Il puntaspilli- Pagina 8

La strana coppia (tassi di interesse e inflazione)

IL PUNTASPILLI  di Luca Martina  

 

I risparmiatori sono sempre più sconcertati dalla mancata protezione fornita ai loro risparmi dai titoli di Stato.  

 

Non parliamo solamente del nostro mercato, di BTP e CCT, ma di tutte le obbligazioni emesse dai principali Paesi sviluppati.

 

Il tasso di interesse, il rendimento dei titoli obbligazionari, dovrebbe garantire che i capitali concessi in prestito (nient’altro che questo, infatti, si tratta quando si acquistano dei titoli di Stato) possano essere rimborsati mantenendo invariato il loro potere di acquisto.

 

La remunerazione ricevuta dagli obbligazionisti dovrebbe perciò essere tale da ricompensarli per la perdita di spesa generata dagli aumenti dei prezzi che ci si aspetta si verifichino (l’“inflazione attesa”) dal momento del prestito a quello del suo rimborso.

 

Questo non sembra proprio essere quanto sta avvenendo di questi tempi e, per citare Warren Buffet (il celebre investitore statunitense): investire è semplice ma non è facile.

 

L’inflazione, “rara avis” sino all’inizio dell’anno, è da qualche mese in rapidissima salita.

 

Negli Stati Uniti si è passati dall’1,5% di gennaio al 6,8% di novembre e nel nostro Paese è salita dallo zero al 4% circa.

 

Questa risalita è stata a più riprese (e secondo chi scrive) correttamente attribuita in buona parte ai colli di bottiglia generatisi dopo la ripartenza della crescita economica (domanda di beni e servizi), che ha superato la capacità di fornire prontamente quanto veniva richiesto (le imprese avevano ridotto le scorte di magazzino durante il primo anno di pandemia e la ripartenza del processo produttivo ha richiesto più tempo).

I fattori che hanno provocato il surriscaldamento dei prezzi dovrebbero mitigarsi a partire dalla prossima primavera e questo dovrebbe essere sufficiente a “raffreddare” la temperatura, ora al calor bianco.

 

Rimane però il fatto che i rendimenti delle emissioni governative sono aumentati da inizio anno (provocando una discesa dei prezzi dei titoli) ma solo in minima misura rispetto non solo all’attuale tasso di inflazione (“temporaneamente” molto elevato) ma anche ad un livello più “normale” del 2-2,5%.

 

Oltreoceano, infatti, il titolo governativo decennale rende oggi l’1,49% mentre il nostro BTP con uguale scadenza frutta solo l’1,1% (e il titolo a 5 anni lo 0,34%).

 

Le spiegazioni fornite a questo apparente paradosso sono di tre tipi.

 

Da un lato ci sono coloro che accusano le banche centrali di avere falsato irrimediabilmente il funzionamento dei mercati attraverso i loro massicci e reiterati interventi di acquisto di titoli (il cui rendimento risulta così molto più basso di quanto dovrebbe essere).

 

C’è poi chi ritiene gli investitori obbligazionari estremamente razionali (in contrapposizione alla presunta irrazionalità di quelli azionari) ed informati; in quest’ottica i (bassissimi) tassi di interesse rifletterebbero qualcosa di molto negativo: una recessione sarebbe nuovamente alle porte e con questa la fine dell’inflazione (la diminuzione della domanda di beni e servizi porterebbe alla discesa dei loro prezzi, dopo la salita di quest’anno).

 

In verità risulta difficile negare, almeno in parte, le ragioni di questi primi due gruppi ma cionondimeno ci sembra che la realtà sia ben più complessa.

 

I mercati del reddito fisso sono sempre più dominati da quattro diverse categorie di operatori (che superano in importanza gli investitori tradizionali):

 

  • Gli speculatori che agiscono sulla base di algoritmi, noncuranti del livello assoluto dei tassi di interesse (e che “giocano” sul differenziale tra tassi a lungo e tassi a breve, la “pendenza” della curva);
  • Gli investitori “ufficiali”, le banche centrali ed i governi, che intervengono per perseguire i loro obiettivi di politica monetaria (per sostenere o rallentare l’economia) o per stabilizzare la propria valuta nazionale;
  • I grandi fondi pensione, le compagnie assicurative e le banche che acquistano titoli obbligazionari per allocare parte delle proprie attività a basso rischio (come dettato dagli organi regolamentari);
  • Gli investitori privati che perseguono il profitto tramite i mercati azionari e che utilizzano le obbligazioni governative per abbassare il rischio complessivo dei loro portafogli.

