Leggi che ti fa bene

Leggere non hai mai ucciso nessuno; anzi, ha migliorato l’esistenza di moltissime persone.

Don Milani sosteneva che “Il padrone sa 1000 parole, tu ne sai 100; ecco perché lui è il padrone”, attribuendo non soltanto al denaro ma anche e soprattutto alla cultura, alla conoscenza ed alla padronanza di una lingua la chiave di volta del successo.

Ricordo ancora che già in prima elementare il maestro ci fece leggere “Pinocchio” ed in seconda “Cuore” che furono, dopo le fiabe, il nostro primo confronto con un testo sul quale cominciare a farsi un’idea, un’opinione propria. Da lì in poi, almeno per me, è stato un susseguirsi di narrativa, saggi, biografie, storia, manuali (ma non solo) al ritmo di almeno tre al mese, escludendo quelli scolastici ed universitari; in vacanza, salvo dover guidare o essere altrimenti impegnato, un libro può iniziare e finire in una giornata di relax in spiaggia.

La frase di Don Milani citata poc’anzi, come molte frasi riferite a personaggi famosi, deve far riflettere non soltanto per chi ne sia stato l’autore, ma per il suo significato: è questa una delle doti che la lettura porta con sé.

Leggere significa apprendere qualcosa di ignoto, confrontare il nostro pensiero con quello dell’autore, crearci un’opinione nuova,anche antitetica rispetto a quella che avevamo, e scoprire così che il nostro pensiero, le nostre convinzioni non possono mai essere considerate universali.

Una delle certezze che ho appreso fin da bambino è che non si smette mai di imparare, neppure da anziani (vedi come questi imparano la tecnologia e le novità dai giovani); ecco perché la lettura costituisce uno dei mezzi più economici, più pratici e più semplici di apprendimento, di confronto e di acculturamento che esistano.

Qualcuno, tempo fa, mi disse che i libri costano tantissimo in rapporto a quello che danno e qualcun altro, decisamente da candidare al Nobel per il pensiero inutile, aggiunse che “una volta che lo scrittore ha scritto il libro, perché ogni copia deve costare così cara?”: sono certo di non avergli risposto.

Pensiamo soltanto al costo delle enciclopedie, di cui moltissime case erano fornite fino a circa 30 anni fa e che ora sono inutili e datate: con quello che si risparmia non acquistandole si possono comprare decine e decine di libri.

Io, personalmente, a parte i libri scritti da amici che acquisto solitamente in occasione del firmacopie o qualche libro particolare che voglio leggere subito, mi fermo almeno una volta alla settimana presso le bancarelle di via Po (centro città, per i non torinesi) e dedico dieci – quindici minuti a vedere se via sia qualche arrivo nuovo, ad un costo fra i due ed i cinque euro. Tempo fa trovai una copia, perfetta, de “La Cittadella” di Cronin (quella che negli anni ’60 ci appassionò in TV con Alberto Lupo e Anna Maria Guarnieri) stampata nel 1938, quando il libro fu scritto. Non ci pensai due volte e la acquistai, scoprendo dopo che aveva un valore economico molto superiore ai due euro che spesi per il suo acquisto.  Leggendolo in poche sere capii molte cose che la trasposizione televisiva non consentiva di comprendere appieno.

Anche volendo ridurre un libro a semplice testo stampato, consideriamo che un testo di senso compiuto (escludendo quindi libri demenziali o scritti da analfabeti che si auto pubblicano) consente almeno un vantaggio: comprendere la grammatica e la sintassi di una lingua.

Quando incontro quelli che definisco “killers del congiuntivo” chiedo, con nonchalance, quali siano i loro gusti letterari, quale l’ultimo libro scritto anche se sarebbe più indicativo chiedere quando abbiano letto l’ultimo libro.

In Italia siamo, tra i Paesi che si autodefiniscono evoluti, negli ultimi posti per numero di libri letti all’anno e per tempo giornaliero dedicato alla lettura: in Europa siamo penultimi, insieme ad Austria e Romania, con cinque minuti al giorno; solo i francesi stanno peggio di noi, con due soli minuti al giorno.

Se parliamo di giornali quotidiani, poi, la situazione è ancora peggiore: in Italia c’è un discreto consumo di quotidiani sportivi (siamo tutti allenatori, al bar o in poltrona), ma è notevolmente calata rispetto a qualche anno fa la tiratura delle testate d’opinione; d’altronde il termine “opinione” esprime la convinzione che una persona si forma nei confronti di un fatto specifico, in assenza di elementi che consentano di appurare la verità.

Ma se non leggiamo come facciamo a formarci un’opinione e, ancor più, a confrontare le nostre opinioni con quelle altrui?

In epoche remote i libri erano spesso messi al rogo perché scomodi al potere, perché permettevano di ribellarsi al potente di turno; Joseph Brodsky, poeta vincitore del Nobel nel 1987, sosteneva che “Ci sono crimini peggiori del bruciare libri. Uno di questi è non leggerli”.

Sergio Motta

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