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L’insegnamento di Tortora più che mai vivo ed attuale

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni  Il 18 maggio era l’anniversario  della morte di  Enzo Tortora, mancato  esattamente trentatre’ anni fa. C’è stato qualche ricordo sui social, ma poco di più. Eppure il magistero di Tortora di fronte alla crisi della credibilità di parte della Magistratura e alla necessità impellente di riformare la Giustizia penale e civile dovrebbe essere più’ che mai all’ordine del giorno. Ricordare Enzo non significa oggi solo  rammentare un grande uomo coraggioso, leale, limpido, un giornalista libero e un piacevole indimenticabile  conduttore televisivo

Significa ricordare una schiena diritta che non si piegò al sopruso di alcuni magistrati e affrontò a viso aperto un grave errore giudiziario di cui fu vittima e  che divenne una bandiera di battaglia per tutti coloro che hanno a cuore la Giustizia giusta  in Italia. Quando leggo che la Corte di Strasburgo solleva 10 dubbi non di poco conto  sulla condanna di Berlusconi per evasione fiscale inflitta dalla Cassazione, non posso non avere qualche legittimo dubbio in proposito che spero venga chiarito al più presto. A pochi giorni dalla sentenza durante una cena in onore di Vittorio Chiusano,  sentii il mio vicino di tavola che era il più illustre difensore di Berlusconi, dire che la sentenza era ormai scritta e che alla difesa restava ben poco da fare. Parole che mi rimasero impresse. Quando leggo delle vicende del CSM, l’organo di autogoverno dei magistrati, non posso non provare sfiducia e disagio. Il sacrificio  sacrificale di Tortora portò ad un referendum che stabili a larghissima maggioranza popolare una responsabilità civile dei giudici che non trovò mai una seria  seria applicazione. I magistrati che condannarono ingiustamente Tortora fecero, anzi, carriera. A 33 anni dalla sua morte bisogna riprendere in mano la bandiera di Enzo per  chiedere una radicale riforma della Giustizia  penale e civile. Bonafede, il “Ministro forcaiolo”, ci stava portando verso il giacobinismo giudiziario più intollerante e intollerabile. Speriamo che la nuova ministra Cartabia abbia la forza per invertire la rotta. E’ difficile farlo perché in parlamento ci sono troppi giustizialisti assatanati come il presidente dell’Antimafia. Riprendiamo la battaglia di Tortora  e speriamo che da lassù  Enzo protegga l’Italia e la sua libertà.  In suo nome Francesca Scopelliti ha sempre continuato le sue battaglie liberali. Noi dobbiamo essere al suo fianco più che mai oggi .Malgrado gli studiati silenzi dei giorni scorsi, anzi proprio per questi oblii. L’avvocatura ha sostenuto le cause giuste a difesa degli imputati e contro le derive autoritarie a garanzia dei diritti costituzionali, pensiamo alla presunzione di innocenza. L’avvocato Vittorio Chiusano a cui è intitolata la Camera Penale di Torino e sua figlia Anna che ne è stata la prima presidente, sono esempi fulgidi di come indossare la toga non sia un mestiere, ma una missione carica di una sacralità laica , non meno importante di quella religiosa. Anna Chiusano è sempre stata schierata a fianco di Francesca Scopelliti nel corso degli anni. Ed insieme ad Enzo va ricordato  Marco Pannella, il libertario autenticamente  liberale  che del caso Tortora fece  con coraggio un caso politico a livello europeo. Ho visto su Fb ieri che anche Emma Bonino si è ricordata di Enzo. Meglio tardi che mai.

Il Presidente della Repubblica e Michela M u r g i a

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni  Il Presidente della Repubblica Mattarella  ha ritenuto di ribadire una netta condanna ad ogni discriminazione  e intolleranza nella giornata  internazionale contro l’omofobia.

