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“Il Padreterno è liberale. Antonio Martino e le idee che non muoiono mai”

PENSIERI SPARSI 

Da “zuppista” convinta non avrei mai potuto non leggere l’ultimo libro, uscito poco prima di Natale, di Nicola Porro, giornalista economico-finanziario, vice direttore de Il Giornale, conduttore di trasmissioni televisive, dal 2018 Quarta Repubblica e autore della Zuppa di Porro, fortunatissima e seguitissima rassegna stampa liberale e libertaria quotidiana cucinata in diretta tutte le mattine in streaming video (Instagram, Facebook, You Tube) nonché deus ex machina di una bella iniziativa chiamata La Ripartenza, evento con dibattiti e approfondimenti che quest’anno si terrà a Bari il 7 e 8 luglio al Teatro Petruzzelli, dove la redazione de Il Torinese sarà presente per potervi fare un accurato resoconto.
Antonio Martino, l’ultimo vero, grande liberale, era stato professore di Porro ai tempi dell’Universita’ e, una volta divenuto Ministro degli Esteri durante il primo Governo Berlusconi, lo chiama alla Farnesina dove gli offre il prestigioso incarico di suo portavoce.
Da quel momento inizia per Porro un periodo elettrizzante, entusiasmante che gli permette di conoscere Martino professionalmente ed intimamente tanto da avergli consentito di poter scrivere oggi lo “zibaldone liberale” che leggiamo con interesse e anche divertimento in questo libro; sono infatti numerosi gli aneddoti personali e curiosi su alcuni fra i più noti esponenti della recente storia politica, culturale ed economica del nostro Paese, dove è sempre prevalsa un’egemonia statalista ed invidiosa contro la quale il prof. Martino ha  combattuto una vita intera.
Non sono risparmiate critiche al recente lockdown “ che ha bloccato milioni di attività produttive “ causando una recessione profonda e duratura, Martino si chiede perché “sono state imposte restrizioni insensate alle nostre libertà se non per giustificare un’estensione della politica sulle nostre vite”.  E neanche al reddito di cittadinanza, definito dal professore una “demagogia demenziale”, non si tratta di soldi piovuti dal cielo ma “ di un trasferimento di soldi da un gruppo di italiani per darli ad altri. Che senso ha? “
Altre critiche riguardano l’ambientalismo descritto da Martino “ una bestia tremenda” perché travestito da buono, come se ci si potesse definire progressisti e buoni perché ambientalisti, “un’idiozia totale”.
Leggendo il libro comprendiamo un po’ di più la storia del Partito Liberale e dei suoi protagonisti attraverso gli anni della nostra Repubblica, ma chi è un liberale?
Probabilmente Martino, mancato prima che Porro potesse finire i loro incontri propedeutici alla stesura del libro, avrebbe risposto così.
“ Sono favorevole a qualsiasi provvedimento accresca le libertà personali, quindi sono reazionario per recuperare libertà che sono state perdute, conservatore per difendere libertà ancora esistenti, rivoluzionario quando la situazione non ci consente altra via per tornare liberi, progressista sempre perché senza libertà non c’è progresso”.
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DIDIA BARGNANI

Impariamo la felicità dagli scozzesi

La ricerca della felicità è stata una delle mete perseguite dall’uomo fin dalle sue origini.

Ogni epoca ha avuto i propri metri di misura, a seconda dell’influsso che elementi esterni hanno portato alla società (religione, consumismo, filosofia new age): pensiamo soltanto all’edonismo, allo yuppismo degli anni ’80 in contrapposizione alla felicità semplice del tempo di guerra quando si era felicianche soltanto per il fatto di possedere cibo.

Negli ultimi anni la crisi economica, la disoccupazione in aumento, la pandemia e l’isolamento cui siamo stati inutilmente obbligati ci hanno fatto riscoprire il bisogno di felicità, bisogno quanto mai soggettivo, ma generalizzabile per sommi capi. Lo stress cui siamo sottoposti, i ritmi frenetici non ci lasciano tempo per riflettere, per domandarci se realmente siamo felici, se la nostra vita ci dia le soddisfazioni che tutti noi, ognuno a modo suo, cerchiamo.

Gli scozzesi ci vengono in soccorso con il còsagach, che permette di ristabilire l’equilibrio interiore senza dover fare chissà quali atti eclatanti, recuperando la serenità persa nei meandri delle troppe faccende quotidiane che siamo chiamati a compiere.

Elemento base di questa terapia è la natura, che da sola ci apporta tutto ciò che ci occorre; il Sole, l’aria, le camminate, da soli o in compagnia e, di conseguenza, l’astensione dal PC, dalla televisione, dalla tecnologia.

