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La prof. 54 enne circuisce l’allieva 14 enne

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni
Non c’è più limite alla decenza e al buon senso. Una professoressa 54 enne circuisce una allieva 14 enne, corteggiandola con baci, chat, regali.
Questo è un segno del disfacimento morale della nostra società e la dimostrazione di una scuola che ha perso la sua stessa dignità dopo aver smarrito il suo ruolo educativo. Impazzire d’amore magari può capitare, ma a scuola non è lecito: ci sono regole da rispettare. I minorenni in particolare un docente deve rispettarli. Se poi l’amore è anche lesbico ancora di più perché si tenta di corrompere un minorenne portandolo  su strade non scelte dal minore. Un tempo questa si chiamava vita viziosa, mentre oggi viene considerata da molti cosa normalissima. L’edonismo eretto a sistema forse sarebbe  piaciuto  solo  alla  scrittrice  M u r g i a ,   le persone normali  non posseggono,  per fortuna  loro,  le  “qualità”  della   M u r g i a.  Neppure Pasolini giunse a tanto in modo così sfacciato. La prof. è  accusata  di atti sessuali a casa sua e anche nei cessi della scuola  con la 14 enne, non solo di avances  cretine fatte  di kiss e di regalini. La magistratura dovrà fare il suo corso, ma qui il problema è il libertinaggio da basso impero a cui siamo giunti. Il vizio eretto a regola di vita come derivato del totale  sfacelo  di ogni etica individuale e famigliare.  Ancora  una  volta  il  nichilismo  sessuale  alla  V a t t i m o  come  modello  di vita.

Un francobollo per Berlusconi

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

L’idea di dedicare un francobollo a Silvio Berlusconi ad un anno dalla morte fa discutere anche in modo sguaiato. Sono molti quelli che dissentono e vorrebbero che addirittura il presidente della Repubblica intervenisse a impedire l’emissione filatelica. C’è addirittura chi parla di una proposta indecente.  La faziosità resiste al tempo, anche se un anno, specie se si tratta di un anno elettorale, è nulla rispetto alla storia.  Di norma i francobolli sono destinati a ricordare figure del passato. Non a caso insieme al francobollo per Berlusconi escono quelli per Matteotti, Marinetti, San Tommaso e Tatarella. Un’ insalata russa presentata come una forma di pluralismo. È  evidente che il francobollo per Tatarella un personaggio di dubbio significato politico,  malgrado la svolta di Fiuggi del MSI, appare forzato. Avrebbe avuto più senso un francobollo per Giorgio Almirante che sarebbe stato divisivo, ma non senza un qualche significato storico: la storia non è solo quella che ci piace,  come vorrebbero alcuni.  I nomi scelti nel loro complesso evidenziano che a un contemporaneo morto un anno fa non possono essere neppure accostati, per nessun motivo, almeno tre degli altri personaggi suddetti. Matteotti in particolare si discosta da tutti, per non dire di San Tommaso.  A 80 dalla morte eroica avrei visto bene un francobollo per il generale medaglia d’oro al V.M. Giuseppe Perotti, caduto al Martinetto con 7 altri membri del Comitato militare del CLN o, sul versante opposto, un francobollo dedicato a Giovanni Gentile ammazzato nel 1944 da gappisti comunisti che gli tesero un agguato sulla porta di casa. Un francobollo implica quello che Omodeo definiva “il senso della storia” . Un francobollo per Berlusconi non suscita nessuna ripulsa etica come alcuni faziosi sostengono ed appare stupida la richiesta di intervento del presidente Mattarella. La figura di Berlusconi a cui furono concessi – non dimentichiamolo – i funerali di Stato e il lutto nazionale, è oggi consegnata alla storia che ha bisogno di distacco critico per esprimere un giudizio. Per Napoleone Manzoni scrisse che l’ardua sentenza era affidata ai posteri. A maggior ragione per un personaggio fuori misura come Berlusconi, che è più che mai, anche morto, nel pieno della ribalta politica anche oggi, occorre quella che Guicciardini chiamava la “discrezione”. Non credo però che l’entusiasta del francobollo senatrice Ronzulli abbia mai letto Guicciardini e tanto altro. Per un uomo come Berlusconi un francobollo voluto da un governo amico ad un anno appena dalla sua morte, appare poco o nulla. Stiano sereni gli anti berlusconiani che si indignano per così poco.  La vera gloria la stabilirà un giudice molto più importante e credibile: il tempo.

