Roma Nathalie Tocci e Nicola Verola, diplomatico e docente di Modelli e tecniche di negoziazione nell’Unione Europea all’Università LUISS “Guido Carli” di Roma (Roma, 4 maggio); l’economista Raul Caruso, docente di Economia politica all’Università Cattolica di Milano (Torino, 23 maggio); il sociologo Massimiliano Panarari, docente di Comunicazione politica all’Università LUISS “Guido Carli” di Roma (Roma, 30 maggio). Concluderà il ciclo di incontri lo spettacolo “Antigone e i suoi fratelli” di Gabriele Vacis, regista teatrale e drammaturgo, con Potenziali Evocati Multimediali (Torino, 7 giugno).

Tutti gli incontri di “Tempi difficili: Guerra, pace”, ciascuno della durata di circa un’ora, si svolgeranno in presenza in parte a Torino, presso il Politecnico, e in parte a Roma, nella sede dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, e saranno contemporaneamente trasmessi in diretta streaming sui canali YouTube del Politecnico e di Treccani, per poi rimanere disponibili gratuitamente online per una loro visione in differita.

“Secondo Costituzione”, incontro sulla pena carceraria

Il Gruppo Consiliare Torino Libero Pensiero e

l’Associazione Culturale Libero Pensiero organizzano:

 

SECONDO COSTITUZIONE

La pena carceraria

Mercoledì 15 Marzo ore 18.00

 

Sala delle Colonne

Palazzo Civico

Piazza Palazzo di Città 1, Torino 10122

 

L’associazione culturale Libero Pensiero, è attiva in ambito culturale e politico e promuove incontri ed iniziative, per offrire occasioni di riflessione, partecipazione, esprimendo attenzione e interesse nel cogliere i temi sociali più significativi dell’attualità e le dinamiche che li sovrintendono. Da poco ha  rinnovato le sue cariche, confermando Pino Iannò, come Presidente che porterà il proprio saluto e ha organizzato un incontro dal titolo:

 

“SECONDO COSTITUZIONE”

La pena carceraria

 

La scelta del tema e del titolo è stata fatta per divulgare e conoscere i contenuti ed i valori della Costituzione italiana e parallelamente affrontare un tema molto delicato come la pena carceraria.

Per l’occasione sono stati chiamati relatori esperti, che sapranno mettere in luce le problematiche, le criticità cogenti come le soluzioni e le proposte per offrire un quadro articolato da cui trarre una maggiore comprensione del fenomeno.

L’obiettivo specifico della tavola sarà quello di fare chiarezza sulla funzione e la dimensione reale del sistema carcere.

 

Parteciperanno alla tavola rotonda professionisti di comprovata esperienza sul tema:

 

il Direttore del carcere milanese di Bollate Giorgio Leggieri,

 

la scrittrice Sybil von der Schulenburg,

fondatrice dell’associazione “Artisti dentro Onlus”

 

l’Architetto Cesare Burdese, esperto in edilizia penitenziaria

 

Davide Mosso, Avvocato della Camera Penale Vittorio Chiusano

 

Modera l’incontro

Edmondo Bertaina, Direttore GazzettaTorino

 

L’incontro è libero e aperto a tutti.

 

La molteplicità delle tematiche sociali richiamate dagli articoli delle norme costituzionali saranno oggetto di interviste rivolte a figure professionali che quotidianamente le affrontano. Le interviste verranno pubblicate su GazzettaTorino, testata online cittadina con cui è stata avviata una collaborazione.

I contenuti delle interviste e delle tavole rotonde andranno a costituire la collana SECONDO COSTITUZIONE con la pubblicazione dei “Quaderni di Libero Pensiero”.

Lovers Film Festival, inizia il conto alla rovescia

La più antica rassegna cinematografica sui temi LGBTQI+ d’Europa e terza nel mondo

(Torino, 18 – 23 aprile 2023, Cinema Massimo – Museo Nazionale del Cinema)

 

Il 18 marzo anticipazione del festival con l’anteprima nazionale di

Stranizza d’amuri di Giuseppe Fiorello presente in sala con Vladimir Luxuria

 

Omaggio a Maurizio Costanzo con la proiezione di Una giornata particolare

il film di Ettore Scola di cui ha firmato la sceneggiatura

 

Presidenti delle tre sezioni competitive i rappresentati di alcuni dei principali festival LGBTQI+ d’Europa

(Gran Bretagna, Ucraina e Estonia)

Inizia ufficialmente il conto alla rovescia del Lovers Film Festival, il più antico festival italiano sui temi LGBTQI+ (lesbici, gay, bisessuali, trans, queer e intersessuali) diretto da Vladimir Luxuria e fondato da Giovanni Minerba e Ottavio Mai che si svolgerà dal 18 al 23 aprile 2023 presso il Cinema Massimo, la multisala del Museo Nazionale del Cinema di Torino.

 

L’anteprima nazionale di Stranizza d’amuri

Il 18 marzo, alle 19.30, al Cinema Nazionale (biglietti: https://cctorino.18tickets.it/film/16135 – https://nazionale.cctorino.18tickets.it/) – in anteprima nazionale – verrà proiettato Stranizza d’amuri, il nuovo film di Giuseppe Fiorello presente in sala con la direttrice di Lovers Vladimir Luxuria. La pellicola sarà poi nei cinema italiani dal 23 marzo.

