La frase ormai celebre di Totò << sono un uomo di mondo perché ho fatto il militare a Cuneo>> è entrata nell’immaginario collettivo italiano, ma al contempo è anche un ossimoro, una contraddizione in termini perché paragona Cuneo al mondo e la città della Granda diventa vetrina della Terra.
Francamente, per la bella città di Cuneo l’equivalenza non vale ancora oggi, ma ancor meno oltre 50 anni or sono. Tuttavia, per i molti italiani – alcuni famosi – che hanno fatto il militare a Cuneo è stata una bellissima esperienza.
Fra quelli che vi hanno fatto il militare, anche Cino Tortorella, alias il Mago Zurlì di intere generazioni come la mia che dalla televisione imparavano. Quando lo conobbi nel luglio del ’90 mi raccontò i piacevoli ricordi da militare che aveva fatto, parte a Cuneo e parte a Bra. Uomo di mondo lo era già, ma non era stato ancora iscritto negli annali dell’Associazione degli Uomini di Mondo che sarebbe nata solo dopo, nel 1998.
Ci frequentammo per molti anni mentre ero direttore dell’Apt Langhe e Roero e ricordo come – a quel tempo – fossi ancora astemio e lui, uomo di grandissima cultura, mi insegnasse il gusto per il “buon bere e il ben mangiare”. Un paio di volte venne pure a Borgo Robinie, l’agriturismo gestito dalla mia famiglia per poi passare al Mulino Marino di Cossano Belbo e fare la solita visita a Romano Levi e a Tonino Verro che allora gestiva il ristorante La Contea di Neive.
Ricordo ancora la gaffe che feci nel chiamarlo “Mago Zurli” perché a lui andava un po’ stretto essere imprigionato nei panni del mago più famoso d’Italia e mi resi conto, con il tempo, di quanta conoscenza e saperi avesse. Sarà per questo che, oltre a ideare lo “Zecchino d’oro” e “Chissà chi lo sa”, che poi condusse Febo Conti, ideò anche la rivista di Cucina “Sapori d’Italia” sulla quale scrivevano in pochi, lui e la bellissima bionda Susanna Signorini, sua segretaria efficiente e instancabile.
Mentre era regista per Rete Quattro, per una serie di trasmissioni sulla cucina e sul Turismo nelle Langhe e Roero, svolse diverse puntate dedicate alle Langhe e lo seguii in tutte. Terminato quel ciclo di trasmissioni continuammo a tenerci in contatto.
Lo persi di vista per un po’, quando cominciai a fare l’ambasciatore delle Langhe in giro per il mondo per l’enogastronomia del Piemonte: Losanna, Helsinki, Pechino, Singapore, Johor Baru, Kuching, Miri, Kuala Lumpur ecc.
Lo rividi solo nel 2001 ed era stato iscritto fra gli uomini di mondo dell’Associazione e me ne parlò con orgoglio. Era in compagnia di Lucia, la figlia avuta dal suo secondo matrimonio con Maria Cristina Misciano che ebbi successivamente modo di conoscere quando mi portò nella sua casa di via Pergine a Milano.
Il condizionamento che gli dava la notorietà di Mago Zurli non gli vietava, però, di dedicarsi ancora allo Zecchino d’Oro e infatti, a Torino, assistetti, ad un incontro per programmare le nuove edizioni dello Zecchino d’Oro. Tanto odio, ma anche tanto amore per la sua creatura più bella.
Persona stupenda, di immensa cultura, sempre disponibile con tutti, mi spiace che sul finire della sua carriera sia stato attaccato, in modo brutale, in una trasmissione televisiva che – al suo attivo – ha avuto risvolti di gran lunga migliori.