Salvare la democrazia da chi la vilipende

IL COMMENTO Di Pier Franco Quaglieni

Il caso Gallo non è certo l’unico. L’affarismo in politica non è una novità, se Salvemini accusava persino Giolitti di essere un ministro della malavita. Il voto non è mai stato un bagno di democrazia vera perché l’inquinamento personale ha sempre giocato un ruolo preciso. Era l’Italia dei notabili con Giolitti è l’Italia delle correnti clientelari oggi. Oggi, tra  l’altro, viviamo in un sistema elettorale bastardo che solo in alcuni casi prevede le preferenze anche se i paracadutati nei collegi forse sono l’esempio più clamoroso di scarsa democrazia. Ma i casi Gallo pongono anche una riflessione sul voto di preferenza in base al quale un signor nessuno occupa un seggio che deve ad un dispensatore di piaceri, ad essere generosi, e quindi dipende dal “benefattore”. Da tempo abbiamo imboccato la strada dell’abbandono della democrazia come si può constatare dal calo pauroso dei votanti che fa il gioco dei capi clan. La scarsa affluenza è conseguenza di una politica che non convince più ed è la condizione ottimale che consente ai vari Gallo di prosperare nell’allevare i propri polli. Va ripensato il sistema: i fascisti definirono le elezioni dell’Italia prefascista dei “ludi cartacei” in cui le schede erano una finzione.  I fascisti poi dimostrarono che la stessa democrazia era una perdita di tempo e che occorreva l’uomo forte per decidere. Così, dopo il delitto Matteotti, un deputato che denunciò in Parlamento i brogli e le violenze delle elezioni dell’aprile 1924 , iniziò il regime autoritario e la dittatura divenne realtà nel 1925. Sono passati cent’anni e non è possibile stabilire confronti, ma il disprezzo per la democrazia dimostrato dai vari Gallo sparsi per l’Italia è molto pericoloso. Gli elettori già in giugno devono tornare a votare in massa in modo libero, mandando a quel paese i mandarini del potere fondato sulle tessere. Votare in libertà e per la la tutela della libertà e’ la vera scelta antifascista di oggi: le elezioni sono un momento culminante della democrazia e non dei “ludi cartacei” decisi dai capicorrente di ogni partito che sovente sono manovratori ignoranti e incapaci di qualsivoglia pensiero politico. Questo è un altro paradosso: i peggiori decidono chi far eleggere, lasciando i migliori al palo come il professor Salizzoni e tanti altri. Se si ascoltano gli interventi di certi consiglieri, quando decidono di non limitarsi ad alzare il dito in aula, c’è da rimanere imbarazzati per loro: lo stile Furnari-Alabiso – due consiglieri anni 70 – ha fatto scuola. Anche la Dc venne presa d’assalto dalle clientele come il PSI e tanti altri. Bisogna reagire con fermezza assoluta a tutela del nostro futuro democratico. Esisteva in passato l’ Ande, associazione delle donne elettrici. Oggi occorrerebbe una sorta di sindacato degli elettori che desse indicazioni di voto in base ai curricula dei candidati, lasciando gli impresentabili alle cure dei ras, cui va imputato, a mio parere, soprattutto il gravissimo reato di vilipendere la democrazia, il bene più prezioso da difendere insieme a quello della libertà. veri fascisti oggi sono loro.

Il pesce d’aprile elettorale in Riviera

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni

Il prof. Quaglieni

L’episodio è minimo e non meriterebbe attenzione, ma  esso è rivelatore di un protagonismo che giunge a beffarsi delle stesse  istituzioni, coinvolgendole in uno stupido scherzo del primo aprile. Le elezioni sono più che mai oggi  l’ultimo momento sacro  rimasto della democrazia,  riconquistata il 25 aprile 1945 al prezzo del sangue e del sacrificio  di tanti italiani. Le elezioni restano un momento solenne, l’unico nel quale il cittadino sovrano può decidere nel segreto dell’ urna e i partiti possono uscire anche  con le ossa rotte.  Ebbene, il 1 aprile, complice una giornalista che ha giocato  ingenuamente al facile  scoop, un gruppetto di burloni  -che si auto definiscono “monelli “armati  di fionda, malgrado l’età avanzata e quasi veneranda –  di Albenga, città nota per le sue torri medievali, ha annunciato la presentazione di una propria  lista comunale  con candidato sindaco  il loro “ducetto”, quel  Gino Rapa che lui stesso  con raffinata autoironia  si auto definisce “testa di rapa” titolo di un suo librino di grande successo entro le torri ingaune fino  a lambire la periferia di Borghetto Santo Spirito  e Ceriale.

Non è che la politica riesca ad attrarre molto  interesse ad Albenga perché i tempi di sindaci come Viveri e Guarnieri, citando solo due nomi, sono lontani. Il mestiere di sindaco è duro e poco ambito e i professionisti o i politici più capaci non si lasciano sedurre dalla fascia tricolore. Franco Vazio è l’unico parlamentare che ha saputo emergere, come  Marco Melgrati sindaco da quattro mandati ad Alassio. Ecco allora infilarsi il primo aprile  il burlone che, pur di apparire  sul giornale, si inventa, creduto, un nuovo listone civico con tutti i maggiorenti ingauni, capeggiati dal nuovo “candidato podestà” Rapa.
Si può scherzare di tutto, ma le elezioni non debbono prestarsi allo scherzo del primo d’aprile. Solo dei qualunquisti e populisti di pessima lega possono imbastirci su scherzi egocentrici che rivelano anche mancanza di totale fantasia. Così si divertono i monelli di Albenga specie se a Pasqua piove e sono costretti a stare a casa, senza poter  girare per gli amati  carugi.
Quello che è accaduto ad Albenga va citato come un  pessimo esempio di scherzo  in cui il provincialismo della corsa nei sacchi e dell’albero della cuccagna diventa una raffinatezza quasi parigina.
I tanti torinesi che sono rimasti a casa per Pasqua, devono sapere cosa si sono persi della vita rivierasca.