Dedicato a Giorgio e Antonio, vittime del delitto di Giarre, avvenuto nel 1980 in provincia di Catania il film è diretto da Giuseppe Fiorello: attore, regista, sceneggiatore e produttore. Stranizza d’amuri è il suo primo lungometraggio da regista per il cinema.

Sicilia 1982. Mentre le televisioni trasmettono i mondiali di calcio e gli italiani sperano nella coppa del mondo, due adolescenti sognano di vivere il loro amore senza paura.

Gianni e Nino si incontrano per caso e poi si amano per scelta.

Il loro amore sarà puro e sincero, ma non può sottrarsi al pregiudizio del paese che non comprende e non accetta. Il loro amore non sarà compreso nemmeno dalle rispettive famiglie, generando così un conflitto interno forte e doloroso.

Stranizza d’amuri racconta il sogno di amarsi senza paura.Nel cast del film, prodotto da Eleonora Pratelli e Riccardo Di Pasquale e distribuito da Bim Distribuzione, Gabriele Pizzurro, Samuele Segreto, Fabrizia Sacchi e Simona Malato.

Una produzione Iblafilm, Fenix Entertainment con Rai Cinema e in associazione con Silvio Campara, Golden Goose e Generalife.

L’omaggio a Maurizio Costanzo

Lovers, quest’anno, renderà omaggio a Maurizio Costanzo, a pochi mesi dalla sua scomparsa, con la proiezione di un capolavoro di cui firmò la sceneggiatura: Una giornata particolare (1977) diretto da Ettore Scola e interpretato da Sophia Loren e Marcello Mastroianni. Il film, che ha ottenuto 2 candidature agli Oscar e ha vinto 3 Nastri d’Argento, 2 David di Donatello e vinto un premio ai Golden Globes, è ambientato nella Roma fascista del 1938. La città è in festa per l’arrivo del Führer in visita al duce e, in un edificio popolare Antonietta, distrutta dalle gravidanze e dalle fatiche, apre la gabbietta del merlo che va a posarsi sul davanzale di un appartamento di fronte al suo. Quello di Gabriele, ex annunciatore dell’EIAR che sta preparando la valigia in attesa di andare al confino perché omosessuale. Mentre la radio continua a trasmettere la radiocronaca dell’incontro tra Hitler e Mussolini, Antonietta e Gabriele si rispecchieranno l’una nell’altro.

A Maurizio Costanzo devo molto, anzi moltissimo – commenta Vladimir Luxuria – e vorrei usare il plurale. Dobbiamo moltissimo. Perché è stato il primo a sdoganare in tempi non sospetti, in Tv nelle trasmissioni di massa, temi ostici come la lotta all’omofobia, l’omosessualità e l’identità di genere come nel mio caso. Invitandomi spesso ai suoi talk show a cui sono stata anche con mia madre. Ma gli dobbiamo anche riconoscenza e gratitudine per aver scritto la sceneggiatura di uno dei film più belli della storia del cinema italiano: Una giornata particolare, una pellicola ancora molto attuale che tratta il tema della censura e che racconta poeticamente due solitudini che si incontrano”.

 

I presidenti di giuria, i film e le sezioni competitive

Il programma comprenderà circa 60 titoli tra lungometraggi, documentari e cortometraggi provenienti da tutto il mondo. Tre le sezioni competitive principali: All The Lovers, concorso internazionale lungometraggi; Real Lovers, concorso internazionale documentari e Future Lovers, concorso internazionale cortometraggi.

Le tre giurie, per la prima volta nella storia del festival, saranno presiedute dai rappresentati di alcuni dei principali festival LGBTQI+ d’Europa.

 

“L’anno scorso la scelta dei presidenti di giuria era legata alla militanza e alla storia del movimento omosessuale italiano, quest’anno invece abbiamo deciso di chiamare i rappresentanti di festival cinematografici internazionali a tematica LGBTQI+ per rimarcare il ruolo del cinema e della cultura in generale nella lotta per i diritti” afferma Vladimir Luxuria.

Per il concorso internazionale lungometraggi: Brian Robinson, programmer del BFI Flare, LGBTQIA+ Film Festival di Londra.

Per il concorso internazionale documentari: Bohdan Zhuk che lavora al Kyiv International Film Festival Molodist, il più importane festival cinematografico ucraino, per cui cura anche la selezione di Sunny Bunny, il programma a tema LGBTQI+ della manifestazione.

Per il concorso internazionale cortometraggi: Tiina Teras responsabile della programmazione di Festheart, il primo festival a tematica LGBTQI+ estone.

 

Gli altri premi

Una giuria di giovani studenti assegnerà poi il premio Young Lovers – Matthew Shepard scegliendo un film del concorso internazionale lungometraggi.  Verrà assegnato un premio speciale dedicato a Giò Stajano che Lovers, da un’idea dello scrittore Willy Vaira e di Claudio Carossa, dedica alla memoria di Giò Stajano, una delle figure più importanti e significative della cultura LGBTQI italiana. Il premio Torino Pride, verrà assegnato dal Coordinamento Torino Pride, in collaborazione con l’associazione Amiche e amici della cultura e del Festival del Cinema LGBT, a un film che rappresenti al meglio la lotta e la militanza della comunità LGBTQI+.

Infine il premio Riflessi nel Buio, dedicato a un film realizzato in un Paese dove la condizione omosessuale è un pericolo e un rischio a volte per la vita.

Vauro Senesi per il Lovers Film Festival

È Vauro a firmare l’immagine 2023.

