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Desk sharing addio?

Noi italiani abbiamo, tra le molte altre, due sinistre caratteristiche: una è quella di usare i termini stranieri (inglesi o, più raramente, di altri idiomi) anche quando potremmo utilizzare gli equivalenti nostrani e l’altra quella di adottare decisioni, stili di vita, consuetudini mutuate dall’estero, quando nel Paese di origine ci si è già resi conto che era un’esperienza fallimentare, pericolosa, dannosa, antieconomica e chi più ne ha più ne metta.

Pensiamo, ad esempio, agli uffici open space: spazi enormi nei quali convivevano, per oltre otto ore al giorno, centinaia di lavoratori condividendo rumori, dialoghi, telefonate, virus, flatulenze e fino a qualche anno fa, rumore di fax e stampanti ed il fumo di sigaretta. Un esempio nostrano: il disco volante di San Mauro, progettato da Oscar Niemeyer, sede fino ad alcuni anni fa delle Cartiere Burgo SpA che si trasferì lì da Torino nel 1981; in quegli anni gli yankee si erano già resi conto che una simile architettura era controproducente, per i costi, per il maggiore stress cui erano sottoposti i dipendenti, per i problemi di micro-filtraggio dell’aria condizionata e, non ultimo, per la mancanza di privacy e di riservatezza dovendo trattare pratiche riservate. Ma noi, mostrando di saper sbagliare anche da soli, adottammo quell’edificio forte dell’importanza del suo progettista, con tutti i problemi anche manutentivi che ciò comportò. “Open space” perché “spazio aperto” sembrava troppo banale.

Potrei citare molti altri esempi di adozioni tardive ma citerò subito il più recente: il desk sharing. Tradotto in italiano suonerebbe “condivisione del banco” ma si potrebbe aggiustare con “condivisione della postazione” o “posto condiviso” con buona pace dei linguisti. Ciò che non cambia è la sostanza: adottare un sistema che negli USA si sta abbandonando perché controproducente.

Il desk sharing va di pari passo con lo smart working (“lavoro furbo” non rende l’idea). Di cosa si tratta? La postazione che finora era nostra, con la nostra cassettiera ed eventualmente con il nostro armadietto sarà condivisa, a giorni prestabiliti, con altri colleghi. In che modo? Se sono in ufficio, un altro collega sarà a casa a lavorare in smart working e viceversa. Qual è il vantaggio? Che l’azienda deve acquistare una sola postazione (quindi anche telefono) per due o più dipendenti. A parte lo stress (se per caso devo cambiare giorno per cause urgenti, quando torno in ufficio rischio di dovermi sedere sulle gambe del collega) implica una relazione diretta con lo smart working, altro istituto che proprio partendo dagli Usa trova sempre meno affezionati. Infatti, il minor contatto anche visivo tra colleghi è percepito come un fattore negativo nella scelta dello smart working. Non considerando alcuni parametri quali il maggior lavoro, i maggiori costi (riscaldamento durante l’inverno, costo del pasto, corrente elettrica, connessione internet che paghiamo di tasca propria lavorando da casa) e la solitudine, lo smart working e con esso il desk sharing che ti rende visibile un giorno ogni tot sono visti male dalle aziende USA e, solo marginalmente, da alcune aziende nostrane perché portano con sé una disaffezione dal lavoro e dai dipendenti perché costituisce una minor forza contrattuale (“divide et impera”); da entrambi un distacco dalla realtà aziendale, sia nella buona che nella cattiva sorte.

Alcuni nostri imprenditori che, come ho già avuto modo di scrivere, non sanno gestire le aziende ma talvolta riescono a curare i propri interessi si sono resi conto di questo e stanno facendo retromarcia anche per mansioni in cui lo sw sarebbe plausibile. Fra pochi anni lo sw resterà soltanto un ricordo: nato con la pandemia, proseguito per il vantaggio di ridurre gli spazi di lavoro ed i costi ma abbandonato per gli effetti collaterali succitati.

La cosa triste di tutto ciò è che i dipendenti sono continuamente coinvolti in corsi obbligatori su mille materie (dalla privacy all’anticorruzione, dalla qualità alla sicurezza, ai vdt) ma alcuni imprenditori, che sono poi quelli maggiormente coinvolti nei processi di cambiamento (investimenti, rischi, costi e ricavi), vivono nella convinzione di essere illuminati, detentori della verità o, più facilmente, ignorando di essere totalmente inadatti e senza il minimo aggiornamento.

Il suggerimento che ricevo da molti dipendenti (e consulenti) che ho intervistato o che seguono i miei coaching relazionali è che, togliendo di mezzo i sindacati che da circa 50 anni curano gli interessi degli imprenditori, questi dovrebbero concertare con i dipendenti le decisioni importanti: in primo luogo eviterebbero di dover poi tornare sui proprio passi, visto che loro vedono solo il prodotto finito e spesso ignorano cosa vi sia sulla strada per raggiungerlo e, in secondo luogo, se vi è armonia tra impresa e maestranze a trarne vantaggio è il risultato finale perché vi è maggior impegno da parte di chi lavora, più serenità, minor conflittualità.

Un mio amico, diventato amministratore delegato di un‘azienda, ha fatto installare una sala relax con tv, una piscina ed altro. In occasione di uno dei recenti mondiali di calcio ha dato libertà ai propri dipendenti di guardare la partita invitandoli poi a recuperare; sapeva che, in caso contrario, si sarebbero posti in permesso, malattia, ecc. Non solo recuperarono il tempo della partita (anche in due volte) ma da quando ha adottato quella serie di provvedimenti è drasticamente diminuito l’assenteismo, è migliorata la qualità dei servizi resi e la conflittualità tra dipendenti e tra dipendenti e azienda si è azzerata.

Riflettiamoci su.

Sergio Motta

Ricordi di Langa

Ciao Dogliani.

Il treno, da Torino-Porta Nuova linea Bra-Ceva, ferma a Monchiero e la tramvia (6 km) porta alla tua stazione e, con la macchina di piazza Fiat 1400 beige, si va dai “Nostri”!
Ti racconto di

. ESTATE
Il balconcino sul retro della casa di zia si affaccia sulla piazzetta del Mercà ‘d J’euv, improvvise nell’aria salgono le note allegre di un pianoforte. Infatti, nel Teatro/Cinema c’è un coro di voci giovani diretto dal maestro…”Stooop!…più veloce…più allegro…” a cui seguono risatine e brevi commenti. “Come sei bella Dogliani…” è un inno/marcetta alla tua bellezza! Sono le prove per l’imminente Festa dell’Uva in Settembre.
Sono gli Anni 50, c’è entusiasmo e partecipazione. Intanto nelle tue borgate, frazioni e paesi vicini fervono i preparativi per allestire i carri allegorici a tema, a volte satirici, mai volgari.
Alla Festa arrivano molti visitatori, anche da fuori Regione, con pullman e altri mezzi.
Ti animi con tanta musica, cori, ballo a palchetto in piazza e i tuoi rinomati ristoranti propongono i menu della tradizione: Affettati-Raviole-Plin-Fritto e Bollito misti-Bönet, il tutto innaffiato con il tuo Dolcetto!