Il ministro leghista che fa la voce grossa, ma non decide

IL COMMENTO  di  Pier Franco Quaglieni

Che la scuola italiana  sia da gran tempo in crisi è cosa ovvia. Sono troppi anni che  non si fa nulla per rendere la scuola italiana almeno non  troppo distante dallo standard europeo. Con i docenti indottrinati che ha, più interessati  alla Palestina che all’uso del congiuntivo, non risulta semplice, ma anche chi governa  oggi la scuola non si rivela capace di provvedimenti di svolta  che diano segnali di speranza. Nella seconda repubblica ci saranno anche state delle buone intenzioni volte  finalmente cambiare la scuola italiana , ma nulla è stato fatto per far rinascere in Italia una  nuova scuola dopo le macerie del ‘68. Ci sono stati interventi intesi a privatizzare la scuola pubblica, volta ad avvantaggiare la scuola cosiddetta paritaria che continua  però a vivacchiare.
Nel campo universitario nulla  di nuovo, se non la nascita di  troppe nuove università private, molte  delle quali telematiche, con troppo facile riconoscimento legale dei titoli di studio .Ha incominciato la ministra Moratti e si è messa in luce la ministra Gelmini ,senza ottenere nulla di ciò che forse voleva raggiungere, creando in compenso forti reazioni polemiche che ne rivelarono la pochezza politica: la sua cultura era inesistente. La destra ha pensato che il mondo scuola fosse ormai un’ enclave della sinistra da abbandonare a se’ stesso, dimenticando la funzione centrale esercitata dalla scuola in un Paese civile  anche nel mondo dei social, anzi soprattutto in quel mondo devastante per un normale scambio civile di opinioni e per una formazione dei giovani adeguata.
I professori sono stati abbandonati a se’ stessi, anche se molti di essi sono una delle cause della crisi perché più politicizzati che preparati. L’attuale ministro dell’istruzione e del merito (un’aggiunta condivisibile se ci fossero serie  azioni coerenti e concrete per combattere il facilismo demagogico) si lancia in polemiche che si risolvono in una frettolosa marcia indietro perché si rivela sempre poco documentato e superficiale ,più’  alla ricerca di un titolo sui giornali che ad affrontare un problema. E’ un giurista universitario non di grande autorevolezza, a metà tra la destra e la Lega . Dice lui stesso che non ha nulla a che vedere con Gentile e c’è da crederci perché la riforma Gentile non ebbe eguali e Valditara è anni luce dal ministro che il 15 aprile venne assassinato sotto casa a Firenze da Gappisti sconfessati dallo stesso CLN. Valditara in tutti i sensi non è Gentile e non è gentile neppure nei modi ,anche se poi è costretto a indietreggiare in fretta.
Anche per la distribuzione degli stranieri nelle scuole ha toppato perché il loro numero molto alto e concentrato in alcune zone delle grandi città, non è comprimibile, come dice Salvini. Il problema è più vasto e riguarda la denatalità tra gli Italiani. Valditara parla, parla, ma poi non agisce. La scuola non può attendere le sue sparate, necessita di una riforma d’insieme per farla rinascere, malgrado una classe docente per lo più scadente e indottrinata  che potrebbe vanificare ogni sforzo perché si metterebbe di mezzo per sabotare, anche per nascondere la sua inadeguatezza culturale e professionale.
E’ un’opera ciclopica, quasi impossibile e Valditara non è l’uomo giusto ,come non lo fu la Moratti che per emergere deve  ancor oggi usare il nome del defunto marito: un fallimento come ministro e come sindaco di Milano .Si pone la necessità di un cambio il più rapido possibile: il ministro ha già dato in pochi mesi il meglio e il peggio di se’.  Andare avanti così non è più possibile .Abbiamo avuto alla Minerva il peggio del peggio anche con Renzi, Letta, Gentiloni e soprattutto Conte con una sua ministra davvero indimenticabile per i suoi banchi con le rotelle ed altre amenità.
Io ancora mi illudo che ci sia qualcuno nell’attuale  maggioranza che sia un po’ meglio di Valditara. A volte basta poco: un po’ di coraggio e un po’ di competenza  sono sufficienti  nel fare la differenza.

Ferruccio Borio il grande giornalista

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

E’ uscito in quel di Cuneo un libro in ricordo di Ferruccio Borio, giornalista italiano e torinese importante della seconda metà del ‘900. Dalle anticipazioni che ne leggo, temo che sia un tentativo mancato di ricordarlo degnamente e che possa anzi apparire un conato un po’ meschino,  di ridurlo ad una macchietta o poco più. Chi scrive lo ha conosciuto molto bene e l’ha frequentato a lungo; di fronte a questo che parrebbe un inadeguato tentativo di ricordarlo, mi sento impegnato a scriverne diffusamente, anche al di là del suo ruolo giornalistico.

Ferruccio Borio partecipo’ da vicino insieme a sua figlia Simonetta alla fase iniziale del Centro “Pannunzio” come  fecero Giulio De Benedetti e Alberto Ronchey che per ragioni diverse furono amici di Mario Pannunzio. Intervenne ad una cena offerta da Arrigo Olivetti al Ristorante del Cambio di Torino insieme a Ugo La Malfa, Niccolò Carandini, Mario Soldati, Gaetano Zini Lamberti e pochi altri amici.  Durante quella cena ristretta ad una quindicina di persone nacque il Centro “Pannunzio” nel maggio 1968.  Fu da subito una scelta controcorrente di cui molto bene ha scritto Gabriella Poli, per molti anni braccio destro di Ferruccio – e poi prima e unica donna capocronista alla “Stampa” -, ricordando un mio incontro con lei nella redazione di via Roma durante un chiassoso corteo studentesco. Con Ferruccio non ebbi subito un profondo rapporto perché, da quanto capivo, da vero giornalista voleva mantenere la sua indipendenza anche dal Centro, rimanendo defilato.

Il nostro rapporto si strinse e si approfondì a partire dal 1974 per merito di Valdo Fusi che insieme a me e all’avvocato Giacomo Volpini voleva realizzare la mostra dei disegni di Leonardo conservati alla Biblioteca Reale di Torino ed esposti l’ultima volta per il matrimonio del principe ereditario Umberto di Savoia nel 1930.  A partire dal direttore della Biblioteca per giungere all’alta burocrazia ministeriale, c’erano ostacoli da rimuovere che sembravano insormontabili. Fusi ed io andammo da Borio che non dovemmo convincere della bontà della proposta e che si impegnò a sostenere sul giornale. Infatti nel 1975 il ministro per i Beni culturali Spadolini, sia pure in modo obliquo, inauguro’ la mostra che ebbe 150 mila visitatori e fu lanciata a livello internazionale da un manifesto in più lingue realizzato da Armando Testa. Da quel momento si può dire che nacque il nostro rapporto. Il Centro “Pannunzio” divenne il luogo prediletto in cui uno straordinario e scintillante Stefano Reggiani ambiento’ i suoi ironici raccontini con il Conte di Cavour e Vittorio Emanuele II pubblicati sulla Cronaca de “La Stampa”. Nel 1975 venne a moderare un dibattito alla vigilia delle elezioni amministrative al Centro “Pannunzio” in cui si confrontarono tutti i capilista, ma in cui soprattutto duellarono Diego Novelli e Giovanni Porcellana, i due maggiori contendenti alla carica di sindaco.