“Stiamo vivendo un periodo di immobilismo rispetto ai diritti della comunità LGBTQI+. Come se tutti fossimo attaccati a una fune. L’immagine che ha pensato per noi Vauro e che ci ha donato porta invece con sé una speranza: che un giorno la fune si possa spezzare e che finalmente le nostre vite e la nostra dignità possano prendere il volo.

 

Noi, con il cinema, cerchiamo di volare e di far volare il nostro pubblico con la fantasia ma speriamo anche che a questa nostra battaglia culturale possa seguire presto una battaglia politica: confido che potremo non solo festeggiare presto il quarantennale del festival ma anche il raggiungimento di nuovi traguardi sociali con la conquista di nuovi diritti” commenta la direttrice Vladimir Luxuria.

Dicono. Dicono che l’aquilone sia simbolo di libertà. Vola, volteggia nel vento. Ma. Ma è legato ad un filo. Quel filo può essere duro come il pregiudizio, può essere resistente quanto l’odio, freddo come l’insofferenza. Quel filo può essere una catena. Libertà è che la catena, il filo si spezzi. È il vento la libertà, non l’aquilone, pur con tutti i suoi nastri e colori. Il vento non ha colore ma soffia o sussurra dove vuole. Il vento può liberare l’aquilone se il filo si rompe” afferma Vauro.

Vauro Senesi, noto semplicemente come Vauro, è giornalista, scrittore, vignettista satirico, ha effettuato come inviato diversi reportage dall’Iraq, dalla Palestina, dall’Afghanistan, dalla Sierra Leone, dal Sudan, dall’Ucraina. Ha firmato vari libri e collaborato con varie testate giornalistiche fra cui Il Manifesto e, oggi, Il Fatto Quotidiano.

Molte anche le collaborazioni con la televisione: con la trasmissione di informazione Annozero, condotta da Michele Santoro; dal 2011 con Servizio Pubblico su La7. Per L’aria che tira ha curato la rubrica Il Vauro che tira.

Il Lovers Film Festival è realizzato dal Museo Nazionale del Cinema di Torino e si svolge con il contributo del MiC, della Regione Piemonte e del Comune di Torino.

Le immagini sono scaricabili a questo link:

https://drive.google.com/drive/folders/1GoJ-Qmfp1BoW3ZCcC_B1hgOgPT5NiUvg?usp=share_link

Quarant’anni fa, a Vallette… I “migliori anni” della mia scuola

COSA SUCCEDE(VA) IN CITTÀ 

“Born to run”: da Bruce Springsteen, 1975 / “Facce da scuola” 1

Ricordati che sei a Vallette! Qui siamo in trincea! L’avvertimento, scaraventatomi addosso in sincera amitié, mi giunse forte e chiaro. Senza alternative. Come dire adesso sei in barca insieme a noi e vedi di remare nella giusta direzione. Se mai ci fosse stato bisogno – e ce n’era, eccome! – di darmi un minimo di rassicurante energia, forse (pensai in prima battuta) non ero proprio incappato, al mio primo giorno di scuola, nella persona giusta.

