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Piazze, larghi e rondò. Un viaggio nel tempo e nella storia di Torino

Dopo la première al Salone internazionale del libro 2022 e, nell’ambito di Portici di Carta, dopo la presentazione alle Gallerie d’Italia di piazza San Carlo, è finalmente disponibile nelle librerie e negli store online “Piazze, larghi e rondò.

Un viaggio nel tempo e nella storia di Torino” (Ed. Graphot) nel quale l’autore Giuliano Vergnasco ripercorre la storia e lo sviluppo della città tramite le piazze, da quelle storiche del centro a quelle dei quartieri più periferici legando ad esse immagini  storie e personaggi.

“Piazze, larghi e rondò. Un viaggio nel tempo e nella storia di Torino” con le sue 350 pagine e le oltre 500 immagini si propone come la strenna natalizia del 2022 per gli appassionati della storia cittadina.

 

L’autore: Giuliano Vergnasco nato il 10 marzo 1967 a due passi da Piazza Statuto, è da sempre appassionato di storia, in particolare quella di Torino. Collezionista di libri, guide, cartine e fotografie della città. Gestisce il blog “Like a killer in the sun”, nel quale parla di politica, attualità, sport, cucina e di libri. Autore del podcast “Torino tra storia e trasformazioni” nel quale in brevi pillole racconta la città. Ha pubblicato con Loredana Cella “Piazza Statuto e Porta Susa” (Graphot, 2012) e ha partecipato alle raccolte di racconti “Barriera stories” (Graphot, 2021) e “A Torino Centro” (Edizioni della Sera, 2022).

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Hannah Rothschild “L’improbabilità dell’amore” -Neri Pozza- euro 19,00

Non tradisce le aspettative l’ultimo romanzo della scrittrice e regista 60enne inglese baronessa Hannah Rothschild (prima donna presidente della National Gallery di Londra) che ci avvolge in pagine trascinanti. Prende spunto da un quadro totalmente inventato, ma ispirato dal vero “Pierrot” di Watteau, artista francese che ha lanciato il movimento Rococò.
Il libro inizia con l’asta multi miliardaria del quadro “L’improbabilità dell’amore” attribuito a Watteau, conteso da magnati e governi di mezzo mondo. Questa tela è la vera protagonista delle pagine che leggerete.

La storia rocambolesca e affascinante del romanzo torna indietro di qualche mese ed è un’alchimia di quadri preziosi e trafugati, storia dell’arte, distorsioni del suo mercato internazionale, misfatti e misteri.
La Rothschild mette in scena un parterre di personaggi bizzarri dei quali ripercorre le traiettorie che li hanno condotti alla casa d’aste: mercanti d’arte senza scrupoli, nobildonne dimenticate, oligarchi in esilio, faccendieri e mecenati.

L’eroina è la 30enne Annie McDee che fatica a mantenersi con l’umile lavoro di cuoca e vive in uno squallido e minuscolo appartamento londinese. Ha conosciuto quello che ritiene l’uomo giusto e in occasione del suo compleanno compra un quadro in un negozietto da rigattiere per una manciata di sterline. Lo spasimante non si presenta e quando lei, pentita dell’acquisto, torna per riportarlo indietro scopre che il negozio è andato a fuoco e l’uomo è morto.
Quella piccola tela, in realtà, ha un valore inestimabile ed una storia incredibile da raccontare. Tutto ha origine dalla genialità di Antoine Watteau, nato a Valenciennes nel 1684 da un costruttore di tetti alcolizzato. Nel 1703 quando ha solo 19 anni e lavora presso un pittore decorativo, vede e si innamora perdutamente della fanciulla più ambita di Parigi, Charlotte Desmare, meglio conosciuta come Colette, amante del Duca d’Orleans, nipote di re Luigi XIV.

Da questo amore folle e dall’impeto che spinge Watteau a catturare e immortalare il suo struggente sentimento nasce il quadro che nel romanzo racconta se stesso così: «Fui dipinto per celebrare le selvagge cascate dell’amore».
E’ la genesi del capolavoro e di un nuovo modo di dipingere.
Watteau morirà di consunzione e con il cuore spezzato nel luglio del 1721, ma la sua opera continuerà a viaggiare nei secoli. E’ il quadro che nel romanzo ci narra la sua rocambolesca storia, passato di mano in mano nel corso dei secoli, pegno di grandi amori, appeso nelle alcove di imperatrici, re, cocottes e tanti altri personaggi.

Ma la trama è ancora più ricca e sorprendente, tra i tentativi di Annie di scoprire il valore del quadro, il suo lavoro di cuoca alle dipendenze di un’altolocata famiglia di antiquari con qualche scheletro nell’armadio, e parecchi colpi di scena.

Monique Roffey “La sirena di Black Conch” -Marsilio- euro 18,00

Diventerà anche un film questo libro della scrittrice e giornalista britannica, studiosa di letteratura coloniale, nata a Port of Spain, a Trinidad nel 1965.
Queste pagine sono un brillante mix di realismo e fiaba che narrano come da secoli nelle acque caraibiche al largo dell’immaginaria isola di Black Conch nuoti una sirena. E’ Acayia, che una volta era la fanciulla più bella e sensuale del suo villaggio, oggetto dell’invidia delle altre donne che con le loro maledizioni l’hanno trasformata in una creatura marina, intrappolata in un corpo metà pesce e metà donna.
Da allora lei nuota al largo ed emerge dall’acqua quando sente la melodia cantata dal pescatore solitario David Baptiste, solo allora si avvicina alla barca e gli narra la sua storia.
Ma un giorno un ricco americano di Miami organizza una pesca d’altura in cerca di marlin, e il caso vuole che il suo inesperto figlio 20enne, tra lo stupore dei pescatori indigeni, riesca a fare abboccare al suo amo proprio Acaya, (che pensava di aver abbordato la solita barca amica).
Acaya nonostante lotti fino allo stremo per sfuggire alla cattura, viene pescata e issata a bordo. Scopriamo così che, ben lungi dalle sirene diafane e bionde di Ulisse, è invece una poderosa creatura dal corpo rosso come quelli delle donne indie, statuaria, squamosa e scintillante, con lunghe chiome nere intricate e simili a tanti tentacoli.
L’idea degli americani sarebbe guadagnare fama e soldi vendendola allo Smithsonian Museum. Una volta tornati a terra appendono la preda a testa in giù nel porto, e vanno a festeggiare ubriacandosi nella taverna dell’isola.
Chi invece gioisce poco sono i pescatori veterani del luogo perché credono alle leggende secondo le quali pescare una sirena porterebbe sfortuna.
Il giovane David Baptiste quando la vede agonizzante sulla banchina portuale entra in azione e riesce a liberarla, poi la nasconde nella sua casa tra i boschi ed ecco che il romanzo si trasforma in una bellissima storia d’amore e complicità che vi farà sognare.