Borio seppe stabilire uno straordinario rapporto con i torinesi,  creando incontri ed eventi che giustificarono lo slogan “Un giornale, una città”con centinaia di migliaia di lettori del giornale. Anche quando andò al “Piccolo”come direttore rimanemmo in rapporti perché nel frattempo la figlia Simonetta era diventata vicepresidente del Centro “Pannunzio”. Al “Piccolo” seppe fare una grande battaglia di informazione civile e democratica contro il demagogismo prepopulista del Melone. Ricordo che Borio a Trieste andò come primo atto alla Risiera di San Sabba e alla foiba di Basosovizza, lui che era stato partigiano di GL. Una volta mi invito’ a Trieste a ricordare il IV novembre 1918 e fui molto contento di parlare della Grande Guerra vittoriosa, dopo essere stato insieme a Borio al Sacrario di Redipuglia. Con noi venne anche Arrigo Levi direttore de “La Stampa”. A Trieste Borio fece la battaglia contro il qualunquismo del Melone, la lista civica che pareva aver sconvolto la storia stessa della città di San Giusto. Ricordo l’abbraccio affettuoso che ci scambiammo ai funerali di Carlo Casalegno, ucciso dalle Br. Forse l’uomo giusto a sostituire in trincea Carlo era Borio condirettore, ma gli fu preferito il letterato Mondo.

Poi iniziò la mia lunga collaborazione con “Stampa Sera“ con i direttori Torre e Bernardelli e Borio, tornato a Torino dopo la direzione del “Lavoro” a Genova – dove cercò di salvare la vecchia testata socialista che fu di Canepa, Ansaldo, Pertini e Vittorelli – avrebbe desiderato che io iniziassi come editorialista alla nuova “Gazzetta del Popolo” che aveva fatto risorgere sotto la sua direzione. La presenza del deputato Borsano impedì il rilancio. Ritenni di non dover accettare la sua generosa proposta, ma gli feci avere spesso delle note senza firma. Borio fu sospeso per un anno dall’Ordine per aver accettato l’abusivismo imposto dall’editore di cui godettero tanti finti virgulti che diventarono esponenti di punta del nuovo giornalismo subalpino.

La nostra amicizia continuo’ fino a quando l’ictus lo costrinse ad un ritiro drammatico che per un uomo attivo ed entusiasta come lui, deve essere stato un vero tormento. Si chiuse in casa e non volle più avere rapporti esterni. Resta una delle figure più importanti del giornalismo italiano della sua epoca ed insieme a Carlo Casalegno e Giovanni Giovannini uno dei più significativi giornalisti torinesi del secondo Novecento.  Una schiena diritta capace di essere sempre se’ stesso, richiamandosi con coerenza al suo passato, sempre presente, di combattente per la libertà.  Non la macchietta descritta ieri in un anticipo infelice del libro. Borio riuscì a sorpassare e mettere alle corde con la qualità del suo giornalismo una testata storica come la “Gazzetta del Popolo” rimasta forte in alcune aree piemontesi dove il giornale concorrente non aveva giornalisti come Borio.  Simile a lui io ricordo in Liguria Sandro Chiaramonti che sorpasso’  il “Secolo XIX” e creò le edizioni liguri della “Stampa” con tanti eventi connessi come Borio fece a Torino e in tutta l’area metropolitana.

Sergio Ronchetti che fu suo vice e successore ha rilasciato su Internet una bella e lucida intervista che risarcisce Borio di una celebrazione che appare un po’ strumentale. Se fosse viva Simonetta, sarebbe andata su tutte le furie. Non dimentichiamo che Borio riusciva con una o due pagine di cronaca a rappresentare interamente la realtà torinese che oggi neppure venti pagine descrivono perché la faziosità preconcetta di certi redattori esclude e censura la città a misura del Polo e del Circolo diventati senza aggettivi gli unici protagonisti di una cultura settaria e di parte che esclude la ricchezza di una città che neppure la monocultura della Fiat e l’egemonia del PCI erano riusciti a distruggere, per merito di giornalisti come Borio.

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

SOMMARIO: Stiamo andando verso il disastro? – Meloni neo nazista? – Lettere


Stiamo andando verso il disastro?

L’economia italiana, certo nel contesto di quella europea, sta andando verso il disastro? I prezzi sono sempre più alti , le merci nei magazzini scarseggiano, nelle nostre strade molti negozi hanno tirato giù le saracinesche e i prezzi vertiginosi non ci danno neppure più la garanzia della qualità .I supermercati hanno di fatto il monopolio del commercio. Un’economia cinese fondata sul disconoscimento della qualità imperversa dappertutto. Lo stesso euro non ha svolto la funzione prevista ottimisticamente da Ciampi. Questa è una verità su cui riflettere. Le grandi aziende licenziano e delocalizzano. La grande industria italiana è ormai in mano straniera. Si parla di nuovi poveri, mentre parte di chi studia pensa alla Palestina invece che ai libri e alle lezioni. Il Governo attuale non si sta purtroppo rivelando all’altezza, formato da donne e uomini spesso non in grado di governare neppure un Comune, se si eccettuano pochissimi ministri/e .  L’eredità nefasta dei Governi Conte, Renzi, Gentiloni, Letta appare oggi in tutta la sua drammatica realtà. Anche i conati di violenza che si stanno manifestando in modo preoccupante sono indice di un clima allarmante per la democrazia. Pasqua, al di là del tempo meteorologico, rivela la perdita della serenità di molte famiglie che hanno dovuto rinunciare a qualche giorno di vacanza per ragioni economiche. Il pranzo in un ristorante ha raggiunto prezzi proibitivi con menù spesso banali. La politica in vista del voto si rivela particolarmente cieca e induce con i suoi comportamenti a disertare in giugno le urne. L’Italia sta precipitando? Forse si’ e risulta difficile reagire, anche perché impelagati da due guerre in atto e dal ritorno del pericolo terroristico di matrice islamica. Parola di storico: sono molto pessimista su un presente sempre più squallido e pericoloso anche per mancanza di lungimiranza e per un eccesso di faziosità. Le condizioni difficili comporterebbero una coesione nazionale oggi davvero impossibile.