Passeggiare nelle colline o lungo un fiume, sedersi in un parco a leggere quel libro che da tempo avevamo comprato e, al ritorno a casa, goderci una tisana o un tè, preparare qualcosa in cucina.

I ritmi cui siamo sottoposti, che nulla hanno di naturale, ci portano a non pensare più a noi stessi, a non ascoltarci, rimandando la soluzione di problemi interiori e allontanandoci sempre più dalla natura.

Una camminata, magari fermandoci ad osservare gli animali intorno a noi, o il gioco dei bambini, o le nuvole che assumono forme sempre diverse, respirare aria fresca, ricevere i benefici dei raggi solari (così importanti per chi lavora tutto il giorno al chiuso) ci permettono di ristabilire un contatto con l’ambiente, la natura e il nostro interiore.

Ne consegue un miglioramento per noi stessi e, ça va sans dire, per la società nella quale viviamo: un individuo sereno, felice trasmette il suo stato d’animo a quanti lo circondano; una persona sola felice può fare poco, ma quando sono in molti ad esserlo l’intera società lo diventa.

Chi abbia viaggiato nei Paesi caraibici avrà notato come quelle persone, pur avendo poco, pur dovendo ogni anno ricostruire tutto dopo il passaggio degli uragani, sono sempre felici, sorridenti, e l’intera popolazione lo dimostra: hanno capito che la felicità non dipende dalla ricchezza o da valori materiali, ma dall’essere in salute, avere una famiglia, qualcuno da amare e che ti ama, essere vivi.

Ecco, se soltanto noi capissimo l’importanza di trovare i nostri momenti di confort, capendo realmente che le soddisfazioni materiali (il contratto concluso con successo, le ore di straordinario pagate con maggiorazione, le ore dedicate all’azienda con il miraggio della carriera) non possono e non devono sostituirsi alla propria realizzazione spirituale cresceremmo intimamente imparando a dosare i nostri compiti e le nostre aspirazioni e, così facendo, a raggiungerli più facilmente.

Qualcuno diceva: “Nella vita bastano le piccole cose: una piccola villa, un piccolo yacht….”; se pensiamo che la felicità sia generata dal possesso di beni materiali e, quindi, dal confronto fra i nostri beni e quelli altrui resteremo degli eterni infelici, alla ricerca eterna di un qualcosa in più non accorgendoci che inevitabilmente andremo nella direzione opposta.

Mettere sullo stesso piano mente e spirito non è facile; solitamente siamo restii ad ascoltare ciò che ci giunge dal profondo continuando, così, a perpetuare attività insoddisfacenti e questo perché non sappiamo o non vogliamo stare in ascolto di noi stessi.

Quanti di noi continuano, dopo anni, a svolgere quotidianamente, senza alcuna soddisfazione, le stesse mansioni sopportando tutto ciò solamente perché poi arriva il fine settimana con, si spera, un po’ di tempo per svolgere ciò che ci piace? Ovviamente, sempre che famiglia, amici, associazioni e conoscenti non avanzino richieste da assecondare annullando quel poco ristoro che avremmo avuto.

Proviamo per una settimana, giunti a casa dal lavoro,  a prendere la bicicletta o anche a piedi e andare in un parco cittadino, immersi nel verde poi seduti su una panchina, ad ascoltare il fruscio del vento fra i rami, il canto degli uccelli, il rumore di una cascata, il gioco dei bimbi o ad osservare due fidanzati che passeggiano mano nella mano, un bimbo che insegue gli scoiattolimentre impara i primi passi e molto altro: non sentite come lo stress cerchi di uscire da noi, per lasciare posto al rilassamento, alla serenità, a nuovi pensieri positivi?

Non succederà il primo giorno, e forse neanche dopo una settimana, ma se diventa il nostro stile di vita il successo è garantito. E a guadagnarci sarà non solo il vostro benessere personale, ma anche il rapporto con amici e colleghi, con i figli e con il vostro partner, specie a letto. Adottate questo stile di vita, almeno 2-3 volte alla settimana, anche soltanto un’ora per volta.

E non dimenticate di portare con voi un buon libro: non ha effetti collaterali.

Sergio Motta

La scuola che vorrei: convegno al Circolo dei Lettori

Convegno – LA SCUOLA CHE VORREI

Sabato 6 maggio 2023 – Il Circolo dei lettori, via Bogino 9 Torino

dalle ore 17  alle ore 20

 

Il giorno 6 maggio, al Circolo dei Lettori di Torino, dalle ore 17, su iniziativa di Antonella Accardi Benedettini, Dirigente Scolastico del Liceo Passoni di Torino, si terrà il convegno rivolto a tutta la comunità educante e alla cittadinanza attiva, incentrato su esperienze del territorio e nazionali, cui seguirà un dibattito sul tema dell’istruzione. Il filo conduttore delle esperienze che verranno presentate è il pensiero divergente che mette al centro dell’apprendimento lo sviluppo della creatività.