Un  giusto richiamo a tutti i cittadini  in nome di quell’articolo 3 che è un cardine della nostra Costituzione. Potrebbe apparire persino un discorso  scontato che, in un paese civile  e democratico, non dovrebbe costituire oggetto di un intervento da parte del Capo dello Stato, ma certamente, al di là dell’omofobia, il discorso del presidente può evocare anche la condanna verso tante altre forme di intolleranza che stanno imbarbarendo il Paese. Il richiamo al rispetto personalmente lo ritengo doveroso e necessario, vedendo e toccando con mano  la carica di odio che sta montando in Italia nei confronti di chi è considerato diverso non solo per le sue scelte sessuali. Il dibattito politico è avvelenato e il richiamo alla violenza verbale è una pratica sempre più abituale che va condannata con fermezza. Il lavoro prezioso del Governo Draghi non può essere disturbato dalle polemiche astiose che si leggono sui giornali  e si sentono in televisione.
L’uso strumentale da parte  di Michela M u r g i a  delle parole del Presidente,   usate disinvoltamente  come un chiaro sostegno al ddl Zan ( propone, spero in modo provocatorio e  paradossale, di inserire nel testo del disegno di legge le parole stesse  del Presidente che sarebbero molto più dure di quelle usate nel suddetto ddl) rivela ancora una volta la figura a dir poco discutibile della scrittrice, alla ricerca di una costante visibilità mediatica, ottenuta ad ogni costo. Gettare nella mischia politica rovente il nome del Presidente rivela una mancanza totale del senso delle Istituzioni e del rispetto dovuto al Capo dello Stato. Uno strappo grossolano al galateo istituzionale verso il Quirinale  che nessuno deve “usare” a scopi di parte. Nessuno ha infatti il diritto di strumentalizzare le parole del Presidente, specie nel corso di una discussione di un disegno di legge in Parlamento che si rivela  delicata e difficile. Il magistero civile di Mattarella va ascoltato in ì doveroso e rispettoso silenzio perché il Capo dello Stato è e deve restare il supremo garante del gioco democratico, al disopra delle parti e delle polemiche contingenti.

L’odio contro Israele

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Aver preso posizione a favore di Israele non è mai stato facilissimo. Io ricordo personalmente le aspre polemiche suscitate a partire dal 1967, quando ci fu la guerra dei Sei giorni durante la quale Israele assediata da ogni parte sconfisse gli stati confinanti intenzionati a cancellare il piccolo Stato, unica democrazia mediorientale

Ricordo che già allora ,ad esempio, Eugenio Scalfari schierò  “L’Espresso”,  che dirigeva, dalla parte degli arabi,per non parlare dei comunisti che furono tutti dalla parte degli aggressori.
In tutte le vicende successive,  ( in alcune delle quali era impossibile sostenere l’operato di Israele, lo scrivo con chiarezza ) c’è sempre stato una sorta di pregiudizio favorevole per i palestinesi anche da parte dei nostri governanti, a partire da Andreotti, Moro e Craxi. L’ambiguo Arafat era considerato in Italia come una sorte di eroe, un Garibaldi del Medio Oriente. Poi si scoprì che era anche un uomo corrotto.
Sventolare la bandiera con Stella di David non fu mai facile . Solo persone come Pannunzio, Arrigo Levi, Pannella, Arrigo Benedetti lo fecero.
Lo scrittore Primo Levi divenne ferocemente anti israeliano. E non fu e non è certo l’ultimo caso.
Oggi è stato criticato il segretario del Pd Letta per essere andato ad una manifestazione a favore di Israele e tornano le solite tiritere contro Israele dei vecchi D’Alema e Bersani,tornati rampanti per l’occasione .Anche il ministro Speranza ha voluto aggiungere una sua parolina contro Israele che per prima ha battuto la pandemia.
Il mio amico Angelo Pezzana ha pagato prezzi altissimi nel corso degli anni per mantenere la sua coerenza a difesa di Israele.
Ieri ,come ho sempre fatto in passato, ho scritto a favore dello Stato di Israele, del suo diritto ad esistere e del dovere morale di sostenere questa posizione. Ho usato scientemente la parola morale. Non l’avessi mai fatto.
Sono stato fatto oggetto di attacchi anche un po’ volgari e soprattutto prevenuti da parte di gente che non conosce la storia ed ignora la politica e non ha mai conosciuto cosa significhi vivere in uno stato costantemente assediato dai terroristi. Basta essere stati anche pochi giorni in Israele per comprendere la situazione.
Si è creata in Italia una lobby filopalestinese molto agguerrita ed a volte persino fanatica che potrebbe mascherare anche dei potenziali terroristi o dei loro fiancheggiatori.
L’unico odio consentito oggi in Italia sembra essere quello contro Israele.  Oggi in questo Paese ci sono troppi odi, malgrado si siano attivati in tanti a combattere contro fenomeni inconciliabili con una libera democrazia e un minimo di civiltà. Malgrado le regole che vietano gli assembramenti, abbiamo visto molti in piazza a manifestare per i palestinesi.
Lo dico con amarezza e con tutto il rispetto dovuto ad una vittima reduce dei campi dì sterminio nazisti: mi sarei aspettato una parola contro l’odio antisraeliano anche da parte della benemerita senatrice a vita Liliana Segre. In molti casi l’essere filopalestinesi sottintende anche un antisemitismo più o meno inconsapevole, ma reale.