. MARTEDI’ DI’ ‘D MERCA’
Noto una certa eleganza, come nei giorni di festa. Arrivano a frotte dalle frazioni e qua e la gruppetti di persone conversano amabilmente.
La tua Gente è briosa, pronta alla battuta e alla risata franca, lavora sodo, non mugugna e apprezza stare in compagnia!
Tra i banchi dei commercianti/ambulanti fissi, alcune donne vendono prodotti di cascina: cestini di uova fresche, tome di pecora, ortaggi e frutta di vigna.
La Signora-storico il suo carretto del gelato artigianale-due ottimi gusti-porge coni che strabordano…
Percorro lentamente un po’ a zig-zag, la via centrale e mi soffermo curiosa davanti alle tue fornite botteghe i cui negozianti sono disponibili e consigliano al meglio. Oggi è difficile vederli sulla porta con i loro grembiuloni perchè occupati dietro il banco a servire i clienti.
Mi piace molto l’antica Farmacia con i suoi scaffali lignei e vetrine, i bei vasi in ceramica finemente decorati e sotto il portico aleggia il suo profumo particolare e inconfondibile.
Di fronte, un Emporio, stile FarWest… li c’è sempre qualcosa di nuovo da vedere: abiti da lavoro, attrezzi per la campagna, il giardino, lo sport, giochini per bimbi e la casa. Non mancano scatoloni con le pianelle “friulane” in velluto e le pattine/pattini per i pavimenti cerati.  Appesi a grappoli alla colonna del portico, zoccoli in legno di tutte le misure e la fascia in cuoio. Li misuro, acquisto e il calzolaio mette la gomma per non scivolare e per non far troppo rumore.

. MICHE, GRISSETTA, CHERNIELE
L’impasto riposa e lievita tutta la notte nella madia della cucina di nonna. Il mattino seguente, dentro un grande panno di teila ‘d Ca’, si sistema in un cesto sul carretto e.. via ‘a cœse’ al forno a legna della frazione. Al ritorno, il profumo di quel pane lascia la scia e inonda la casa. La tentazione è grande, ma all’ordine “non si mangia il pane caldo!”,desisto. A merenda: la cherniela  (torcetto gigante, cerchio o una bambolina, con granella di zucchero), oppure una mezza michetta con uovo ‘a frisinin’ (strapazzato) o confettura di frutta casalinga.
Nel primo pomeriggio con i miei cugini, sotto il portico di Pinotu, in una atmosfera sospesa, luce accecante, aria calda un po’ afosa… ascoltiamo il canto delle cicale, ronzii strani, le galline, il belato della pecora. Attira la nostra attenzione uno strano rumore, è una culla in legno che dondola. Poi, la dolcezza di una voce che canta la ninna-nanna al piccolino.
Per i compiti, zia prepara l’inchiostro con i papaveri.
Prima di ogni pasto, si ringrazia per il cibo. Prima di dormire, si prega.

. DOMENICA
Il sabato pomeriggio sulla ‘lobia’: lavaggio chiome e risciacquo con aceto.
In pompa magna…o quasi, si parte con le scarpe buone avvolte in carta di giornale. Quelle impolverate, dietro un cespuglio, attendono il nostro ritorno.
La Messa prima, alle 6 per Anziani e chi lavora. Nell’imponente chiesa parrocchiale ss Quirico e Paolo, la Messa ‘granda’ è al completo: le Donne a destra, gli Uomini a sinistra e nei primi banchi i Bimbi con catechisti e suore. In fondo si lascia spazio per i Giovani che allegri commentano la sera prima…
Qui la Messa è solenne: organo, coro maschile canto gregoriano, degno delle grandi cattedrali europee. Le omelie a volte forti, fanno riflettere!

. CITTADINI ILLUSTRI, FAMOSI, COMUNI
Hai dato i natali a grandi Uomini e Donne che, in Italia e in molte parti del Globo, ti hanno rappresentato degnamente con i valori da te ricevuti.
Quando, alla domanda “… la tua Città?”, rispondo “Torino” e, orgogliosa aggiungo:”le mie radici sono nelle Langhe, a Dogliani!”
Avrei ancora tanto da dirti… intanto GRAZIE per essere stata e essere come sei!

Un carissimo saluto.
G.S.-Torino

Dall’estate fino a dicembre nelle circoscrizioni torinesi: la cultura dietro l’angolo

LA CULTURA DIETRO L’ANGOLO 2023

 

www.laculturadietrolangolo.it

 

Le novità di questa edizione, il programma, le feste di inaugurazione e i partner.

 

‘La cultura dietro l’angolo’, da un’idea di Fondazione Compagnia di San Paolo in collaborazione con la Città di Torino, giunge alla sua seconda edizione: un programma di oltre 120 attività culturali diffuse nelle circoscrizioni della città che, da maggio a dicembre 2023, porterà la cultura a poca distanza da casa, ovunque si abiti, creando nuove occasioni di relazione, condivisione, aggregazione e partecipazione.

 

 

Il bilancio degli effetti della pandemia sulla partecipazione culturale è stato, come dimostrano i dati, molto pesante. Osservando i dati del Piemonte saltano agli occhi alcune evidenze: nel 2021 il 2% dei residenti ha assistito a concerti di musica classica e opera, il 3,1% ha fruito degli spettacoli teatrali e l’11% ha visitato musei e mostre[1]. Ma non solo: questi due anni hanno determinato anche un forte cambiamento nelle abitudini di vita quotidiane delle persone. Le disuguaglianze si sono aggravate, la frammentazione sociale si è ampliata e le relazioni umane si sono indebolite. Tra le strategie adottate dalla Fondazione Compagnia di San Paolo per mitigare il dilagare di questi processi vi sono, da un lato, la riscoperta degli spazi pubblici di aggregazione della nostra città e, dall’altro, la costruzione di un sistema di alleanze con alcuni dei più importanti attori culturali torinesi.

Il programma di attività La cultura dietro l’angolo nasce, quindi, proprio per rispondere a questa sfida: favorire e facilitare la costruzione di relazioni interpersonali (di vicinato, amicali, di mutuo aiuto…) attraverso buone pratiche di cultura di prossimità.

I risultati positivi della sperimentazione del 2022 – che ha registrato 2300 presenze in occasione delle 80 attività culturali – hanno confermato che la traiettoria individuata è quella giusta. Alla luce di tali risultati e al riscontro positivo da parte del pubblico, Fondazione Compagnia di San Paolo ha deciso non solo di reiterare l’esperienza, ma di lavorare con la speranza di allargare sempre di più il bacino dei partecipanti, ampliare la compagine dei partner e rafforzare la collaborazione con e tra le realtà culturali e sociali del territorio.