“Molti paesi del mondo – afferma Sir Ken Robinson – stanno riformando il sistema educativo, per due motivi. Il primo è di carattere economico: come facciamo a educare i nostri studenti nel trovare il proprio posto nell’economia del XXI Secolo, se non sappiamo nemmeno quale sarà l’economia nelle prossime due settimane? Il secondo motivo è di carattere culturale: come facciamo a educare i nostri studenti in modo che abbiano un senso di identità, che tengano viva la comunità e trasmettano il patrimonio culturale durante il processo di globalizzazione?”.

L’obiettivo è immaginare quale siano le risposte che la scuola e il mondo che le sta intorno sono in grado di dare al bisogno crescente, da parte delle giovani generazioni, di trovare modelli sempre più aderenti alle proprie inclinazioni. Il convegno proporrà una riflessione aperta al pluralismo, condotta da tutte le componenti della comunità educante.

Occorre migliorare la scuola odierna e, al tempo stesso, progettare quella di domani, affinché sia il più possibile motivante, inclusiva e attenta ai bisogni di tutti ragazzi, senza lasciarne indietro nessuno.

Verranno presentate esperienze significative, ascoltando anche la voce di bambini e ragazzi degli Istituti coinvolti.

PROGRAMMA

 

Apertura con performance del Teatro dell’Oppresso, Fondazione MAMRE;

Marco Pollarolo, antropologo;

Presentazione e video sul pensiero divergente;

Antonella Accardi Benedettini, Dirigente Scolastico Liceo Passoni, Torino;

Apertura Carlotta Salerno, Assessore Istruzione Comune Torino;

Scuola senza voti;

Vincenzo Arte, docente Liceo Morgagni, Roma;

Esperienza progetto nazionale di Mediazione dei Conflitti;

Giovanni Ghibaudi, mediatore;

Pensiero critico: debate e co-gestione;

Sergio Selvaggi, docente Liceo Bobbio Carignano (Torino);

Voce degli studenti sulla “Scuola che vorrei “(testi di bambini e ragazzi dell’IC di Caselle, IC Nasi di Moncalieri e Liceo Bobbio di Carignano);

Esperienza di Educativa;

Vito Buda, Presidente Associazione Minollo;

Sanzioni alternative;

Anna Chenis, Janca Anselmo, Paola Ferrero, counsellors;

Inclusione e creatività;

Ex docente di storia dell’arte, Grazia Baroni;

Dibattito

Modera: Fabrizo Vespa, giornalista

Affetti Collaterali insegna e divulga l’arte teatrale

VIAGGIO TRA LE ASSOCIAZIONI TORINESI

L’Associazione di promozione sociale e compagnia teatrale  Affetti Collaterali  è stata costituita il  3marzo 1999.

Ha conseguito il 1.o PREMIO NAZIONALE ASSOLUTO “CULTURA E SOCIETA’ – SEZ. TEATRO”
MEDAGLIA DELLA PRESIDENZA DELLA CAMERA

Questi gli scopi istituzionali:
Promuovere attività di carattere socio-culturale volte a divulgare l’arte teatrale e il suo
insegnamento, favorire l’integrazione sociale delle persone disabili, proporre laboratori e
stages rivolti ad attività socio/culturali, collaborare con Associazioni aventi scopi
umanitari.

Vengono proposte attività di vario tipo:

spettacoli per tutte le età

(al momento disponibili: KATACLISMA – commedia brillante, BANCA DI RIPOSO – commedia brillante, IL PICCOLO PRINCIPE tratto dall’omonimo libro, MIRIAM QUELLO CHE I VANGELI NON DICONO – reading drammatizzato tratto dall’omonimo libro di Patrizio Righero)

sketch, cabaret, magia, Letture drammatizzate di testi letture (con musicista) laboratori, crazy teatre, gioca teatro, lettura interpretata e uso della voce, il corpo e il gesto ecc…

La Compagnia informa che le attività, possono essere orientate anche alle persone con disabilità fornendo importanti momenti di integrazione.