Le responsabilità morali della lotta armata

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni

Lo storico  Gianni Oliva, uno dei più lucidi studiosi che abbia oggi l’Italia , ci ha richiamato ad un aspetto del tutto sottovalutato nella riflessione sugli anni piombo: le responsabilità morali della lotta armata, evidenziando le complicità e gli ammiccamenti  verso il terrorismo che si manifestarono in Italia negli Anni 70.Oliva parla di una “verità etica“ che va oltre a quella giudiziaria e a quella storica.

Con grande onestà intellettuale  ricorda la sua  personale partecipazione ai cortei in cui si  urlava la violenza  e arriva a scrivere che nessuno di quei giovani può dirsi completamente innocente, anche se non ha mai sparato, non ha mai scagliato le molotov o i cubetti di porfido.  E’ vero che hanno  una qualche responsabilità morale e anche politica perchè – contrariamente a quanto è stato autorevolmente detto- non è affatto vero che non ci siano stati dei nessi tra ‘68, autunno caldo e la stagione successiva della violenza terroristica. L’ultrasinistra è nata nelle università in fiamme e nelle fabbriche in cui il sabotaggio era considerato più che legittimo legittimo.  C’è  stato un rapporto evidente tra la iniziale  violenza verbale e il ricorso progressivo alla teorizzazione e alla pratica della violenza più o meno rivoluzionaria . Fino ad un certo punto lo stesso Pci che fu un prediletto  bersaglio di certa contestazione , non ha avuto  almenoper un certo tempo  le idee chiare su cosa stava accadendo.  Alcuni suoi iscritti finirono nelle Br. Sarebbe persino fastidioso ricordare i “compagni che sbagliano“ e le “sedicenti  Br”, ma anche quelle frasi appartengono a quella storia.   Mi ha stupito apprendere una vulgata ufficiale  sul ‘68 che non credo  corrisponda al vero. Certo non va criminalizzata la contestazione  in quanto tale, ma la sua esaltazione acritica suscita qualche lecito dubbio. Non è possibile scindere il ‘68 rispetto a quanto accadde dopo perché per una parte di contestatori la militanza, ad  esempio, in Lotta Continua fu una scelta naturale e scontata.  Oliva ,parlando di verità etica, mette in evidenza che anche chi non ha commesso reati, ha una qualche responsabilità, una responsabilità che non si può giustificare con il giovanilismo degli anni formidabili. Aver indossato o non indossato l’eskimo fa una qualche differenza.
Ma certo non si tratta solo di responsabilità giovanili. Un libro coraggioso come “L’eskimo in redazione “ di Michele Brambilla rappresenta una testimonianza che ha un  indiscusso valore storico perché la più grossa responsabilità morale la ebbero i cosiddetti intellettuali a partire dai firmatari del manifesto contro Calabresi per giungere a quelli che pazzamente teorizzarono “Ne’ con lo Stato ne’ con le Br”.  I Carlo Casalegno e  i Walter Tobagi  che denunciarono la violenza che stava montando e pagarono  con la vita furono pochi . Anche certa borghesia radical – chic simpatizzò  con il terrorismo e l’esempio non solo di Gian Giacomo Feltrinelli lo sta a dimostrare . Il teorizzare che la violenza del sistema imponeva  il ricorso alla violenza fu più frequente di quanto si creda. E venne  incredibilmente dimenticato da molti che la violenza eversiva  in un regime democratico è sempre ingiustificabile e che il richiamo ad una nuova Resistenza in nome di un presunto tradimento di quella vera, fu un errore in cui caddero anche studiosi come Guido Quazza per citare il più noto e autorevole. C’è un libro che non ha avuto la dovuta diffusione ed e ‘ stato boicottato perché documentava verità scomode: “La zona grigia “ di Massimiliano Griner che ebbi  il piacere di presentare in una sala molto affollata,  in assenza del volume che la casa editrice non aveva incredibilmente  fatto arrivare. In quel libro con rigore storico si documentano le responsabilità etiche e non soltanto etiche di intellettuali, professori, cantanti, giornalisti, avvocati, magistrati, sindacalisti. In una parola ci furono cattivi maestri e cattivi allievi  che furono protagonisti di una stagione nella quale il sonno della ragione genero ‘  mostri che misero in pericolo le libere istituzioni. Ma anche molto tempo dopo la fine del terrorismo, ad esempio Roberto Saviano, nel 2004 aderì ad un manifesto a favore di Cesare Battisti da cui si dissociò successivamente. Erri De Luca ha collezionato dichiarazioni allucinanti non solo su Battisti che il magistrato Armando Spataro definì  un”assassino  puro”.
Ci sono pagine recenti che fanno davvero  rabbrividire. La mia scelta liberal-democratica che data dal 1967 mi preservo ‘ dalle seduzioni della violenza. Forse ha giocato in primis la formazione che ho avuto nella mia famiglia, ma giunto all’Università ,mi legai subito ad Aldo Garosci , mitico  combattente antifascista , ma altrettanto fermissimo anticomunista  Fu lui a preservarmi dal virus dell’estremismo. Poi arrivo ‘ il Centro Pannunzio nel 1968  e la mia vita prese una piega che mi condannò ad una certa serietà fin dall’adolescenza. Non ebbi nessun merito particolare a non fare certe scelte . Pagai qualche prezzo a non seguire la corrente , ma non mi lamento . Sento, senza vantarmi di nulla, sia chiaro, di aver fatto ciò  che era più  coerente con la mia famiglia liberale . Ho commesso anch’io molti errori che non ripeterei più, ma ho anche  un qualche piccolo  orgoglio nel dire che ho sempre cercato di servire le  libere istituzioni. Il giuramento solenne  che ho pronunciato quando sono diventato professore ordinario di fronte al Tricolore, non fu per me una mera formalità come per tanti colleghi che obiettavano su quel giuramento, ma fu un impegno che ho cercato di mantenere negli anni.
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Il presidente Casellati rende omaggio a Lina Merlin