Nella sua seconda edizione, La cultura dietro l’angolo rafforza la sinergia e la collaborazione con le istituzioni pubbliche. Fondazione Compagnia di San Paolo e Città di Torino, con questo programma, guardano insieme nella stessa direzione: favorire la parità di accesso ai diritti culturali, moltiplicando le occasioni e rendendo sempre più capillare sul territorio un’offerta culturale di qualità.

Ed è proprio sulla base di questa visione comune, che il programma de La cultura dietro l’angolo si arricchirà in estate della collaborazione con alcune progettualità del “Programma culturale estate 2022-2023” e in autunno con le iniziative di “Circoscrizioni, che spettacolo… dal vivo!”. Altra importante novità della seconda edizione, sempre in ottica di valorizzazione degli spazi pubblici, è il coinvolgimento delle Biblioteche Civiche Torinesi e del Centro Interculturale della Città di Torino. Punti di riferimento sul territorio, la Biblioteca civica Italo Calvino, la Biblioteca civica Don Lorenzo Milani e il Centro Interculturale vanno ad ampliare la rete dei presidi civici territoriali che collaborano attivamente al progetto e che saranno sede delle attività. Tra i nuovi partner territoriali anche il community hub Beeozanam.

Non solo più attività in più luoghi, ma anche più linguaggi artistici ed espressivi, aprendosi anche alla fotografia e all’arte moderna e contemporanea. L’edizione 2023 si arricchisce, infatti, anche in termini di proposta grazie al coinvolgimento di importanti realtà del comparto museale e teatrale, come TPE – Teatro Piemonte Europa, Gallerie d’Italia – Torino di Intesa Sanpaolo e GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino.

 

IL PROGRAMMA 2023

 

Da maggio 2023

La cultura dietro l’angolo riparte dalla partecipazione culturale come leva principale per favorire la costruzione di relazioni interpersonali. Grazie alla collaborazione inedita tra alcuni dei più importanti enti culturali della città e dieci presidi civici, La cultura dietro l’angolo propone un ricco calendario di appuntamenti gratuiti nelle circoscrizioni per ridurre le distanze attraverso arte, storia, musica, teatro, scienza e fotografia.

Si tratta di una proposta distribuita capillarmente su tutto il territorio cittadino per un tempo prolungato.

L’Unione Musicale propone attività laboratoriali coinvolgenti, in un clima informale e rilassato: Tutti in coro! offre la possibilità di provare l’esperienza del cantare insieme, mentre con Ascolta che musica si scopriranno segreti e curiosità della musica classica e degli strumenti musicali ascoltando dal vivo alcuni brani famosi.

Con il laboratorio di narrazione Racconti di quartiere del Teatro Stabile di Torino i cittadini potranno, invece, condividere memorie, personaggi e luoghi che hanno caratterizzato e che ancora oggi rappresentano un simbolo del loro territorio.

Grazie alla collaborazione tra la Fondazione TRG e l’Ospedale Koelliker si potrà scoprire cosa succede quando la comicità incontra la prevenzione: Bugiardini sarà un racconto comico per parlare di temi importanti, per sorridere alle abitudini sbagliate e cercare di capire quali sono quelle che possono aiutare a stare meglio, attraverso il linguaggio teatrale.

Quali emozioni possono trasmettere le fotografie? Come si realizza un ritratto? A queste domande cercheranno di rispondere i laboratori Incontri di emozioni e Ritrattiamoci, progettati da Gallerie d’Italia – Torino e realizzati da Civita Mostre e Musei. Tramite la tecnica del collage, immagini delle opere della collezione e scatti fotografici si potranno, infatti, realizzare opere personali cariche di emozioni e originali autoritratti.

La scoperta della molecola del DNA e del cuore saranno, invece, i temi delle attività dell’Associazione CentroScienza Onlus: con Innocente fino a test genetico contrario si imparerà a conoscere la struttura del DNA e il suo utilizzo anche nelle indagini della polizia scientifica; con Cuore, macchina fondamentale si andrà alla scoperta dell’anatomia di questo organo fondamentale e di tutto l’apparato circolatorio.

Le memorie individuali e collettive saranno al centro delle attività del Museo Egizio: Ricordati di te è un laboratorio pensato per avvicinare i partecipanti alle storie custodite dai musei, con uno sguardo personale ed emozionale. Sarà seguito da una visita guidata gratuita all’interno del Museo Egizio per i partecipanti.

TPE – Teatro Piemonte Europa propone Imparare a guardare senza occhi, un laboratorio teatrale aperto a tutti, finalizzato a scoprire e ad amplificare tutte quelle capacità di percezione sensoriale non legate direttamente all’organo della vista.

Infine, GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino con Theatrum Sabaudiae propone Posa la tua ombra, un laboratorio che permetterà di sperimentare la forza della gestualità a partire dalle opere d’arte e dal dialogo con la creazione di sagome-ombra.

 

La card

Ad arricchire ulteriormente le opportunità per i cittadini vi è la tessera gratuita La cultura dietro l’angolo, che offre numerose proposte e occasioni culturali. La tessera consente di entrare gratuitamente al Museo Egizio, alla GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino e alle Gallerie d’Italia – Torino di Intesa Sanpaolo fino alla fine dell’anno e di poter assistere con riduzioni a concerti, spettacoli e incontri previsti dalle stagioni autunnali di Unione Musicale, TPE – Teatro Piemonte Europa, Fondazione TRG, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale e Associazione CentroScienza Onlus.

È possibile scoprire tutte le agevolazioni sul sito www.laculturadietrolangolo.it e richiederla presso i presidi territoriali che partecipano al programma.

 

I partner

L’impegno collettivo, le sinergie, l’ascolto reciproco e lo scambio di competenze tra tutti i partner coinvolti sono ciò che rendono possibile la realizzazione del programma.

La cultura dietro l’angolo è un progetto di Fondazione Compagnia di San Paolo, con la collaborazione della Città di Torino. L’iniziativa è sviluppata con la Fondazione Ufficio Pio, Arci Torino, la Rete Case del Quartiere, la Rete di Torino Solidale. È resa possibile grazie all’impegno di enti quali Associazione CentroScienza Onlus, Museo Egizio, Unione Musicale, Fondazione TRG, TPE – Teatro Piemonte Europa, GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, Gallerie d’Italia – Torino di Intesa Sanpaolo, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, coordinati dall’Associazione Abbonamento Musei.