 

La presenza di questi attori sul mercato rende meno “inspiegabile” l’attuale livello dei tassi di interesse (destinato comunque a salire se l’economia mondiale non deraglierà dal percorso di crescita dettato dagli investimenti in corso di implementazione in tutto il mondo).

 

Rimane, comunque, per noi poveri investitori la difficoltà di trovare degli investimenti che proteggano il nostro cammino dal deprezzamento generato dall’aumento dei prezzi al consumo.

 

La risposta negli ultimi anni è stata fornita dal volo compiuto dai mercati azionari i quali però presuppongono una capacità di rischiare e di pazientare (allungare l’orizzonte temporale dei propri investimenti rimane l’unico metodo verificato per ridurre la probabilità di perdere) non sempre correttamente valutata ex ante (la “voglia” di rischiare tende ad essere elevata quando i risultati sono positivi per poi annullarsi in caso di perdite).

 

Prepariamoci ad un altro anno molto interessante al quale ben si addice, a mo’ di augurio, la frase di Martin Luther King: “Se non puoi volare, corri, se non puoi correre, cammina, se non riesci a camminare, allora striscia, ma qualunque cosa tu faccia, devi andare avanti.”

 

Auguri a voi ed ai vostri patrimoni.

Principesse, Draghi e cavalieri

IL PUNTASPILLI  di Luca Martina  

L’autorevole settimanale britannico “The Economist” ha incoronato nel suo ultimo numero l’Italia quale Paese dell’anno.  

 

A noi italiani è venuto immediatamente da pensare agli allori sportivi (dai titoli olimpici e paraolimpici agli europei di calcio, pallavolo femminile e maschile e del football americano, dalla finale di Berrettini  Wimbledon, il tempio del tennis, ai successi del nuoto, del ciclismo e della ginnastica ritmica), musicali (con il trionfo del gruppo dei Måneskin all’Eurovision e a quello di un violinista italiano al Premio Paganini) e gastronomici (con la vittoria della Coupe du Monde de la Pâtisserie 2021).

 

Nulla di tutto ciò.

 

Il titolo ci è stato attribuito (parole e musica del giornale britannico, raramente tenero nei nostri confronti) perché “ha acquisito un primo ministro rispetttato e competente e con lui ha raggiunto un alto tasso di vaccinazione contro il Covid nella popolazione, tra i più elevati d’Europa, e la sua economia si sta riprendendo più rapidamente rispetto ai paesi limitrofi».

 

Il Belpaese aspettava da molto tempo, come una Principessa nella torre più alta e remota del castello, uno stuolo di cavalieri (uno non sarebbe certo sufficiente) che lo liberassero dalle pastoie di una politica (e di una burocrazia) che da molti decenni ne ha arrestato lo sviluppo economico.

 

La crisi politica che si era scatenata all’inizio del 2020, in piena crisi pandemica, sembrava avere confermato il nostro atavico vizio ad autoinfliggerci dolori in aggiunta a quelli già riservatici dalle difficili condizioni esterne.

 

L’ inaccessibile torre rischiava davvero di crollare rovinosamente.

 

Cavalieri coraggiosi ed abili non se ne era riusciti a radunare ed in loro assenza era scoccata l’ora dei Draghi.

 

La testata londinese ha inteso premiare il Paese che ha attuato, grazie all’ex governatore della BCE, il miglioramento più significativo nel corso del 2021

Il nostro cammino rimane però molto lungo e difficile.

 

L’enorme debito accumulato non potrà certamente essere incenerito ma trasformarlo (con il tempo) da “cattivo” (non rimborsabile) a “buono” (Draghi dixit) sarebbe un enorme risultato.

Solo allora la nostra storia potrebbe avere un lieto fine e potremo così essere certi che non si tratta solamente di una favola e di una missione impossibile.