 

Julian Barnes “Niente paura” -Einaudi- euro 19,50

Queste sono pagine intense e colte, divagazioni sulla morte dello scrittore inglese Julian Barnes (nato a Leicester nel 1946), vincitore del Man Booker Prize nel 2011 con “Il senso di una fine”.
Quello della fine è un tema particolarmente importante per Barnes che gli ha dedicato anche altri scritti.
“Niente paura” inizia con l’affermazione «Non credo in Dio però mi manca».
Di lì in poi, l’autore discetta e riflette sulla paura atavica della propria fine. Lo fa con pensieri fulminanti, aforismi e aneddoti familiari; ci inchioda a pensare a fondo sul destino comune e su come viverlo, con continue incursioni in filosofia, letteratura, musica e arte.
Impossibile riassumere queste pagine in cui abbondano scetticismo, arguzia, ironia, del tipo «Non so se Dio esiste, ma per la sua reputazione sarebbe molto meglio se non esistesse». Barnes ripercorre anche il suo atteggiamento nei confronti del tema tanto importante che lo ossessiona da sempre: era ateo a 20 anni, e si ritrova agnostico a 60.
Dichiara di pensare alla morte almeno una volta al giorno, soprattutto verso sera, e di provare una «paura moderata, ragionevole, realista». Cita grandi della letteratura che sulla morte hanno lasciato pagine e pensieri memorabili, tra loro Flaubert, Turgenev, Zola.
Poi ci offre spunti dalla filosofia antica, esamina i vari argomenti a favore e contro Dio, mescola scienza e ricordi. Compone una sorta di “tanatoenciclopedia” (dal greco θάνάτός, morte) in cui ricorda le posizioni di celebri tanafobici (coloro che hanno paura della morte) della storia come Montaigne, Renard, Rachmaninov e Larkin.
Ma inanella anche esperienze familiari, il modo di affrontare la morte dei nonni e dei genitori, per arrivare al legame con il fratello Jonathan, docente di filosofia che in questo libro è uno stimolante interlocutore. 246 pagine che ci aiutano a cercare di capire se del buco nero della morte e dell’abisso ci sia da aver paura oppure anche no……da meditare

David Lagercrantz “Obscuritas” -Marsilio- euro 19,90
L’autore è lo scrittore norvegese quasi 60enne che ha completato la saga “Millenium” dello scomparso Stig Larsson (morto nel 2004 a soli 51 anni). Ora torna con un thriller e una strana coppia di protagonisti: Micaela e Hans, che a Stoccolma indagano sull’omicidio di un arbitro di calcio di origini afgane, picchiato a morte.
Micaela Vargas è una giovane poliziotta straniera figlia di immigrati, cresciuta nella periferia della capitale, totalmente dedita al dovere, dura come l’acciaio, e tosta tanto da poter resistere al dolore e alla fatica. Contraltare di tanta efficienza sul lavoro è un privato che contempla cedimenti e senso di solitudine, inoltre cerca di nascondere una lieve zoppia conseguenza di una ferita sul lavoro.

Hans Rekke invece è nato nel privilegio, aristocratico e ricchissimo, accademico e psicologo, particolarmente arguto, geniale e abile nel suo complesso lavoro. Ma dietro la facciata professionale soffre di depressione che lo sprofonda in periodi di apatia e buio, tende ad abusare di psicofarmaci e pozioni varie, e ama suonare il pianoforte esibendosi in notevoli virtuosismi.

Due personalità diversissime per background, carattere e modo di affrontare vita e lavoro. Le loro traiettorie si intersecano nel 2003 – quando il mondo è ancora sotto shock per l’attentato alle Torri Gemelle di New York dell’11 settembre 2001- e la polizia svedese indaga sul brutale pestaggio e assassinio di Jamal Kabir; rifugiato afgano, arbitro di calcio.
Viene subito sospettato il padre italiano di uno dei giocatori; ma Micaela vorrebbe andare più a fondo per escludere o meno altre piste che leghino la vittima afgana alla guerra contro i talebani. E’ così che viene chiamato a collaborare Hans, noto psicologo di fama mondiale.

Di più non si può anticipare, se non che il libro spazia anche in una sorta d’indagine sociale, a partire dalle differenze di classe dei due protagonisti, per affrontare tematiche come razzismo, xenofobia, ingiustizia sociale, e il clima del nuovo millennio sul suolo svedese, con l’arrivo di ondate di profughi.

La vita straordinaria di Riccardo Gualino  

Imprenditore coraggioso e raffinato mecenate, elegante viveur dal fiuto per gli affari, Riccardo Gualino ha segnato il secolo scorso come pochi altri hanno saputo fare.

Nato sul finire dell’Ottocento da una ricca famiglia biellese, Gualino fu presto protagonista nel mondo delle imprese. Acquisì banche, in società con Giovanni Agnelli fondò la SNIA, diventò azionista di riferimento e vicepresidente della Fiat, lanciò i filati artificiali senza tralasciare gli interessi nella chimica e nel settore  alimentare. Nel 1928 venne inserito nella rosa dei cinque uomini più ricchi d’Europa. Conobbe successi e vertiginose ascese e, all’opposto,  rovinose cadute senza perdere mai lo spirito d’avventura o rinunciando alle sue idee visionarie. Un personaggio straordinariamente unico  al quale è stata dedicata da Giorgio Caponetti un’importante biografia pubblicata da Utet: “Il grande Gualino. Vita e avventure di un uomo del Novecento”. Gualino fu un visionario per l’epoca al punto da puntare sul cinema in tempi non sospetti  con la pionieristica Lux che, come si legge nella sua biografia , “nel dopoguerra produsse i film di Visconti e Lattuada avvalendosi anche dei giovani Carlo Ponti e Dino De Laurentiis”. La sua è una vita talmente piena da sembrare quasi inverosimile, tra incontri con personaggi celebri ( da D’Annunzio ai Kennedy, da Curzio Malaparte a Winston Churchill, Liz Taylor e Solomon Guggenheim) e l’amore per le arti che divideva con l’inseparabile moglie Cesarina Gurgo Salice. Fu proprietario del palazzo Lascaris, attuale sede del Consiglio regionale, della bellissima villa che porta il suo nome in collina a Torino e ha lasciato una fantastica raccolta di capolavori che costituisce la “collezione Gualino” alla Galleria Sabauda). La sua ultima dimora è al cimitero monumentale di Oropa, la “piccola Staglieno” delle Alpi)  dove riposa nella tomba di famiglia con la moglie.

Marco Travaglini

La rassegna dei libri di ottobre

In Ottobre la nostra community FB ha incentrato i dibattiti soprattutto sui nomi di tre grandi scrittrici, molto diverse tra loro:

 

la recente scomparsa di Hilary Mantel ha riacceso i riflettori su questa autrice britannica, giunta alla notorietà in Italia piuttosto di recente, nonostante una carriera lunghissima e gratificante in patria, soprattutto grazie alla pubblicazione della sua trilogia sulla Rivoluzione Francese. Se volete recuperarli, iniziate da Storia Segreta Della Rivoluzione.

Molto più nota al nostro pubblico era l’altra grande scrittrice scomparsa in queste ultime settimane: Rosetta Loy, della quale vi invitiamo a recuperare il romanzo che le diede fama: La Bicicletta, del 1974.

 

Infine, non poteva mancare una menzione per l’ultima vincitrice del Premio Nobel, Annie Ernaux. Molto apprezzata dai nostri lettori, vi invitiamo a scoprirla tramite i numerosi articoli di approfondimento che le abbiamo dedicato, magari partendo dal suo titolo più famoso Gli Anni.

 

Incontri con gli autori

 

La nostra redazione, in collaborazione con novitainlibreria.it ha incontrato e intervistato Alessandro Zaccuri, fresco vincitore del Premio Boccaccio per al Letteratura: leggete il testo integrale QUI.

 

Nel mese di Ottobre abbiamo incontrato molti scrittori: segnaliamo le interviste con Silvia Pisani e Barbara Siliprandi, autrici del saggio Bimbe Diamante – L’Arte Delle Sette A; Candida Ippolito, autrice del romanzo L’Intensa Vita Di Vita (Scatole Parlanti, 2022); Lorenzo Bortolotto, autore esordiente di un toccante romanzo sul volo e il coraggio di andare avanti, dal titolo Accarezzare Le Nuvole.