Il programma è realizzato grazie all’importante collaborazione di dieci presidi civici territoriali: Casa nel Parco nella Circoscrizione 2; Fabbrica delle E/Binaria nella Circoscrizione 3; Più SpazioQuattro nella Circoscrizione 4; Casa Vallette e Beeozanam nella Circoscrizione 5; Bagni Pubblici di via Agliè, Biblioteca civica “Don Lorenzo Milani” e Centro Interculturale della Città di Torino nella Circoscrizione 6; Biblioteca civica “Italo Calvino” nella Circoscrizione 7; Casa del Quartiere di San Salvario nella Circoscrizione 8.

Il programma si avvale, inoltre, del prezioso contributo di altri presidi della Rete Torino Solidale, come Cascina Roccafranca, Gruppo Abele e della Consulta per le Persone in Difficoltà.

Il welfare aziendale parte dalla sanità: servizi di prima infanzia nelle Asl

Via al bando da 3 milioni e mezzo di euro per l’attivazione di servizi per la prima infanzia nelle Aziende Sanitarie Locali, nelle Aziende ospedaliere e ospedaliero-universitarie, in forma singola o associata. L’assessore Caucino: «Progetto “rivoluzionario”. Puntando sul welfare aziendale il Piemonte si conferma una regione che sostiene la famiglia e la natalità, favorendo l’inclusione».

 

Progetti, idee, soluzioni innovative che diventano fatti concreti. La proposta, lanciata mesi fa proprio dalla sua Biella, in un incontro con i vertici dell’Asl locale, dall’assessore regionale alla Famiglia, Chiara Caucino, è diventata realtà: la Regione Piemonte ha pubblicato infatti un bando per l’attivazione di servizi per la prima infanzia nel Sistema Sanitario Piemontese.

L’iniziativa, rivolta alle Aziende Sanitarie Locali, Aziende ospedaliere e ospedaliero-universitarie, in forma singola o associata mira a sostenere l’attivazione di servizi dedicati a quella fascia d’età, offrendo un prezioso supporto ai lavoratori delle aziende coinvolte: sintetizzato con una parola – anzi, con due – welfare aziendale. 

Si tratta infatti di servizi che costituiscono un importante strumento per agevolare i genitori lavoratori nelle aziende sanitarie pubbliche piemontesi, consentendo loro di conciliare le esigenze professionali con quelle familiari e possono essere anche eventualmente aperti agli utenti delle aziende sanitarie, fornendo loro un’opportunità preziosa durante le visite mediche o gli esami.

Ma di cosa si tratta, in concreto? Lintervento finanzia lapertura e il mantenimento di uno o più servizi educativi per linfanzia tra nidi dinfanzia, Micro nidi e Centri di custodia oraria (baby parking) e Spazi gioco, senza dimenticare le ludoteche.  I servizi dovranno essere erogati presso locali allinterno delle strutture o comunque in spazi di appartenenza ai soggetti beneficiari. Per servizi per la prima infanzia di carattere «aziendale», si intendono, quindi, le strutture attivate presso i luoghi di lavoro o nelle loro vicinanze che destinino ai figli dei dipendenti o collaboratori (a vario titolo) delle aziende coinvolte nella realizzazione, una quota di posti superiore al 50%.

Le risorse messe a disposizione per questo bando ammontano, complessivamente, a 3,5 milioni di euro. Ciascuna domanda può ottenere un finanziamento che varia da 200.000 euro a 250.000 euro, consentendo alle aziende di sviluppare progetti adeguati alle proprie esigenze e alla dimensione dell’utenza.

Le Aziende interessate a partecipare al Bando – che sono già state tempestivamente avvisate dalla stessa Caucino via email – dovranno presentare la propria domanda attraverso l’invio di una PEC entro e non oltre il 9 ottobre 2023.

«Con questo provvedimento – spiega Caucino – che reputo a suo modo “rivoluzionario”, oltre a mantenere, ancora una volta, la parola data, il Piemonte conferma il proprio impegno nel promuovere servizi e iniziative che favoriscano la conciliazione tra vita professionale e familiare, contribuendo al benessere delle famiglie e alla crescita del tessuto sociale ed economico del territorio». «D’altronde – prosegue Caucino – con questa scelta, che parte dal Sistema Sanitario Piemontese ma che in futuro potrà essere estesa ad altri comparti – andiamo a investire proprio sulla famiglia, sulla sostenibilità del lavoro e, di conseguenza, sosteniamo la natalità che è il vero problema non solo del Piemonte, ma di tutta l’Italia». «Troppo spesso – conclude Caucino – e mi riferisco in particolare alle mamme, ma non solo, dedicarsi e concentrarsi sul proprio lavoro e gestire i figli, specie i più piccoli, diventa una “missione” davvero ardua o, in alternativa, costosa. Puntare sul welfare aziendale, quindi, non significa soltanto quanto detto più sopra, ma anche rendere il Piemonte sempre più inclusivo e attento alle più concrete esigenze di chi, ogni giorno, è costretto, giocoforza, a convivere con miriadi di difficoltà».

I dettagli completi del Bando, nonché il modulo di domanda e tutte le informazioni necessarie, sono disponibili all’indirizzo web https://bandi.regione.piemonte.it/contributi-finanziamenti/attivazione- servizi-prima-infanzia-nel-sistema-sanitario-piemontese.

 

Per eventuali dubbi o richieste di chiarimenti, è possibile contattare l’indirizzo email pariopportunita-fse@regione.piemonte.it

Usa e getta? No, grazie

L’umanità ha più volte nel corso della storia modificato le abitudini per poi tornare sui suoi passi, per poi modificarle nuovamente.

Ne sono un esempio l’abbigliamento, che periodicamente torna di moda (pantaloni a zampa di elefante, per citare un caso) e l’arredamento, settore che ha visto sparire i mobili dei nostri nonni a favore dei mobili componibili per poi vedere comparire nuovamente quegli stessi mobili nei mercatini, presentati su riviste apposite, venduti spesso a caro prezzo e ricercati per il loro valore storico, per la storia che portano con sé ma, soprattutto, perché così è la moda.

Non dimentichiamo che, quasi esclusivamente nel mondo occidentale, c’è un’eterna rincorsa alla novità ed un consumismo sfrenato che ci portano a cambiare gli oggetti, anche se ancora perfettamente funzionanti e idonei allo scopo per cui li abbiamo comprati, soltanto per il gusto di cambiare, di far vedere agli altri il nostro nuovo acquisto e, purtroppo, non sentirci inferiori agli altri come se l’oggetto fosse lo status symbol anziché fingere di rappresentarlo.

Questo è probabilmente il motivo più frequente per cui cerchiamo di adeguarci alle mode in un crescendo rossiniano di spese, cambi, acquisti, vendite a prezzi irrisori perché l’acquirente è più furbo del venditore o, più spesso, abbandono dell’oggetto in fondo ad un cassetto o in cantina.

Come non bastasse, al danno economico si aggiunge lo stress della competitività a tutti i costi.

