Come in ” Certe notti” la canzone di Ligabue il personaggio io-narrante Mario, «prima o poi» si ritroverà al bar, a raccontare agli avventori della sua avventura “extraterrestre”. Così Andrea Ferraris, nella sua ultima graphic novel intitolata “Temporale” (Oblomov ,134 pgg , €. 20), traccia l’ Amarcord della sua adolescenza attraverso quindici capitoli, pensati come altrettanti brani di un album di canzoni folk , a commento di altrettante vicende narrate nel testo. Vissute in parte in prima persona, in parte tratte dal racconto popolare.
Un disegnatore a fumetti, ripensatosi etnografo, nella sua opera più matura, onirica e filosofica, a tratti felliniana. Si è detto influenzato da Tom Waits e da Vinicio Capossela e il suo racconto si snoda disegnato in chiaro scuro e colorato dalle splendide tinte, della moglie Daniela Mastrorilli, da sempre sua collaboratrice e musa ispiratrice. La narrazione si configura come un ‘biopic corale’, attraverso quelle voci che gli etnologi chiamano ‘informatori informali’. Persone delle campagne, agricoltori, operai, vari perdigiorno, incontrati nei bar, lungo le strade, nei luoghi di aggregazione, in quella road life che Jack Kerouac nel suo “On the road” dice di essere la strada.
Prende in considerazione i concetti di destino oppositore, il senso dell’inazione contemplativa, la dimensione onirica del paesaggio, i tic e le nevrosi di quella società, crocevia del mondo contadino e di quello urbanizzato industriale, dove si fondono in un ‘unicum’ i più radicati e meno evidenti contrasti culturali e di classe. Spok, Sara, il bomba, Keegan, la rumba sotto la luna, Pongo e altri comprimari rimangono personaggi indimenticabili. Ferraris sa per se stesso e per gli altri, di chi può pretendere di parlare, quando parla di quelli con cui ha parlato. Ha condiviso gioie, ha sofferto, ha in sintesi vissuto in modo immersivo con loro e tra loro, trasferendo tutto questo al lettore, nei balloons, nelle immagini. Ha tracciato una linea divisoria tra luogo e non luogo (Marc Augè) nei ricordi di una generazione. E ha ricostruito in parte il suo e il nostro immaginario collettivo degli anni ottanta. Quello di una generazione di vite straordinarie di uomini comuni.
Aldo Colonna
E’ il quarto volume di una serie, iniziata nel 2021, che vede come protagonista l’agente dell’Inquisizione di Stato Marco Leon, giovane patrizio decaduto, in una Serenissima, ormai al tramonto, che sta vivendo gli ultimi decenni della sua vita. Ad affiancarlo, gli Angeli Neri – un gruppo di agenti segreti, la cui esistenza è conosciuta da pochissimi –, il nobilhomo Alvise Geminiani e lady Marion Bentham Bell, la giovane inglese di cui Marco è segretamente innamorato. Un gruppo composito e variegato, alle prese con una serie di traversie che li porteranno da Venezia alle ville patrizie sul Brenta e che avranno ripercussioni anche sulla vita privata di alcuni di loro.
Paolo Lanzotti è nato a Venezia nel 1952 e si è laureato in filosofia all’università di Padova. È stato per diversi anni insegnante di filosofia e poi d’italiano e storia, affiancando al suo lavoro anche un’attività di pubblicista. Ha scritto numerosi romanzi, pubblicati da editori quali Piemme, Mondadori e Tre60. Alcuni dei suoi lavori sono stati tradotti e pubblicati all’estero. Ha vinto dei premi letterari di livello nazionale, tra cui il premio Città di Verbania, del Battello a Vapore, nel 1997, e più recentemente il premio Tedeschi, del Giallo Mondadori, nel 2016. Vive e lavora tra Venezia e Padova.

E’ il terzo romanzo della scrittrice tedesca nata nel 1964 in un paese vicino a Husum, nella Frisia settentrionale; autrice poliedrica che ha studiato all’Università di Amburgo svariate lingue (incluse gaelico, finlandese e basco) conseguendo un dottorato in Linguistica. Inoltre ha lavorato come autrice per la radio e la stampa.
L’iraniana Azar Nafisi, 68 anni, scrittrice ed insegnante di Letteratura Inglese, è figlia della prima donna eletta in Parlamento, e dell’ex sindaco della capitale iraniana, che nel 1979 fu incarcerato dopo la salita al potere dell’Ayatollah Khomeyni.
