Le cene di Beatrice

Guancia brasata al barbera con Filippo

LE CENE DI BEATRICE

In una Torino che indossa ancora i guanti e non telefona mai agli orari dei pasti, si snoda la rubrica “Le cene di Beatrice”. Recensioni eno-gastronomiche dai toni umoristici. Luoghi di punta e luoghi nascosti faranno da sentiero di mattoni dorato alla ricerca di “quello giusto”. In questo connubio di piatti, vini e appuntamenti torinesi, la voce della scrittrice Elena Varaldo tratterà le farfalle nello stomaco in un modo del tutto nuovo.  

Il cuore ha le sue ragioni, che la pancia conosce bene

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Torino mi sorprende. Due minuti di ricerca e trovo parcheggio in San Salvario nel cuore della movida. La telefonata di Anna, mio oracolo personale, lo aveva chiaramente predetto:

Ti porta da Scannabue? Paolo Fox lo diceva che oggi al leone gira bene”

Dai primi passi mossi all’interno del bistrot, la fama e il carattere forte di questa trattoria gourmet rivelanoimmediatamente un’aria calda e accogliente.

Legno scuro, quadri appesi e qualche tocco di verde lungo le pareti che richiama la mise en place. Le sedie d’una volta abitano un contesto curato e gentile dove ci si sente subito a proprio agio.

Su una di queste, Filippo mi attende ispezionando il menu e strizzando gli occhi attraverso due grossi fondi di bottiglia. Charles Dickens, che sul tema era assai ferrato,lo avrebbe descritto meglio. Mi servirò dunquedella sua bravura ricalcando i bordi di quello che è un evidente revival di Ebenezer Scrooge nel “Canto di Natale.

Curvo e solcato come la fuga di un pavimento a spina francese, si alza e si presenta. Certo sarebbe maleducato dire che appare come un foglio di carta da stencilstropicciato da anni di bugiardini medici, ma noi lo diciamo lo stesso.  

Dopo una primissima e tenue stretta di mano risulta subito chiaro che lui la vita la attraversi spettrale, anche quando si tratta di un appuntamento per pranzo con una fanciulla.

Accompagnata da un brivido di freddo mi tolgo il cappotto con una certa riluttanza.

Ma Scannabue, è Scannabue.

Lo dice Anna e lo confermano la pioggia di giornalisti ed esperti del settore gastronomico che han tenuto in mano le forchette da queste parti.

Sotto il tiepido sole d’ottobre sistemarsi al suo interno ed ordinare un Nebbiolo di Giaccone Piemonte, non può che rinvigorire anche il più aspro dei farmacisti.

Da uno sguardo al menù, scopro con gioia che la proposta culinaria sarà indiscutibilmente l’aspetto migliore. Tajarin di soli rossi salsiccia e porri di Cervere, Ravioli al latte con bottarga di Muggine, Agnello della Bisalta con erbe aromatiche.

Per i fedelissimi alla tradizione dei piatti piemontesi non esiste elenco migliore.

La cucina si sa, è solita colorare guance e conversazioni, salvo rari casi, dove commensali pallidi come la tintapastello di un soggiorno, si divincolano fra convention farmaceutiche e commenti sulle allergie al polline.

Mentre lui avanza nella coltre di noia, io convengo con me stessa che il vitello tonnato di Scannabue è qualcosa di magico.

Arrivato nei caratteristici piatti bordati di verde, ogni fetta è lasciata cadere su stessa creando a livello visivo una studiata entropia.

La sua scelta, da alchimista dei sapori quale si dipinge essere, ricade sul tonno di coniglio a cubetti presentato dentro un vasetto.

Buono, Interessante.

Mentre Scrooge sembra via via  rimuovere l’aspetto Casper che lo contraddistingue, arriva la guancia al barbera abbracciata da un morbido cuscino in memoryfoam di purea di montagna. Insieme alla mia ordinazione, la ragazza porta a Filippo gli agnolotti del plin ai tre arrosti serviti al burro.

Per la prima volta Scrooge accenna un sorriso.

Abbandonata dunque la vestaglia e ammorbidito dalla magia di Scannabue, il mio commensale si decide a cedermi le redini della conversazione. Era ora.

La scelta dei dolci e i discorsi sulla wish list di settembreconcedono un game changing all’incontro. Scegliamo un dolce fuori menù, che pareva esserci, poi non esserci piu, e che infine c’era.

Il suddetto dolce rimarrà segreto per stimolare la golosità e la fantasia dei lettori.

Quale fosse il mio pensiero su uno dei ristoranti più gettonati e buoni di Torino?

Non importa che tu sia accompagnata da uno spettrale farmacista, quello che davvero conta è ciò che nel menu è in lista”

Che fine fece Scrooge? Non nego che smanio dal desiderio di raccontarvi dove lo rincontrai e perché. Posso sbottonarmi di quel tanto che basta nel dire che molto avrà a che fare con una ricetta sbagliata, un misunderstanding e una focaccia con le olive.

Ma questa, cari lettori, è chiaramente un’altra storia.