 

Andar per libri e non solo…

 

Se abitate in Campania vi segnaliamo la rubrica televisiva Il Leggilibri, la rubrica dedicata al mondo letterario campano della TGR Rai, curata dal giornalista e scrittore Claudio Ciccarone. In onda ogni giovedì nell’edizione delle 14.

 

Lo scrittore David Almond (autore di punta di Salani con cui ha pubblicato “Skellig”, “Argilla”, “La storia di Mina”, “Il bambino che si arrampicò fino alla luna”, “Il grande gioco”, “La vera storia del mostro Billy Dean”, “Mio papà sa volare!”, “La canzone di Orfeo” e “Il ragazzo che nuotava con i piranha”) sarà ospite a Lucca Comics (dal 29 al 2 novembre). Maggiori informazioni sul sito della manifestazione.

 

Per questo mese è tutto, vi invitiamo a venirci a trovare sul nostro sito ufficiale per rimanere sempre aggiornati sul mondo dei libri e della lettura! unlibrotiralaltroovveroilpassaparoladeilibri.it

 

redazione@unlibrotiralaltroovveroilpassaparoladeilibri.it

L’isola del libro: speciale Sue Miller

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Perché una puntata dedicata interamente a questa scrittrice americana? Perché questa brillante 79enne (nata a Chicago il 29 novembre 1943) è una delle più acclamate autrici, amata dai lettori e apprezzata dalla critica per l’abilità con cui riesce a sviscerare temi profondi, anche dolenti, in modo avvolgente e coinvolgente. Capace di grande profondità emotiva che ammanta con uno stile di scrittura quasi cinematografico, particolarmente accattivante, Ha iniziato a scrivere e pubblicare tardi, il suo primo romanzo è del 1986, “La buona madre” dal quale è stato tratto il film “Diritto d’amare” con Diane Keaton e Liam Neeson. Da allora la scrittura è la sua vita e ha regalato ai suoi lettori molti romanzi, alcuni dei quali hanno ispirato altri film di successo.

 

“Monogamia” -Fazi Editore- euro 18,50
E’ il romanzo più recente: psicologico, introspettivo, profondo e narra di una coppia che vive a Cambridge, in Massachusetts, felicemente sposta da quasi 30 anni. Poi con la morte del marito si scoperchia non solo un pozzo di dolore, ma anche qualcosa che mina alle fondamenta tutte le certezze su cui era basato il matrimonio e la vita insieme.
Protagonista è Anne, alle spalle ha un precoce e fallimentare primo matrimonio dopo il college con l’odioso e snob Alan. Ora è giunta al traguardo della mezza età e si ritiene realizzata con il secondo marito, Graham; proprietario di una libreria che è punto di riferimento per tutta Cambridge, dove invita e presenta scrittori ed organizza feste memorabili.
Graham è esuberante, imponente, vulcanico, buongustaio dei piaceri della vita –Bacco, tabacco e Venere- e soprattutto ha sempre incoraggiato Anne a seguire le sue passioni, prima fra tutte la fotografia.
Quando si erano conosciuti -lei minuta, timida e riservata- non era stato subito amore. Poi la traboccante gioia di vivere di quell’omone barbuto e carico di entusiasmo l’aveva investita e avvolta in un matrimonio tutto sommato riuscito. Anche Graham ha alle spalle un precedente matrimonio, con Frieda che l’aveva lasciato dopo aver scoperto che la tradiva (ma continua a rimpiangerlo), e un figlio, Lucas, ormai adulto che vive a New York.
Anne e Graham hanno messo al mondo Sarah, anche lei ormai una donna con la sua carriera a San Francisco.

Tutto cambia e precipita quando una brutta mattina Anne si sveglia accanto a Graham e se lo ritrova morto nel sonno. Pagine memorabili si aprono sul dolore di un lutto così improvviso e inaspettato che stravolge completamente il mondo di Anne.
Poi, a poco a poco, verrà a galla una realtà spiacevole per Anne che scopre di aver vissuto per anni accanto a un uomo brillante, ma dotato di un doppio fondo che lei non aveva minimamente intuito.

La Miller è magistrale nell’affondare la penna nello smarrimento e nel disinganno di Anne; e lo fa intercalando sapienti e ben dosati flashback che aiutano a ricostruire il passato e a vederlo con occhi totalmente diversi.
Affascinante anche la carrellata dei comprimari, a partire dall’ex moglie di Graham, Frieda, un’insegnate che non ha mai smesso di amarlo e col tempo è diventata amica di Anne. Una complessità di vite, sentimenti e disillusioni.
La figlia Sarah che negli anni dell’adolescenza aveva dato qualche preoccupazione ai genitori, poi ha trovato la sua strada. Infine Lucas, figlio di primo letto di Graham che lavora come editor nella Grande Mela. Entrambi i figli adoravano il padre ed erano legati anche tra di loro.
Sullo sfondo aleggiano concetti complessi come libertà sessuale, fedeltà, fiducia, relazioni personali, dolore della perdita e, sotteso a ogni riga di questo bellissimo romanzo, c’è l’amore per i libri.

 

“La buona madre”

Anche in questo romanzo (del 1986) al centro della vicenda c’è una donna, Anna Dunlop, insegnante di pianoforte che sta divorziando dal marito Brian. Il loro matrimonio era in crisi da tempo, ad accelerare la separazione era stata la relazione di lui con Brenda (e il progetto di risposarsi con lei) e la decisione di trasferirsi per lavoro a Washington dove Anna non ha nessuna intenzione di seguirlo. La fine della loro unione era nell’aria da tempo e avviene quasi senza scossoni, perché entrambi sono impazienti di definire gli accordi e andare ognuno per la sua strada.

Anna ottiene la custodia della figlia Molly, un assegno mensile per il mantenimento della piccola e, poiché Brian è quello economicamente più stabile, si sarebbe addossato le spese principali per la sua crescita e la sua educazione.
Per la prima volta, invece, Molly dovrà mantenersi da sola, e su questo lei ha particolarmente insistito vedendolo come il primo passo necessario per ricostruirsi una vita indipendente.

Al centro della sua vita c’è la piccola di 4 anni alle prese con la lacerazione del suo mondo in due. Poi la strada di Anne interseca quella di Leo, affascinante artista dalla vita sregolata e sopra le righe.
Ed ecco profilarsi all’orizzonte la difficoltà di poter scegliere di vivere la passione da donna finalmente libera, e conciliare il nuovo sentimento con la responsabilità di una figlia piccola e una serie di complicazioni.
A scompigliare ulteriormente la vita di Anne si affacciano la sua famiglia di origine, fortemente patriarcale e tradizionalista, e l’ex marito che le metterà i bastoni tra le ruote convinto che la nuova relazione della donna metta a rischio la serenità di Molly.

 

“Un mondo nascosto”

Catherine Hubbard sta affrontando la deriva del suo secondo divorzio e per farlo si rintana nella vecchia casa dei nonni nel Vermont, dove aveva trascorso lunghi periodi dell’infanzia. La prima volta era stata quando aveva 7 anni e con il fratello poco più grande erano stati accolti da nonna Georgia e nonno John per proteggerli dal dolore per la malattia terminale della loro madre.