FB: Compagnia Teatrale Affetti Collaterali

Primo Maggio in piazza all’insegna di lavoro e partecipazione

Per il Primo Maggio e a Torino Cgil, Cisl e Uil hanno organizzato una serie di eventi per celebrare questa importante giornata dedicata al lavoro, all’insegna di “lavoro, tolleranza, partecipazione”. Il ritrovo è in programma alle 9 in Piazza Vittorio, da dove una sfilata partirà alle 9:30 per raggiungere Piazza San Carlo. Al termine della sfilata, Domenico Lo Bianco, segretario generale della Cisl, terrà un comizio in rappresentanza dei tre sindacati. Durante l’evento, interverranno rappresentanti della Gioventù Operaia Cristiana, lavoratori e dipendenti di varie aziende di Torino. Il sindaco Stefano Lo Russo ha sottolineato l’importanza del lavoro per la città e l’assessore regionale Andrea Tronzano ha elogiato il dialogo costruttivo tra i sindacati e le istituzioni locali.

Toh, tieni il cellulare

A quanti di noi è capitato di andare al ristorante e vedere bambini chiassosi, in giro fra i tavoli e le gambe dei camerieri, mentre i genitori chiacchierano tranquillamente con i commensali addentando questa o quella portata?

L’altra possibile scena è quella dei bambini, seduti a tavola ma ipnotizzati dallo smartphone di mamma o papà, che possono finalmente mangiare tranquilli mentre i pargoletti aumentano il loro grado di asocialità grazie all’incapacità dei genitori di essere tali. Lo sguardo catatonico, la totale avulsione dalla realtà per connettersi con un mondo virtuale denotano quale danno sia già stato compiuto a danno delle loro menti.

Anni addietro l’abitudine di recarsi al ristorante non era così radicata come oggi e se, da un lato, anche un bambino reggeva la noia di 2 ore al ristorante, dall’altro i genitori stessi facevano ricorso alla cena (o al pranzo) fuori solo in occasioni particolari (ritrovo dopo le ferie, compleanno, anniversario) per cui vi arrivavano preparati psicologicamente.

Ora che al ristorante si va anche più volte alla settimana, si è più stressati ed anche gli inetti si sentono in dovere di riprodursi, il contatto diretto genitori/figli diventa difficile; lo è anche a casa, ma almeno lì’ non infastidisci gli altri commensali, i camerieri e gli stessi compagni di tavolo.

Nell’ambito delle mie amicizie cerchiamo sempre di coinvolgere i piccoli nelle serate al ristorante, parlando con loro, chiedendo informazioni sull’andamento a scuola (o all’asilo) o sulle amicizie scoprendo che, talvolta, si confidano più con amici dei genitori che con i genitori stessi. Talvolta si programmano insieme alcuni eventi più adatti ai piccoli che agli adulti ottenendo in cambio, quasi fosse un tacito patto sinallagmatico, la loro attenzione e la loro riconoscenza anticipata; se poi sono bambini particolarmente vispi gli si può proporre, in cambio di educazione durante una cena un’attività dove brucino energie, si svaghino, socializzino tra di loro.

E’ palese che la maggior parte dei genitori non sappia più rivestire questo ruolo, a casa come a scuola, in ospedale come ai giardini pensando di poter dettare legge con l’ignoranza di cui abbondano in tutti i campi, con la violenza verbale e fisica e, soprattutto, non avendo capito che ottengono l’effetto contrario: mostrare ai figli come non ci si deve comportare, da quali genitori questi abbiano avuto la sfortuna di nascere e, in primis, che non vi siano regole da rispettare ma che ognuno viva nel proprio far west.

Non si spiegherebbe, altrimenti, perché se l’insegnante scrive una nota all’allievo, il suo genitore (normalmente il padre, unico ruolo che ricopre volentieri quando non è davanti alla TV) si sente autorizzato ad insultare il docente anziché cercare di capire e, molto probabilmente, rimproverare il figlio spiegandogli perché abbia sbagliato.

A partire dagli anni ’70 si è diffusa l’abitudine di relazionarsi tra figli e genitori come se si fosse amici, dove i figli possono sì parlare di tutto con i genitori, ma dove i genitori non si comportano come tali, rimproverando, insegnando e cercando di comprendere ma costituendo una complicità che non permette di correggersi, di imparare e di mantenere una pur semplice gerarchia.

Platone, vissuto a cavallo tra IV e V secolo a.C.,  sosteneva già 2500 anni fa che “[..] E avviene pure che chi si dimostra disciplinato nei confronti dei superiori è definito un uomo senza carattere, servo; che il padre impaurito finisce per trattare il figlio come suo pari, e non è più rispettato, che il maestro non osa rimproverare gli scolari e costoro si fanno beffe di  lui, che i giovani pretendano  gli  stessi  diritti, le stesse  considerazioni  dei  vecchi, e questi, per non parer troppo severi, danno ragione ai giovani. In questo clima di libertà, nel nome della medesima, non vi è più riguardo per nessuno. In mezzo a tale licenza nasce e si sviluppa una mala pianta: la tirannia.”

