IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni / Appare davvero irresponsabile la decisione del ministro della Difesa di far sorvolare delle città italiane ancora in lotta con il Coronavirus dalle “Frecce tricolori”
Forse voleva essere un segno di serenità, di ripresa e anche di patriottismo condivisibile, ma a Torino, ad esempio, questa sorvolata ha avuto effetti devastanti con assembramenti vietati che contraddicono la severità adottata nei confronti di cinema e teatri chiusi e che, se riapriranno, dovranno soggiacere a norme difficilmente praticabili. Gli stessi ristoranti combattono per la loro sopravvivenza a causa di restrizioni spesso incompatibili con i locali. In questo caso ogni norma contenitiva non è stata fatta rispettare.
giudiziaria l’assetto democratico del Paese che solo gli elettori avevano il diritto di cambiare. La Magistratura si sostituì al potere sovrano del popolo con un’azione in cui le regole inquisitorie adottate portarono a dei suicidi : incarcerare le persone perché confessassero fu la regola di comportamento dei giudici milanesi sostenuti da Scalfaro e da tanti giornalisti faziosi. Il coraggio di Cossiga non bastò a fermare la furia giustizialista che ottenne il massimo appoggio del Quirinale con Scalfaro presidente il quale non fu mai super partes. Oggi vanno ricordate queste pagine di storia, auspicando che ci siano interventi rapidi, decisi e severi soprattutto in Parlamento a tutela di una giustizia giusta. Le mozioni di sfiducia contro il ministro Bonafede non sono passate, ma gli errori gravi e le sue scelte demagogiche non possono essere archiviate. Oggi la Giustizia in Italia vive anch’essa una pandemia, ma le vittime sono i cittadini e i loro diritti.
Il trauma generalmente viene inteso come un avvenimento che supera le nostre capacità di significarlo e di reagire ad esso, qualcosa che impegna le nostre difese in maniera eccessiva e che irrompe bloccando il flusso regolare del nostro essere nel mondo; ciò che può essere messo in discussione è, in questi casi, il senso di continuità del nostro Sé, cioè la sensazione di essere sempre noi stessi al di là dello scorrere del tempo e dell’avvicendarsi di differenti contesti, si tratta quindi di una caratteristica fondamentale del Sé, sulla quale poggia la nostra stessa identità e la nostra esistenza.La pandemia, con tutto ciò che essa implica, porta però anche con sé delle peculiarità rispetto ad altri eventi a valenza traumatica collettiva, come ad esempio la guerra, e rispetto all’esperienza che facciamo di essa; infatti la minaccia di cui si fa portatrice è invisibile, il nemico non può essere riconosciuto e affrontato direttamente ma può celarsi dietro chiunque, quindi chiunque può essere, di fatto, il nostro nemico; inoltre lo stato di emergenza non può essere delimitato, la sua durata è indefinita, la minaccia è quindi impercettibile e perenne. Questi presupposti di per sé pongono sotto forte tensione il nostro funzionamento mentale, mettendo a dura prova il nostro assetto psicologico. La vulnerabilità umana diventa la protagonista, a scapito del senso di controllo e dell’illusione di onnipotenza che caratterizzano peculiarmente l’uomo contemporaneo, provocando una ferita narcisistica che ci impone di misurarci con il limite e ci consegna incertezza, smarrimento e frustrazione. Ad un livello più profondo, ciò con cui dobbiamo confrontarci nel nostro vissuto psicologico è l’angoscia di morte, il senso della caducità intrinseca alla condizione umana, che il pericolo imminente e invisibile del virus ci presenta davanti agli occhi con prepotenza, senza darci la possibilità di ignorarla; angoscia di morte che è abitualmente rimossa dagli individui in condizioni di “normalità”, per favorire un assestamento psichico ottimale. Ciò che accade è che l’ansia e la paura scaturenti da tale situazione intrapsichica possono andare incontro a varie strategie difensive, come ad esempio: negazione, scissione, evitamento, intellettualizzazione, rimozione, con conseguenze più o meno funzionali ed adattive, in base alla loro modalità di utilizzo e al perdurare di esse nel tempo, due condizioni in base alle quali può strutturarsi il trauma.