Ora Catherine si ritrova alle prese con un altro fallimento e nell’antica dimora, in piena solitudine, conta di ripensare anche ai suoi rapporti con i figli ormai lontani e presi dalle loro vite di adulti.
Girovagando nelle stanze e nella soffitta scopre vecchi bauli pieni di stoffe, raffinati corredi ingialliti dal tempo e soprattutto riporta alla luce i diari della nonna.

Inizia così la magia della ricostruzione di una vita. Quella della nonna Georgia che, quando era giovanissima nel 1919, aveva assistito la madre in fin di vita; poi si era ammalata a sua volta e la diagnosi del medico di famiglia, John Holbrooke, era stata Tbc, che all’epoca aveva epilogo spesso mortale. Il dottore l’aveva fatta ricoverare in un sanatorio dove avrebbe potuto essere curata e soprattutto avrebbe potuto riposare lontana dall’atmosfera faticosa e luttuosa della famiglia.

Georgia si era vista costretta al ricovero e non era per niente contenta, anche perché alla morte della madre si era sentita come abbandonata e metabolizzava il dolore del lutto prendendosi cura del padre, dei fratelli e della casa. E’ tra le mura del sanatorio che a poco a poco si adegua ai ritmi imposti dalle cure ed è lì che vive il suo primo grande amore. E’ l’emaciato Seward molto più malato di lei, eppure tenacemente attaccato alla speranza della guarigione in Colorado che sembra la terra promessa per i tubercolotici.

Catherine scopre così il passato che la nonna non le aveva mai raccontato e fa luce anche sui sottesi rapporti tra Georgia e il nonno, ovvero il dottor Holbroke che aveva finito per sposare una volta uscita dal sanatorio; lui all’epoca aveva 39 anni e lei appena 19.
Sue Miller ci regala una storia delicata, profonda e a tratti commovente, in cui Catherine immedesimandosi nel matrimonio solidissimo dei nonni, scopre anche gli anfratti più reconditi della sua anima.

 

“La moglie del senatore”

Sue Miller è eccezionale nel miscelare le vicende di due coppie diversissime tra loro – per età, classe sociale, esperienze passate e in divenire- eppure legate da una vicinanza abitativa, a Williston, che si trasforma in qualcosa di più del semplice rapporto tra vicini di casa.

I giovani novelli sposi Meri e Nathan si sono appena trasferiti nella villa bifamiliare e i loro muri confinano con quelli di una famiglia famosa, quella del senatore di lungo corso Tom Naughton e la moglie Delia.
Sono due coppie ai poli opposti della vita. Nathan è un brillante professore universitario agli inizi della carriera, Meri ha 36 anni e si occupa della parte culturale di un programma in radio.
Tom Naughton è stato un famoso leone del partito democratico ed ha trascorso la sua vita per lo più al centro del potere politico a Washington, mentre la moglie Delia ha scelto di ritirarsi a vita privata nella tranquilla cittadina lontana dai riflettori.

In un certo senso è un romanzo che si bilancia tra la gioventù e la vecchiaia, che hanno orizzonti parecchio differenti.
Delia accoglie i vicini con classe e in modo amichevole e questo apre le porte alla sua amicizia soprattutto con Meri che attraverso le pareti divisorie può sentire quanto accade ai vicini.

Sono rosee le aspettative di Nathan che si è appena trasferito perché ha ottenuto una cattedra a Willigton; mentre la moglie rimane incinta e si trova ad affrontare i cambiamenti del suo corpo e dell’intera esistenza.
D’altro canto invece l’elegante Delia ha superato la settantina, ha tre figli adulti avviati per le loro strade e un marito che l’ha sempre tradita, eppure lei è rimasta al suo fianco con una tenacia e un amore sconfinati. Attraverso flash back sapientemente orchestrati scopriamo, a poco a poco, i dettagli, gli alti e bassi, le dinamiche del suo complesso matrimonio, fino agli sviluppi finali.

Un romanzo che sa raccontare le meravigliose e spesso perigliose alchimie di una coppia e lo fa mettendo in campo la sensibilità di questa scrittrice sempre attenta alle dinamiche affettive che danno senso alla vita.

 

Cronaca postuma di un paese che non esiste più

“Di dove sei? Della Jugoslavia. È un paese che esiste? No, ma io vengo da lì”.

Un dialogo breve e asciutto, mirabilmente sintetizzato dalla scrittrice croata Dubravka Ugreši ne “La confisca della memoria” svela molto bene il dramma della dissoluzione di quello che era il paese degli slavi del sud. E Bruno Maran, fotoreporter di Stampa Alternativa che ha firmato importanti reportage dalle zone più calde del pianeta, con il libro “Dalla Jugoslavia alle Repubbliche indipendenti. Cronaca postuma di un’utopia assassinata e delle guerre fratricide”, pubblicato da Infinito Edizioni, racconta con lucidità e passione la parabola della Jugoslavia. Un paese che dopo la prima guerra mondiale si chiamava Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, poi Regno di Jugoslavia e successivamente un’originalissima esperienza socialista e federale per oltre quarant’anni, dal 1945 al 1991. La Jugoslavia era il frutto unitario composto da sei repubbliche  e due  province autonome (nell’ordine: Croazia, Slovenia, Serbia, Montenegro, Bosnia ed Erzegovina, Macedonia, Kosovo, Vojvodina ), formatosi dopo aver attraversato una tremenda guerra di liberazione dagli invasori nazi-fascisti, che provocò molti lutti e sparse rancori mai sopiti. Il paese venne così delineato da Josip Broz Tito e da Edvard Kardelj, il teorico e costituzionalista sloveno.  La “terra degli slavi del sud” si basava sulla politica della Fratellanza e Unità (Bratsvo i Jedinstvo) fra i diversi popoli jugoslavi, garantendo a ciascuno, comprese le minoranze nazionali, dignità, autonomia decisionale e rappresentatività istituzionale. Tito era infatti riuscito a bilanciare le rappresentanze etniche e a placare antichi odi in un equilibrio che appariva stabile, grazie probabilmente anche al collante dell’ideologia socialista rinnovata in chiave antistalinista e per alcuni versi filo-occidentale. L’originalità del progetto jugoslavo iniziò il suo declino nei primi anni ottanta, con la morte del maresciallo Tito. Nel 1991 scoppiò la guerra, che portò nell’Europa di fine Novecento i crimini contro l’umanità, lo stupro etnico, il genocidio, l’urbicidio di Sarajevo e di altre città, la fuga di milioni di profughi, per concludersi con una pace ingessata, cui fece seguito una guerra “umanitaria” in Kosovo e Serbia. Un modo drammaticamente coerente per chiudere un secolo segnato dalle guerre. Il libro di Maran è la storia di quel Paese, anno per anno, giorno per giorno. Un lavoro paziente, di ricerca, con il quale l’autore ha realizzato un testo per alcuni versi di fondamentale importanza per chi vuol conoscere questa parte della storia europea e un paese dove – secondo i più – è iniziato ed è finito  nel sangue quello che lo storico britannico Eric Hobsbawm definì il “secolo breve”. Un libro di storia, dunque. Da leggere, come meritano questi libri, con calma.  “Questo libro ci aiuta a comprendere il presente facendoci conoscere settant’anni e più di passato e ci consente di immaginare, o quanto meno, di auspicare, un futuro possibile”, ha scritto  Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia. “Un futuro che, per quanto mi riguarda, deve comprendere, perché sia tale, due concetti fondamentali: giustizia e diritti”. Temi ricorrenti, spesso violati, a volte dimenticati che si accompagnano al bisogno di ricostruire storie e vicende partendo dai fatti. “La lettura del lavoro di Maran dimostra come gli eventi tragici verificatisi nei Balcani non affondino le loro ragioni in un atavismo tribale, bensì in “semplici” e fin troppo evidenti scontri tra gruppi di potere interni allo spazio jugoslavo e sostenuti da potenti alleati stranieri”, sottolinea Luca Leone, autore dei più importanti libri sulla Bosnia. Che aggiunge come “a restare stritolati, sfregiati, dilaniati, alla fine sono sempre i popoli, la giustizia e la verità”.  Soprattutto in questi paesi dove la storia è passata come un vento impetuoso nel corso dei secoli, tanto da far dire a Winston Churchill che “gli spazi balcanici contengono più storia di quanta ne possano consumare”.