Dannati mercati

IL PUNTASPILLI  di Luca Martina  

Il 2021 va volgendo ormai alla fine e così anche le celebrazioni dell’anno dantesco, in occasione dei 700 anni dalla morte del poeta.  

Seguo professionalmente i mercati finanziari da quasi trent’anni ed ho avuto modo di assistere a molti “peccati” (sanzionabili dell’inferno o di una pausa in purgatorio) ma anche a qualche comportamento virtuoso (meritevole del paradiso) e, proprio in occasione di questa ricorrenza “poetica”, mi sono chiesto come ne avrebbe scritto Dante nella sua Commedia.  

L’introduzione avrebbe potuto, utilizzando immodestamente la metrica dell’Alighieri, essere così:  

 

“Ahi come il poeta raccontar mi tocca

Con le ossa ancor dolenti

Parole dure fuor di mia bocca

 

Ai poveri investitor: infelici genti

Non per voler ottenebrare

Le loro ben confuse menti

 

Ma per provarle a rischiarare

Con un verso incatenato

Mi son fatto impelagare

 

Nella selva oscura del mercato

A narrar senza pudor li fatti

Che i borselli han devastato

 

Lasciandoci, sfiniti dalla pugna, al suol disfatti.”

All’ Inferno, poi, Dante incontrerebbe oggi gli Speculatori e gli Avidi, puniti, immagino, nella quarta bolgia dell’ottavo cerchio, insieme agli indovini, fraudolenti in quanto ebbero la folle pretesa di antivedere il futuro che in quanto tale è noto solo a Dio.  

Sono coloro che investono cercando e creando le opportunità più redditizie con una condotta senza scrupoli e senza rispetto degli interessi altrui.  

Trattano gli investimenti, insomma, come se fosse un gioco di azzardo (zara: dall’arabo az-zahr = dado).  

In questo modo danneggiano sé stessi e gli altri perdendo denaro e facendolo perdere.  

Corrono, certi della propria buona sorte, lungo un apparentemente facile cammino in discesa, sempre intenti a raccogliere e a accumulare trofei (come gatti a caccia di topi).  

Non sanno che tutte le esagerazioni sono nocive e possono portare alla morte.  

Pensano solo alla bisca e si prendono gioco del volere di Dio.  

Non guardano la strada che stanno percorrendo ed alla fine precipitano, perdendo tutto quanto avevano raccolto.  

E la bestia (termine utilizzato da Dante come massimo insulto nei confronti degli umani) impara così la lezione: è più semplice accumulare che conservare.  

 

 

“A perdicollo correan disfatti,

Speculatori, avidi per conquistar trofei e riempir la giara,

La masnada sciolta, come a buscar li topi i gatti

 

Lungo la ripida china raccogliean monete, cosa più cara

Senza badar a tutto ciò che, esagerando, ammazza

Misura e cognizione assenti, ripetendo il gioco de la zara

 

Attenti solo alla fatal biscazza

Facendosi gabbo del divin volere

Finita la strada, dolente, nell’ orrido stramazza.

 

E la lezion alfin la bestia apprende: peggio gli averi accumular che mantenere.”

 

 

 

Proseguendo la scalata, guidato da Virgilio, nel Purgatorio Dante farebbe la conoscenza dei risparmiatori che si disinteressano colpevolmente della gestione del proprio denaro.    

Costoro affidano i patrimoni a truffatori e disonesti (l’allusione dei versi al  Guasco si riferisce agli ecclesiastici francesi conterranei di Clemente V, scandalosamente favoreggiati dal papa, che avevano fama di gente avida e malfida).   

Proprio come chi affida le chiavi della propria cantina ad un ubriaco.  

Possono solo sperare che li salvino le preghiere dei figli che sono rimasti, soli, a rispondere dei loro debiti e delle loro cattive scelte di investimento.  

 

“Virgilio mi indicò, di fronte, la montagna,

Donde come pecorelle al pasco,

Pasturavan, biascicando lamentosa lagna,

 

Gli stolti che han lasciato al Guasco,

Distratti e senza discernimenti,

Sì come chi affida agli ebbri della cantina il fiasco,

 

Il proprio denaro, a disonesti e incompetenti,

E dalla infelice progenie divien la redenzione.