Mi pare evidente che sia urgente intervenire per salvare quel poco che rimane di salvabile.

Sergio Motta

Investire su se stessi per investire sugli altri con il progetto “Impresa sociale-Coesione Sviluppo, Lavoro” promosso da VolTOETS

“Investi su di te. Investi sugli altri” è lo slogan che rappresenta e accompagna il progetto “Impresa sociale- Coesione, Sviluppo, Lavoro” promosso dall’Associazione Volontariato Torino  VolTOETS,  con il sostegno della Camera di Commercio di Torino.

Le intenzioni del progetto sono quelle di mettere a disposizione degli enti del terzo settore ai futuri imprenditori sociali e cittadini, iniziative e servizi utili a strutturare idee imprenditoriali in campo sociale attraverso lo svolgimento di una o più attività di interesse generale.

Prenderà il via lunedì 8 maggio un ciclo di quattro seminari con la partecipazione di esperti e organizzazioni nell’area metropolitana di Torino,  capaci di promuovere l’ecosistema dell’economia civile, di impatto e di innovazione sociale.

Gli incontri sono rivolti a enti del terzo settore interessati a convertirsi in impresa sociale, imprese sociali già costituite e aspiranti  imprenditori sociali, nonché a chiunque abbia interesse ad approfondire le tematiche in oggetto e le sfide che sono presenti nel campo del welfare.

Lunedì 8 maggio prossimo, via telematica, sarà possibile seguire l’incontro dal titolo “A Torino, in Piemonte, in Italia, in Europa” si tratterà di un incontro introduttivo in cui verrà  tracciato il profilo delle imprese sociali che imperano nel tessuto territoriale torinese e piemontese, ma anche in ambito nazionale.

Saranno relatori Alberta Coccimiglio nell’Osservatorio Imprenditorialità Sociale  della Camera di Commercio di Torino, per una panoramica su Torino e il Piemonte Felice Scalvini, direttore Responsabile della rivista Impresa Sociale, per una panoramica italiana e Giulia Galera per una panoramica europea.

Lunedì 15 maggio, in presenza dalle 18 alle 20, si terrà  una conferenza dal titolo  “Impatto sociale.  Una sfida per il terzo settore”, che avrà  sede nei locali del Volontariato Volto ETS in via Giolitti 21.

Verrà  messo al centro del dibattito il tema delle generazioni e della  valutazione dell’impatto sociale come strumento per misurare la sostenibilità ambientale, sociale e finanziaria delle attività promosse dai soggetti profit e non profit.

Saranno relatori Paolo Biancone del Dipartimento di Management dell’Università di Torino, Mario Calderini di Torino Social Impact e Lavinia Pastore di Open Impact.

Lunedì 22 maggio prossimo, in modalità  online, si parlerà diImprese ibride e modelli di innovazione per generare valore. Il focus sarà sulle tematiche del profit,  no profit, pubblico e privato, lavoro e volontariato.  I confini tra queste dimensioni appaionosempre più  sfumati  di fronte alla comparsa di sfere ibride, in cui si realizzano molteplici modalità di produzione di valore da parte delle imprese di capitali, organizzazioni non profit e amministrazioni pubbliche.

Lunedì 5 giugno, in presenza, dalle 18 alle 20, presso la sede del Volontariato Torino ETS, si farà  il punto sulla situazione dei servizi utili alla costituzione di un’impresa sociale.

Saranno relatori il Segretario generale della Camera di Commercio, Guido Bolatto, Luigi Bobba, Presidente Osservatorio  Terzjus, Dimitri Buzio, presidente Legacoop Piemonte, Gianni Gallo, presidente di Concooperative Piemonte Nord, e Laura Orestano, amministratrice delegata Social Fare.

La partecipazione agli incontri è  libera e gratuita fino a esaurimento dei posti disponibili. Per gli incontri che si svolgeranno in modalità telematica, con piattaforma ZOOM, verrà inviato il link di accesso via mail alle persone iscritte.

MARA MARTELLOTTA

 

Per maggiori informazioni  Associazione Volontariato Torino VolTO ETS, via Giolitti 21.