Marco Travaglini

Quanto piace la “Festa del libro medievale e antico di Saluzzo”!

Per la seconda edizione, successo sopra le aspettative da parte di autori, editori, librai e lettori

In chiusura, Franco Cardini (26 ottobre) e Paolo Mieli (2 novembre)

Saluzzo (Cuneo)

L’alta qualità dell’organizzazione, certamente. Gli illustri ospiti. La varietà degli argomenti trattati e la grande collaborazione fra Enti promotori e cittadinanza. Ma anche il leit motive che ha guidato tutto il percorso, a partire da venerdì 21 ottobre, ovvero il tema delle “donne nel Medioevo”; il tutto ha contribuito, nel suo complesso, a decretare per la seconda edizione della “Festa del libro medievale e antico di Saluzzo” (promossa dalla locale “Fondazione Cassa di Risparmio” e dalla “Città di Saluzzo”, in collaborazione con il “Salone Internazionale del Libro” di Torino e la “Fondazione Amleto Bertoni”) un successo sopra ogni più rosea aspettativa e un vero sold out, dagli incontri con autrici e autori alle lezioni magistrali, dagli spettacoli alle performance di piazza alle azioni pittoriche per le scuole fino ai laboratori e alle suggestive, non meno che prelibate, cene medievali. Anche il centrale spazio espositivo, allestito nel cuore della manifestazione “Il Quartiere (ex Caserma Musso)”, che ha riunito editori, librerie e librerie antiquarie sabato 22 e domenica 23 ottobre, ha accolto dalla mattina alla sera un fitto pubblico di lettrici e lettori, presentando novità o proposte di catalogo in tema, copie di libri esclusivi, sia manoscritti sia a stampa. Grande soddisfazione, dunque, da parte degli amministratori e della realtà promotrici: “Anche per la ‘Fondazione CR Saluzzo’ – commenta Marco Piccat, presidente della ‘Fondazione’ – l’affinarsi della condivisione del programma tra gli enti e le realtà cittadine ha prodotto un successo ben superiore a quello dello scorso anno, prova evidente dell’inizio del radicarsi di una tradizione che rivendichiamo come emergente nel futuro del territorio. Il suo crescere in collaborazione piena col ‘Salone del Libro’, sembra delinearsi come appuntamento annuale di sempre più grande richiamo”. A ben funzionare, pure quest’anno, è stata inoltre la piena disponibilità degli esercizi commerciali che hanno ospitato titoli di libri selezionati sul tema, dalla saggistica alla narrativa, dal fantasy ai libri antichi: una bibliografia medievale che confluirà nel “Fondo del libro medievale”, nato con la prima edizione della Festa, custodito dalla Biblioteca civica di Saluzzo “Lidia Beccaria Rolfi” per la fruizione libera e gratuita. Ed ora, a giochi pressoché fatti, restano due appuntamenti particolarmente ghiotti e attesi.

Il primo è per mercoledì 26 ottobre (ore 18) presso l’“ex Convento di San Giovanni” (via San Giovanni, 1), con Franco Cardini, noto volto Tv, docente di Storia medioevale all’“Università di Firenze” e atteso ritorno a Saluzzo, anche per questa seconda edizione della Festa, che terrà una lectio magistralis su “Le donne e il potere nel Medioevo”, un itinerario alla scoperta della figura femminile all’interno della società medievale (prenotazione consigliata su www.eventbrite.itinfo: tel. 3480 707998)

Mercoledì 2 novembre (Cinema Teatro “Magda Olivero”, via Palazzo di Città 1, ore 21) arriverà invece Paolo Mieli, giornalista e storico, che terrà una lezione tratta dal suo nuovo libro “Ferite ancora aperte” (Rizzoli), in cui lo studioso parte dal periodo romano e dal Medioevo per arrivare alla storia del Novecento alla ricerca di quelle lesioni del passato che ancora oggi fanno sentire le proprie conseguenze (sempre prenotazione consigliatawww.eventbrite.it).

g.m.

Nelle foto:

–       Spazio espositivo

–       Franco Cardini

–       Paolo Mieli

Scrittura ribelle: arriva l’anti manuale per scrivere bene

Mercoledi 26 ottobre, alle 18.30, l’autrice presenterà il volume edito da Hoepli alla Feltrinelli di Piazza Cln. Moderano: Marta Pettolino e Domitilla Ferrari.

Molti hanno un libro nel cassetto, sognano di pubblicarne uno o forse lo hanno già fatto. Di sicuro, nell’era dei social, siamo tornati alla scrittura. Scriviamo su Facebook, contribuiamo alle discussioni sull’argomento del giorno, ci indigniamo, litighiamo, postiamo le nostre foto su Instagram e le corrediamo di aneddoti, storie, racconti più o meno lunghi.

Sono persino nate nuove professioni, figure che scrivono per conto terzi, che gestiscono le pagine social di enti, aziende, vip o politici. Li chiamano social media manager. Ma si parla anche di content writer, ghost writer, copy writer. E se serve un aiutino per migliorare nella scrittura, ecco che il mercato editoriale ci offre corsi e libri. Manuali, per la precisione. Chi vi scrive però si è imbattuta in un qualcosa che sembrerebbe l’esatto opposto. Il titolo è “Scrittura Ribelle. Antimanuale di scrittura creativa” di Ella Marciello, direttrice creativa, copywriter e communication strategist. La casa editrice è Hoepli e mercoledi 26, alle 18.30, il libro verrà presentato alla Feltrinelli di Piazza CLN.

Ho fatto due chiacchiere con l’autrice per cercare di capire di cosa si tratta.

Ella in che senso “antimanuale”?

Nel senso che di manuali per imparare a scrivere sono piene le librerie e in un’epoca in cui chiunque sembra avere la guida definitiva per ogni cosa, la cosa migliore mi sembrava quella di sedersi un momento e fare una specie di re-start.

Questo saggio non ha la presunzione di insegnare regole, ma modi di essere rispetto al mestiere stesso di scrivere. Insomma, è tutto ciò che non dovrebbe essere un prontuario: fisso, immutato, valevole per ogni persona.

E poi nella forma: a metà tra un saggio, un’autobiografia, un paper. Tocca ambiti insoliti (la musica rock, il punk, l’arte performativa, la riscrittura) e si interroga sull’essere umano scrivente e su come diventare un essere umano scrivente migliore.

Insomma, se i manuali ti sembrano tutti uguali e una sequenza di regole da tenere a mente, da questo anti manuale ti puoi portare a casa un approccio diverso non solo allo scrivere in sé, ma allo scrivere “in te”. Qualcosa di connaturato con la tua esperienza di vita. Perché scrivere è solo una delle forme del creare e non credo sia possibile “impacchettare” la creatività senza pensare a cosa ci muove, a cosa ci affama, a chi siamo e a cosa facciamo nel mondo.