Elena Varaldo

 

Magie al ristorante Arcadia

LE CENE DI BEATRICE

In un una Torino che indossa ancora i guanti e non telefona mai agli orari dei pasti si snoda la rubrica “ Le cene di Beatrice”. Recensioni eno-gastronomiche dai toni umoristici. Luoghi di punta e luoghi nascosti faranno da sentiero di mattoni dorato alla ricerca di “Quello giusto”. In questo connubio di piatti, vini e appuntamenti torinesi, la voce della scrittrice Elena Varaldo tratterà le farfalle nello stomaco in un modo del tutto nuovo. 

Il cuore ha le sue ragioni che la pancia conosce bene. 

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Brividini, temperature rigide e una pioggia sottile accolgono l’ennesimo appuntamento. 

“Bel colpo davvero questo Alberto ” Anna si raccomanda di risparmiarmi un po’ di acidità. 

Ma io che sono ormai scaltra marmotta di montagna non mi lascio obnubilare dai lustrini curricolari di questo nuovo commensale e mi avvio a passo incerto in una delle gallerie più famose di Torino. La galleria subalpina. 

Sebbene lo spazio sia circoscritto a pochi e selezionati locali storici, devo fare più giri mettendo in seria discussione la professionalità del mio oculista.

Mentre comincio a dubitare di me stessa, qualcuno in lontananza sbraccia come un eccentrico lemure del Madagascar. 

Eccolo li, Alberto. Con il suo metro e venti impacchettato in un audace abito blu.

Piccolo, elettrico e nerboruto, quasi da mettergli su un cilindro e fargli presentare il The Greatest show al parco della Pellerina. Mi prende la mano e con con un fiero piegamento del capo la bacia. 

Poi mi conduce all’interno del ristorante Arcadia.  

Rimanderò golosi commenti a posteriori. 

Con una struttura imponente e una storia che comincia nel 1987 l’Arcadia rivela un carattere deciso. Si presenta con un sostegno da cattedrale dettato da colonne di pietra e una raffinatezza da portico sabaudo. Con tovaglie bianche e soffitti alti la firma torinese del proprietario Piero Chiambretti si rende nitida e di spicco nel panorama gastronomico. Una cucina gestita da Andrea Mattioda che propone un  menú piemontesissimo e un sushi bar a cura di Son Pong. Le proposte del menu spaziano in due diverse carte, una di carne e una di pesce. Dalla guancia brasata al barolo, al merluzzo nero dell’Alaska, ai salmoni affumicati nei pokè. Con materie ricercate e prodotti fatti in casa d’estate si srotola fuori in un dehor coperto sotto le volte storiche della galleria. 

Ordiniamo una bottiglia di Ruchè di Castagnole Monferrato 2017 e ci immergiamo nella vasta selezione. 

Prima di avanzare verso le portate, cari lettori, sedete con me e lasciatevi coprire dai glitter degli avvenimenti. 

Alberto, agile lemure e uomo in carriera pare avere sin da subito evidenti problemi psicomotori e come fosse stato punto al tallone da una vespa salta in piedi e mi abbandona. 

Cin cin a me. 

Sorpresa e confesso divertita, mi piego il tovagliolo sulle gambe mentre da lontano osservo l’impaziente traversata di alberto verso cinque commensali seduti distanti. 

Questi si agitano, si toccano, quasi salterellano. Proprio quando si pensava che Alberto prendesse la via del ritorno, questo sposta la sua attenzione altrove e mira a disturbare un altro tavolo di conoscenti. 

Vorrei poter dire che il seguito del racconto migliora, ma non è così. 

L’arrivo dei piatti  mi riporta momentaneamente a sedere Alberto che accoglie le portate con la gioia nel cuore insieme ad una discreta incontinenza verbale. Un individuo al quale, diciamolo, non manca la capacità di stupirsi. 

All’interno di un fornellino in terracotta ci viene servita la tartare di vitello con fonduta di raschera, carciofi e uovo pochè, subito dopo gli Agnolotti  della tradizione al sugo d’arrosto e infine un filetto di vitello al pepe verde con rostì di patate e Trevisan a grigliata. 

La cena si sussegue con sparizioni, telefonate e invasioni a tavoli limitrofi ad accezione di rari momenti di presenza al tavolo, dove l’eccitazione di stare al mondo è così grande che magic-Albert avverte l’urgenza di attaccare le parole fra loro rapidamente, ricordando i discorsi che precedono un ictus. 

Salutiamo dunque il ristorante Arcadia e la sua splendida cornice con la promessa di un sicuro ritorno. In una Torino che al palato non delude mai anche questa volta ne esco soddisfatta e meravigliata.

Arrivati agli ultimi istanti, preparo il verdetto per Anna, riflettendo che di tutti i vari appuntamenti magic-Berto è l’unico che malgrado presenti un quadro clinico preoccupante sa come si tiene un pubblico sull’orlo della tachicardia. 

“Ci rivediamo?” mi chiede infine affondando la faccia dentro alla tarte tatin con gelato alla cannella. 

Un giorno

in ultima spiaggia

sull’orlo dei quaranta 

prima di portare a casa quattro randagi..forse. 