Gianni Milani

Ma quelle parole – lo capii ben presto – erano un mix perfetto di innata ironia e di profonda verità che mi rendeva decisamente complice la risonante parlata romagnola e il dinoccolato gesticolare, fra una tirata di “cicca” e l’altra (in quegli anni in Sala Docenti si poteva ancora fumare) di quello che era allora il vicepreside della “Carlo Levi”, l’indimenticabile Roberto Ghinelli. Ad anno scolastico 1975-’76 già avviato, arrivavo al civico 9 di via delle Magnolie, con il mio carico di perplessità ed emozioni (dicasi pure: paure), dopo avere insegnato per un paio d’anni agli adulti delle serali e perfino- nell’ambito dei cosiddetti corsi Cracis- ai militari, in quella scuola media di corso Matteotti che allora era titolata a “Lorenzo il Magnifico” e che oggi credo essere la succursale della “Meucci”. In precedenza, durante gli ultimi anni universitari, avevo avuto anche la fortuna (purtroppo oggi merce assai rara per i nostri giovani) di fare un po’ di supplenze in alcune scuole medie di Torino e provincia e in due Istituti Superiori della città: uno per Geometri dalle parti di corso Belgio e l’altro in via della Rocca, quel grandioso “Istituto Statale d’Arte per il Disegno di Moda e Costume” (dal ’78 “Aldo Passoni”), fondato nel 1955 dal mitico Italo Cremona, pittore scenografo costumista e arredatore cinematografico, scomparso a Torino nel dicembre del ‘79. Varie e molteplici esperienze. Tutte fortemente pregnanti sotto l’aspetto della crescita professionale. Ma alle Vallette di quegli anni mi attendevano un mondo ed esperienze completamente nuove. Ora il gioco si faceva duro. Volevi fare il professore? – mi dicevo – Accomodati e dimostra adesso di esserne capace. In via Coazze sede allora del Provveditorato e davanti a solerti – pur di esaurire il fastidioso compito di accasare tutti i “questuanti”- funzionari, avevo firmato giorni prima, in un alto scrosciare di liberatori applausi da parte dei tanti “cari” colleghi, il mio “connubio” con la scuola che portava il nome del grande pittore e scrittore torinese del Cristo si è fermato a Eboli. Scuola di cui non conoscevo nulla, se non la collocazione. E la fama, non proprio idilliaca. Così con questo entusiasmante (?) background alle spalle, m’imbattevo una bella mattina d’autunno, in una luminosa Sala Docenti occupata quasi per intero da un lungo tavolo ligneo attorno al quale sedevano alcuni prof. con pile di compiti da correggere e registri da compilare, accolto dal pacioso avvertimento del buon vicepreside riminese Ghinelli, seguito da una di quelle sue caratteristiche e larghe risate che riempivano di fragorose cascate d’allegria “alla Casadei” i corridoi e le aule e la presidenza e la segreteria e ogni più piccolo meandro o anfratto della scuola.
A quel primo incontro con Roberto (braccia rubate alle spiagge riminesi) si accompagnò il bonario sorriso di un altro collega con cui avrei stretto fin da subito una profonda amicizia, quel Franco Molinaro calabrese di Paola che insegnava Educazione Tecnica e che addosso sembrava portarsi in modo assolutamente garbato e discreto una silenziosa e tenera malinconia, legata forse alla memoria della sua terra e dei famigliari che aveva da poco lasciato. Ben arrivato, mi disse Franco mostrandomi i cassetti personali degli insegnanti. Avanti tutta, fratello!Mi rincuorò, porgendomi la mano con un gesto pontificale, il tonante a valanga – jeans, una piccola croce sul maglione a girocollo blu e ciuffo ribelle catapultato in fronte – don Ruggero Marini, vicentino di Thiene e collega di Religione che quattro anni dopo celebrerà le mie nozze con Patrizia. In fondo il Bronx è tutta un’altra cosa, gli fece eco Rodolfo D’Elia, saggio collega di Inglese che, in ricercato look english riattato alle esigenze del luogo, mi spinse sottobraccio in corridoio ( il braccio della morte mi “rassicurò” un’altra avvenente collega di Lettere che sembrava per caso appena piombata lì da Marte) verso l’aula a me destinata. Una Terza: sezione F. Una ventina di facce incuriosite. Neppure un accenno ad alzarsi in piedi. Comodi, comodi!Voce tremula e battutaccia da “splendido” che non arrivò, manco di sghimbescio, com’era prevedibile, ai mittenti. Così tanto per conoscerci, io mi chiamo Gianni Milani…  Embé e a noi?! La muta risposta che mi parve di intuire sulle facce dei più. Alzai lo sguardo e – chissà perché – fu allora che in testa, mi risuonò come pura energia la voce rabbiosa e arrugginita del “Boss”, in quel pezzo memorabile che ogni mattina facevo risuonare, volume a palla, nella raffazzonata autoradio  della mia vecchia Carolina: We gotta get out while we’re young/ Cause tramps like us, baby we were born to run /Dobbiamo fuggire finché siamo giovani … o finché siamo in tempo?mi veniva da correggere e interpretare, se non fosse che subito dopo mi sentivo patentato dallo stesso “Boss” ad essere nato per correre.

Restai dunque ancorato a quei giovani occhi – una quarantina – che mi sfidavano, chi più chi meno, con grintosa strafottenza. Ce l’avrei fatta? Dovevo. Dovevo correre. Correre e non fuggire! Ricacciare e spernacchiare quell’ intrigante voglia di vil fuga. Davanti a me, una corsa che più a ostacoli non si poteva. Ma uno per uno, quegli ostacoli me li sarei pappati tutti. A quel punto ne ero fortissimamente e – forse con una buona dose di presuntuosa incoscienza –  più che mai certo e convinto.

Perché i vagabondi come noi, baby, sono nati per correre.

Gianni Milani

Una speciale Festa del Papà

Riceviamo e pubblichiamo

Le Associazioni Mantenimento Diretto, Ancore e Misericordia SpA organizzano per la Festa del Papà un evento che vuole celebrare un figura importante per la crescita e lo sviluppo dei figli, ma che troppo spesso viene messo in secondo piano quando si verificano delle separazioni.

Una consapevolezza, questa, non sempre facile da acquisire e maturare, relegando il ruolo paterno al solo dispensatore di stabilità economica a danno della parte affettiva ed educativa che il ruolo genitoriale, invece, impone.

Il 18 marzo il desiderio è allora quello di festeggiare tutti i papà, soprattutto quelli che ogni giorno lottano per poter donare affetto e continuare a essere parte attiva nella crescita dei propri figli.

L’appuntamento è per le ore 15:00, in via Garibaldi 1, a Torino: previsti un breve dibattito sul tema, un saluto ai partecipanti e un evento musicale molto suggestivo, con un duo che suonerà musica celtica con violino e arpa.

 

Tour “Fatto-a-mano” 2023 Sabato 18 marzo in Borgo San Paolo

Entriamoinbottega!

Visitare Borgo San Paolo  è impossibile  tanto è vasto ed anche un po’ dispersivo.  Ma esiste un rione  del quartiere  che in qualche modo ne  rappresenta uno dei simboli storici:    in Via Lancia il noto Grattacielo   Lancia, emblema  di tante trasformazioni e  vocazioni della zona. Da lì partirà il nostro  Fatto-a-mano Tour  all’ombra dei 17 piani  di quello che oggi si chiama ‘Spazio Lancia ‘. Guidati da Cristina Mairano dell’agenzia ‘Il Mondo in Valigia’ arriveremo in un Laboratorio  di ceramiche.  Quindi   lunga sosta in uno spazio che respira e contagia  creatività . Un interno cortile  non   in vista  dove opera con un taglio  innovativo una stilista  e creatrice di gioielli  di  sapore internazionale , Barbara Ebbi, in arte Malaika . Sarà  bello  ascoltare in quello spazio anche un’altra artigiana   che opera  perlopiù all’esterno o comunque in interni  impegnativi:   Paola  Gilardi,  restauratrice di opere murali e decoratrice  d’esterni. Per  fare infine tappa nella Libreria Binaria del gruppo Abele. Libri e artigianato  sta diventando  infatti uno dei valori  aggiunti  dei nostri Tour  che del territorio intendono cogliere   tutti   i   plus  culturali. Gran finale con il consueto e riposante aperitivo.  Con presente  una scrittrice che vive nel Borgo e ce ne racconterà la sua esperienza.

