Negli ultimi anni, i numeri del turismo torinese e piemontese sono sempre stati superiori a quelli medi del Paese. Merito delle politiche di rilancio che hanno saputo trasformare il volto della città e della regione, producendo effetti anche sulla percezione del pubblico italiano e internazionale. La Torino “grigia città dell’auto” ormai non esiste più. Ecco i commenti di alcuni dei nostri lettori all’inchiesta di Luca Briatore pubblicata sul “Torinese”, apparsi sulla nostra pagina facebook
http://www.iltorinese.it/boom-turistico-torino-sesta-citta-darte-in-concorrenza-milano-lombardia/





Mi dispiace invece che venga costantemente ignorata dai media.
Pare che in Italia esistano solo Roma, Venezia, Firenze e Napoli. Con tutto il rispetto per le città menzionate, non è proprio così!!!












Milano forse capitale della moda …e poi?….bohhh non saprei







LE INCHIESTE DEL “TORINESE”
quelle dei palazzi storici avevano il colore grigio della polvere, ed erano polverosi anche i musei, meta di un pubblico quasi interamente locale. Di sera, poche luci e vetrine spente, e d’estate il deserto. L’intera città si spostava altrove per le ferie. Le piazze del centro assumevano il carattere metafisico dei quadri di De Chirico. Gli alberghi, in tutte le stagioni, chiudevano il sabato e la domenica, quando gli uomini d’affari in trasferta tornavano dalle loro famiglie.
La scarsa attrattività del capoluogo, peraltro, si riverberava su tutta la regione. Solo poche aree erano in grado di attrarre turisti: il lago Maggiore, le montagne del Sestrière, il Gran Paradiso. Le politiche e le strutture per la promozione turistica erano pressoché assenti. L’inversione di tendenza si avvia negli anni ’90, con le amministrazioni Castellani e Ghigo. Ma è a partire dagli anni 2000 che il quadro cambia radicalmente. L’esplosione della popolarità di Torino si ha nel 2006, l’anno delle Olimpiadi. Sullo sfondo, però, già da tempo, c’è la crisi della Fiat. Dopo aver rischiato il fallimento, il colosso automobilistico riesce
faticosamente a risollevarsi, ma abbandonando per sempre il ruolo che aveva avuto un tempo, di motore dell’intera economia piemontese. Gli occupati del comparto automotive, che negli anni d’oro, contando anche l’indotto, erano stati molte decine di migliaia, si riducono a qualche migliaio di addetti, spesso obbligati, per periodi più o meno o lunghi, alla cassa integrazione. È questo, nei fatti, il contesto in cui si attua la trasformazione del volto di Torino, da grigia e caotica capitale dell’auto – ricca – a città d’arte di importanza riconosciuta, significativamente impoverita ma splendente, pulita (almeno in centro) e orgogliosa di sé come non accadeva dai tempi del regno sabaudo.
Nulla, ovviamente, avviene per caso. La metamorfosi di Torino e del Piemonte è stata fortemente voluta, tanto dalle amministrazioni comunali e regionali che dagli attori economici superstiti, preoccupati di dare a città e regione delle nuove opportunità, rimediando almeno in parte, con questa e altre iniziative, all’immenso “vuoto Fiat”. Inutile chiedersi se questo vuoto sia stato riempito dal turismo. Storicamente, il peso del turismo sul PIL di un Paese è inversamente proporzionale al suo grado di sviluppo. Il comparto del turismo, in altri termini, produce certamente un movimento di denaro, ma non paragonabile ai flussi di capitale che vengono naturalmente attivati dall’industria. La cultura, allo stesso modo – l’altro grande capitolo su cui Torino e il Piemonte hanno puntato molto – è un investimento di lungo periodo, da cui è inutile aspettarsi grandi ricadute economiche.
Piuttosto che considerare la carta turistica come la panacea di tutti i mali, insomma – oppure, peggio, come la sottile glassa di zucchero che ricopre l’amara pillola della decadenza – è meglio prenderla per quello che è: un’operazione che, nel rendere la città più attraente per i visitatori, contribuisce a migliorare la qualità della vita dei residenti, dando una mano, ovviamente, ad alcuni settori economici. Il tutto in attesa che gli sforzi impiegati in altre iniziative – forse meno attraenti ma si spera più redditizie – tornino a muovere significativamente l’economia. Ma qual è la situazione del Piemonte rispetto al resto d’Italia? Quali sono i punti di forza e quelli di debolezza del nostro sistema turistico? Cosa si è fatto e cosa si può fare, ancora, per sfruttare pienamente le potenzialità del comparto? Come è cambiata la vita dei torinesi e dei piemontesi, da quando il turismo è divenuto un pezzo importante dell’economia locale?