Quei che sopportan il fardello tristi e scontenti.

 

Infin la pena arriverà, lentamente, a consunzione.”

 

Arrivato al Paradiso ecco che il Poeta incontra, tra gli Spiriti pazienti nel  VII Cielo (quello di Saturno), gli Investitori Pazienti.  

Essi si muovono in modo ordinato, le loro borse sono assicurate alla cintura e chiuse con la ceralacca in quanto il loro denaro è investito senza fretta e si tratta di investimenti stabili nel tempo: non ci sono continue entrate ed uscite (per operazioni speculative).  

Costoro non perdono mai la calma e meritano il Paradiso in quanto il loro obiettivo è quello di preservare, con il proprio, anche il bene del nostro pianeta datoci in custodia da Dio e lo fanno dal mattino a quando il giorno si spezza e diventa notte.  

Essi sono intenti a seminare bene il denaro nei modi che piacciono al Creatore rendendolo così fruttifero e fertile come il giardino dell’Eden.  

Dante, ammirato, vorrebbe lui stesso dare a questi il suo denaro da gestire.  

Solo così i beni affidati alla fortuna, che altro non è che una delle intelligenze angeliche e ha il compito di governare e amministrare i beni del mondo in accordo con la volontà imperscrutabile di Dio, possono preservarsi e seguire il cammino da Lui voluto e dettato.  

 

 

“Schiere ordinate di anime pazienti

Cinte di cuoio e d’osso sigillate borse a ceralacca

Gli occhi all’orizzonte fisi e attenti

 

Di chi non difetta calma quando altrui l’attacca

Accesi d’amor per lo bel pianeta

Dal mattino all’ora che il dì si fiacca

 

Ben seminando sì lucida e sì tonda moneta

Nel Suo fertile giardino

Fiducioso e ammirato vorria loro prestar la sua, il poeta

 

I ben che son commessi a la fortuna seguan lo divin cammino.”

 

 

Spero che i lettori mi vorranno perdonare per avere voluto scherzare con il più importante ed amato dei nostri poeti.  

 

D’altronde, come scriveva Jules Renard: “Siamo sulla Terra per ridere. Non potremo più farlo in purgatorio o all’inferno. E in paradiso, beh, in paradiso sarebbe davvero sconveniente.”  

Senza paura

IL PUNTASPILLI di Luca Martina 

Nelle ultime settimane l’ottimismo degli operatori finanziari sembra essersi dissolto come neve al sole.  

A testimoniarlo ci sono la correzione dei listini borsistici ed i sondaggi che rilevano le opinioni degli investitori sul loro futuro andamento.

La correzione dei prezzi è, per la verità, stata piuttosto modesta sugli indici principali ma ha rappresentato un campanello d’allarme che ha risvegliato bruscamente l’attenzione dei risparmiatori.

La borsa statunitense è scesa meno del 3,5% (il 5,5% il listino tecnologico del Nasdaq) mentre quelle europee hanno perso quasi il doppio.

I motivi del cambiamento di umore sono maturati inizialmente negli Stati Uniti dove il governatore della banca centrale, la Federal Reserve (abbreviata “Fed”), Jerome Powell, ha finalmente (dopo essere stato riconfermato per un altro mandato) riconosciuto come l’impennata dell’inflazione ci metterà del tempo (mesi o trimestri, non settimane…) per rientrare.

A questo Powell ha accompagnato l’annuncio del ritiro degli stimoli monetari (effettuato tramite massicci acquisti di titoli obbligazionari sul mercato) a partire dai prossimi mesi.

Per l’aumento dei tassi ci sarebbe tempo ancora per verificare la tenuta dell’economia alla nuova ondata (particolarmente violenta negli USA dove quest’anno ha prodotto il doppio, 790.000, delle vittime del 2020) e sarebbe rimandato al 2023.

La politica molto indulgente e generosa da parte dell’istituto centrale statunitense ha senza dubbio fornito un aiuto importante alla crescita statunitense degli ultimi 13 anni (a partire dalla “Grande Recessione” del 2007-2008) e la crisi pandemica ha portato ad una sua proroga (era alle viste un cambiamento di rotta già nel 2019) sino ai giorni nostri.