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Meloni neo nazista?
Il prof. Luciano Canfora, dell’Università di Bari, che si auto-definisce con orgoglio uno “stalinista”,  ha il coraggio (si fa per dire) di lamentarsi che la Meloni lo abbia querelato per l’insulto rivoltole di essere una “neo nazista nell’animo”. Si tratta di un insulto oggettivo, se poi prodotto dalla cultura raffinata del filologo della scuola “barisienne”, esso appare il massimo degli insulti possibili perché intende offendere anche nell’animo  non solo nella polemica politica contingente a cui un accademico dovrebbe restare estraneo.  Dovrebbe infatti essere il professore a scusarsi per aver detto qualcosa di privo di senno, ma vedremo come si esprimerà un giudice in merito. Sono curioso di sapere come andrà a finire e attendo qualche battuta infelice del solito Emiliano.  Uno che si sente “contentissimo”  di essere definito “stalinista” dovrebbe lasciare ad altri il compito di difendere la democrazia repubblicana.  Non ho mai stimato il professore di Bari, adesso lo ritengo un semplice e invecchiato propagandista. La faziosità politica non salva nessuno e devasta anche le menti degli studiosi fino a renderli ridicoli.

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quaglieni penna scritturaLettere scrivere a quaglieni@gmail.com

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Ritorna il ‘68?

Cosa pensa di chi ha detto che la striscia di Gaza sarà il nuovo Viet – nam e che le proteste studentesche contro Israele saranno un nuovo ’68? A me sembrano farneticazioni di vecchi nostalgici sessantottini.   Vittorio Risiero

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Anch’io lo considero un uso strumentale di una vicenda drammatica cominciata il 7 ottobre con una strage di israeliani. Io sono e sarò sempre al fianco di Israele e della comunità ebraica. Una pace che significasse la fine di Israele avrebbe conseguenze politiche immense che quattro ragazzini non sanno neppure pensare . Condivido molto l’operato della ministra Bernini, una donna colta e capace. Anche Anna Foa è stata chiara nel condannare la rinascita di un movimento studentesco succubo dei centri sociali. Ha fatto bene il rettore dell’”Alma Mater” bolognese a staccare gentilmente il microfono alla studentessa fanatica che vomitava insulti in aula magna. Il ’68 non deve tornare! La protesta civile e democratica è sempre bene accetta, ma la violenza infarcita di insulti va colpita. I cattivi maestri alla Canfora vanno smascherati per quello che sono: agitatori stalinisti orgogliosi di esserlo anche oggi!

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

SOMMARIO: Basaglia o Tobino? – La Pro Cultura Femminile – Lettere

Basaglia o Tobino?
Il centenario della nascita dello psichiatra Franco Basaglia che volle la chiusura dei manicomi, ma non capì che non bastava chiuderli perché i malati di mente potessero guarire, suscita ancora oggi costanti polemiche su un tema delicato e angoscioso per migliaia e migliaia di famiglie che hanno avuto o hanno un malato psichico che la chiusura dei nosocomi  abbandonò a sé stessi.
La legge 180  del 1978, scritta male ed applicata peggio, resta una legge non adeguata ,anche se la colpa fu dei basagliani perché il maestro morì nel 1980, appena due anni dopo. Tanto più lucida fu la posizione di Mario Tobino che si oppose alla utopia  buonista di Basaglia, vedendo nella riforma dei luoghi di cura il modo di curare con umanità quelli che venivano definiti  senza pietà matti. Tobino, invitato da me a Torino, fu contestato e non gli venne consentito di parlare. La vera colpa di tutto è dei piccoli seguaci di Basaglia che non ebbero il suo coraggio, la sua intelligenza  e la sua cultura, pur ritenendosi degli eroi come tanti medici torinesi di cui oggi nessuno parla , ma che si ritennero dei rivoluzionari ovviamente comunisti. Per pietà non ne faccio i nomi. Si cercarono, sgomitando, notorietà  effimera e immeritata, speculando con l’aiuto di giornalisti codardi, sulla chiusura di Collegno.  Anche un avvocato ultracentenario morto di recente fu della partita: non si sa  davvero con quale competenza , ma volle esserci anche lui. Già il solo termine “Psichiatria democratica” avrebbe dovuto far inorridire ed oggi dovrebbe  suscitare un riso di scherno per le vere follie demagogiche nate dall’eterno ‘68.
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La Pro Cultura Femminile
Sono stato a parlare di Bobbio alla Pro Cultura Femminile, nata a Torino nel 1911 che neppure il fascismo osò chiudere. E’ la più antica associazione culturale torinese e insieme all’Aci di Irma Antonetto è  stata la protagonista assoluta della cultura torinese, molto meglio del celebrato Antonicelli che aveva dietro di se’ il Pci, per non parlare di certi club femminili e femministi odierni fatti da madamazze, come le definiva Montanelli, più casalinghe frustrate che donne colte.
Ricordo la presidente Augusta Guidetti Grosso, anglista di fama, con cui trattenni un ottimo rapporto per tanti anni. Ho cercato di imparare ad organizzare un po’ di cultura, guardando all’esempio suo e di Irma Antonetto. La prof. Grosso, pur essendo moglie del sindaco di Torino e famosissimo giurista, era una donna totalmente libera da obbedienze di partito come dimostrò di essere anche il marito. La Grosso invitò a parlare nel 1966 il deputato missino Tripodi su Gozzano e i Crepuscolari. La conferenza non suscitò scandalo ed io studente di liceo andai ad ascoltarla perché già amavo Gozzano prendendo preziosi appunti che mi servirono per la Maturità. Con la prof. Grosso si stabilì un rapporto nel tentativo vano di mettere d’accordo l’associazionismo culturale torinese che in tempi successivi venne manu militari conquistato e piallato dal circolo dei lettori e dal Polo del 900. Ambedue però sbagliarono nella loro operazione di pulizia etnica e di egemonizzazione perché la Procultura e il centro che presiedo non si piegarono. Anche la prof. Grosso non avrebbe mai accettato di ammainare la bandiera gloriosa di oltre 100 anni di cultura libera.
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LETTERE scrivere a quaglieni@gmail.com
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Le Regionali di giugno
quaglieni penna scritturaDa quanto vedo, i candidati alle Regionali non sono dei migliori soprattutto nel centro – destra, mentre il centro – sinistra è ancora in affanno su un presidente che non avrà successo dalle urne, anche se si alleasse con Appendino in persona e trovasse l’appoggio del quasi novantenne Salza. Mi sorprende che i moderati di Portas si nascondano nella lista civica senza far dimettere il  loro assessore nella Giunta Lo Russo, tenendo il piede in due scarpe. L’assessore moderato in Giunta deve dimettersi! E che dire dell’”assenteista cronico” in Comune dove voleva fare il sindaco, il rag. Damilano, che candida un suo socio o dipendente nell’ industria delle acque, senza considerare il lampante conflitto di interesse con la Regione in tema di acque minerali, bene pubblico e non privato della famiglia Damilano?  Già la lista civica di un vicesegretario di Fi appare ridicola.  Mi sembra che si parta molto male. Negli altri partiti sempre gli stessi nomi senza ricambi. Nessun nome che riguardi la cultura, articolo ormai fuori moda. Posso dirlo? Mi appare un casino.  Vito Lo Cascio
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Sono totalmente fuori dalla mischia e non intendo esprimere giudizi specifici su operazioni che dimostrano ancora una volta la povertà della politica di oggi, a destra e a sinistra. Ambedue mancano di una classe dirigente locale e nazionale. Ma il peggio è in Calenda e in Renzi che ormai dovrebbero limitarsi a passare le proprie ore ai giardinetti . “Torino bellissima” appare politicamente ormai morta, pur avendo avuto ed avendo molti consiglieri comunali in carica. Un bel progetto che non è stato coltivato. Adesso anche “Torino bellissima” si rifugia sotto l’ombrello protettivo di Cirio. La lista civica dovrebbe portare voti, qui sembra invece che tutti si attacchino a Cirio per sperare in un seggio sicuro. Molti si illudono perché i seggi sicuri sono solo quelli del listino di cui non si sa nulla.
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Matteotti
Il centenario del delitto Matteotti moltiplica i libri sul tema, da parte di ex comunisti che hanno sempre disprezzato il socialista Matteotti. Libri stantii, ripubblicati con lievi correzioni che negano o svalutano il valore socialista di Matteotti per ripetere la solita vulgata antifascista. In testa a tutti si distingue il Polo del ‘900 e l’istituto Salvemini, come sempre allineato e coperto sull’estrema sinistra dopo la morte di Valerio Castronovo, uno storico vero.  Gino Lugli
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Sono anch’io impegnato con un piccolo libro per ricordare Matteotti e quindi mi astengo dal dare giudizi. Certo la storia è molto distante da certi autori che sono dei politicanti di lungo corso o dei semplici giornalisti che non sanno la storia.