Programma

Ore 10 – punto di ritrovo in via Lancia 27 per conoscere  la trasformazione del Borgo. Lungo il percorso visite alle botteghe.

Ore 12 – A fine visita, aperitivo presso L’Osteria del Tranviere ,  con letture

Quota di partecipazione22 euro a persona

Per info

Organizzazione tecnica ONEIROS Incoming By IL MONDO in VALIGIA di C. & D. Viaggi sas

Via Caraglio 6/b – 10141 Torino – Tel 011.7732249 – Cell 3288811318
www.oneirosviaggi.itwww.mondoinvaligia.it – info@mondoinvaligia.it

www.fatto-mano.it  info@fatto-a-mano.it

Un hub logistico per la Salute

Si chiama LOSA 2 ed è il progetto di HUB LOgistico della SAlute per l’insediamento in Piemonte di una piattaforma logistica dedicata al “mercato della salute” e alla crescita del settore Life Sciences. Presentato  alla Camera di Commercio di Torino, è il risultato dello Studio di Prefattibilità realizzato dal Consorzio Insediamenti Produttivi, in collaborazione con Confindustria Piemonte, Bioindustry Park Silvano Fumero Società Benefit, IRES – Istituto Ricerche Socio Economiche del Piemonte, Sertec Engineering Consulting e con il contributo della Camera di commercio di Torino.

Il progetto, lanciato in un primo incontro svoltosi nel marzo 2022, è nato con l’obiettivo di mettere a sistema un modello logistico distributivo basato sulla concentrazione degli attuali magazzini in ambito farmaceutico e il loro potenziamento attraverso un unico hub logistico a livello regionale, interregionale e potenzialmente transfrontraliero, in una logica di efficientamento e gestione centralizzata già utilizzata efficacemente in altri settori.

Questo hub logistico prevede spazi per il settore industriale farmaceutico, per la sanità pubblica e privata, ma anche un’area sempre a disposizione per le emergenze sanitarie, Tutto ciò per valorizzare al meglio il settore Life science e la rilevante crescita che il Piemonte sta registrando negli ultimi anni.

 

Presentate tre ipotesi progettuali, tutte ubicate nel territorio metropolitano di Torino, di cui una in area greenfield e due in siti dismessi brownfield, con l’obiettivo di limitare il consumo di suolo e di tutelare e favorire il recupero e la rigenerazione urbana.

La presentazione dello studio “LOSA 2 Hub LOgistico della Salute Digital edition” segna il passaggio alla fase operativa del progetto con l’individuazione delle modalità per proseguire nell’attività attraverso l’affiancamento al gruppo di lavoro iniziale di una task force, composta da rappresentanti di imprese pubbliche e private del settore, esperti di logistica e sviluppatori, per dare concretezza e massima funzionalità al sito.

Sono intervenuti Alberta Pasquero, Vice Presidente Commissione Sanità e Scienza della Vita di Confindustria Piemonte, Michele Rosboch, Presidente Istituto di Ricerca Economico-Sociale (IRES) della Regione Piemonte, Guido Bolatto, Segretario Generale Camera di commercio industria artigianato e agricoltura di Torino, Margherita Destudio, di Confindustria Piemonte – Sviluppo Territoriale e Internazionalizzazione, Domenico Gabriele, Marco di Perna, Francesco Guglielmi di Sertec Engineering Consulting.

 

Secondo Guido Bolatto, Segretario Generale della Camera di commercio di Torino, ente che ha promosso la ricerca: “L’interessante studio presentato oggi conferma che stiamo lavorando nella direzione giusta, dal momento che il nostro territorio possiede già tutte le caratteristiche necessarie (infrastrutture, competenze, aree utilizzabili) per intercettare investimenti e posizionare con successo un hub logistico moderno e competitivo dedicato all’ampio comparto delle Life Sciences“.

Lo studio condotto da Ires, in collaborazione con le altre realtà del gruppo di lavoro, evidenzia come il Piemonte, e in particolare il territorio metropolitano torinese, sia  il luogo più idoneo ad ospitare un hub logistico della salute con un bacino di riferimento interregionale (di fornitori e clienti) – dichiara Angelo Robotto, direttore Ires Piemonte – Questo grazie alla presenza di un solido e radicato «ecosistema» dedicato al settore Life Sciences; alle prospettive di sviluppo infrastrutturale; alla la disponibilità di aree e immobili industriali a costi inferiori rispetto ad altre aree del Nord Italia;  alla disponibilità e qualità di competenze innovative».

«La logistica, nel periodo post-pandemico– aggiunge Michele Rosboch, Presidente Ires Piemonte – si sta sempre più verticalizzando; processo per cui emergono le potenzialità di una piattaforma logistica dedicata alle Life Sciences in Piemonte, che consentirebbe un aumento di competitività a tale settore». Per Ires l’indagine è stata condotta dalla ricercatrice Cristina Bargero.