La giornalista e scrittrice Sandra Petrignani è una delle firme più prestigiose nel panorama italiano, ed ha un’eccezionale capacità: sa ascoltare le voci delle cose e delle case che «dicono sempre la verità su chi le abita».
Poi vale la pena riscoprire questo libro in cui traccia la storia dell’infanzia ricordando i giochi e i giocattoli di quando era bambina. Tanti sprazzi di memoria tra ricordi struggenti di un tempo lontano, intriso di nostalgia per quell’età spensierata da fanciullina.
Non vi è dubbio che uno dei più importanti cantoni della civiltà contadina tra Sesia e Ticino, forse il più celebre, sia stato Dante Graziosi. Nato l’11 gennaio del 1915 a Granozzo , un borgo sull’acqua delle risaie all’estremo sud del novarese e al confine con il pavese lombardo, Graziosi fu medico veterinario, partigiano della divisione Rabellotti con il nome di battaglia di “Granito”, docente universitario di Igiene e Zootecnia all’Università di Torino, parlamentare della Dc per quattro legislature e sottosegretario in altrettanti governi, fondatore della Coldiretti novarese. Prima di dedicarsi alla narrativa fu anche autore di molti saggi scientifici di zootecnia. L’esordio letterario avvenne tardi, nel 1972 quando Graziosi ( all’epoca cinquantasettenne) fece rivivere con i racconti de La terra degli aironi la civiltà contadina che si era sviluppata tra le risaie della bassa novarese, narrando un mondo destinato al tramonto. Alla sua attività di veterinario dedicò nel 1980 il suo libro più famoso, Una Topolino amaranto, da cui venne tratto uno sceneggiato Rai. Nel 1987 pubblicò Nando dell’Andromeda, una saga padana al tempo delle mondine, della vita che si svolgeva sulle aie della bassa agli albori delle prime lotte sociali nelle campagne. Nando, il protagonista, è un camminante, uomo libero con l’animo del poeta. Al centro delle storie del “James Herriot italiano”, validissimo emulo del famoso scrittore e veterinario britannico, c’era il Molino della Baraggia di Granozzo dove l’autore, scomparso improvvisamente il 7 luglio 1992 a Riccione, era vissuto e dove sorge ora il centro sportivo di Novarello. Davide Lajolo ne descrisse il modo di raccontare sostenendo come potesse apparire all’antica, con una scrittura“che mette punti, virgole e sentimenti al posto giusto, che vibra e s’intenerisce nell’amore della sua terra, della gente, delle strade, dell’erba, della vita del suo paese, sia un riscatto dalla noia di certo burocraticismo politico, dalle formule e dalla corsa alle poltrone. È un ritornare a guardarsi allo specchio come uomo per ritrovare le caratteristiche di fondo di chi ha imparato perché si sta al mondo”. I suoi libri sono pubblicati dalla novarese Interlinea, casa editrice diretta da Roberto Cicala, che in occasione del ventesimo anniversario della morte di Graziosi propose Le storie della risaia, un volume che raccoglie i migliori testi dell’aedo della Bassa.
Questo suo romanzo d’esordio è dedicato alla storia d’amore tra il pittore e drammaturgo austriaco Oskar Kokoschka e la compositrice e scrittrice Alma Mahler.
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E’ sospeso tra terra e luna il romanzo dell’autrice e traduttrice italiana nata a Brooklyn nel 1984.
Più che da raccontare questo bellissimo volume fotografico è da sfogliare per trarre ispirazione e catturare idee geniali che trasportano i fiori dei vostri giardini o terrazzi all’interno delle stanze che amate.