settimo al mondo per entrate valutarie turistiche. I visitatori stranieri spendono in Italia poco più di 45 miliardi di euro l’anno (il dato è del 2014), facendo del turismo una delle principali voci del nostro export (esattamente, il 3,1% degli scambi con l’estero). Solo negli Stati Uniti, in Spagna, in Francia e in Cina i turisti stranieri spendono di più. Nel complesso, calcolando anche il turismo interno (quello, cioè, degli italiani che vanno in vacanza nel Bel Paese), il volume d’affari del turismo raggiunge in Italia la ragguardevole cifra di 81,3 miliardi di euro. Le persone impiegate nel settore turistico-alberghiero e della ristorazione sono circa 2,6 milioni.
L’altro dato poco confortante riguarda la quota di mercato detenuta dall’Italia nell’ambito del turismo internazionale. È vero, infatti, che negli ultimi anni il numero dei turisti nel nostro Paese è aumentato costantemente. Se paragonato alla crescita della domanda di turismo che si è avuta nello stesso periodo a livello mondiale, però, il ritmo di crescita è stato davvero lento. Tra il 2000 e il 2013, nel mondo, i ricavi turistici sono raddoppiati, ma solo in minima parte si sono riversati qui. Se nel 2000 andava all’Italia il 5,8% dei ricavi mondiali da turismo, nel 2013 questa quota è scesa al 3,7%. A condizionare il calo è stato, in parte, il proliferare di nuove mete vacanziere, pronte ad accogliere i turisti provenienti da Paesi emergenti come il Brasile, la Russia, l’India e la Cina. Ma ha fatto la sua parte anche la crisi del nostro mercato domestico – il turismo interno – che da diversi anni appare in calo (nel 2013, per esempio, rispetto al 2012, gli arrivi “dal resto d’Italia” sono calati del 2,5%, mentre i pernottamenti sono scesi del 4,1).
In questo contesto, fatto di luci e ombre, Torino e il Piemonte si sono comportati molto bene, registrando numeri sempre superiori a quelli medi del Paese. Da sempre ignorati (o quasi) dai tour operator, hanno attuato delle politiche di rilancio che hanno saputo trasformare il volto della città e della regione, producendo degli effetti significativi anche sulla percezione del pubblico italiano e internazionale. Oggi, agli occhi di molti, Torino è una delle più belle città d’Italia (“la più bella”, ha detto Vittorio Sgarbi di recente al nostro giornale). Il cuneese, l’astigiano e l’alessandrino, intanto, da aree misconosciute – note solamente per l’importanza di alcuni vini e per la presunta “chiusura” degli abitanti – sono salite agli onori delle cronache.
Torino è stata la sede di una miriade di eventi sportivi, spesso di rilevanza internazionale. Nel frattempo, è stata Capitale mondiale del libro, Capitale del design, sede del Congresso mondiale degli Architetti, Capitale europea della Scienza, Capitale europea dei Giovani, ospitando anche, nel 2011, le celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia.Lentamente, ma neppure troppo, l’immagine di Torino ha cominciato a cambiare e molti hanno preso a parlarne, a visitarla e spesso a tornarne entusiasti. Non per gli eventi in sé, ma per l’esperienza che hanno vissuto: spazi accoglienti, strade pedonalizzate, arredi urbani coerenti, vetrine luminose, locali e ristoranti di qualità; e un’offerta culturale vastissima.
Si è cercato, in poche parole, di andare incontro alla domanda turistica degli ultimi anni, che non concepisce la vacanza come un semplice periodo di riposo, ma come un’occasione di arricchimento personale, nella quale ciascuno intende soddisfare le sue personali aspettative ed esigenze specifiche, che spaziano dal ristorante tipico alla performance artistica, dalla musica antica a quella elettronica, passando per lo shopping e per le più classiche visite a mostre e musei. È questa la ragione per cui si è fatto il possibile per dare risalto alle più disparate risorse artistiche e culturali della città e del suo territorio, ma anche a quelle enogastonomiche e dell’accoglienza. L’imperativo era: accontentare tutti. Nella consapevolezza che, nell’era di internet, migliaia di viaggiatori sono portati a condividere in rete le impressioni ricevute, e che un solo commento negativo tende a prevalere su dieci 