Incorse anche in un piccolo incidente giudiziario legato alla burocrazia e Tortorella fu accusato, quale organizzatore della trasmissione Bravo, bravissimo, di non aver chiesto all’ Ispettorato del lavoro l’ autorizzazione per far esibire in alcune acrobazie i bambini cinesi ospiti della puntata registrata il 15 novembre ‘ 94 nel teatro Ponchielli di Cremona. I piccoli erano i protagonisti della serie televisiva mandata in onda dalla Fininvest: piccoli geni, musicisti, pittori, cantanti, mini-cabarettisti e, appunto, acrobati.
Fu anche rappresentante Unicef e in molti hannoo ancora un bellissimo ricordo di un grande uomo di mondo che è stato loro amico.
TOMMASO LO RUSSO
L’ho conosciuto, era persona di estremo equilibrio, lontano mille miglia dalla televisione e dalla politica odierne. Era anche un uomo colto che amava la poesia. Una persona d’altri tempi che sapeva però essere ben ancorato alla sua epoca. In tanti anni mai una parola fuori posto, mai una polemica inutile, per ottenere visibilità. Era talmente al di sopra della rissa politica che un tg, erroneamente, lo ha definito senatore a vita, un riconoscimento che Zavoli avrebbe meritato più di altri. E’ inevitabile accostare il suo nome a Enzo Biagi che il direttore de “La Stampa” Giulio de Benedetti umiliò e di cui il giornale attuale ripubblica gli articoli in una antologia. Zavoli e Biagi collaborarono insieme per tante iniziative. Ma balza subito all’occhio che Zavoli, pur schierato politicamente, mirava ad una certa terzietà giornalistica, mentre Biagi, apparentemente non schierato, fu molto più polemico ed astioso. Zavoli non scrisse i mille libri di Biagi, quelli che ci ha lasciato erano meditati e curati. Conobbi Biagi e mi sembrò molto attento agli aspetti venali, si faceva pagare per presentare un suo libro, indice sicuramente della notorietà acquisita. Zavoli aveva un altro stile e un’altra personalità. Era il “Socialista di Dio“, per dirla con il titolo di un suo libro, un insieme di valori umanitari che lo riconducevano al socialismo dei professori e medici condotti, come diceva Spriano, con venature cristiane. Era un unicum. Simile a lui io ricordo solo il poeta Giacomo Noventa i cui versi in lingua veneziana piacevano sicuramente a Zavoli. La televisione italiana perde un pioniere e un protagonista di eccellenza. Mario Soldati che fu uno dei creatori della Tv italiana, mi parlava con ammirazione di Zavoli vedendo in lui un collega importante. E in effetti oggi bisogna evidenziare senza retorica la grandezza di Zavoli. E’ stato un grande umanista che ebbe come valori la sacralità della vita e della morte e fu un grande uomo. “ L’homo sum” di Terenzio è rivissuto in lui.
E’ impossibile venire a capo dei reali motivi per cui divenne proprietà privata. Andrò a fare una ricerca in proposito, ma basterebbe chiedere all’avvocato Cosimo Costa, presidente dell’istituto studi liguri per saperlo con certezza. Oggi la notizia dell’acquisto dell’isola da parte di un magnate ucraino con cittadinanza monegasca non rende tranquilli soprattutto gli ambientalisti, ma anche tanti semplici cittadini. Pare che fosse in vendita da dieci anni. Il Sindaco di Albenga Tomatis è stato pronto a mettersi in contatto con la sovrintendenza ligure per verificare la situazione. Io, d’istinto, ho pensato al diritto di prelazione che avrebbe lo Stato e la Regione Liguria oltre al Comune di Albenga. Riflettendoci con calma (la richiesta è di 10 milioni di euro) penso alle mille spese prioritarie per il Covid e la crisi economica e sono meno propenso ad un impegno per la Gallinara. Certo un pezzo di Italia cara a molti finisce in mani straniere, come è capitato per tante industrie italiane. Il magnate ucraino va tenuto d’occhio, ma abbiamo almeno la consolazione che un’isola non si può delocalizzare. In linea di principio un’isola dovrebbe essere un bene pubblico, ma nell’Italia della pandemia tutte le certezze restano sospese. Inoltre non va mai dimenticato quanti beni pubblici siano mal tenuti e in preda ai nuovi barbari. Anche questo è un altro motivo su cui riflettere. Il ministero dei beni culturali e quello dell’ambiente non sono proprio degli esempi di efficienza. Se l’Italia è in svendita ci saranno pure dei motivi, per quanto molto cattivi.