 

 

Questo libro è solo per gli addetti ai lavori, ossia coloro che scrivono per mestiere?

È pensato per chi scrive per mestiere e per chi vorrebbe. Per chi ha sempre scritto ma non ha mai pubblicato. Per chi sta per scrivere qualcosa di nuovo. Tutto ciò che vediamo, da uno spot pubblicitario, un cartellone, un post social, da una sceneggiatura a un volantino o una newsletter fino ad arrivare ai libri, è scritto da qualcuno. Certo, sono scritture differenti con obiettivi differenti ma hanno il loro comune denominatore: comunicare, arrivare a un pubblico definito.

 

 

Oggi si sta molto attenti quando si scrive di tematiche LGBT o che possono sfociare nel body shaming, nel sessismo. Ma non è che scrivere sta diventando un campo minato?

 

Si dovrebbe stare molto attenti sempre, quando si decide di scrivere. Perché l’atto dello scrivere implica quello più esteso di creazione della realtà: quando uso le parole per descrivere o immaginare do un senso molto alto alla mia creatività. Decido consapevolmente di operare delle scelte, dando vita a questo o quello scenario, prediligendo questa o quella prospettiva.

Non si scrive mai a cuor leggero benché si possa scrivere con molta leggerezza, senza opprimere chi legge. Chi ha paura di incappare in body shaming o nel sessismo, insomma, chi teme il famigerato “politically correct” e si trincera dietro al “non si può più dire niente” sta semplicemente ammettendo di occupare e di aver occupato una posizione di privilegio (perché poter condurre il dibattito e decidere chi possa esser oggetto di oppressione- anche linguistica o narrativa- è avere in mano un potere enorme, decidere in sostanza le sorti di chi è altro da te) e che quel privilegio ha paura di perderlo.

Scrivere non è un campo minato, è un campo esteso in cui convivono tantissime soggettività. E scrivere senza ledere la dignità di nessuna soggettività è una sfida che si può vincere solo con una postura di un certo tipo: comprendendo che non siamo noi il centro del mondo.

Oltre a incappare in una valanga di insulti quando si scrive toccando le corde sbagliate, quali sono oggi i rischi di comunicare male sui social? 

 

Qui si aprirebbe una parentesi grandissima che ha due scenari differenti: comunicare come utente o comunicare come marchio. Di nuovo, che tu sia una persona o un’azienda devi tenere a mente la responsabilità che le tue parole hanno, chi vanno a toccare, quali immaginari decidono di aprire, consapevolmente o meno.

Usiamo le piattaforme social come amplificatori del nostro sé e questo non è sbagliato a prescindere ma le conseguenze sono diverse, perché diversa è la moltitudine di persone che puoi raggiungere. Saperlo, fa tutta la differenza del mondo.

E credo dovremmo investire qualche minuto ogni volta che ci accingiamo a scrivere qualcosa e farci alcune domande: posso urtare la sensibilità di qualcuno? Quali conseguenze possono arrecare le mie parole? Sto raccontando tutta la storia o deliberatamente uso il mio scrivere per generare sdegno, indignazione o fomentare sentimenti d’odio? Non fa differenza che tu usi i social per svago o per lavoro perché essere online non è un via libera all’esternazione dei nostri istinti più beceri. Tendenzialmente, se mi trovassi in difficoltà a comunicare un mio certo pensiero nei modi, nei toni e nelle argomentazioni in una conversazione di persona, perché dovrei farlo attraverso un mezzo digitale?

Per una ecologia comunicativa, varrebbe la pena ripartire da qui.

E se non sono in grado di comunicare senza ferire, qualche domanda su me stesso o me stessa sarebbe ora di farsela.

 

 

 

Confesso, ho mentito quando ho detto che ho intervistato Ella Marciello per sapere di cosa tratta il suo libro. Io l’anti manuale di Scrittura Ribelle l’ho già letto. Si tratta di un testo da leggere, rileggere e da mettere in pratica. Numerosi sono infatti gli esercizi proposti.

Samuel Beckett ha cercato in tutti i modi di farci capire che siamo perché comunichiamo. Oggi, con i social, assistiamo a un’ondata di scrittura di ritorno come non succedeva da decenni. E allora forse siamo ciò che scriviamo, per tanto vale la pena porre l’attenzione su come lo facciamo, senza mai dimenticare quello spirito di ribelli che accompagna i curiosi, i creativi e i rompiscatole che vogliono cambiare il mondo.

 Lori Barozzino

Paolo Lanzotti, tra i romanzi “veneziani” spunta Sherlock Holmes

 

Ambiento le mie storie a Venezia perché questa è la città dove sono nato e io credo non si possa descrivere correttamente un luogo che non sia il proprio o che non si conosca comunque molto bene. È una questione di “atmosfere”. In quanto poi al fatto che siano “storici”, ho sempre amato la Storia – quella con la S maiuscola – e penso che un romanzo, fra le altre cose, possa essere anche un’ottima occasione per riportare alla memoria fatti e personaggi dimenticati

 

L’autore

Paolo Lanzotti è nato a Venezia nel 1952 e si è laureato in filosofia all’università di Padova. È stato per diversi anni insegnante di filosofia e poi d’italiano e storia, affiancando al suo lavoro anche un’attività di pubblicista. Ha scritto numerosi romanzi, pubblicati da editori quali Piemme, Mondadori e Tre60. Alcuni dei suoi lavori sono stati tradotti e pubblicati all’estero. Ha vinto dei premi letterari di livello nazionale, tra cui il premio Città di Verbania, del Battello a Vapore, nel 1997, e più recentemente il premio Tedeschi, del Giallo Mondadori, nel 2016. Vive e lavora tra Venezia e Padova.

 

L’intervista

Cominciamo con una curiosità. I tuoi ultimi romanzi sono tutti gialli storici ambientati a Venezia, tra ‘700 e ‘800. È un caso?

Naturalmente no. Ambiento le mie storie a Venezia perché questa è la città dove sono nato e io credo non si possa descrivere correttamente un luogo che non sia il proprio o che non si conosca comunque molto bene. È una questione di “atmosfere”. In quanto poi al fatto che siano “storici”, ho sempre amato la Storia – quella con la S maiuscola – e penso che un romanzo, fra le altre cose, possa essere anche un’ottima occasione per riportare alla memoria fatti e personaggi dimenticati.

Come accade in “La voce delle ombre”, in cui tu rievochi la rivoluzione del 1848 a Venezia.

Esattamente. Scrivendo quel romanzo mi sono divertito a rievocare nomi come Manin, Pepe, Sirtori, Kossuth e altri che, all’epoca, erano molto noti ma che oggi conosciamo solo perché danno il nome a qualche via o a qualche piazza, senza che i più ricordino chi fossero o cosa abbiano fatto. Naturalmente, come in qualsiasi romanzo storico, i personaggi realmente esistiti si mescolano ad altri del tutto fantasiosi e sono coinvolti in azioni che nella realtà non hanno mai compiuto. Ma questa è la natura del romanzo storico.

In effetti, in un altro dei tuoi ultimi romanzi, “I guardiani della laguna”, tu coinvolgi in un omicidio niente meno che Carlo Goldoni, che però non è il protagonista.