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

La presidente del Senato Elisabetta Casellati ha inaugurato un busto a Palazzo Madama della senatrice Lina Merlin, un’ alta figura di donna socialista cresciuta alla scuola riformista di Filippo Turati e di Giacomo Matteotti.

La Merlin fu la prima senatrice eletta in Senato nel 1948 dopo essere stata attiva componente all’Assemblea Costituente. A Lei si deve nell’articolo 3 della Costituzione quel “senza distinzioni di sesso“ che per lei rappresentava la parità tra uomo e donna che fu il principale obiettivo della sua vita politica.
Le sue battaglie politiche in Parlamento sono state molto importanti. La prima, per cui ancora oggi è ricordata, e’ quella contro lo sfruttamento legalizzato della prostituzione. Solo nel 1958 ottenne l’approvazione della legge che porta il suo nome e che portò alla chiusura delle case di tolleranza.  Fu un impegno appassionato e coerente che non si arrestò di fronte alle obiezioni di chi riteneva i postriboli una sorta di necessità sociale. La sua legge fu molto dibattuta e va detto che a giustificarla fu un intento morale che la laica e socialista Merlin sentiva profondamente.
Certo la chiusura non costituì la soluzione di un problema di per se’ insolubile come la prostituzione, ma riaffermo’ il valore della dignità della donne e la condanna della sua mercificazione. La prostituzione rinacque nelle strade italiane con uno dei fenomeni più ributtanti, quello degli sfruttatori. Oggi su internet si trovano offerte sessuali di tutti i tipi che farebbero inorridire la Merlin che condusse una battaglia generosa, forse un po’ idealistica, ma sicuramente giusta nei principi che la ispiravano. Anche personaggi di rilievo come Indro Montanelli erano per le case chiuse. Ma la senatrice va ricordata anche per l’abolizione della clausola sul nubilato che consentiva di licenziare in caso di matrimonio e l’abolizione del “nomen nescio” in base ai quale venivano discriminati i trovatelli. Fu anche promotrice di una moderna legge sulle adozioni. Nel 1961 il partito socialista decise di non ricandidarla e con grande dignità abbandono’ la politica, denunciandone il degrado. Aveva capito con anni di anticipo cosa stavano lentamente diventando i partiti. Fu convintamente antidivorzista, ritenendo la legge Fortuna – Baslini non adeguata a tutelare gli interessi delle donne. Resta di lei una grande e libera testimonianza politica e morale che in primis i socialisti hanno presto dimenticato. Era una donna scomoda che seppe muoversi con energia e coerenza in un mondo politico fortemente maschilista. Non è un caso che la prima presidente donna del Senato abbia dedicato la sua particolare attenzione alla senatrice Merlin. Sotto tanti punti di vista ,pur con idee diverse, le due donne si assomigliano per il rigore morale e l’indipendenza. Nel suo discorso il Presidente Casellati, da fine giurista qual è, ha tratteggiato con rigore storico una delle figure più alte della prima Repubblica rimasta Ingiustificatamente per troppo tempo nell’ oblio. Anche la ripubblicazione dei suoi discorsi parlamentari sarà di stimolo per ristudiare la senatrice Merlin che le nuove generazioni non sanno neppure che sia esistita. Lina Merlin rappresenta un richiamo etico,”laico o non laico che sia“, come diceva Croce scrivendo a De Gasperi, di cui avremmo estremo bisogno in particolare a tutela della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, come afferma la Costituzione.