Conosco diverse persone che cambiano il cellulare ogni 6 mesi-1 anno (quindi ancora in garanzia) perché il modello successivo ha una fotocamera con una risoluzione maggiore (neanche dovessero fotografare una mosca sul marciapiede di fronte), oppure ha anche l’impronta digitale per sbloccarlo (se te lo rubano il dito ti serve a poco) o altre banalità simili.

Allo stesso modo vi sono gli acquirenti di televisori che passano da un modello a quello di dimensioni maggiori, non considerando che abitano in un appartamento e non in una sala cinema) e soprattutto che a distanza ravvicinata gli occhi si danneggiano.

Non dimentichiamo che quasi sempre i beni superflui vengono acquistati facendo ricordo ad un finanziamento, solitamente con un tasso di interesse diverso da zero, che aggiunge idiozia alla stoltezza.

Un mio conoscente batteva tutti i record. Sfogliava i volantini di alcuni ipermercati, vedeva se ci fossero offerte eccezionali (“solo oggi il tal articolo è scontato del 75%”) e lo acquistava (TV, stereo, smartphone) e, essendo nuovi e “in più” li lasciava nella confezione originale. Peccato che non utilizzandoli subito non si accorgesse di eventuali difetti di fabbricazione e quando si decideva ad usarli spesso la garanzia era già scaduta, il modello era obsoleto e, è capitato, fosse fuori produzione quindi eventuali ricambi fossero irreperibili.

Il consumismo è, ipso facto, uno stile di vita che induce profitti enormi per le imprese produttrici e per tutto l’indotto (dagli agenti di commercio ai trasportatori, ai pubblicitari, alla GDO ed ai commercianti minori) ma danneggia enormemente l’anello debole della catena: il consumatore finale.

Marketing strategico, esperti di comunicazione, strateghi dell’upselling e del cross-selling riescono a rendere appetibile un prodotto che, di per sé o per quell’utente, è superfluo se non addirittura inutile: un oggetto che svolge le stesse funzioni di quello in nostro possesso o è predisposto per un uso futuro che non si sa quando diventerà attuale, dimensioni ridotte di qualche millimetro vantate come un risparmio di spazio indispensabile.

Un paio di anni fa mi recai ad acquistare uno smartphone, perché l’altro si era suicidato nell’acqua: la commessa, proponendomi alcuni modelli nella fascia di prezzo che avevo indicato e che avessero ciò che mi serviva, mi propose un modello “che ha già il 5G”. Con la faccia più eloquente possibile feci notare alla signorina che al momento il 5G non era in funzione e che, quando lo fosse stato, il mio smartphone sarebbe stato già da cambiare; la signorina cambiò discorso.

E che dire del cambio di elettrodomestici per sostituire la nostra lavatrice classe A+ con una di classe A++ “perché consuma meno”?  A fronte di un risparmio (per la sola lavatrice) di…. 10 euro al mese? spendiamo all’incirca da 400 a 600 euro, cioè il risparmio da 40 a 60 mesi di energia. Dopo tale periodo probabilmente avremo già cambiato nuovamente la lavatrice non avendo non soltanto risparmiato, ma speso di più per un cambio inutile. Moltiplicate questo discorso per lavastoviglie, freezer, frigorifero e asciugatrice e capirete quanto sia potente il marketing e quanto impotenti siamo noi.

Sergio Motta

Armocromia per essere in armonia con il proprio aspetto

In una società in cui tutto sembra essere improntato sempre più alla confusione esiste una scienza  che, nell’essere umano, riesce a ristabilire un ordine e un equilibrio. Si tratta della armocromia.

È una scienza che, in base alla combinazione di pelle, occhi e capelli, definisce la palette di  colori ideale per ciascuno di noi, la gamma di colori in grado di farci apparire più  giovani e in forma.

“Nei Paesi anglosassoni dove   stata inventata, questa scienza prende il nome di Color Analysis – spiega Rossella Migliaccio, imprenditrice e la prima donna ad aver  introdotto l’Armocromiain Italia ormai più di dieci anni fa, creando un proprio metodo di analisi e relativi strumenti a supporto – L’etimologia italiana risulta più  evocativa perché la radice della parola fa riferimento diretto al concetto di “armonia”, mentre “cromia” deriva dal greco e vuol dire appunto colore. Nella definizione è  insito il segreto di tale scienza, che analizza i nostri colori personali per metterli in risalto secondo un criterio di armonia.

Del resto, anche se i canoni estetici sono profondamente mutati innumerevoli volte nel corso della Storia e cambiano alle diverse latitudini, siamo per natura portati a riconoscere e apprezzare il bello, in modo del tutto spontaneo perché l’unica oggettività nella bellezza è l’armonia”.

“Esiste un termine francese “palette” che indica – spiega  Rossella Migliaccio – una gamma di colori. L’armocromia ci aiuta a individuare quelli che ci valorizzano nella scelta di abiti e accessori, nel trucco, nella colorazione dei capelli. La palette risulta diversa da persona a persona perché esalta le caratteristiche naturali cromatiche e i colori naturali di ciascun individuo.

I colori cosiddetti “colori amici” sono per definizione i nostri alleati di bellezza, quali che hanno il potere di farci apparire più in forma, illuminando la pelle, il sorriso, i capelli, rendendo l’incarnato più omogeneo e attenuando discromie e inestetismi come le cicatrici. I colori “nemici” sono quelli che fanno apparire stanchi e sciupati, in parole semplici “ci muoiono addosso e ci sbattono”.

“L’armocromia – aggiunge Rossella Migliaccio – si basa sul riconoscere le caratteristiche cromatiche delle persone per poi ripeterle in ciò che indossano. Le caratteristiche individuali cromatiche sono quattro: sottotono, valore, contrasto e intensità;possiamo cercarle nel colore dei nostri occhi, dei nostri capelli e in quel mix formato da “pelle-occhi-capelli”. Per i capelli si considera il colore naturale, non le colorazioni artificiali, allo stesso modo si prende in considerazione la pelle al naturale, senza l’abbronzatura né il trucco.

Storicamente la maggior parte degli studiosi di armocromia tende a suddividere le tipologie cromatiche delle persone in quattro macrogruppi che non hanno nulla  a che vedere con il guardaroba estivo o invernale, ma si tratta di quattro macrogruppi che corrispondono alle quattro stagioni (spring, summer, autumn, winter)”. La Palette della primavera riprende i colori brillanti e solari di un bouquet primaverile; l’estate ha la prevalenza di colori freddi e delicati, come sabbia e acquamarina; l’autunno presenta le nuance calde e profonde dei boschi che si tingono di rosso e di giallo. L’inverno mostra colori freddi e più  forti come il bianco della neve e il blu delle giornate che si accorciano.