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

SOMMARIO: Il nuovo libro di Gianni Oliva – Walter Chiari – Lettere

Il nuovo libro di Gianni Oliva

Gianni Oliva

Tra i tanti libri lucidi e coraggiosi di Gianni Oliva, diventato anche un astro televisivo senza assumere la boria del successo, l’ultimo dal titolo “45 milioni di antifascisti” ed . Mondadori è davvero un libro da leggere perché mette a nudo le falsità e le ipocrisie della vulgata antidefeliciana, dando ampio riconoscimento al maestro che dedicò al fascismo un’opera ciclopica, per anni odiato da Tranfaglia e ostacolato perfino nel far lezione da una ciurmaglia di contestatori violenti e  storicamente incolti. La verità è una sola: i conti con il fascismo non sono stati fatti e la mancata o blanda epurazione seguita dall’amnistia Togliatti del 1946 ha fatto sì che ci sia stata una sorta di equiparazione tra i crimini fascisti e quelli dei partigiani. Dell’amnistia fruirono persino i  sicari di Matteotti. Già dopo il 25 luglio 43 milioni di italiani da un giorno all’altro diventarono d’incanto  antifascisti: come scriveva Ernesto Rossi all’esule Salvemini nascosero la cimice fascista nel pugno chiuso. Nell’avvicinarsi della Liberazione lo stuolo dei partigiani crebbe a dismisura e anche quello delle staffette . Diventare comunisti rappresentò il  facile salvacondotto per una transizione senza difficoltà dal fascismo all’ antifascismo verboso a costo zero del dopoguerra. L’antifascismo del Ventennio fu una cosa seria, a partire da Matteotti, Amendola, Gramsci, Gobetti, Don Minzoni; quello successivo fu fatto di parole d’ordine e di bandiere rosse volte a cancellare la Resistenza non comunista. Il libro di Oliva è un atto di coraggiosa ricerca storica che fa giustizia dei vari Battaglia, Quazza  e altri minori che da anni scrivono le stesse banalità. Oliva prosegue la strada di Claudio Pavone e la porta a conclusione. L’era dei De Luna  e dei vari Franzinelli e dei piccoli Gobetti negazionisti delle foibe è finita. Oliva mette in luce che anche al di là dell’amnistia Togliatti ci fu un paese che mancò di spina dorsale e accettò ogni trasformismo, anche il più vergognoso: quello di Gaetano Azzariti  presidente del tribunale della razza poi  nominato giudice costituzionale da Gronchi e divenuto presidente della Corte Costituzionale è solo il caso più clamoroso di troppi fascisti giunti a ricoprire incarichi incompatibili con il loro passato, con la complicità di comunisti e democristiani, socialisti e liberali. Solo Pannunzio denunciò certi scandali che l’ex fascista Scalfari non poté mai permettersi.