Ed ancora, un terzo delle famiglie non possiede un computer e di conseguenza le linee di ADSL sono ancora meno. In questo quadro bisogna poi sottolineare tutte quelle famiglie che hanno due se non tre figli in età scolastica con la necessità di fare lezione alla stessa ora e magari con l’aggiunta di uno dei genitori in tele lavoro da casa ed il computer è solo uno. Questa situazione porta alla mente la famosa “ Lettera ad una Professoressa” di Don Milani “ Non c’è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali”. Anche perché a distanza non è scuola, è un surrogato e cioè una …ciofeca. Il digitale e la tecnologia sono un elemento complementare dell’istruzione e non un fondamento. Meno male che , a ricordare questo importante aspetto ci hanno pensato un gruppo di intellettuali, sedici, tra i quali il filosofo Massimo Cacciari, che hanno sottoscritto un documento che chiede e ricorda che il futuro della scuola non è il DAD che, tra l’altro, aumenta le disparità ed elimina la socialità che è uno degli elementi fondamentali dell’istruzione e della formazione dei ragazzi. Insomma la scuola non è più il presidio della Nazione. Funzione prima svolta dall’esercito fino a quando c’è stata la leva obbligatoria. La Nazione è rimasta così senza presidio, sguarnita. In questa fase, può sembrare incredibile, spesso si sono distinti negativamente una parte del corpo docente e soprattutto il ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina. Approdata in Parlamento dopo essere stata paracadutata, dal suo capo cordata Luigi Di Maio, da Biella, dove insegnava, a Torino e poi posta, casualmente, alla guida del ministero di Viale Trastevere in seguito alle dimissioni del suo predecessore Lorenzo Fioramonti. Da quel ministero, ritenuto una volta “ di peso” e ad appannaggio della vecchia Democrazia Cristiana, sono passati oltre una trentina di ministri, politici e tecnici di grande prestigio come Aldo Moro, tre futuri Presidenti della Repubblica come Antonio Segni, Oscar Luigi Scalfaro e, l’attuale, Sergio Mattarella fino ad uno dei più recenti e prestigiosi, accademico e linguista, Tullio De Mauro.
Rimasta più con i piedi e la mente al secolo scorso ed alle circolari ministeriali a cui seguivano, immancabilmente, le circolari esplicative che lasciavano il dubbio se inviate perché si rendevano conto di scriverle in maniera incomprensibile e se ritenessero dirigenti e funzionari delle scuole incapaci di capire. Tra dirigenti, , CTS (comitato tecnico scientifico), Consiglio Superiore dell’Istruzione ed una pletora di consulenti hanno prodotto, poco, lentamente e male. Hanno favorito la riluttanza di molti docenti, un’indagine parla del 70% contraria a riprendere l’insegnamento diretto, adducendo l’elevata età media degli insegnanti. Sconsigliando le sessioni d’esame in diretta. Fortunatamente invece si faranno. Mi chiedo ma quei docenti vanno a fare la spesa, affollano le parrucchiere, vanno per negozi o per strada? Perché , rispettando le norme, non possono fare gli esami? Per inciso l’INAIL ( Istituto Nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro) ha classificato la scuola, insegnanti compresi, a rischio medio-basso. E cosa dire di quegli insegnanti che hanno interrotto velocemente l’aspettativa quando hanno scoperto che le lezioni si svolgevano online?! Così molti precari sono rimasti a casa senza lavoro. Senza dimenticare la levata di scudi per fare tutte le vacanze pasquali quando le scuole erano chiuse da settimane. Al ministro, a tutto il suo ministero, consulenti compresi, gli italiani chiedono e vogliono sapere, ed hanno cominciato a farlo anche con manifestazioni nelle principali città, se dal 1 settembre i bambini delle materne, i ragazzi delle elementari e medie e gli studenti delle superiori avranno un aula sicura ed un insegnante.
E i locali dovranno chiudere all’una di notte. Saranno rafforzati i controlli da parte delle forze dell’ordine. 