Quali che siano i nostri colori naturali, la nostra stagione di appartenenza avrà le nostre stesse caratteristiche cromatiche, seguendo un principio di ripetizione e di armonia. Nonostante possiamo alterare i nostri colori naturali, ricorrendo a make up, lenti a contatto colorate e colorazioni di capelli, la nostra stagione di appartenenza non cambierà”.

MARA MARTELLOTTA

Anche i ricchi piangono. Poi si risollevano

Mi ricordo di quella volta che un mio amico mi raccontò di aver lasciato la ragazza che lo tradiva. Location dell’addio? La Falchera, davanti ai cassonetti Amiat. Spettatori, nessuno. Noi siamo liberali convinti, ma siamo tentati di dar ragione ai pauperisti-comunisti che da sempre osteggiamo, quando stigmatizzano il mondo dorato (e fuori dal mondo) dei ricchi borghesi. Tra i quali spiccano certamente i tanti milionari torinesi, spesso e volentieri viziati e radicalchic. Il caso dell’estate, il cruento duello degli stimati Seimandy-Segre, al di là delle giuste considerazioni che hanno portato l’Autorità garante della privacy ad indagare sulle questioni private della signora messe in piazza dall’ormai ex, tra tartine al caviale e champagne, ovviamente sulla dorata collina torinese, ci sta annoiando. La geopolitica mondiale esplode, l’occupazione langue e Bardonecchia viene sommersa dal fango. Anche i ricchi piangono, d’accordo. Siamo dispiaciuti e ne prendiamo atto. Ma poi sapranno risollevarsi, ne siamo sicuri.

Cri. Bus.

Ferragosto, quando a Torino si pranzava al sacco in riva al Po

COSA SUCCEDE(VA) IN CITTA’

Augusto l’ha inventato, noi lo festeggiamo.

In inverno è l’Epifania che “tutte le feste porta via”, in estate invece è il Ferragosto a farci assaporare il gusto malinconico di settembre.


Un giorno particolare, dunque, il 15 agosto, una giornata “confine” tra la spensieratezza delle vacanze e il solito nuovo inizio del “tran-tran” quotidiano, che ci aspetta impietoso, appena superata la metà del mese. Ferragosto va dunque festeggiato “come se non ci fosse un domani” di vacanza, con la felicità che si prova quando si rivedono gli amici dopo tanto tempo e con la consapevolezza del carpe diem” e quindivia veloci con i preparativi! Ed è proprio così – per fortuna- da questa bella giornata non si scampa.


Se penso ai miei ferragosti passati mi vengono in mente tanti bei momenti, alcuni immortalati da fotografie sfocate e mosse, altri -per fortuna- non documentati ma indelebilmente impressi nella memoria. Dunque il 15 agosto è una di quelle ricorrenze obbligate che di “obbligo” hanno ben poco e che da sempre vengono tenute in gran considerazione. L’abitudine di festeggiare e organizzare scampagnate fuoriporta nasce, in Italia, durante il ventennio fascista. A partire dagli anni Venti, infatti, il Regime organizzava, attraverso le associazioni dopolavoristiche delle varie corporazioni, tra i giorni 13 e 15 di agosto, moltissime gite popolari e proponeva offerte ferroviarie che permettevano anche ai meno abbienti di visitare diverse località della penisola. In particolare tra il 1931 e il 1939 vennero istituiti dei Treni popolari speciali, prevalentemente solo di terza classe, con prezzi fortemente scontati.

Esistevano le trasferte giornaliere, che si svolgevano nel raggio di 100 km e quelle di tre giorni, che invece arrivavano a coprire la distanza di 200 km; grazie ai “treni di ferragosto” molte famiglie italiane ebbero l’occasione di vedere il mare o la montagna per la prima volta, oppure poterono visitare alcune città d’arte. In tali uscite non era previsto il vitto, ecco dunque la nascita della tradizione del “pranzo al sacco”. Tempi lontani, quelli dell’ante-guerra, che troppo spesso vengono dimenticati e che altrettanto frequentemente non ci fanno pensare “di essere grati di essere nati nel lato del mondo che in fondo in fondo è perfetto”, per fare il verso ad una ormai datata canzone degli Articolo 31.
Ma la festa del Ferragosto ha origini assai più antiche.


Il termine deriva da “Feriae Augusti”, ossia il “riposo di Augusto”, una festività che si celebrava nell’antica Roma, istituita nel 18 a.C. proprio dallo stesso “princeps Augusto, perché, se il caldo lo soffrono i comuni mortali, figuratevi gli imperatori! Tale celebrazione si collegava alle già esistenti Vinalia Rustica” (festività in onore di Giove e Venere), ai Nemoralia” (tre giorni, durante le Idi di agosto, dedicati al culto di Diana) e ai ConsualiaLa ricorrenza non coincideva esattamente con il giorno 15 del mese, piuttosto le “Feriae Augusti” designavano la prima parte di agosto, periodo appunto dedicato a quell’otium che tanto piaceva ad Orazio e alle attività collegate alla tradizione dei Consualia, ossia le feste che si celebravano alla fine dei raccolti, in onore di Conso, protettore della terra e della fertilità.


In questo periodo in tutto l’Impero si organizzavano corse di cavalli e altri animali da tiro, come buoi, asini o muli, le bestie venivano quindi dispensate dal lavoro e agghindate con ghirlande e fiori. Proprio questa abitudine sopravvive ad esempio nel “Palio dell’Assunta”, che si svolge a Siena il 16 di Agosto, (Palio deriva da pallium, il drappo di stoffa pregiata, premio di chi vinceva la gara). Sempre in tale occasione i contadini porgevano i loro auguri ai proprietari terrieri, ottenendo in cambio una mancia. Le buone tradizioni si radicano velocemente, soprattutto se si tratta di guadagnarci qualcosa, e così in età rinascimentale tale usanza fu resa obbligatoria nello Stato Pontificio.  Ma se alcune abitudini vengono accettate e incorporate senza troppe discussioni, altri atteggiamenti “pagani” tanto ben inseritinegli usi e costumi, visto che non si possono proprio eliminare, vanno quantomeno camuffati.


Con l’avvento del monoteismo molte festività vennero appunto “cristianizzate”, e per salvare “capra e cavoli” alcuni nomi vennero sostituiti e sovrapposti, mentre le abitudini popolari rimasero tutto sommato le stesse. Si pensi ad esempio all’equinozio di primavera, il primo giorno in cui la natura si risveglia, momento dedicato ai concetti di fertilità, resurrezione e rinascita. Nel mondo ellenico, dopo l’equinozio si svolgevano le Adonie, celebrazioni per la resurrezione di Adone, splendido giovane amato da Afrodite e ucciso da un cinghiale, a causa della gelosia di Ares. Proprio Adone può essere assimilato alla divinità Assiro-Babilonese Tammuz, chiamato anche Adon (signore), il quale trascorreva sei mesi negli Inferi, nel periodo in cui il sole si trovava al di sotto dell’equatore e tornava poi in superficie nei sei mesi successivi, per ricongiungersi all’amata dea Ishtar. Una storia già sentita, vero?


