Toccherà a me dare l’estremo saluto in chiesa a Edoardo nella sua Pinerolo dove fu consigliere, assessore, direttore del quotidiano “Il Corriere Alpino”, dirigente del PLI con incarichi nazionali, l’unico Pinerolese che si trasferì a Roma a collaborare con il ministro Altissimo, suo grande amico che gli impedirono di ricordare come lui avrebbe voluto a dieci anni della sua morte. Meschinità di uomini non gli permisero di fare un atto di omaggio tanto desiderato. Fiammotto era un generoso, un passionale che non si risparmiava. Era un liberale che amava il Pinerolese Facta, Giolitti e soprattutto Einaudi. Io lo avviai allo studio di Soleri. Da Pinerolese non disdegnava neanche Parri di cui ricordava l’eroismo nella prima guerra mondiale e anche nella Resistenza. Amava Marco Pannella liberale prima ancora che radicale. Tra noi ci fu un grande rapporto. Fui io a proporlo alla scuola di liberalismo a Enrico Morbelli come coordinatore regionale. Ma Edo fu un pannunziano a tutto tondo sempre presente. In Pannunzio liberale aveva trovato il suo più vero ideale politico. Chiuse la sua carriera politica con un magistrale discorso fatto di cultura vera ad Ivrea. Ne ebbe un premio di cui andava orgoglioso. A settembre verrà onorato al Centro Pannunzio come meritava, la chat del Centro è stata Invasa per giorni dal cordoglio dei soci. In gennaio avrebbe voluto candidarsi ad una più alta responsabilità nel Centro, ma lo dissuasi perché lui era utile nel ruolo ricoperto. Tra due anni sarebbe stato prezioso in altra funzione, liberato dagli
Toccherà a me dare l’estremo saluto in chiesa a Edoardo nella sua Pinerolo dove fu consigliere, assessore, direttore del quotidiano “Il Corriere Alpino”, dirigente del PLI con incarichi nazionali, l’unico Pinerolese che si trasferì a Roma a collaborare con il ministro Altissimo, suo grande amico che gli impedirono di ricordare come lui avrebbe voluto a dieci anni della sua morte. Meschinità di uomini non gli permisero di fare un atto di omaggio tanto desiderato. Fiammotto era un generoso, un passionale che non si risparmiava. Era un liberale che amava il Pinerolese Facta, Giolitti e soprattutto Einaudi. Io lo avviai allo studio di Soleri. Da Pinerolese non disdegnava neanche Parri di cui ricordava l’eroismo nella prima guerra mondiale e anche nella Resistenza. Amava Marco Pannella liberale prima ancora che radicale. Tra noi ci fu un grande rapporto. Fui io a proporlo alla scuola di liberalismo a Enrico Morbelli come coordinatore regionale. Ma Edo fu un pannunziano a tutto tondo sempre presente. In Pannunzio liberale aveva trovato il suo più vero ideale politico. Chiuse la sua carriera politica con un magistrale discorso fatto di cultura vera ad Ivrea. Ne ebbe un premio di cui andava orgoglioso. A settembre verrà onorato al Centro Pannunzio come meritava, la chat del Centro è stata Invasa per giorni dal cordoglio dei soci. In gennaio avrebbe voluto candidarsi ad una più alta responsabilità nel Centro, ma lo dissuasi perché lui era utile nel ruolo ricoperto. Tra due anni sarebbe stato prezioso in altra funzione, liberato dagli





Giancarlo, detto anche Zorro e la sorella Marisa sono in sala, un altro sta ai fornelli.


Qualche anno fa, quando fui invitato alla Fondazione “Natalino Sapegno” nel castello di Morgex (Aosta ) a presentare il mio libro “Figure dell’Italia civile”, venni fatto oggetto – al di là della gentilezza nell’accoglienza – di una durissima reprimenda per il mio anticomunismo che appariva dal libro. Fui accusato di essere un vetero seguace di Croce;l’educazione e il cortese invito ricevuto mi impedirono di ritorcere contro il mio illustre interlocutore l’accusa di vetero applicata al suo entusiasta ed esibito “catto-comunismo” , come lui stesso disse, ricordando che si era avvicinato al PCI proprio negli anni in cui Berlinguer propose il compromesso storico con i cattolici, una scelta che forse lo stesso Sapegno non condivideva pienamente. Fu comunque un bel dibattito ricco di spunti conflittuali che di norma mi entusiasmano più dei consensi formali, magari espressi solo per motivi di diplomazia. Io sapevo che Natalino Sapegno (che conobbi di persona insieme al suo amico -ex gobettiano come lui -Mario Soldati che non lo apprezzava particolarmente) da iniziale fervido crociano era diventato comunista, ma ritenevo questo passaggio graduale nel tempo. Me lo confermò anche Carlo Dionisotti, amico di Gobetti, che mai cedette alle infatuazioni gramsciane.