Proprio così. “I guardiani della laguna” è il primo romanzo di una serie che vede come protagonista Marco Leon, un agente dell’Inquisizione di Stato. In uno dei teatri della città, il Sant’Angelo, viene ucciso un giovane attore e uno dei possibili indiziati è appunto Goldoni, che all’epoca lavorava effettivamente per quel teatro. Ma Goldoni, come dici tu, è solo uno dei personaggi, non il protagonista. In questi ultimi anni è diventato di moda costruire un giallo storico intorno alla figura di un uomo famoso –Dante, Leonardo e così via – che, nella finzione, diventa l’investigatore di turno. Io ho sempre pensato che un’operazione del genere sia un po’ eccessiva. Preferisco che i miei protagonisti siano frutto di fantasia e che i personaggi reali restino in secondo piano, importanti sì, ma non preponderanti.

Hai detto che “I guardiani della laguna” è il primo romanzo di una serie.

È così. La serie continua con “Le ragioni dell’ombra”, in cui il protagonista, Marco Leon, è impegnato come al solito in un doppio ruolo. Da una parte, essendo un agente dell’Inquisizione, si trova a vigilare sulla sicurezza dello Stato – è quello che oggi definiremmo un “agente segreto” – e viene coinvolto in trame e complotti anche internazionali. Dall’altra parte, suo malgrado, si trova sempre a dover indagare su qualche omicidio, diventando in questo modo un classico investigatore da romanzo giallo. Insomma, tutti i romanzi della serie sono un insieme di Mistery, Thriller e Spy Story ambientati a Venezia verso la metà del ‘700.

Però ho visto che fra questi romanzi “veneziani” spunta anche un apocrifo di Sherlock Holmes, ambientato invece in India, “La verità è un’ombra Watson”.

Vero. Sherlock Holmes è un personaggio che mi ha sempre affascinato, nel bene e nel male. In effetti, tutti gli investigatori dei miei romanzi, da Teodoro Valier – il protagonista de’ “La voce delle ombre” – a Marco Leon, fino a maestro Mebarasi – l’investigatore del mio primo giallo storico, pubblicato da PIEMME nel lontanissimo 2004 – sono in qualche modo figli di Holmes. Mi è venuto quindi spontaneo scrivere una sua nuova avventura, ovviamente a modo mio. In ogni caso, poiché l’azione principale si svolge alla fine dell’800, anche questo è a tutti gli effetti un giallo storico.

Mi sembra di capire che i tuoi ultimi romanzi sono concepiti sempre come parte di una serie. È così?

Tendenzialmente sì. È difficile che io scriva il seguito del mio Sherlock Holmes. Invece, come ti dicevo, i romanzi che vedono protagonista Marco Leon sono già una serie avviata, che spero di poter portare avanti ancora un po’. Anche “La voce delle ombre”, in realtà, è stato concepito come parte di una serie e, in effetti, ha già la sua seconda puntata. Ma il sequel è ancora inedito. Spero che prima o poi venga pubblicato.

Un’ultima curiosità. Hai sempre scritto gialli storici?

No. Nella mia ormai lunga attività non ho mai voluto specializzarmi in un particolare genere letterario. Ho sempre scritto ciò che in quel momento mi attirava di più. Prima di arrivare al giallo ho quindi pubblicato romanzi di fantascienza, fantasy e romanzi per ragazzi. Da giovanissimo ho fatto perfino qualche piccola incursione nel romanzo rosa e nella poesia. Ma sono esperienze passate. Ormai mi dedico interamente al giallo storico e penso che continuerò così.

Dove trovare i romanzi?

Tutti i romanzi citati sono facilmente reperibili, oppure ordinabili, nelle librerie fisiche e in quelle on line.

 

 

Contatti

Pagina FB – www.facebook.com/paololanzottiscrittore/

 

Informazione promozionale

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

 

Bonnie Garmus “Lezioni di chimica” -Rizzoli- euro 19,00
Bonnie Garmus è una splendida ed elegante signora 65enne originaria di Seattle, vissuta in Svizzera, Colombia e Londra. Ha lavorato come direttrice creativa e copywriter, è un’esperta di tecnologia e medicina, e questo suo libro di esordio è stato conteso dagli editori di mezzo mondo. Un successo planetario che diventerà anche una serie televisiva interpretata da Brie Larson nei panni della protagonista Elizabeth Zott.
Eroina a cui ci si affezione in un istante: bella, tosta, intelligente, resistente e magnetica oltre ogni dire, invischiata nei limiti stingenti della società fortemente maschilista degli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento. Troppo intraprendente, forte e moderna, per l’epoca in cui vive; ma il suo non cedere mai ai compromessi risulterà vincente ed è un modello a cui ispirarsi. Sfondo del romanzo è la California, dove si muove Elizabeth donna multiforme: scienziata, chimica anticonformista, compagna di vita pressoché perfetta, madre single, cuoca, star televisiva.
Ha 30 anni, una forza d’animo inarrestabile, una figlia precoce e adorabile, un cane geniale che comprende il linguaggio degli umani. Soprattutto ha intelligenza e tenacia da vendere.
Elizabeth sa veleggiare tra i marosi della vita, dribblare gli sgambetti degli invidiosi e ha la sorprendente capacità di cambiare vita. Lo fa conquistando un successo oltre le più rosee previsioni. La conosciamo quando nel 1952 è una giovane chimica promettente, la cui strada per il dottorato è stata intralciata dalle molestie subite dal suo relatore, e ogni denuncia è stata vana.
Cacciata ingiustamente dall’Università in cui imperava la baronia del suo violentatore, Elizabeth trova lavoro come tecnico di laboratorio all’Hastings Research Insitute californiano, dove vige un maschilismo soffocante. Il suo talento viene sabotato e non riconosciuto dai colleghi. L’unico che capisce il suo valore è Calvin Evans: scienziato, genio della chimica in odore di Nobel e fiore all’occhiello dell’Istituto. Tra i due nasce un amore puro e disinteressato, condividono la stessa passione per il lavoro e il canottaggio. Peccato che il destino non abbia in scaletta l’happy end per loro due.
Elizabeth si ritrova incinta e senza lavoro. Situazione a dir poco disperata, ma non per lei che è di acciaio.
Bella da togliere il fiato, quasi per caso, la sua strada incrocia quella di Walter Pine, produttore televisivo che le affida un programma che è una scommessa per risollevare le sorti della rete. E’ così che Elizabeth si ritrova a creare e condurre la trasmissione “Cena alle sei” e lo fa a modo suo. Mica si limita alle ricette; lei ha una formula unica e vincente perché trasforma ogni puntata anche in una sorta di lezione di chimica.
Applica la scienza alimentare alla gastronomia e rivoluziona le disastrose abitudini alimentari degli americani. Lo fa con rigore e innata maestria; dispensa anche pillole di educazione invitando ad ogni fine puntata i bambini ad aiutare le madri ed apparecchiare la tavola.

La sua formula dapprima spariglia le carte, poi diventa super vincente. Anche perché lei non tratta le casalinghe come dimesse donnine relegate a grembiule, mestolo e cucina; parla loro in modo divulgativo spiegando caratteristiche, pregi ed effetti di ogni ingrediente.
Di più, anche davanti alle telecamere e al paese dice sempre e solo quello che pensa, incoraggia le donne a stimarsi maggiormente e a farsi valere. Insomma insieme a ricette salutari finisce anche per spingere l’universo femminile a una maggiore consapevolezza di diritti e libertà. E il programma si trasforma in un successo che travalica i confini della California.
Ma il grande sogno che Elizabeth aveva dovuto chiudere nel cassetto -perché glielo avevano rubato e infranto- rimane lo spigolo duro che le impedisce di essere davvero appagata e felice…..