E così, invece di invocare Adon, la prima domenica dopo la luna piena che segue l’equinozio si festeggia la Pasqua cristiana, e la rinascita della natura diventa la resurrezione di Gesù. Questo gioco di sovrapposizioni ideologiche e teologiche non ha fine e l’elenco delle festività pagane rivisitate in chiave cristiana è assai lungo.  Vi propongo ancora solo un altro esempio: il tanto atteso Natale. Anche i più miscredenti sanno che Gesù è nato il 25 dicembre, e se pensate che sia un giorno come un altro, ecco è che qui “casca l’asino”. In realtà nessuno conosce la data esatta della nascita di Cristo, è stato il Concilio di Trento (1542-1563) a decretare che tale evento si fosse verificato proprio il 25 dicembre, confermando una già millenaria tradizione che si era sostituita nel tempo agli antichi culti pagani. Guarda caso, secondo tali tradizioni, in quel particolare momento astronomico la Dea-Notte diede alla luce il Dio-Sole. È davvero questo il momento in cui le giornate iniziano ad allungarsi, giusto quattro giorni dopo il solstizio d’inverno, la notte più lunga dell’anno, va da sé che per tutti i culti solari questo sia un momento di estrema importanza. Possiamo anche far riferimento al culto di Horus, partorito da Iside o alla vicenda di Mitra, nato dalla vergine Anahita e non ci vuole poi molto ad arrivare al “nostro” Gesù, “Sole Divino”, nato dalla Vergine Maria.


Ma non è questo il luogo per dissertare sulla cristianizzazione del paganesimo, né per intrattenerci sulle corrispondenze tra i miti e le credenze religiose. Se dunque il 14 del mese ci accalchiamo tutti nei supermercati o intasiamo le linee telefoniche per prenotare al ristorante è “colpa” della Chiesa, che ha voluto far coincidere il Ferragosto con la festa di precetto dell’Assunzione di Maria.
Non so quanti siano quelli che hanno a mente l’obbligo di partecipare alla Messa, come è scritto nel Codice di diritto canonico (ca.1247), ma conosco davvero molta gente che si appella “all’obbligo di astenersi dai quei lavori che turbano la letizia del riposo e della mente”. Forse non era proprio questo il concetto, ma non è il caso di essere così puntigliosi in questo giorno di relax.


Ferragosto dunque è una festa antica, una di quelle buone abitudini che si sono mantenute e che sono sopravvissute ai tempi che cambiano. E forse sarebbe il caso di ricordarsi ancora qualcosina in più, come l’abitudine dei lavoratori lombardi e piemontesi, i quali, fino agli inizi del XX secolo, nei cantieri edili, verso la fine di luglio, fissavano un grande ramo d’albero sulla parte più alta del fabbricato in costruzione, detto “pianta del faravòst”, che serviva a ricordare all’impresario la tradizione della mancia.


A Torino, invece, fino alla metà del XX secolo, era usuale pranzare al sacco in riva al Po, proprio vicino alla Chiesa del Pilone, tale giornata prendeva il nome di “festa dle pignate a la Madona dél Pilòn” (“Festa delle pentole alla Madonna del Pilone”). Per quanto apprezzi l’idea del “pick-nick” in quell’area particolare di Torino che tanto mi piace e che sempre ricorderò con affetto, avendo abitato lì per moltissimo tempo, devo dire che mi ritengo assai fortunata per aver avuto la possibilità di festeggiare Ferragosto –fino ad ora almeno- al mare. Ricordo le feste in spiaggia, quando ero ancora studentessa e gli amici erano davvero tanti, c’era chi portava la chitarra, chi da mangiare, chi invece era “l’addetto al bar” e poi alla fine si cantava tutti a squarcia gola attorno ad un piccolo falò che gentilmente chi di dovere fingeva di non aver notato.


Ricordo il bagno di mezzanotte in quel mare che di notte doveva essere caldo e che ci faceva prendere il raffreddore tutte le volte. Ricordo il giorno successivo, tutti al bar con il mal di gola e gli occhiali da sole anche se c’era brutto tempo. Tempus fugit”, le estati passano, la scuola finisce, alcune strade si dividono, le norme sulla sicurezza si fanno più ferree e l’acqua del mare diventa davvero fredda. Nessuno lo vuole ammettere ma le abitudini cambiano, molte in effetti, eppure la voglia di divertirsi e stare insieme resta: alla spiaggia si sostituisce la pizzeria o il giardino per fare la grigliata, ma “l’addetto al bar” c’è sempre.

 

Alessia Cagnotto 

Più di 60 anni fa: Ferragosto, il profumo della felicità

COSA SUCCEDE(VA) IN CITTÀ 

In fondo bastava veramente poco. Ci aiutava la fantasia. Niente televisione, niente video niente di niente. Magari, raramente,  un cinema di quarta se non quinta serie. Eppure lo sento ancora. Il profumo della felicità. Agosto di oltre 60 anni fa: Torino si svuotata, ma io per allora non capivo non sapendo. Sapevo solo che per 30 giorni 24 ore su 24 avevo a disposizione mio padre.
Monocamera affittata a Tuberghengo frazione di Viu’ in val di Lanzo. Ci si lavava in con il catino e per i bisogni c’erano i prati.
Si arrivava in corriera Soffietti. Da Torino si partiva dalla Torino Cirié Lanzo. Poi Venaria e la direttrice della Mandria. San Germano e poi i tornanti fino a Viu’. Cambio e corriera che andava al Col del Lys. 3 fermate, la curva di Tuberghengo. Poi 500 metri a piedi.
La casa era l’ultima verso la valle. Dal lato opposto Viu’. Si raggiungeva in mulattiera.
Giù fino alla Stura. A valle, sulla sinistra la falegnameria di Giacu. Tutto fatto a mano.
La piccola picozza come la piccola Gerla per portare il fieno. Stavo ore a guardare i montanari che facevano il fieno con la falce ed una pietra levigata per affilare la lama. Si aspettava uno o due giorni per essiccare l’erba  che diventava fieno. Poi il forcone per covoni. Non osservavo solo, soprattutto fantasticavo. Così i ruscelli diventavano inguardabili  fiumi tropicali. Già da piccolo avevo un debole per gli scopritori dei misteri delle giungle. La piccola picozza, a seconda delle necessità, poteva essere un machete o un fucile. I miei zii mi regalarono l’Enciclopedia Conoscere. Ogni settimana una dispensa.
Era piena di figure. Storia, geografia scienze, fauna e flora. Lo scibile umano per bambini.
Poi il mitico Salgari e Verne, tra Capitano Nemo e i pirati della Malesia. Il più delle volte bastava una fervida immaginazione condivisa con una totale fantasia. Altro che telefonini o computer. Ebbene si l’ ho detto. Ci bastava così poco. Sarà l’età avanzata ma ho nostalgia di quei tempi. Sicuramente di una giovinezza che non potrà mai tornare.
Ma anche nostalgia di un tempo che per trovare una nostro tempo dovevamo muoverci. Muoverci con le gambe e muoverci con la fantasia. Oggi può sembrare impossibile che vivevamo senza auto, senza telefono portatile, senza navigatori da consultare. Persino, solo per un mese, senza servizi igienici in casa. Mangiavamo  sempre in casa, al massimo pranzo al sacco nelle gite fori porta fino a Malciaussia. Con l’indimenticabile cioccolato Toblerone.
Un solo giorno era dedicato al ristorante: il giorno di Ferragosto. Ristorante per modo di dire. Un ” agriturismo ” ante litteram.
La cucina con il pavimento di terra ed il putage’ per cucinare. Il menù presto detto: antipasto di salumi. Primo la buseca e secondo o coniglio o pollo. Tutto a. Km 0.
I salmi del maiale ucciso e macellato a gennaio. La buseca: minestrone con la trippa e verdure dell’orto,  si intende. Polli ruspanti e conigli allevati dall’oste. Oste che era tutto. Cucinava e serviva. Forse zoppicante il vino, rigorosamente rosso imbottigliato da damigiane. Tanto non ne capivo nulla ed andavo di Coca-cola. La giornata volava via come le ferie. Come è volata via un po’ di felicità e di fantasia di quei tempi. Siamo cresciuti superando abbondantemente i 60 anni. Che poi , in fondo non è così da poco essere arrivati a questo punto.
Ovviamente buon ferragosto a Tutti.