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Walter Chiari

Oggi avrebbe compiuto cent’anni. Aveva uno stile unico, una capacità straordinaria di catturare il pubblico sollecitandone il sorriso con garbo a naturalezza. Se pensiamo alla stazza e alla ilare volgarità di Bramieri, abbiamo chiaro chi fosse Chiari.  Andò  con Mussolini a Salò e si lasciò sedurre dalla cocaina come molti altri attori. Ebbe un tramonto triste. Lo ricordo in un teatro Alfieri semi vuoto: una grande tristezza. Eppure fu uno dei più grandi comici italiani. Dimenticarlo oggi appare meschino oppure è il segno dei tempi bui che viviamo. Fu tanto più grande di D’Apporto e di Campanini anche loro dimenticati. Chiari fu secondo solo a Rascel.  In Tv era molto meglio della coppia Vianello-Mondaini e anche della coppia Tognazzi – Vianello. Tutti provenienti dalla Rsi e transitati in Rai senza problemi. Solo Nuto Navarrini ebbe difficoltà a “riciclarsi” . Ma Walter Chiari oltre ad essere un grande professionista ebbe anche le fierezza intima di rimanere sé stesso senza mai eccedere. Era la raffinatezza del teatro di Terenzio rispetto a quello di Plauto infarcito di battute dozzinali estranee al repertorio di Chiari.

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LETTERE scrivere a quaglieni@gmail.com

 

quaglieni penna scritturaLe segrete cose monarchiche
Lei è troppo buono con il  “prof”   M o l a:  repubblicano anche dopo la morte di Umberto II, di cui ha insultato la memoria nel 1983, alla corte di Vittorio Emanuele per quasi un “ventennio” e poi, dal 2001, “avvocato” del cugino Amedeo e in processo con i suoi “amici” dell’Umi. Questo “gentiluomo” nel 2001, quando ha tradito Vittorio Emanuele, ha dimenticato di restituirgli le decorazioni da lui sollecitate nell’ambito della Consulta dei Senatori del Regno n. 1, prima che lui stesso ne fondasse un’altra con fini diametralmente opposti e cioè deporre il principe Vittorio. Sul sito dell’Umi è sparita la rubrica “Consulta”: http://www.unionemonarchicaitaliana.it/index.php/senatori-del-regno. Perchè? W la coerenza!
Giorgio Vicini 
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Non sono addentro alle segrete cose monarchiche e non so risponderLe. Il prof.  M o l a   con o senza virgolette, è persona che non apprezzo umanamente  dopo averlo conosciuto abbastanza bene. Rispetto un ottuagenario ormai a riposo  ed evito le polemiche sterili perché fatte tra persone che non possono intendersi perché troppo diverse. Se penso a  esponenti della corte sabauda  come Vittorio Prunas Tola o Umberto Provana  di Collegno che conobbi in passato e vedo gli attuali cortigiani rabbrividisco.

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Associazionismo di oggi e di domani

Appartengo ad un noto club e mi rivolgo a lei per esternare il mio disagio nel restare in un club di servizio che ha un prestigioso radicamento internazionale. Le elenco il mio disagio: 1) ci sono solo più soci molto anziani e i pochi giovani sono superficiali e incolti, molto vezzeggiati perché giovani. Tra i 40 e i 50 c’è il vuoto. 2) la cultura è considerata come qualcosa di secondario rispetto alla ossessiva raccolta di fondi. 3) ogni iniziativa prevede il pagamento di qualcosa per cui la quota sociale costituisce un benefit totale del club. Il socio che non è un semplice bancomat, dovrebbe pur avere un ritorno di qualcosa. In un altro club in Lombardia dove è socia mia cugina, nella quota sono comprese le cene. Ma sicuramente ci sono delle cariche che vengono retribuite alla faccia del volontariato da quanto mi dicono. 4) mi infastidisce sempre di più l’uso dell’inglese anche da parte di gente che non conosce neppure l’Italiano. È stato anche abolito perfino il suono dell’Inno nazionale all’inizio dei meeting. 5) La cosa che più mi fa letteralmente incazzare  non trovo un verbo idoneo per esprimere il mio dissenso e chiedo scusa) è quella della catechesi, dell’educazione alla vita del club con una sorta di studio di una banale filosofia buonista di basso profilo culturale che si vorrebbe imporre in ogni circostanza perfino con “esercizi spirituali” che si chiudono per fortuna con un pranzo. In questi esercizi spirituali ci sono i maestri che insegnano a vivere secondo l’etica del club. Questa è una forma di integralismo non laico che mi fa impazzire. Io ho idee ben radicate, per quanto non sia laureato, sempre disposto a discutere con tutti, ma assolutamente contrario a subire tentativi di “formarmi”. Gli esercizi spirituali posso farli in chiesa, ma non in altre sedi. Sembra quasi di appartenere ad una loggia non segreta, ma pur sempre portatrice di idee e valori imposti con un pizzico di fanatismo. Queste cose riguardano solo me stesso e la mia coscienza. Neppure il PCI pretendeva che gli iscritti aderissero al marxismo, anche se esistevano le “Frattocchie” per i militanti .Io ho amato i club settecenteschi dei libertini con scambi di cultura straordinaria davvero cosmopolitica . Forse sono io a non aver capito nulla , ma io non accetto un quasi tentativo di lavaggio del cervello per cui devo anche pagare profumatamente. Un’associazione libera non può farsi portatrice di visioni etiche , altrimenti cadiamo nelle sette del passato. In questo caso, se così fosse, preferisco la vita di parrocchia: meno costosa e meno invasiva. Sono quasi certo che anche lei, che pure sembrerebbe uno spirito libero, cestinerà questa mia esternazione come hanno fatto altri.    Lettera firmata