In Riviera nel rispetto delle regole con più serenità

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Questo fine settimana in Riviera è stato caratterizzato dal rispetto delle norme a cui i sindaci hanno richiamato tutti in modo molto fermo: essere in zona gialla -hanno ribadito – non significa un liberi tutti.

Proprio per poter ripartire occorre prudenza e civismo, a tutela di se’ stessi e degli altri.
Certamente nelle località marine pesa il coprifuoco alle 22 e il fatto che i ristoranti possono solo servire all’esterno. In questo fine settimana c’è stata una forte mobilitazione di Carabinieri, Polizia e Guardia di Finanza per verificare il rispetto delle regole. Un locale di Alassio, poco conosciuto, è stato multato ed è stato chiuso per cinque giorni perché i clienti pranzavano anche all’interno. Non c’è altro modo per evitare ciò che accadde lo scorso anno nei mesi estivi durante i quali la trasgressione in alcuni casi diventava la regola nel ricordo delle stagioni passate in cui la frenesia dell’estate aveva il sopravvento su tutto e le poche norme stabilite non venivano rispettate. Alassio e Albenga e la Baia del Sole riprendono con il piede giusto. La voglia di ripartire è tanta, ma il timore di dover di nuovo chiudere ha il sopravvento. In alcuni condomini lo scorso anno la mascherina all’interno delle parti comuni e persino degli ascensori era quasi un optional. Quando intervenni per richiedere il rispetto delle norme venni insolentito. Da tempo la situazione è cambiata e sono rarisssimi i casi di irresponsabilità: la mascherina è diventata una parte di noi stessi anche se a molti da’ fastidio. I mesi invernali e le zone rosse hanno lasciato il segno. Credo che con prudenza vada ripresa gradualmente se non la vita normale almeno un modo di vivere migliore o meno angosciante. Dobbiamo aver fiducia nei vaccini anche se ci vorrà molto tempo per riscoprire quella che Mario Soldati proprio ad Alassio definiva la “gioia di vivere”. Le estati inventate da Mario Berrino con la gran cagnara estiva resteranno un bel ricordo. In effetti da molti anni, per tutta una serie di motivi, le vacanze in Riviera non erano più quelle del secolo scorso. Fa impressione persino scrivere secolo scorso, ma questo primo ventennio del nuovo secolo non è stato felice al di là della pandemia che ci ha sconvolto l’esistenza. Ad Alassio però quest’anno è tornata la spiaggia di un tempo, quella spiaggia mitica dove abbiamo in molti giocato da bambini e dove Giovannino Guareschi portava i suoi figli. Fa piacere vedere i locali che hanno resistito ai mesi durissimi che hanno paralizzato ogni attività. Lo stile coriaceo, ad esempio, del mitico Jano ha prevalso su tutto. Tanti ristoranti meriterebbero di essere citati.  Che si riprenda nel rispetto delle regole è un buon segnale ed è un invito molto convincente a fare le vacanze in Italia e per noi piemontesi in Liguria. Tornare all’antico appare anche bello e suggestivo. L’importante è il civismo e il non pretendere un divertimento senza regole che era comunque qualcosa di non accettabile anche prima del Covid.