Elena Varaldo 

Nel giardino segreto con Giulio

LE CENE DI BEATRICE

In una Torino che indossa ancora i guanti e non telefona mai agli orari dei pasti, si snoda la rubrica Le cene di Beatrice”. Recensioni eno-gastronomiche dai toni umoristici . Luoghi di punta e luoghi nascosti faranno da sentiero di mattoni dorato alla ricerca di “quello giusto”. In questo connubio di piatti, vini e appuntamenti torinesi, la voce della scrittrice Elena Varaldo tratterà le farfalle nello stomaco in un modo del tutto nuovo. Il cuore ha le sue ragioni, che la pancia conosce bene.

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Tutto promettente.  La camicia bianca rimasta tale, i connotati di Giulio, il ristorante scelto per l’occasione. Di buon auspicio anche la telefonata di Anna “Dai Bea, magari questo non è male

Magari.


Come tutti sapranno,
pescare dal mare del dating online e avventurarsi a cena spesso risulta essere più rischioso di un lancio in parapendio.

Quasi in egual misura lo è tentare un ristorante nuovo. Buffi noi torinesi, versatili vacanzieri da giugno ad agosto ma abitudinari poltroni da settembre a maggio.

Svoltare su piazza Bodoni interrompe il flusso di pensieri: Ci siamo.

Per piacere di narrazione terrò in borsetta Giulio per tutto il tempo che intercorre tra lo shock e la camminata verso il tavolo.

Uno sguardo al personale, sorridente, dritto e impeccabilmente tirato a lustro. Uno sguardo alle fotografie appese ai muri. Arredamento industriale, volte in pietra, illuminazione perfetta, vini ovunque. Bello.  

Mi siedo e l’attenzione torna sul mio compagno di pasto nuovo di zecca.

“Dai Bea, magari questo non è male

In effetti, non lo è. Almeno all’apparenza.

Alto, snello, biondo e dallo sguardo vispo. Sarebbe delizioso poter affermare che le buone impressioni siano rimaste bianche come la camicia, ma se così fosse, non ci sarebbe alcuna storia.

Si manifesta quasi immediatamente il tipico protagonismo di chi, temendo di non essere abbastanza interessante, si addentra in infiniti monologhi narrativi: Dall’asilo ai giorni nostri, ottenendo ahimè il risultato temuto.

Ho appena avuto modo di notare la quantità eccessiva di gel fra i capelli che Giulio termina il resoconto sulla vacanza a Gallipoli e mi domanda “E tu cosa mi racconti?”

Play on play off baby. I principi della comunicazione, questi sconosciuti.

Fosse cosi semplice gli avrei  messo il muto sin da subito.

Con un cenno solidale, arriva in soccorso la ragazza, da qui in poi chiamata “la salvatrice” e mi porge la cruda di fassona ricoperta da tartufo e crema di robiola, a tutti gli effetti, la prima gioia della serata.

La guardo in quell’alfabeto che solo il genere femminile può comprendere

“Grazie. Menomale che ci sei tu, ma.. quanto tartufo c’è qua sopra?

Lei coglie al volo sbattendo rapida le ciglia “Ehi, ci mancherebbe. Te lo meriti tutto quel tartufo, resisti.”

Intanto Giulio, scarso nell’arte del discorrere, si rivela dal canto suo un intenditore in termini vinicoli e soddisfattoalza su il calice di Nebbiolo “Angelo” del 2020 della cantina Mauro Veglio, invitandomi ad un brindisi.

“A noi”

Poco più in la, sul volto della mia salvatrice, un soffocato sorriso.

La cena procede a ritmo variopinto e spedito; Vitello tonnato alla piemontese, agnolotti di ortica con pomodoro San Marzano e burrata, gnocchetti con ragù di vitello e tartufo nero estivo.

 

Per concludere accompagno un barolo chinato al tortino cuore caldo al cioccolato, per golosità e per analogia.

Nella piccola interruzione che precede  il dolce, la mia salvatrice ci conduce nel giardino interno del ristorante per due boccate di nicotina. Giardino che si rivela un’intimabomboniera segreta e floreale. Svelata l’analogia.

Più tardi e sebbene con un certo dispiacere, Giulio intinge i suoi biscotti nello zabaione mentre io mi trovo crudelmente a confessare che no, proprio non ci sarebbe stato seguito.

Perché?

Troppo gel. Troppe parole. Non amo lo zabaione.

“Dai Bea, magari questo non è male

Non lo è, ma con tutto quel gel si corre il rischio di rimanere appiccicati come accade alla lingua al contatto con una stalattite.

Piccolo spoiler? Accadde. Ma questa è un’altra storia, di un altro ristorante, per un altro giorno.

Ad avere garanzia nel seguito è certamente il ristorante, dove si è rivelato il senso stretto del loro tortino al cioccolato.

Nella casa del Barolo di piazza Bodoni, il cuore caldo è dato dal personale, dalla pioggia di tartufo e da quel giardino interno. Perfetto e segretissimo.

Elena Varaldo