Il timore che senza “l’aiutino” da casa-Fed l’economia possa perdere colpi ha innervosito i mercati finanziari, già maturi per una pausa dopo la galoppata dei mesi precedenti.

Ma le brutte notizie non vengono mai da sole e l’emergere, sul fronte sanitario, della nuova, più contagiosa, variante del virus COVID (la Omicron) ha peggiorato la situazione.

Va detto, però, che sono in campo ancora tutti gli elementi che possono giustificare una visione positiva del futuro.

Negli USA l’approccio sempre pragmatico da parte del governatore, attento alla evoluzione dei dati economici (non solo dell’inflazione ma anche dell’andamento del PIL e dell’occupazione) potrebbe moderare i timori di un rapido ritiro degli interventi monetari.

Dall’altra parte dell’oceano, in Europa, l’inflazione non è ancora considerata tale da giustificare un cambiamento di atteggiamento da parte della BCE.

E’ probabile, inoltre, che si assista nei prossimi mesi ad un moderato rallentamento economico che finisca per rallentare la galoppata dell’inflazione.

Il prezzo del petrolio ha già iniziato a risentire dell’incertezza scendendo in pochi giorni di quasi il 20%, da 86 a 70 dollari al barile e questo dovrebbe contribuire alla stabilizzazione dei prezzi di molti beni e servizi.

I tassi sono, quindi, destinati a rimanere (molto) bassi ancora per un po’ di tempo e questo dovrebbe, alla fine, consentire di rassicurare i mercati e contribuire alla crescita economica.

A ciò si aggiungeranno presto le manovre fiscali (la spesa pubblica) che i governi europei (non diversamente dagli Stati Uniti) stanno approntando.

Sul versante sanitario, sulla gravità della nuova ondata pandemica, è prematuro pronunciarsi e ci vorranno ancora una o due settimane per comprendere meglio la sua portata.

Rimane il fatto che, dopo due anni, stiamo, tristemente, imparando a convivere con la nuova “normalità” e questo dovrebbe aiutarci a ridurne gli effetti (economici e non) negativi.

Tutto ciò non azzera certamente il rischio di una nuova crisi economica (con massicce e prolungate chiusure) e sanitaria ma lo rende meno probabile di quanto si temeva all’esplodere della pandemia.

Per quanto riguarda i mercati finanziari, poi, vale la pena di ricordare come le fasi negative si siano sempre trasformate in opportunità di acquisto per tutti coloro che hanno saputo mantenere la mente fredda, considerandole un evento del tutto atteso (anche se, magari, non nei tempi e nei modi) ed ineluttabile.

Il trasferimento di ricchezza dagli stomaci deboli (incapaci di affrontare lo stress generato dalle perdite finanziarie) a quelli forti (abituati a fronteggiare le oscillazioni negative del loro patrimonio come inevitabili) è uno dei fattori che hanno portato, storicamente, alla crescente divaricazione tra i più ricchi ed i meno abbienti.

E’ un dato di fatto, purtroppo, che la minore disponibilità di risorse finanziarie provoca una maggiore sensibilità alle loro variazioni negative (arrivando sino al panico e con questo alla liquidazione totale) in quanto queste pongono seriamente a rischio la possibilità di mantenere il proprio tenore di vita.

Se, razionalmente, si ritiene che la pandemia possa provocare un rallentamento solo temporaneo varrà la pena di non farsi troppo coinvolgere emotivamente evitando il cortocircuito testa-stomaco che conduce solitamente alle peggiori decisioni.

Un famoso banchiere, il barone di Rotschild, predicava, più di 200 anni fa, di acquistare quando il sangue scorre nelle strade.

Ma se si ha paura, comprensibilmente, del sangue basterà non guardare, evitando così pericolosi sbandamenti.

Ricordando sempre il monito di uno degli investitori di maggior successo dell’ultimo secolo, lo statunitense Warren Buffet: nei mercati finanziari bisogna essere timorosi quando gli altri sono avidi e avidi quando gli altri sono timorosi.

 

Non abbiate paura.