 

Lorenza Pieri “Erosione” -edizioni e/o- euro 16,00
Immaginate di aver venduto l’amata casa delle vostre vacanze e di dover riempire uno scatolone con quello a cui più tenete di quel luogo; un’operazione nostalgica e a tratti dolente che scatena sicuramente ricordi ed emozioni di un certo peso.
E’ questo il climax dell’ultimo romanzo di Lorenza Pieri; giornalista, scrittrice, traduttrice, con esperienza quindicinale nell’editoria. E’ nata a Ravenna nel 1973, ma ha vissuto in più luoghi: da Parigi a Roma a Washington ed è naturalizzata americana.
E’ proprio negli States che ambienta questa storia. A Chesapeake Bay, in Virginia, sulla costa atlantica, nella casa sul promontorio, la villa di Cape Charles, luogo di vacanze della famiglia dei tre fratelli Anna, Geoff e Bruno, che sono stati costretti a venderla per salvarla dall’erosione del mare e dall’abbandono.
L’erosione non è solo quella del tempo che passa e della natura che incalza, ma anche quella altrettanto subdola e devastante della memoria; la loro madre vedova è ormai preda dell’Alzheimer, relegata su una sedia a rotelle e sta per essere ricoverata in una struttura adeguata.
I figli hanno venduto la casa ed ora si ritrovano a dirle addio. Su idea di Anna si sono dati appuntamento nella magione dove ognuno ha a disposizione una scatola in cui riporre qualche oggetto ricordo, legame con gli anni passati; stesso rito che aveva segnato le loro vacanze di ragazzini quando la madre chiedeva di raccogliere quello che sarebbe loro servito.
Ed ecco la suddivisione del romanzo in 3 capitoli, uno per ogni figlio, con quello che sceglie e i ricordi che ne scaturiscono.
E’ anche l’occasione di una saga familiare ricostruita attraverso le memorie dei protagonisti.
Anna, la figlia di mezzo, è quella più legata alla villa, la più emotiva e ancora culla il ricordo del nonno Joe.
Ricostruiamo così la storia di tre generazioni di immigrati siciliani, il cui capostipite è stato l’anaffettivo Giovanni Amenta, (detto Joe) arrivato a Baltimora. Ripercorriamo la storia della nuora Margaret rimasta presto vedova e con 3 bimbi da crescere.

Bruno, il maggiore che ha sempre sentito la responsabilità della primogenitura, diventato avvocato di successo; Geoff il piccolo di casa, viziato dalla madre, ma non per questo il più felice.
Ognuno di loro, a modo suo, sceglie ricordi e ai ricordi torna; soprattutto all’educazione materna, tendenzialmente fredda e punitiva, che aveva inciso sulle loro vite.
Bruno ricorda le punizioni subite, Anna che si era sempre sentita poco accettata, e Geoff è l’unico consapevole di essere stato amato da Margaret.

Un affascinante viaggio interiore nei pensieri, nei ricordi e nelle emozioni dei protagonisti che non lascia indifferenti.

 

Margaret Kennedy “La ninfa costante” -Fazi Editore- euro 18,50

Margaret Kennedy è una delle scrittrici inglesi più importanti del Novecento, nata a Londra nel 1896 e morta nel 1967; esordì come storica di spessore e si dedicò anche alla narrativa. Questo romanzo è considerato il suo capolavoro. Fu pubblicato la prima volta nel 1924 e riscosse un enorme successo, tanto che fu trasposto anche in film per cinema e televisione, e testo teatrale. Poi cadde nel dimenticatoio, ma scoprirete che, pur essendo un classico della letteratura inglese, si legge piacevolmente anche oggi.
“La ninfa costante” racconta della famiglia fuori dagli schemi e bohemienne dei Sanger, detta anche “il circo Sanger”; a partire dal capofamiglia Albert, compositore famoso in Europa ed apprezzato in patria solo dopo la sua morte. Una famiglia in cui la musica aveva un posto d’onore.
Il circo era abitato da 7 figli. I primi, Carol e Kate, nati dalla prima moglie di Albert, Vera Brady, stroncata dalla malattia.
Poi ha sposato una sua giovane allieva, la gentildonna Evely Churchill, con 20 anni meno di lui, gli ha dato 4 figli -Antonia, Teresa, Pauline e Sebastian- prima di abbandonare anche lei questo mondo.
Il suo posto viene preso dalla terza consorte, Linda Cowland, che metterà al mondo Suzanne.

Una famiglia di artisti girovaghi, che non hanno frequentato alcuna scuola e sono cresciuti alla stato brado, senza regole, ma dotati di genialità in abbondanza e cresciuti con una solida educazione musicale impartita dal padre e respirata fin da piccolissimi, cresciuti nei teatri delle maggiori città europee e in mezzo agli artisti. I ragazzi erano stati sempre spronati da Albert a dare ampio e libero sfogo alla loro creatività, spinti a sperimentare varie forme di arte.

Vivono in uno spartano cottage sulle Alpi austriache che è una sorta di porto di mare sempre aperto agli ospiti, artisti e musicisti di ogni dove. A casa Sanger trovano libero sfogo alle loro passioni. Tra loro c’è anche l’amico di Albert, Lewis Dodd di cui si innamora la giovane Tessa appena quattordicenne, romantica e piena di aspettative.
Le cose però precipitano quando Albert muore improvvisamente lasciando solo una montagna di debiti e una prole allo sbando.
In loro soccorso arriva la cugina Florence Churchill, ben contenta di evadere dalla vita claustrofobica e super controllata che conduce. Si innamora subito del luogo e prende a cuore i 7 orfani; soprattutto inizia a respirare ventate di libertà e spensieratezza insperate. Troverà anche l’amore e finirà per sposare proprio Lewis Dodd, e poi altro aspetta i lettori…..

 

Elena Medel “Le meraviglie” -Einaudi- euro 18,50

Nelle nostre vite quanto contano famiglia e denaro? Cosa accade quando una madre rinuncia a crescere una figlia? E quando una figlia rifiuta di prendersi cura della madre? Questo romanzo della spagnola Elena Medel mette a fuoco queste tematiche e si interroga su come saremmo diversi se fossimo nati in altri tempi e luoghi, in altri corpi e famiglie. Argomenti belli tosti che lei sviluppa intorno a due donne – Maria e Alicia- legate dalla genetica senza saperlo, sullo sfondo di Madrid dove entrambe cercano un nuovo futuro. Maria alla fine degli anni Sessanta è una ragazza madre, sedotta e sfruttata, che non riconosce la figlia e la lascia alla sua famiglia nella città del sud in cui vive. Si trasferisce a Madrid in cerca di lavoro e si arrabatta tra lavori umili, al servizio dei ricchi, senza mai possibilità di riscatto. E’ una donna semplice, gentile, dotata di grande pazienza e poco esigente. Più di trent’anni dopo Alicia viene al mondo in una famiglia ricca, figlia di un imprenditore di successo, e questa agiata partenza sembra promettere un luminoso futuro. Non sarà così, perché il suo mondo crolla alla morte del padre che si è impiccato per sfuggire all’onta del fallimento. Una ferita profondissima che si insinua in modo indelebile nell’anima della ragazza.. Maria e Alicia sono nonna e nipote anche se non si conoscono, le loro strade si incroceranno solo per poco; mentre le loro vite si riecheggiano a vicenda nei tratti che le uniscono; come la rinuncia all’ambizione, lo sfinimento per i lavori umili con cui si sostentano ed altro che scoprirete leggendo