«Il settore delle Life Sciences è in rapida evoluzione e l’ambito logistico si sta rivelando sempre più cruciale per competere a livello globale: nasce da questa convinzione Losa 2. Ringrazio i molti soggetti pubblici e privati che hanno partecipato allo sviluppo del progetto e a quest’incontro. Nasce oggi un nuovo e più ampio gruppo di lavoro che potrà portare a compimento questo progetto e renderlo cantierabile» conclude la Vicepresidente Commissione Sanità e Scienza della Vita di Confindustria Piemonte.

Il poliamore

Da alcuni anni è entrato nel lessico comune il vocabolo poliamore: vediamo di cosa si tratta.

A differenza dei triangoli amorosi nei quali uno dei due coniugi (o conviventi) è all’oscuro del comportamento dell’altro, nel poliamore la relazione allargata è palese, tutti i componenti sono consenzienti, non vi sono regole predefinite o fedeltà da rispettare e, va da sé, è bandita la gelosia.

In un’epoca in cui i rapporti amorosi hanno accusato colpi pesanti per la crisi, per la paura che l’uomo ha di una presunta supremazia della donna e, da non sottovalutare, per la convivenza forzata durante la pandemia, un istituto come il poliamore sembrerebbe una soluzione in grado di dare una boccata di ossigeno al tradizionale rapporto di coppia, tanto per lui quanto per lei.

Sui social sono sempre più numerosi i gruppi e le pagine dedicate al tema; ho perciò contattato alcuni iscritti, di entrambi i sessi, per capire qualcosa in più; userò nomi di fantasia perché alcuni sarebbero riconoscibili.

Sabrina, 37 anni, un divorzio alle spalle, ha conosciuto un paio di anni fa Matteo, 40enne divorziato anch’egli. Da subito hanno pensato di inserire qualcuno nel loro menage per evitare che subentri la routine che può portare una coppia alla crisi. Sabrina è bisex quindi perché non cercare una donna? Ecco che, tra le tante persone contattate, Francesca, 38 anni, una convivenza finita male, ha incontrato il consenso di entrambi.

Niente gelosia, stessi interessi, stessi gusti per il cibo, Francesca è andata a convivere con Sabrina e Matteo poche settimane dopo averli conosciuti. Dormono in un unico lettone ma c’è comunque una camera da letto ulteriore nel caso uno abbia la febbre, si ritiri tardi la notte o non riesca a dormire.

Storia diversa invece per Franco e Stefania, coppia coniugata da 6 anni, che hanno incontrato Mario e Annalisa, anch’essi coniugi, in vacanza. In questo caso tra ognuno degli uomini e la donna dell’altro è scoccata la scintilla, arrivando a pensare di lasciare il coniuge per formare una nuova coppia. Intelligentemente, però, hanno deciso di parlarne tutti e quattro seduti a tavolino ed è stata Stefania a proporre di andare a vivere tutti e quattro insieme, inizialmente prendendo un appartamento più grande in affitto poi, se tutto funzionerà, ne compreranno uno vendendo gli altri due. Franco e Mario, etero, Stefania e Annalisa, entrambe bisex, hanno trovato, a quanto raccontano, il giusto equilibrio senza regole rigide di assegnazione dei ruoli. E non c’è bisogno di scrivere i turni per le pulizie, la cucina, la spesa, il bucato, ecc: spesso si offrono volontari in due o tre, la spesa quando si può la fanno insieme come momento conviviale, per unire il divertimento alla necessità. Decidono sul momento quale sarà la coppia che si coricherà in una stanza o cosa vorranno fare sotto le lenzuola.

Potrei citare altri esempi e, da quanto leggo, sono sempre più numerose le persone che si avvicinano a questo stile di vita.

Ovviamente la nostra legislazione e quella di moltissimi altri Paesi non contempla ancora nel proprio ordinamento la possibilità di contrarre un matrimonio a tre o a quattro (lo Stato dello Utah ha depenalizzato la bigamia nel 2020) e sicuramente sorgerebbero non pochi problemi di successione e di riconoscimento della paternità; in caso di gravidanza, infatti, si renderebbe sempre necessario un test del DNA qualora la sia la donna ad avere più di un partner.

Come dare torto, però, a chi riesce a crearsi una relazione felice, consensuale, palese in barba alle tradizioni?

Ma cosa spinge una persona ad accettare che l’oggetto del proprio amore venga diviso con una terza persona? Spesso è la curiosità a farla da padrona (una bionda ed una mora, una snella ed una oversized) oppure la propensione di una delle due persone a compiere atti che l’altra persona non pratica, ma le ragioni sono individuali e variegate.

La nostra cultura ammette più volentieri che un uomo vada con un’altra donna ma non il contrario ed il motivo è soprattutto biologico: in tempi in cui non si conosceva l’esistenza del DNA come essere sicuri che un figlio fosse del marito anziché dell’amante?

Le religioni per secoli hanno imposto modelli e stili di vita che i social da un lato e la mobilità sul pianeta dall’altro hanno scombussolato. Fabrizio De André, nel monologo tenuto durante il suo ultimo concerto del 1998 al Teatro Brancaccio, spiega molto bene il senso di “valore”: spesso non accettiamo alcuni “valori” nuovi perché siamo troppo attaccati ai nostri, perché occorre attendere di storicizzarli. In altre parole, sono valori che noi non riconosciamo ancora come tali.

Ricordiamoci che le rivoluzioni sono spesso nate dal dissenso del singolo o di pochi individui che al momento vennero presi per matti, eretici, blasfemi ma che, talvolta, hanno portato a cambi epocali di costume.