Perché andare solo nelle grandi residenze sabaude, già viste e riviste, e non recarsi nei tanti castelli minori, storicamente meno importanti ma ugualmente belli e visitabili? In Piemonte si contano almeno un migliaio di castelli se si considerano anche quelli di cui restano poche tracce e qualche rudere. E tanti, tantissimi si trovano nella sola provincia di Torino. È di questi che ci parla lo storico e scrittore Gianni Oliva nel libro “Castelli piemontesi, la provincia di Torino”, vol.1, Edizioni biblioteca dell’immagine, arricchito da decine di illustrazioni di Pierfranco Fabris. Quando si parla di castelli del Piemonte, precisa l’autore, il rimando immediato è a Palazzo Reale, alla Reggia di Venaria, a Racconigi, Stupinigi, Rivoli, Moncalieri, Agliè, le cosiddette “residenze sabaude”. Ma proprio per l’abbondanza di materiale disponibile e per la notorietà dei siti, nel mio volume non parlo di residenze sabaude ma di castelli meno conosciuti, alcuni in buono stato e altri abbandonati e sopravvissuti solo in qualche torre o in qualche rudere perimetrale”. E allora lasciamoci trasportare dalla fantasia entrando in questi castelli e immaginiamo quel che accadeva tra quelle mura possenti, eventi piccoli o grandi, importanti o meno, un assedio, un delitto, un matrimonio, fantasmi, streghe, leggende, insieme ai personaggi che l’hanno abitato, i signori del luogo, marchesi, conti, duchi e sovrani. Gianni Oliva racconta di tutto e di più. Il castello di Montalto Dora, con il suo maestoso profilo medievale domina dall’alto il canavese e la Dora Baltea offrendo un colpo d’occhio favoloso a chi percorre l’autostrada Torino-Aosta. Troneggia come una sentinella nel tratto morenico-canavesano della via Francigena. Danneggiato nel Seicento dalle truppe francesi, dal maniero sono uscite alcune leggende romantiche raccolte e divulgate da Giuseppe Giacosa, lo scrittore canavesano amico di Pascoli e Carducci. Il castello di San Giorio, a pochi chilometri da Susa, che da un’altura sovrasta la valle della Doria Riparia, costruito nel XI secolo dagli Arduinici, marchesi di Torino, per motivi difensivi ma anche per incassare i pedaggi di transito lungo la via Francigena, a Susa, San Giorio, Sant’Ambrogio e Avigliana. Alla fine del Seicento il maresciallo Catinat lo fa distruggere ma aveva troppa fretta di arrivare ad Avigliana per far saltare in aria anche il castello del Conte Rosso, strategicamente ben più importante. Alcune parti della fortezza di San Giorio si sono quindi salvate anche se ne restano pochi resti, che si vedono bene dalla Torino-Bardonecchia, in particolare le mura merlate, parzialmente restaurate di recente. Ma restano anche misteriose memorie templari che appaiono all’improvviso tra i vicoli che salgono alle mura del maniero: croci del Tempio originali, per nulla consumate dai tanti secoli trascorsi. Qui, d’inverno, come accade anche a Giaglione e a Venaus, danzano gli spadonari incrociando le spade in una danza guerresca per cacciare i nemici, i saraceni di un tempo, e per propiziare la produttività dei terreni. Ma se ci spostiamo poco più lontano, a Reano, in bassa val Susa, tra la Dora e il Sangone, e se siamo fortunati, potremmo trovare una piccola parte del tesoro dei Templari nascosto nei sotterranei del castello. Almeno così racconta una leggenda del XIII secolo secondo cui il maniero sarebbe diventato un cascinale fortificato dell’Ordine dei Templari e in una sala sotterranea si troverebbe un tesoretto, in realtà mai scoperto. Tuttavia nei dintorni del castello è stato rinvenuto un anello d’argento in stile orientale risalente allo stessa epoca e forse appartenente a un cavaliere tornato dalle Crociate, un Templare oppure lo stesso Amedeo III, conte di Savoia, che scelse Avigliana come propria residenza e che nel 1147 partecipò alla seconda crociata. Il castello è oggi una proprietà privata e non si può quindi visitare “ma merita senz’altro una visita dall’esterno, scrive Oliva, la sua struttura e la tinteggiatura rosata lo rendono ben evidente nello scenario di boschi e prati in cui si staglia”. Il castello di Rivara ricorda i processi alle streghe del canavese nel Quattrocento mentre quello rinascimentale di Vinovo è strettamente legato alla nobile famiglia locale dei Della Rovere. Presidio militare, residenza nobiliare, manifattura di porcellane, collegio della Regia Università, il castello di Vinovo è di proprietà del Comune. Ma c’è molto di più da leggere nel libro di Oliva. L’elenco dei castelli è lungo e comprende i manieri di Avigliana, Ivrea, Masino, Mazzè, Piobesi, Piossasco, Rocca Canavese, Santena, Settimo Vittone, Sparone, Susa, Ternavasso e Malgrà di Rivarolo. Filippo Re