PATRIZIO TOSETTO

(Da bambino nella foto)

Ferragosto e la gioia di vivere

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IL COMMENTO Di Pier Franco Quaglieni

Siamo giunti a Ferragosto che spesso si finge di festeggiare nella baraonda più assurda con locali affollati e gente che vive le vacanze come un mordi e fuggi generale. C’è chi parte alle 4 del mattino per qualche ora di spiaggia e rientra in giornata, come ha documentato la giornalista televisiva Eugenia Nante che ritorna sempre ogni anno nella sua Albenga per un po’ di giorni. La confusione non piace a molti ed ho sentito che dei miei amici tornano a Torino dal mare durante il Ferragosto per riappropriarsi della città deserta o quasi come turisti.

La Liguria è la meta prediletta dei Torinesi. Mario Soldati la definiva “una mezzaluna cristiana sul mare”. Un ossimoro, com’era nello stile dello scrittore ,che a partire dagli Anni ’60 aveva scelto la Liguria come sua  dimora preferita dopo averla individuata come meta delle vacanze. E le vacanze Soldati le passava sempre nella sua bella villa di Tellaro. Ma Soldati era legato non solo alla sua Tellaro, ai confini con la Toscana, egli amava tutta la Liguria.

Ricordo che quando veniva a trovarmi a Bordighera dimostrava un attaccamento a quei luoghi e ad un comune amico in particolare, lo scrittore Guido Seborga, l’Hess della Resistenza e dell’impegno socialista all’Avanti che aveva poi abbandonato per dedicarsi  alla pittura e alla scrittura nell’immediato entroterra bordigotto. Attorno al mitico locale “Chez Louis” in viale Italia si trovavano intellettuali come lui, Betocchi, Navarro (affezionatissimo di Bordighera e di Venezia  per le sue vacanze) e Bruno Fonzi che a Bordighera dedicò il romanzo Tennis.

Ero un giovane universitario ed ho potuto partecipare di quel clima solo   attraverso i suoi epigoni, notandone le profonde inquietudini esistenziali che non bastavano più le bevute a rasserenare. Hess, sicuramente il più affascinante e libero, era profondamente deluso e si poteva cogliere con immediatezza. Massimo Novelli ha scritto di lui in modo raffinato, cogliendone l’arte e il travaglio interiore profondo.   Ho ritrovato nel mio archivio una lettera di Mario Soldati che allego. Essa riflette l’idea di vacanza di prima della II Guerra Mondiale e ci fa rivivere un’Alassio che non c’è più da tanto tempo. È un’Alassio profondamente legata a Carlo Levi che la amò tantissimo. Forse vale le pena di riportarla integralmente.

La feci leggere in occasione di un Premio “Pannunzio” ad Alassio al Grand Hotel e suscitò una forte emozione: ad Alassio, d’estate, si stava bene anche durante il fascismo. Mario Berrino, dopo il 1945, ricostruì ad Alassio un’idea di vacanza che riavvicinò la gente al piacere della vita: la “Gran Cagnara” Anni ’50 e ’60 è un’immersione totale nel piacere dell’estate dopo le tante privazioni della guerra. Senza freni, ma con stile, educazione e rispetto di tutti.

Anche i piaceri della tavola erano tornati a poter essere goduti .La nascita nel 1953 ad opera di Orio Vergani dell’Accademia Italiana della Cucina è emblematica.   Un’amica che non cito scriveva di recente su Facebook: ”Toglietevi il trucco e i gioielli in spiaggia, tuffatevi con la testa sott’acqua, nuotate, arrampicatevi a piedi nudi sugli scogli, bevete vino vero, fumate, innamoratevi senza ragione, lasciate perdere calcoli e soldi. Dite” Ti amo”. Ridete. Donne, la vita è breve. Brevissima. Troppo breve per viverla impostate e guardinghe”. Anche i ridottissimi costumi femminili che hanno preso il posto dei topless, indicano una libertà provocante in spiaggia. Potrebbe essere il modo di pensare di un personaggio di Soldati, anzi di Soldati stesso. In effetti Ferragosto è il tempo ideale per l’amore, quello magari desiderato e inaspettato che nasce sulla spiaggia o in mille altri modi nella frenesia dell’estate. Non gli amori alambiccati e strani oggi tanto di moda, ma amori veri, autentici tra un uomo e una donna per scambiare tenerezza, complicità, piacere, gioia di vivere.

Per rifugiarsi nell’intimità di fronte alla confusione che ci infastidisce. In passato si faceva l’amore in spiaggia e poi si faceva il bagno a mezzanotte. I tempi oggi non lo consentono più. Oggi c’è una cena in riva al mare a cui segue l’amore. Forse è un privilegio di pochi la cena, ma l’amore sfrenato senza lo stress della quotidianità può essere alla portata di tutti, come diceva Gino Paoli. Pavese che aveva un’inesausta “sete di tenerezza” non appagata scelse a fine agosto di porre drammaticamente fine al “Mestiere di vivere”. La voce della donna roca l’avrebbe salvato.