Quotidianamente vediamo attacchi da parte di vegani contro onnivori o di eterosessuali contro gay; nessuno obbliga nessuno: se una patica non ci aggrada basta evitarla. Parafrasando il compianto Maurizio Costanzo direi: “Se va bene a loro, buon poliamore a tutti”.

Sergio Motta

Non solo 8 Marzo: i “diritti” della donna


Le giornate “a tema”: giuste? Non giuste? Esagerate? Noiose?


Forse la risposta corretta è la stessa che mi dà tuttora mio padre quando gli pongo un interrogativo: “dipende”.
Fino ad oggi non ero sicura di voler trattare dell’8 marzo, la “Giornata internazionale dei diritti della donna”, poiché so già essere tantissime le notizie riguardanti tale ricorrenza, tante quasi quante sono le mimose che verranno regalate da amici, parenti e fidanzati. Non ero certa di volermi tuffare in questo flusso di articoli, letture e opinioni che ogni anno divampano in rete in tale peculiare giornata marzolina.
Alla fine tuttavia mi sono decisa: sì, forse è il caso di parlarne.
A farmi cambiare idea è stata una mia classe, perché alla fine parte sempre tutto da loro, dai ragazzi, da queste persone in miniatura – è un eufemismo, molti sono già più alti di me – che con focosa ingenuità e bonaria bramosia si accingono ad entrare a far parte del mondo degli adulti.
Si parlava a scuola “del giorno della donna”, del perché si festeggia, se fosse cosa opportuna, se e perché si continui a discorrere di questa fantomatica lotta per la parità dei diritti.
In particolare mi ha colpito una classe, i cui studenti hanno voluto partecipare attivamente al dibattito, mettendosi in gioco senza filtri e gridando – nel vero senso del termine- le proprie opinioni; sono sempre molto felice quando si instaurano tali momenti di confronto, eppure alcune asserzioni mi hanno lasciata perplessa: secondo alcuni allievi “non tutti i mestieri sono adatti alle femmine”, secondo altri “la donna è più importante nella famiglia perché è quella che vuole più bene ai figli”, oppure “il papà deve lavorare, la mamma tiene in pancia il bambino”; dall’altra parte le femminucce non sono state tacite ad ascoltare: “le donne sono migliori degli uomini!”, “noi sappiamo fare più cose, molte anche insieme!”.
Insomma, un’arena degna dei bei tempi andati del Colosseo.
Di certo nessuna convinzione nasce dal niente, queste certezze lapidarie da qualche parte dovranno pur derivare, ma non sono qui per dare giudizi, al contrario per discutere, porre domande, riflettere.
E la mia conclusione è stata appunto che forse due parole a proposito di questa faccenda è bene farle, perché, per quanto non lo vogliamo accettare, questi “ragazzini” sono e saranno i cittadini di domani, ed è quindi ora che inizino a ragionare con la propria testa e non per sentito dire.
Certo è difficile parlare di femminismo oggi, in una società che apparentemente aborra le distinzioni di genere, deturpa la scrittura con asterischi e schwa, declama la non sottomissione ad alcuna categoria, agogna l’uguaglianza e intanto si soffoca tra il pullulare di nuove definizioni, termini e subdole etichette che a mio parere di inclusivo non hanno granché.
Forse è vero che è tutto più complesso rispetto ad una decina di anni fa: l’informazione incessante, l’inclusione forzata, la censura mascherata da “politically correct”, il ritmo della vita sempre più frenetico, le fake news, l’esperienza virtuale, “i likes”. La perdita della manualità, del concreto, del rapporto diretto.
Si generalizza, ovviamente, eppure in questo marasma informe, sta di fatto che, a proposito di diritti femminili, dalla Pankhurst siamo passati alle influenser che non si fanno la ceretta.
Senza nulla togliere agli idoli giovanili, mi sento in dovere di citare qualche “vecchia gloria”, perché forse un po’ la bussola la stiamo perdendo.
Ognuno ha il proprio linguaggio prediletto, il mio rimane quello dell’arte, ed è dalle artiste del Secondo Novecento che voglio far partire la mia riflessione.
Sono gli anni Sessanta, divampano i movimenti civili, accresce il desiderio di cambiare la società, dal punto di vista artistico si gettano le basi per il movimento artistico-attivista femminista che avrà il suo apice negli anni Ottanta. Spiccano alcune voci femminili che vogliono, attraverso il proprio lavoro, influenzare la cultura, deturpare gli stereotipi e creare nuovi spazi comunicativi.
Il linguaggio dell’arte diviene mezzo espressivo di un punto di vista nuovo sulla società contemporanea, nonché occasione per discutere e denunciare ingiustizie e disuguaglianze.
Tale movimento femminista si caratterizza – così come in genereale l’arte di quell’epoca- per la ricerca sperimentale di nuovi e numerosi medium, primo fra tutti l’uso del corpo: nascono la Performance, gli Happenings e la Body Art.