Il liberalismo, Napoleone e Barbero

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Siamo ormai abituati a leggere le opinioni più strane e contraddittorie sul liberalismo e solo chi non ha dimestichezza con la cultura liberale può stupirsene.

Infatti non esiste una bibbia del liberalismo a cui richiamarsi e ci sono diverse sensibilità culturali che hanno contribuito a formare il pensiero liberale che è plurale per definizione. La scuola inglese, non è quella austriaca, Croce non è Einaudi, per fare solo alcuni esempi. La “Storia del liberalismo europeo“ di Guido De Ruggiero pubblicata nel 1925, l’anno del fascismo diventato ufficialmente e drammaticamente dittatura, è un documento di questo “pluralismo” liberale. Per altri versi lo stesso De Ruggiero scandalizzo’ Croce aderendo a quel partito d’azione che il filosofo napoletano considerava un ircocervo ,“ l’animale favoloso metà capro e metà cervo che stava ad indicare la chimerica e contraddittoria politica che derivava dalle origini di quel partito collegate a “Giustizia e libertà” , un binomio equivoco che il liberale Croce non poteva accettare. Anche oggi esiste ancora un gruppuscolo di persone invasate che, pur ribaltando la denominazione in “Libertà e giustizia”, sono state protagoniste di tante battaglie profondamente illiberali e giacobine. Non c’è da stupirsi di nulla. Gobetti, ad esempio, viene considerato un grande liberale, mentre altri negano il suo liberalismo ed altri ancora in nome suo tengono in piedi un centro studi che da sempre è stato filocomunista.
Si può quindi parlare anche di una babele liberale che è comunque sempre preferibile rispetto al dogmatismo di certe ideologie che impongono obbedienze cadaveriche.
Ma accettare la conclusione di un articolo di Alessandro Barbero su Napoleone, non risulta proprio possibile per chi sappia qualcosa del liberalismo, anche il più eretico e controverso. Il medievista e tuttologo di Vercelli è giunto a scrivere che “è anche grazie a Napoleone se alla lunga in Europa hanno trionfato il liberalismo e la democrazia”.
Mi sono occupato di Napoleone nei giorni scorsi ,cercando di non scrivere la manzoniana “ardua sentenza” a duecento anni dalla sua morte, ma di capire l’opera di uno dei più grandi personaggi che abbia avuto la storia. Non mi sono lasciato invischiare nei pregiudizi ed ho cercato di vedere in lui uno statista rinnovatore e non semplicementei un tiranno. Ho cercato di evidenziare il suo sforzo titanico di piegare la storia alla sua volontà. Ma non si può ragionevolmente convenire con Barbero nel vedere in Napoleone anche solo un barlume di liberalismo. Forse nella fase rivoluzionaria abbraccio’ il democratismo che sostituì molto presto con quello che sarà un regime militare in piena regola. Napoleone che amava leggere e non era un militare incolto, non sentì assolutamente il liberalismo come un qualcosa che potesse appartenere alla sua visione politica che ruotava su uno stato accentratore ed autoritario e quindi naturaliter illiberale. Il liberalismo nacque in Inghilterra con Locke e Smith nel 1700. In Francia fu Tocqueville, andando oltre la Rivoluzione e Napoleone, a mettere le basi di un pensiero liberale, guardando alla democrazia americana. Il bonapartismo successivo, quello di Napoleone III, fu fortemente liberista, ma non certo liberale. Napoleone III fu nella sua giovinezza di sentimenti liberali, poi rapidamente abiurati.  Solo chi sa poco di liberalismo, può vedere in Napoleone un personaggio che in qualche modo abbia favorito il “trionfo del liberalismo.” Napoleone resta un grande anche se fu illiberale perché a giudizio di uno storico liberale la grandezza di un personaggio non si misura in base all’ideologia, ma da un giudizio di più ampio respiro.

Napoleone in Francia Vittorio Emanuele in Italia

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni  Il presidente della Repubblica  francese Macron ha reso omaggio ieri  alla tomba di Napoleone  con una cerimonia austera e solenne nel bicentenario della morte avvenuta il 5 maggio 1821.