Tel 0118138711.

centroservizi@volontariato.torino.it

I racconti dei migranti al Mei di Genova

C’erano anche loro, i piemontesi, che emigrarono verso le Americhe e alcuni Paesi europei. Fuggivano dalla guerra, dalla povertà, andavano in cerca di fortuna, bastava un modesto lavoro per fare un po’ di quattrini da mandare ai famigliari.
Partivano lasciando ogni cosa, come fanno i migranti di oggi. Molti hanno fatto fortuna e sono diventati anche persone importanti nel campo dell’industria, del commercio e della politica. Oggi sono sei milioni i piemontesi nel mondo. A centinaia di migliaia, quasi un milione e mezzo, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, si sono diretti verso la Francia, l’Argentina e gli Stati Uniti. La Francia è dietro l’angolo ma l’America è molto più lontana raggiungibile in quaranta giorni di viaggio, ammucchiati nelle stive tra tempeste e mal di mare. Ma si partiva lo stesso da Genova e da Napoli per il nord e il sud America. I racconti delle migrazioni italiane verso il mondo sono ora raccolti al Mei di Genova, il Museo nazionale dell’Emigrazione italiana, aperto un anno fa dal Ministero della Cultura, Comune di Genova e Regione Liguria, sulle ceneri del vecchio ma prestigioso museo che narrava la storia della Commenda. A Nuova Iorche, come la chiamavano i migranti, attraccarono nei primi decenni del Novecento centinaia di navi con decine di migliaia di italiani pronti ad iniziare una nuova vita in terra americana. In Argentina invece arrivarono, a partire dal 1880, molti contadini piemontesi che lasciarono le Langhe e il Monferrato, la maggior parte dei quali finì a lavorare nella Pampa. Da Genova partirono milioni di italiani diretti verso tutti i continenti. Il Mei racconta le storie di vita dei migranti attraverso diari, autobiografie, lettere, fotografie, video, giornali, documenti d’archivio, i canti e le musiche dei protagonisti dell’emigrazione come “Parto per La Merica”. Un museo in gran parte multimediale dislocato su tre piani suddivisi in 16 aree tematiche, senza oggetti, senza collezioni, con allestimenti scenici collocati in uno degli edifici medievali più antichi della città che mille anni fa ospitava i pellegrini prima di partire per la Terrasanta. Il Mei illustra anche il fenomeno migratorio nel dopoguerra e fino agli anni Settanta del secolo scorso con gli intensi flussi di migrazione interna, dal meridione verso le città industrializzate del Settentrione, tra le quali Torino. Il Museo nazionale dell’Emigrazione (Mei) nasce all’interno di una cornice architettonica ricca di storia quasi millenaria come quella della Commenda di San Giovanni di Prè.
Un tema, l’emigrazione, strettamente legato a questo storico edificio, uno dei gioielli di Genova, da sempre animato da viandanti, viaggiatori e navi. Per secoli è stato un luogo di accoglienza per pellegrini e crociati, fino agli emigranti dell’Ottocento. Fin dal 1100 la Commenda era un ostello e ricovero dei Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme (i futuri Cavalieri di Malta) e ospitava coloro che erano diretti in Terrasanta per visitare i luoghi di Gesù e partecipare alle Crociate. Ecco perché, sostengono in Comune a Genova, non c’era location migliore da destinare al Museo dell’emigrazione. Certamente non si può obiettare nulla, il museo merita una visita, ma un rammarico c’è, almeno per chi scrive. Entrare nella Commenda e non trovare più nulla del precedente museo è una profonda delusione. In attesa delle galee che partivano da Genova dirette a Gerusalemme, cavalieri, pellegrini e mercanti si riposavano e si rifocillavano alla Commenda di Prè. Nel 1180 furono poi costruite due chiese, una sopra l’altra, con l’ospedale attiguo, in modo che i malati potessero assistere alla Messa dal letto.
Sofisticate tecnologie avevano permesso di animare gli antichi muri della Commenda facendo tornare in vita i personaggi del tempo viaggiatori cristiani, ebrei e arabi, geografi e vescovi nonché i protagonisti delle Crociate come Baliano d’Ibelin e il Saladino. Tutto ciò era la storia della Commenda che adesso è stata cancellata dal Museo dell’Emigrazione. Un gran peccato, si poteva lasciare almeno un piano della struttura per continuare a raccontare come si viveva in questo straordinario edificio del XII secolo.
                        Filippo Re
Gli orari per visitare il Mei (Museo nazionale dell’Emigrazione italiana), Piazza della Commenda, Genova: ottobre-maggio, da martedì a venerdì 10-18, sabato e domenica 11-19, giugno-settembre, da martedì a venerdì 11-18, sabato e domenica 11-19
nelle foto il Mei di Genova alla Commenda di Prè, foto migranti, interno Museo