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Avrei preferito che lei avesse deciso di uscire allo scoperto con tanto di firma, ma io pubblico la Sua lettera egualmente, senza toccare una virgola, al di là del fatto di condividere o non condividere le sue riflessioni che possono riferirsi, penso, all’associazionismo Lionistico, Rotaryano o di qualche altra sigla minore. I Suoi toni mi sembrano ingenerosi anche perché nessuno è obbligato a rimanere socio e tutti i Suoi problemi – se reali – Lei li risolve con una bella letterina di dimissioni. Io vado spesso volentieri a parlare, ospite di questo associazionismo e mi sono sentito sempre a mio agio e non ho mai subito dei veti o delle restrizioni. Sono luoghi di libero dibattito. Se qualche esponente di quell’associazionismo, vuole intervenire, sarei lieto di pubblicare delle repliche. Non c’è bisogno di nessuna difesa d’ufficio da parte mia. Faccio solo una riflessione oggettiva: l’associazionismo nel suo insieme purtroppo è in crisi. Io fui socio in passato di un club di circa 150 soci molto autorevoli. Forse quell’esperienza appartiene al passato. Il Covid, il pc, la vita professionale e sociale di oggi hanno inciso pesantemente. Quale sarà l’associazionismo del futuro? Non saprei rispondere, ma credo che la necessità di ritrovarsi insieme tra uomini e donne in libertà in un clima di amicizia sia destinata a vivere anche nel futuro. Nessun collegamento a distanza potrà sostituire l’incontro tra persone. Creda a me, lasci stare i club libertini del ‘700 tanto amati da Scalfari: io li ho studiati all’Università con Venturi e non sono un modello né per l’oggi né per il futuro.

Delusione finale di un estremista moderato

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
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Pier Franco Quaglieni

Mi sono sempre interessato di politica senza mai perdere la mia autonomia di  giudizio e sono stato per decine d’anni il più giovane iscritto all’ordine dei giornalisti di cui temo di essere oggi  uno dei decani. Debbo dire che da tempo mi sento sempre più confuso e restio a qualsiasi impegno politico, anche se a mio modo mi sento impegnato per tante cause controcorrente e divisive a cominciare da quella di Israele: sono sincero, più esse  sono divisive più mi piacciono, pur odiando da sempre anche solo l’idea di andare in piazza o ogni forma manichea e ogni estremismo. Semmai mi sento un estremista moderato. Sentirmi diviso dalla massa acefala mi fa sentire meglio. Oggi, leggendo la solita mazzetta on  line di giornali cartacei, debbo dire che il mio malessere ha superato i limiti della moderazione che di norma mi impongo, non ritenendo giornali e politica così importanti da rovinarmi fin dal mattino  la  mia vita serena  di studioso e di piccolo agricoltore che conduco da anni dopo aver lasciato senza nostalgia  l’insegnamento. A questo proposito le notizie che continuo a leggere sull’università danno l’idea di un ambiente divenuto  oggi invivibile con invidie e gogne molto peggiori di quelle del ‘68.  Aprendo i giornali nei titoli di prima  mi appare la parola “manganello” evocatrice di un certo clima di cent’anni fa e della celere di Mario Scelba,  autore, per altro, della famosa legge  volta a reprimere l’apologia  del fascismo. A prescindere da cosa sia veramente  accaduto a Pisa e a Roma (sarà la magistratura a stabilirlo), leggo e sento  un vero e proprio odio verso le forze di polizia che mi riportano al ‘68  e all’identificazione tra poliziotti e fascisti,  dimenticando anche cosa scrisse  Pasolini in difesa dei questurini. Torna anche  il titolo “La rabbia degli studenti” vecchio di oltre mezzo secolo: gli studenti in primis dovrebbero studiare e non occuparsi di cose che non conoscono e che alcuni prof.  impongono loro con gli slogan antisemiti di sempre, abusando della cattedra per fini di parte. Ma è tutto fiato sprecato perché questi prof. non sanno insegnare altro se non il fanatismo, anticamera della violenza. Non sanno cosa sia la storia che loro identificano con l’ideologia dell’odio. In tutt’altra  direzione ci appare intollerabile il presidente ucraino che dice che in Italia ci  sono troppi sostenitori di Putin, dimostrando ingratitudine verso un paese che lo sostiene   e  commettendo  un’interferenza incomprensibile. Il presidente ucraino non è un bel personaggio ed è molto rozzo e arrogante. Sto dalla sua parte solo perché detesto Putin e ne vedo i pericoli. Il solito don  Ciotti in un altra pagina dice la sua sui migranti, tema stantio su cui ha già detto mille volte il suo pensiero, sempre uguale come  se lui stesso fosse il Vangelo. Gli articoli sulle elezioni sarde vogliono dar l’idea della confusione che regna nell’isola e dei litigi tra partiti. Il vero malcelato timore è che la sinistra perda. Vedremo cosa accadrà , ma gli articoli non aiutano a capire e sono scritti per giustificare un’eventuale sconfitta. Un’altra influencer vuol farci credere che a decidere  su vita,  morte e amore debba essere la Consulta, mentre c’è innanzi tutto la nostra coscienza individuale e civica e il  Parlamento sovrano a cui la Consulta non può sostituirsi. Se leggo certe affermazioni, penso al presidente Giovanni Conso che si rigira nella tomba. Si riesce anche a far dire  con un titolo cose banali a Luca Ricolfi, divenuto operaista e nostalgico delle tute blu. C’è persino uno svergognato Pietro Morello che afferma testualmente che “Gli atti vandalici sono uno sfogo sociale”, frase indecente  che non merita neppure una confutazione. Infine c’è un’eccezionale intervista  con Marcello Veneziani, considerato un fascista ancora oggi, affidata ad una giornalista che di norma si occupa non di filosofia, ma di cose frivole. E infatti non è un vero Veneziani, ma una sua fotocopia. Ho solo citato le cose più eclatanti,  attinte da diversi giornali e dalla “Stampa” che quanto a faziosità non è seconda a nessuno. Dedicare del tempo a queste bazzecole mi infastidisce sempre di più.  Penso che dedicherò lo stesso tempo,  facendo in primavera  una salutare passeggiata,  anche se il vicino Valentino è diventato pericoloso per le pessime frequentazioni e per  l’incuria in cui è stato abbandonato. Le letture mattutine dei giornali non sono più la preghiera del laico, come diceva  Hegel, ma una presa in giro da parte di chi avrebbe come obbligo quello di informare e non di censurare il pensiero di chi non è uniformato alla vulgata o stravolgere la verità con mezzucci adatti a menti leggermente   sottosviluppate che giungono a credere  che gli atti vandalici possano essere davvero “uno sfogo sociale”.