riservandosi la replica argomentata e se necessario severa anche alle idee più sconce

Il Salone del Libro, gli intolleranti e la libertà di espressione

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Di Pier Franco Quaglieni
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Il prof. Christian Raimo si è dimesso da consulente del direttore del Salone del libro in seguito alle polemiche suscitate da un suo post su Facebook in cui offendeva alcuni giornalisti di destra e affermava che alle loro idee non si deve << dare visibilità>>.Un vizietto ereditato da Eugenio Scalfari  molto frequente anche in certa stampa che decide di mettere il silenziatore a chi considera reprobo, violando i principi basilari del dovere di informazione.  Tutto è nato dal libro di Salvini pubblicato da una casa editrice vicina a Casa Pound .  Subito è montata l’indignazione per una possibile presentazione del libro – intervista di Salvini al Salone, a cui il direttore Lagioia si è opposto sia per condivisibili motivi di carattere generale ( no all ‘uso elettorale del Salone per tutti i politici ,) sia per ragioni specifiche nelle quali viene chiamata addirittura in causa  Torino, città medaglia d’oro della Resistenza e patria di Primo Levi, per affermare che al Salone certi libri non si devono presentare.

Una evidente contraddizione interna al Salone, se pensiamo che la Casa editrice del libro inquisito ha ottenuto, pagando, uno stand.   Mi sorgono spontanei due quesiti che non ritengo secondari : 
1) a che titolo il professore liceale ed assessore alla cultura del III municipio della Capitale Raimo è stato reclutato come consulente e quanti sono i consulenti del direttore Lagioia? Sarebbe interessante saperlo anche perché i consulenti, sicuramente ,non lavorano gratis. Per una piccola consulenza il portaborse di Appendino, ad esempio, ottenne 5000 euro, poi restituiti.
2) perché Raimo è ricorso ad un post pubblico  senza neppure considerare il suo ruolo nel Salone che non gli avrebbe consentito opinioni personali così nette ed assolute espresse via social proprio in merito al Salone di cui è consulente ?Se si guardano i giornali su cui ha scritto e scrive, la risposta è facile.
Il Salone deve essere un grande contenitore di idee e l’unico arbitro per esprimere giudizi sono i visitatori e più in generale i lettori. Quelli che si fermano o non si fermano davanti ad uno stand, ascoltano o non ascoltano la presentazione di un libro, dopo aver pagato un biglietto di ingresso che dà loro il diritto di scegliere.  Ha ragione il presidente del Circolo dei lettori, il notaio Giulio Biino, quando dice che gli spazi debbono essere aperti e non chiusi in modo aprioristico e che il reato di apologia del fascismo è cosa che va accertata solo dalla Magistratura e non da altri.  Certo, molte prese di posizione di Salvini sono irritanti, provocatorie  e presuntuose. In una parola infastidiscono. Casa Pound, da sempre, appare come un drappello di scalmanati che urlano, salutano romanamente  ed a volte ricorrono alla violenza che va sempre condannata con assoluta fermezza.  Mentre Salvini prende voti, Casa Pound alle elezioni si ferma al livello dei prefissi telefonici. E’ un dato su cui riflettere. 
Negli Anni Settanta sciolsero “Ordine nuovo” in base alla legge Scelba, che vieta la ricostituzione del partito fascista.  Un gruppo di antifascisti come Raimo oggi non solo vuole togliere visibilità all’estremismo di destra, ma vorrebbe anche  mettere al bando Casa Pound, chiudendone le sedi, considerate dei veri e propri “covi”. 