Festa d’aprile per la libertà

Festa d’aprile per la libertà
Il 25 aprile è, in estrema sintesi, anniversario della Liberazione, festa della Resistenza, conclusione di una fase tragica della storia del nostro Paese e premessa necessaria per quella che sarà la Costituzione Repubblicana. Festeggiarlo è importante soprattutto in tempi di revisionismo strisciante. Le incursioni verbali di Ignazio La Russa e il disegno di legge presentato da Fratelli d’Italia con l’equiparazione delle foibe all’Olocausto rappresentano la parte più scoperta di un fenomeno in rapida accelerazione che si muove lungo un’unica
traiettoria disegnata dal nuovo revisionismo della destra. Ci sono ancora persone per le quali la Resistenza diventa un’eredità scomoda da nascondere quanto prima nella soffitta della memoria. Per queste ragioni occorre più che mai impegnarsi per un esercizio corretto della memoria su una delle date fondamentali della nostra storia democratica. L’8 settembre del 1943 vide il dissolvimento dello Stato ancora permeato da quel
fascismo che aveva trascinato colpevolmente e scelleratamente l’Italia nella Seconda Guerra Mondiale, un conflitto che, secondo le idee
hitleriane, avrebbe dovuto piegare l’Europa e il mondo a un’ideologia basata sulla razza e sulla violenza. La Resistenza si organizzò e nei
venti mesi che seguirono rappresentò una prima fase costituente, la premessa e la promessa di una Costituzione democratica, rendendo
possibile il 25 aprile. La Resistenza fu un fatto straordinario che, come disse Nilde Jotti “realizzò una unità veramente eccezionale che andava dagli ufficiali badogliani agli operai comunisti”. Un movimento le cui varie componenti sono state molte e diverse. Dalla Resistenza civile fatta di tante piccole e grandi disobbedienze a quella militare
dell’8 settembre 1943 con la quale, nonostante la pressoché completa assenza di ordini, reparti dell’esercito si opposero ai Tedeschi sia in
Italia che in terra straniera, come a Cefalonia e nelle isole greche, fino al rifiuto di centinaia di migliaia di soldati di venire meno al giuramento fatto al re, con il loro confinamento nei lager e campi di lavoro tedeschi che significò per molti la morte. Gli scioperi operai del 1943 segnarono il primo dissenso di massa, una sfida in campo aperto al regime. Fu Resistenza l’azione delle donne, dapprima infaticabili fiancheggiatrici e soccorritrici dei soldati che, sbandandosi all’8 settembre, cercarono un rifugio e vesti civili, e in seguito diventando
staffette e porta-ordini dei C.L.N. fino a partecipare come partigiane combattenti alla lotta armata. Un’opera preziosa, delicata, difficile vide impegnata tanta parte del clero, non solo per il sostegno al
popolo ma anche nell’impegno diretto nel movimento resistenziale perché la Resistenza segnò una frattura netta, anche generazionale, rispetto al
Fascismo. Se non si considera attentamente tutto ciò, si rischia di smarrire il significato ampio di guerra di popolo che possiamo attribuire alla Resistenza, in cui certamente la punta,
importantissima, dell’iceberg fu quella dell’organizzazione capillare del territorio
attraverso i C.L.N., l’azione delle brigate e delle divisioni partigiane, i GAP (i Gruppi Azione Patriottica) le SAP (Squadre Azione
Patriottica), i gruppi di Difesa della Donna. E il bilancio nazionale di tutto questo fu di quasi 45mila partigiani morti cui vanno aggiunte 150mila vittime civili. Vale la pena, in conclusione, ricordare con le
parole di Norberto Bobbio il senso di tutto ciò: “Dopo venti anni di regime e dopo cinque di guerra, eravamo ridiventati uomini con un volto solo e un’anima sola. Eravamo di nuovo completamente noi stessi. Ci sentivamo di nuovo uomini civili. Da oppressi eravamo ridiventati uomini liberi. Quel giorno, o amici, abbiamo vissuto una tra le esperienze più belle che all’uomo sia dato di provare: il miracolo della libertà”.
Marco Travaglini

Parola d’ordine: incapaci

PAROLA D’ORDINE: INCAPACI

Ho sempre pensato che, per giungere a posizioni apicali in un’azienda, per svolgere una libera professione o per assurgere a ruoli di spicco nel mondo della cultura, dell’economia o del lavoro occorresse la conoscenza della materia, supportata da un’esperienza sul campo unita alla voglia di imparare ed all’umiltà di non sentirsi mai arrivati o superiori agli altri.

E’ sotto gli occhi di tutti come, invece, il mondo si stia orientando verso l’utilizzo di perfetti imbecilli nelle posizioni più delicate e critiche di un’azienda o di un Ministero con i risultati che ogni giorno sono sotto i nostri occhi.