Lo scorso anno, bicentenario della nascita del Padre della Patria e primo Re d’Italia, Vittorio Emanuele II  nessuna alta carica dello Stato italiano ha fatto anche solo un gesto
per ricordare uno degli artefici del Risorgimento e dell’ Unità d ‘Italia, al Pantheon, al Vittoriano o a Palazzo Carignano dove nacque. Due modi opposti di sentire la storia nazionale perché Macron ha affermato che Napoleone è parte della Francia e che il passato non va valutato con le nostre idee del presente. Osservazioni ovvie perché gli anacronismi sono l’esatto opposto della storicizzazione. E’ stato proprio un grande storico francese Marc  Bloch ad invitare a comprendere prima di giudicare. Non da oggi c’è invece la tendenza propria degli ignoranti e dei politicanti di giudicare senza neppure tentare di comprendere. Macron ha fatto un discorso in cui sono emerse luci ed ombre , distinguendosi dall’estrema destra esaltatrice della grandeur napoleonica  a prescindere e della gauche legata a pregiudizi ideologici volti a confondere Napoleone personaggio storico con il Bonapartismo politico. E’ un dovere elementare di un Paese  civile ricordare la propria storia senza demonizzazioni che, a duecento anni dalla morte, appaiono ridicole. Come condottiero militare Napoleone è confrontabile, ad esempio, con Alessandro Magno e Giulio Cesare e come tale va ricordato , senza far prevalere giudizi pacifisti e antimilitaristi che son nati nel secolo scorso e ci impediscono di comprendere il passato. La Francia anche sotto la pandemia ha saputo ricordare un grande francese. L’Italia repubblicana lo scorso anno non ha saputo dedicare un minimo di attenzione per il Re che venne considerato un Galantuomo e che non ha nessuna ombra anche solo lontanamente paragonabile con quelle del Corso. Siamo all’assurdo che in alcune città italiane e’ stato o verrà onorato Napoleone, mentre persino Torino, dove nacque nel 1820, ha riservato un agghiacciante silenzio al Re del nostro Risorgimento. Una  ennesima prova di una classe politica formata da pavidi e mediocri, asserragliati nel fortino del potere ed incapaci di fare i conti con la storia perché il loro destino è, al massimo, la cronaca del presente.

Napoleone 200 anni dopo

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni  Oltre un anno fa in previsione del bicentenario della morte di Napoleone ,5 maggio 1821, si stava costituendo sotto la presidenza di Philippe Daverio un comitato nazionale presso il Ministero dei beni culturali per celebrare l’anniversario dell’Imperatore dei Francesi. Credo che la morte improvvisa di Daverio abbia bloccato  l’iniziativa che non è stata varata dal Ministero per i Beni culturali.