Accomunano Performance e Body Art una evidente forza comunicativa, attraverso la quale il messaggio arriva in modo violentemente diretto allo spettatore, sfruttando una sorta di rapporto “faccia-a-faccia” con il pubblico, che è colpito visceralmente, grazie ad un contatto impattante e privo di alcuna censura.
Numerose artiste utilizzano poi la Videoarte, nel tentativo di innescare una vera e propria rivoluzione mediatica.
Il corpo, nello specifico il corpo femminile, diviene principale campo di battaglia, attraverso la tensione della carne si mette in scena l’imperfezione, il dolore, la discriminazione sociale e politica, grazie alla sconcertante e fastidiosa nudità si è forzatamente costretti a prendere in esame la problematica della sessualità, della ricerca d’identità, del consumismo, della moda che diventa dogma morale e imposizione stereotipata.
I nomi che si fanno portavoce di tali esperienze sono assai numerosi, così come lo sono quelli delle artiste che ancora oggi perseguono i medesimi obiettivi e continuano a indagare l’infinita complessità della discriminazione – solo per citarne alcune, Kara Walker, Jennifer Linton e Mary Schepisi.-
Ritengo davvero interessente notare come tuttora il medesimo corpo femminile sia ancora protagonista indiscusso della scena: senza eccessivi voli pindarici basti pensare agli outfit di Chiara Ferragni al Festival di San Remo, oppure a quanta attenzione è stata data alla ricerca estetica di numerosi cantanti, il cui aspetto ha destato sicuramente più attenzione della performance canora – e cito Rosa Chemical solo per esemplificare al massimo.-
Quanto scalpore dunque per questi corpi modificati da piercing e tatuaggi, quanto clamore per un vestito sul quale troneggiava una nudità intelligentemente portata sul palco.
Forse non siamo ancora pronti per la “modernità”, o forse tale “modernità” non è poi così qualificata come la percepiamo, perchè il mio timore è sempre lo stesso, ossia che rimaniamo in superficie, sfioriamo le problematiche senza scandagliarle nel profondo, non abbiamo abbastanza tempo per indagare, così esplicitiamo giudizi banali e proponiamo soluzioni già viste. Sembra proprio che la vacuità estetica rispecchi una sorta di frivolezza sociale, che, permettetemi, stride non poco con le ricerche artistiche e sociali dei periodi addietro.
Impossibile a questo punto non citare Carolee Schneemann, classe 1939, statunitense, protagonista di celebri performance, tra le quali “Up to and including her limits”, in cui Carolee è nuda e appesa ad un gancio, ondeggia nell’intento di resistere il più possibile, mentre traccia sul pavimento con un pennello i segni della propria oscillazione. È sempre lei la provocante autrice di “Interior scroll”, una lettura ad alta voce del suo stesso componimento “Cezanne, She Was A Great Painter”, scritto su una pergamena arrotolata che l’artista estrae poco alla volta dal suo sesso. Questo il suo modo di “combattere il patriarcato.”
Provocante ai limiti del visivamente sostenibile è il lavoro di Gina Pane. Le sue performance si basano sull’utilizzo di lamette e spine che vengono conficcate nella carne sanguinante; per Gina il corpo femminile è una cassa di risonanza sociale, in bilico tra maternità e interiorità, costantemente sottoposto al dolore che caratterizza l’esperienza umana. La sua poetica ben si evince in “Azione sentimentale”, in cui Gina stacca le spine di un bouquet di rose e se le inserisce lentamente lungo le braccia, oppure in “Le lait chaud”, quando l’artista si taglia la schiena con un rasoio ed è addirittura fermata dal pubblico che le impedisce di ferirsi il volto.
Una delle opere che prediligo è “My Bed” di Tracey Emin, un’installazione realizzata per la prima volta nel 1998, un lavoro nato a causa della fine di una relazione amorosa e testimone di un frammento di vita dell’artista stessa. L’opera è costituita dall’accumulo di diversi oggetti posti sopra e attorno ad un letto, biancheria intima, vestiti, bottiglie di alcolici, anticoncezionali, vecchie polaroid e mozziconi di sigarette; la versione originale prevedeva anche una bara su cui era posizionato il letto medesimo e un cappio che pendeva dal soffitto. La stessa Trecy così esplicita il significato del suo operato: “Nel 1998 mi lasciai con il mio compagno e trascorsi quattro giorni a letto, a dormire, in uno stato di semi-incoscienza. Quando mi svegliai, mi alzai e vissi tutto il caos che si era ammassato dentro e fuori dalle lenzuola.” Un amore finito, un’esperienza così personale eppure comune a tutte, che prende forma senza timore di rappresentare lo sconquasso del sentimento.
E infine c’è “Lei”, la regina della performance, Marina Abramovic, madre indiscussa della Body Art, una delle donne più conosciute della scena contemporanea, una vera e propria rock star dell’arte.
Marina da sempre indaga la dinamica dei rapporti e del sentire umano, lo fa offrendo completamente il corpo agli spettatori, come in “Rhytm 0”, esibizione svoltasi a Napoli nel 1974: Marina si espone e si dona al pubblico, è inerme e circondata da oggetti di varia natura che le persone sono invitate ad utilizzare su di lei; la performance termina in maniera agghiacciante, alcuni le tagliano via i vestiti, altri la graffiano, la tagliano e c’è addirittura chi le mette in mano una pistola carica. Il tutto dura sei ore, alla fine l’artista fuoriesce dal ruolo di vittima sacrificabile, di persona-oggetto e aspetta il confronto con gli astanti che però si dileguano velocemente, incapaci di spiegare logicamente la brutalità insita nell’essere umano.
Si potrebbe continuare a lungo, citando la ricerca di queste artiste e moltre altre, ma qui si tenta solo di filosofeggiare, non di impartire lezioni approfondite.
Così mentre il corpo e l’estetica rimangono gli strumenti prediletti per continuare a combattere le ingiustizie, le discriminazioni e le disparità, forse è cambiata la forza con cui sferziamo i colpi per i nostri diritti.

Alessia Cagnotto