Quando anni fa ebbi la fortuna ed il privilegio di incontrare Sergio Marchionne, di lui mi colpirono soprattutto tre cose: la semplicità, la capacità di risolvere i problemi e l’essere controcorrente (quasi) sempre, a cominciare dall’abbigliamento.

Durante quell’evento raccontò di come, appena giunto In FIAT mentre questa perdeva milioni ogni giorno, non trovò nessuno negli uffici perché erano tutti in ferie. Resta famosa la sua frase: “In ferie da cosa?” E’ evidente che un manager capace avrebbe evitato la chiusura dell’azienda, come avveniva prima di Marchionne, perché la chiusura implica non produrre; inoltre, consentendo ai dipendenti di scegliere il periodo, avrebbe avuto intorno collaboratori più sereni e più collaborativi.

La capacità di risolvere i problemi fu quella che lo portò a far uscire la FIAT da Confindustria pena il non poter attuare le manovre da lui decise. Mi pare che i risultati si commentino da soli considerato che la FIAT, diventata in seguito FCA, ora Stellantis è ancora attiva, produce ed ha chiuso il bilancio 2022 con un utile netto pari a 16,8 miliardi di euro, in aumento del 26% rispetto all’esercizio precedente.

Fu proprio Marchionne a sostenere che “Non c’è nulla di nobile nell’essere superiore a qualcun altro; la vera nobiltà è essere superiore a chi eravamo ieri.”, ma l’unica cosa nobile che ci è rimasta pare essere il vino di Montepulciano.

Gli esempi di manager capaci, purtroppo, si riducono sempre più, complice l’incapacità di comprendere, analizzare, risolvere sia a livello imprenditoriale che politico.

Un’università del nord Italia, divenuta famosa per i managerformatisi presso di essa, è l’esempio più eclatante di come si possa rovinare un Paese fornendo schemi ed insegnamenti totalmente avulsi dalla realtà. In una riunione, uno dei relatori che aveva ottenuto alcuni master presso tale ateneo, dichiarò: “Bisogna prendere quelli bravi e farli diventare ancora più bravi” dimenticandosi totalmente dei mediocri e degli scadenti. Per fortuna l’Azienda per cui lavorava non lo ascoltò e, anzi, si comportò adottando il buon senso (che non si compra con la laurea) di aiutare i meno bravi anche adibendoli a nuovi incarichi più congeniali, spingendo quelli mediocri e riconoscendo il merito a quelli molto bravi. Buon senso batte ateneo 1-0.

Una caratteristica soprattutto italiana (e più in generale latina) è, poi, quella del nepotismo dove perfetti incapaci, spesso svogliati, ammaliati più dalla mutua che dalla postazione lavorativa vengono assunti da questa o quell’azienda per una marchetta da pagare a qualcuno potente, assumendogli il figlio o il nipote o l’amante che altrimenti resterebbero disoccupati a vita.

Se proiettiamo questo esempio a livello macroeconomico, in un Paese o in un intero ambito politico (locale, regionale, nazionale) è evidente come i danni possano essere, se non irreparabili, almeno difficili da ripristinare.

Basta un provvedimento legislativo errato (vedi art. 18 dello Statuto dei lavoratori) pomposamente presentato come Job acts(con l’inglese si riesce meglio a prendere in giro i sudditi) e anni di conquiste vengono distrutti: recuperare un diritto è molto più difficile che sancirlo per la prima volta.

La mania di copiare, solo quando conviene, le usanze estere porta troppo spesso ad adottare provvedimenti inconciliabili con la nostra cultura, con le nostre abitudini e necessità e, in generale, a provocare pochissimi vantaggi a fronte dei disagi generati.

Se anni fa la tendenza degli imprenditori, specie nel nord del Paese, era “Si è sempre fatto così, perché cambiare?” ora si procede nella direzione diametralmente opposta, cambiando per il gusto di cambiare, pensando di essere in linea con i tempi, senza dare il tempo al cambiamento di mostrare i suoi frutti.

E’ palese che vi sia, spesso, un interesse privato, del singolo o di qualche gruppo, affinché lo status quo si modifichi; un proverbio dice “Ciò che è male per uno, è bene per un altro”: se io sono un debitore un aumento dei tassi mi danneggerà, se sono il banchiere festeggerò ogni aumento.

Antonello Venditti espresse bene questo concetto nel brano “L’uomo falco”:

L’uomo falco vola in alto
Sul suo trono di diamanti
Per natura nega sempre
Ed è muto come un pesce
Lui è un uomo falco

Se, poi, un falco si avvale di incapaci potete immaginare quale sarà il destino di un’impresa o di un Paese.

Sergio Motta