di Marco Travaglini
Rossella Marceddu aveva 19 anni e viveva con i genitori e la sorella a Prarolo, piccolo comune a sud di Vercelli. Studiava per diventare assistente sociale e aveva appena trascorso alcuni giorni di vacanza con il padre e la sorella al Lido degli Estensi. Stava rientrando a casa per raggiungere il fidanzato. Inizialmente, con l’amica che l’accompagnava, avevano pensato di fare il viaggio in moto, poi scelsero il treno ritenendolo più sicuro. Quella mattina si trovavano sul marciapiede del quarto binario in attesa del treno diretto a Milano. L’aria era afosa e così decise di andare a prendere qualcosa da bere. La bomba scoppiò mentre la ragazza stava andando al bar e la uccise. L’amica rimasta sul quarto binario si salvò.
fare alcuni piccoli viaggi di rodaggio. Una serie di imprevisti costrinse Mirco a ritardare la partenza. E l’appuntamento con il destino lo colse quel maledetto sabato di agosto alla stazione di Bologna. L’individuazione delle responsabilità della strage di Bologna rappresenta una delle vicende giudiziarie più complicate, lente e discusse della storia contemporanea del nostro Paese. Una vicenda che ha conosciuto tentativi di depistaggio e che, viceversa, nella ricerca della verità, ha visto l’impegno dell’associazione tra i familiari delle vittime della strage, costituitasi il 1° giugno dell’81. Dopo vari gradi di giudizio si giunse a una sentenza definitiva di Cassazione solo quindici anni dopo la strage, il 23 novembre 1995: vennero condannati all’ergastolo come esecutori dell’attentato i neofascisti dei NAR Giuseppe Valerio Fioravanti e Francesca Mambro (che si sono sempre dichiarati innocenti, pur avendo apertamente rivendicato vari altri omicidi di quegli anni). Per i depistaggi delle indagini furono condannati l’ex capo della P2 Licio Gelli, l’ex agente del Sismi Francesco Pazienza e gli ufficiali del servizio segreto militare Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte. Il 9 giugno del 2000 la Corte d’Assise di Bologna emise nuove condanne per depistaggio e sette anni più tardi venne condannato a 30 anni per l’esecuzione della strage anche Luigi Ciavardini (minorenne all’epoca dei fatti). Altri due imputati — Massimiliano Fachini (anch’esso legato agli ambienti dell’estrema destra ed esperto di timer ed inneschi) e Sergio Picciafuoco (criminale comune, presente quel giorno alla stazione di Bologna, per sua stessa ammissione) — vennero condannati in primo grado, ma poi assolti in via definitiva, rispettivamente nel 1994 e nel 1996.
Procura generale del capoluogo emiliano ha chiesto il rinvio a giudizio dell’ex militante di Avanguardia nazionale Paolo Bellini, in quanto esecutore dell’attentato alla stazione mettendo in rilievo che avrebbe agito in concorso con Licio Gelli, con l’ex capo dell’ufficio Affari riservati del Viminale Federico Umberto D’Amato, con l’imprenditore e finanziere piduista Umberto Ortolani e col giornalista Mario Tedeschi, tutti morti nel frattempo e tutti coinvolti come possibili mandanti o finanziatori dell’eccidio. Si può arrivare finalmente a gettare luce sui mandanti? C’è davvero una svolta importante nell’inchiesta sulla strage? Questo si vedrà ed è augurabile che accada per dare finalmente dei volti e dei nomi a chi decise di colpire al cuore la nazione, stroncando la vita e i sogni di tanti innocenti e delle loro famiglie.
FRECCIATE