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 Proprio su questo tema io ho rotto un anno fa l’amicizia con un noto giornalista che stimavo molto ed a cui non perdono il manicheismo semplicistico e intollerante dimostrato in televisione. Dire che non si vuole parlare con la Mussolini perché nipote del duce è una sciocchezza e una manifestazione di faziosità difficilmente giustificabile.  In democrazia solo i magistrati possono accertare i reati e i “ reati “ politici, in un regime liberale ,non debbono esistere: è lo stesso articolo 21 della Costituzione a dirlo ,quella Costituzione nata proprio dall’antifascismo e dalla Resistenza che rifiuta i regimi autoritari e totalitari, senza far mai far cenno all’antifascismo.  Sciogliendo “ Ordine nuovo” ,forse, si diede un contributo  involontario al rafforzamento dell’ estremismo di destra che poi degenerò drammaticamente  nel terrorismo nero dal quale-va detto- Almirante seppe prendere tempestivamente le distanze. Anche questa è una riflessione che deriva dalla storia passata da cui trarre un insegnamento valido anche oggi.  Bisogna  soprattutto rendersi conto, una volta per tutte che la democrazia liberale garantisce a tutti la possibilità  di .esprimere le proprie opinioni .  La tolleranza volterriana va esercitata anche verso le idee intollerabili perché diversamente non è  vera tolleranza. E’ proprio dalla intollerabilità delle idee che si misura il grado della propria  tolleranza. Tollerare idee diverse dalle proprie, ma in linea di massima di per sé condivisibili, è troppo facile.  A giudicare tra idee e azioni conseguenti generate dalle idee  deve essere la Magistratura e nessun dirigente del Salone del Libro può sostituirsi ad essa.  Altrimenti c’è puzza di regime.
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Come diceva Ennio Flaiano ,i fascisti si dividono in due categorie : i fascisti e gli antifascisti . Può sembrare un’affermazione azzardata ,quasi una boutade,ma quando si leggono i post del dimissionario Raimo ci si deve convincere che non si tratta di un paradosso.  Certe intransigenze ideologiche sono necessariamente intolleranti.  La polemica che si è creata attorno al libro di Salvini e alla sua casa editrice ha, in ogni caso, fatto conoscere l’esistenza del libro e del suo editore sconosciuto ai più. Un ottimo risultato pubblicitario realizzato su misura da Raimo e dallo stesso Lagioia che tira in causa anche Primo Levi nell’anno del centenario della nascita.  Levi, per come  l’ho conosciuto io,era un uomo nettamente di sinistra ed aveva un carattere difficilissimo,direi  irascibile ,ma non era settario. Non lo vedrei in veste di “guardiano del faro” se non attraverso i suoi libri che sono ben altra cosa rispetto ai post di Facebook. I libri di Levi sono un vero antidoto rispetto ai fascismi, le scomuniche di Raimo e Lagioia sono ben poca ed effimera cosa.  Levi raggiunse l’arte attraverso la testimonianza straziante  dello sterminio, questi signori recitano le solite giaculatorie secondo manuale.  Nel 1972 Levi giunse a non partecipare ad un dibattito del Centro” Pannunzio” perché <<non era abbastanza di sinistra>>, sollevando la critica sarcastica di uno dei relatori ,l’antifascista a 24 carati Valdo Fusi che arrivò a dire che sperava in futuro di non doversi trovare a fare ginnastica in un nuovo ventennio di segno opposto o in un campo di rieducazione. Levi si limitò  a telefonarmi privatamente, dicendomi che non si sentiva di partecipare ad un incontro in cui c’era il socialista  Bruno Segre e  il cattolico Valdo Fusi. Forse non gli piacque la presenza di Terenzio Magliano che, peraltro ,era stato rinchiuso nel campo di Mauthausen. I socialdemocratici non gli piacevano e declinò molto civilmente l’invito, senza clamori e senza scomuniche.  Se Torino è città medaglia d’oro della Resistenza ,ciò deve significare una cosa soltanto : che la libertà è il valore supremo e che i neo o i vetero fascisti vanno combattuti “a viso aperto” con l’arma delle idee e della cultura, non con quella dei divieti. Vietare, negare visibilità come vorrebbe il prof. Rimo è un atto di intolleranza. E quando si inizia con l’intolleranza non si sa dove si finisce.
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C’è un legittimo rifiuto del fascismo di natura etica e di natura estetica, prima ancora  che di natura culturale e politica, in cui personalmente mi identifico, ma questa repulsione non deve indurre, almeno in chi ama la libertà, all’errore di bastonare l’avversario. Bastonare e dare l’olio di ricino era una prassi squisitamente fascista. Gli antifascisti non possono usare il bastone neppure metaforicamente.  La democrazia liberale è incompatibile con gli intolleranti di qualsiasi colore politico o religioso.  E’ un po’ come chi vuole combattere l’intolleranza del fanatismo islamico, ricorrendo all’odio religioso e non alla cultura laica del dialogo che deriva dalla migliore storia europea, quella che scrisse con il sangue delle guerre di religione la parola tolleranza.   Neppure più a Cuneo ,dopo decine di anni, si usa più la frase drammatica << Cuneo brucia ancora>>. Nessuno oggi impedirebbe comizi, come accadde per tanti anni al MSI che presentava liste, raccoglieva voti, ma non poteva organizzare un comizio.  L’antifascismo liberale, che non è assolutamente  meno antifascista, consente a tutti di parlare, riservandosi la replica argomentata e, se necessario, severa,  anche alle idee più sconce. Sulla base dei ragionamenti pacati, non urlati, ben ponderati, che colpiscono più di una pietra le tesi che si vogliono confutare.  E’ l’antifascismo che in Piemonte si richiama ad Einaudi, Soleri, Burzio, Brosio, Martini Mauri, Villabruna e Frassati.  Un’eredità di idee e di comportamenti che oggi appare totalmente scomparsa.
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Ps.  La  rinuncia pretestuosa  a partecipare al Salone di Carlo Ginzburg perché è stato dato uno spazio alla casa editrice di Salvini  e le posizioni faziose di Michela Murgia in merito al Salone  non fanno che confermare il  mio discorso sull’intolleranza. Per altro, mi sento in buona compagnia perché l’amico  Pier Luigi Battista oggi sul “Corriere della Sera” esprime gli stessi concetti che ho manifestato io. Ancora una volta, senza sentirci ,abbiamo reagito allo stesso modo: il metodo della scomunica e della censura e’ sempre inaccettabile e mettere all’indice libri ed editori e’ una forma di barbarie .Bisogna dominare l’intollerante che è in noi ,scrive Pierluigi Battista. Se il Salone revocasse lo spazio alla casa editrice di Salvini vicina a Casa Pound sarebbe un fatto molto grave che offuscherebbe l’immagine stessa  del Salone come luogo non privilegiato e libero che in  oltre trent’anni il Salone si è meritato .Sarebbe interessante conoscere l’opinione del suo fondatore Angelo Pezzana che ,amico di Marco Pannella, difficilmente può condividere un’impostazione illiberale che cozza con i principi basilari di una libera cultura.
 

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