L’avventura triestina di Borio doveva finire molto presto perché venne nominato direttore del “Lavoro” di Genova. Di cosa fu per davvero, cioè un cedimento vergognoso verso la Jugoslavia mi parlarono la poetessa esule da Zara Liana De Luca e lo storico antifascista Leo Valiani, nato a Fiume, che mi esortò ad agitare il problema delle foibe e dell’esodo, temi allora totalmente occultati dal conformismo degli storici comunisti e anche democristiani. Moro, con il suo contorsionismo verbale con cui tento ‘ di portare i comunisti al governo, arrivò a definire con ipocrisia pretesca Osimo “una dolorosa rinuncia”. Certamente Spadolini per la prima volta ministro non aprì bocca e una volta quando cercai di chiedergli cosa pensasse di Osimo, durante una cena a due al ristorante Tiffany, cambiò subito discorso per ringraziare Giulio Einaudi che gli aveva mandato una bottiglia di dolcetto dei suoi poderi al tavolo. Continuò invece il discorso con me, dicendomi che lui di solito non beveva, ma in questo caso non poteva non onorare il vino del presidente Einaudi; aggiunse che il dolcetto l’avrebbe fatto “dormire come un ghiro” nel vagone letto che lo avrebbe riportato a Roma. Ma su Osimo non pronunciò neppure una parola. Sarebbe diventato dopo poco tempo presidente del Consiglio, nominato da Pertini, notoriamente molto amico di Tito. Cosa mi disse Valiani, a sua volta diventato senatore a vita, del silenzio di Spadolini non lo rivelo anche se c’è memoria nei miei diari. Furono parole comunque molto aspre che non mi sarei mai aspettato. Fu un momento di ira, anche questa volta a cena all’allora notissimo ed apprezzatissimo da Leo, ristorante “Ferrero” tristemente chiuso da molti anni.
Così fecero i primi presidenti De Nicola ed Einaudi, ambedue monarchici come Croce. Il Re Umberto II partì per l’esilio per evitare una guerra civile. Un atto che va ricordato come una gloria del suo breve Regno. Poi con la fine del partito monarchico, la morte inevitabile degli elettori monarchici del ‘46 e la inadeguatezza rispetto ad Umberto II dei suoi eredi hanno fatto sì che la data divisiva sia diventata data unificante tra gli Italiani. A raggiungere questo obiettivo è stato decisivo Il presidente Ciampi, anticipato da Cossiga. Il 25 aprile una parte di Italiani, soprattutto del Sud ,dove non ci fu la guerra civile, lo sente estraneo. Molti giovani non sentono affatto nessuna delle due date.
Lettere 






Eugenio Scalfari intrattenne un fitto dialogo iniziale con Papa Francesco. Ne uscì anche un libro che oggi, dopo il pontificato di Francesco, si rivela poco più che aria fritta. Facemmo anche discussione su Papa Francesco da poco eletto e il clericalismo e il conseguente anticlericalismo. Approdammo alla conclusione che con Francesco non aveva senso un anticlericalismo astioso ed obsoleto come quello del venerato Bruno Segre, violentemente contrario ad ogni religione. Infatti Segre, annebbiato dal suo settarismo, fu l’unico che non colse la novità rappresentata da Francesco. Sembra che Odifreddi, che non ha neppure frequentato un liceo, ma un istituto per geometri in cui è assente lo studio della filosofia, voglia imitare Scalfari, tentando il colpaccio, lui ateo dichiarato e irridente in modo volgare nei confronti di ogni religione come lo fu Segre, di entrare in rapporti diretti con Leone XIV. Papa Bergoglio, pur apertissimo verso i non credenti, non volle avere rapporti con Odifreddi che alla morte del Papa, scrisse un necrologio offensivo e volgarissimo anche nel linguaggio che rivelò come il geometra-matematico non abbia avuto rispetto neppure per la morte. Apparirebbe davvero una follia demagogica assurda che il nuovo Papa intrattenesse un rapporto con Odifreddi che pontifica su Agostino e Pascal, forse per rendersi simpatico al Papa. Il Cardinale di Torino dovrebbe informare il Papa su chi è davvero Odifreddi che non è neppure una pecorella smarrita, ma un lupo superbo che, se dipendesse da lui, forse azzannerebbe tutti i credenti come privi di ragione.