E’ giusto valutare a due secoli di distanza con il più assoluto equilibrio la figura di Napoleone che sicuramente, almeno per la Francia, ha rappresentato una pagina importante di storia, al di là delle osservazioni stupide sullo schiavismo e sul misoginismo che appaiano del tutto decontestualizzate dall’epoca in cui visse Napoleone.
Anche Manzoni, scrivendo “Il Cinque Maggio” comprese la grandezza dell’uomo che riuscì a conciliare “ due secoli l’un contro l’altro armati”, lasciando comunque “ai posteri l’ardua sentenza”. Oggi, a distanza di due secoli, il momento dell’ardua sentenza  è sicuramente arrivato e il giudizio storico per il Corso non può essere positivo almeno per noi italiani. Ed è per questo che l’iniziativa di Daverio era sbagliata e mi sottrassi alla sua richiesta di sostenerla. Se lo si vede  invece sotto un profilo europeo, egli sconquassò l’Europa ,tentando di imporre dappertutto l’egemonia francese con la scusa di portare sulle sue bandiere le idee  di una Rivoluzione tradita.
Fu responsabile di guerre con milioni di morti, combattute  soprattutto per un suo personale delirio di onnipotenza. Non ci sono dubbi sulle sue grandi doti di condottiero militare capace di entusiasmare i suoi soldati e inventare  strategie e tattiche militari  molto geniali. Si può anche considerarlo uno statista e un legislatore innovativo che contribuì a rinnovare la vecchia Europa. Dopo Napoleone con la Restaurazione il Congresso di Vienna non poté tornare all’antico perché il “tornado Napoleone” impedi’ il tentativo di ricacciare l’Europa alle parrucche incipriate prerivoluzionarie. Le nazionalità oppresse dal dominio napoleonico sorsero a nuova vita, malgrado i tentativi retrogradi e repressivi  della Restaurazione e nacquero i primi segni dei diversi risorgimenti in tante realtà europee. Ma non si può dimenticare che il dominio napoleonico ,specie in Italia, significò un periodo di furti, violenze e saccheggi senza precedenti. Egli è il responsabile del più grande furto di opere d’arte avvenuto in Italia e non solo. Furono saccheggiati Milano, Roma, il Vaticano, Parma, Modena, Napoli e tanti altri centri.
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Il giovane Foscolo che acclamò Bonaparte come un un liberatore ,si convinse quasi subito, dopo il trattato di Campoformio, che egli era un tiranno. Torino e il Piemonte vennero annessi alla Francia e subirono le stessa spoliazione di opere d’arte; il re dovette rifugiarsi in Sardegna fino al 1815 durante tutto il periodo napoleonico. Napoleone fece abbattere le porte e un tratto cospicuo dei bastioni di Torino, salvando solo la cittadella e Palazzo Madama. Per sue utilità specifiche  fece costruire il ponte in pietra  sul Po davanti a piazza Vittorio.  In sintesi si presentò come un finto liberatore d’Italia ,ma gli italiani che furono  soprattutto carne da macello per le sue guerre ,subirono un regime di stampo giacobino, tirannico ed  accentratore che peggiorò ulteriormente quando Napoleone divenne imperatore. A partire dal 1796 una parte del popolo italiano si oppose all’invasione francese e diede vita a quelle che vengono definite le insorgenze, quando cominciò la campagna d’Italia napoleonica. Le insorgenze furono numerose in tutta Italia. Comunque, sarebbe bastato pensare al saccheggio e ai furti di opere d’arte, per esprimere  un netto parere contrario alla costituzione di un comitato nazionale per le onoranze del bicentenario napoleonico presso il ministero dei Beni Culturali. Fu un abbaglio in cui  proprio il grande Daverio non sarebbe dovuto cadere.
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Sicuramente si tengono e si terranno, pur tra le polemiche, delle manifestazioni in Francia ,ma non aveva alcun senso – pandemia a parte – che l’Italia celebrasse un uomo che fu un dominatore senza scrupoli che, tra l’altro, come disse Foscolo, vendette Venezia all’Austria. Diede l’idea di un’effimera Italia unita che non fu certo il preannuncio di un Risorgimento nazionale. In Italia bisognerebbe invece  ricordare nel 2021 il bicentenario dei moti  carbonari che ebbero protagonista il grande patriota Santorre di Santarosa ,ingiustamente dimenticato. Questi patrioti napoletani e piemontesi, anzi italiani della prima ora,  sono stati trascurati , dimostrando una insensibilità verso un passato degno invece  di essere ricordato. Santarosa mori’ combattendo a Sfacteria per l’ indipendenza della Grecia, un anelito europeo che è l’esatto opposto del rullo compressore napoleonico che cercò  di sottomettere, senza riuscirci, persino la  Russia al giogo francese.
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Politica afona e insensibile sul problema dei senzatetto

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Non sono favorevole a lasciare i senza fissa dimora in permanenza sono i portici persino in piazza San Carlo, anche se, viaggiando spesso all’estero fino all’anno scorso,  ho constatato che il problema dei senza tetto nei centri delle grandi città è problema diffuso

Abbiamo sindaco e assessori che in cinque anni di mandato non hanno fatto nulla di tangibile per affrontare un grave problema sociale, aggravato dalla pandemia. Infatti il,coprifuoco risulta davvero essere parola vana e drammaticamente ridicola, se si considera il numero di persone che dorme all’aperto. Solo la Chiesa cattolica si è posta il problema seriamente insieme agli storici asili notturni di matrice massonica. La politica sul tema si è rivelata invece del tutto afona.
Ma quanto è accaduto in piazza Statuto con i panettoni posti per impedire ai barboni di dormire sotto i portici è un atto di inciviltà e di barbarie che offende Torino.
E’ un rimedio che lede la dignità delle persone e certo non aggiunge decoro alla piazza. Quei macigni di cemento vanno subito rimossi e devono scuotere la Città nel suo insieme.  La città di don Bosco e del Cottolengo si ribella di fronte a tanta insensibilità morale. Ma anche la Torino laica deve all’unisono condannare questo episodio e muoversi. Il “bugia nen” in questo caso è fuori posto.