Il te’ di Eleonor

IL PUNTASPILLI di Luca Martina

La settimana scorsa si è celebrata la giornata contro la violenza sulle donne. 

 

Parlarne oggi per me è un modo per ricordare come il problema andrebbe affrontato quotidianamente e non solo il giorno a lui riservato.

 

Il fenomeno non è, tragicamente, solo italiano anche se da noi è maggiore il numero di delitti commessi dal partner o dell’ex partner, quest’anno il 58% (63 su 109 totali) contro il 29% in Europa (dati del 2017).

 

Il nostro Paese, peraltro, registra una incidenza di questi odiosi soprusi simile alla media europea ed un minore tasso di femminicidi (in percentuale della popolazione).

 

Questo naturalmente non è di nessun conforto ma ci ribadisce come il fenomeno sia diffuso in tutto il mondo (ed in Europa si registra una minore incidenza rispetto agli altri continenti).

 

La riduzione della violenza fisica contro le donne rimane un imperativo morale ma, come analista dei fenomeni economici, non posso anche sottolineare il fardello che questa rappresenta per il nostro sistema.

 

Le discriminazioni, una delle declinazioni della violenza sull’altra metà del cielo, e la mancanza di attenzioni e tutele per lo svolgimento dell’attività lavorativa hanno provocato una ridotta partecipazione femminile al mondo del lavoro.

Avere un lavoro significa, tra l’altro, potersi sottrarre al potere impositivo di uomini violenti ed essere in grado di proteggere la propria famiglia (e crescere i figli) dai loro soprusi.

Negli Stati Uniti il costo della sola violenza sulle donne è stimato in 500 miliardi di dollari all’anno (il 2,5% del PIL).

Una stima è stata fatta per il nostro Paese dall’ EIGE, l’ Istituto europeo per l’Uguaglianza di Genere, quantificando il danno in 26 miliardi di euro (l’1,3% del nostro PIL).

 

A questo andrebbe aggiunto il contributo che le donne potrebbero fornire in presenza di pari opportunità, stimato in circa l’1% del PIL mondiale l’anno.

Per comprendere questi dati e le potenzialità economiche inespresse basterebbe ricordare che attualmente in Italia il 77% degli uomini hanno una occupazione retribuita contro il solo 56% delle donne.

 

Maggiori possibilità di occupazione significherebbero, quindi, una maggiore crescita economica (e sociale) aiutandoci ad uscire da una situazione che negli ultimi anni ha aggiunto alle nostre ataviche debolezze (burocrazia e scarsa efficienza del settore pubblico in primis) la crisi pandemica ancora in corso.

 

D’altronde sappiamo molto bene come i momenti più difficili e complicati non hanno mai spaventato le nostre madri (nonne, mogli, amiche, colleghe…).

 

Ricordiamocelo quindi ogni giorno, affinché si possa finalmente smettere di dovere parlare di uomini che considerano le donne come delle bustine di tè usate e da gettare con disprezzo nella spazzatura.

 

Questo perché, per parafrasare Eleonor Roosvelt, la donna è sì come una bustina del tè ma solo perché non si può dire quanto è forte fino a che non la si mette nell’acqua bollente!

 

Il Ringraziamento

IL PUNTASPILLI  di Luca Martina

 

Nei prossimi giorni, giovedì 25 novembre, gli americani festeggeranno, come ogni ultimo giovedì di novembre, l’annuale ricorrenza del Ringraziamento.  

Le origini vengono fatte risalire ad una celebrazione dei raccolti che, nel 1621, fu condivisa tra i coloni inglesi (i “Pellegrini”) di Plymouth e la tribù indigena dei Wampanoag.

L’altro protagonista della festa, l’unico a non esprimere alcun ringraziamento,  è il tacchino, che, secondo la tradizione, fece la sua comparsa sulla tavola imbandita sin dalle origini.

Gli storici raccontano che il primo contatto tra i 50 europei e una novantina di “indiani” ebbe luogo alle porte dell’insediamento fu fonte di forti tensioni ma che alla fine i due gruppi decisero di socializzare condividendo il cibo (costituito per lo più dal pollame) che si erano procacciato nelle vicinanze dell’ accampamento.

Il risultato dell’incontro di civiltà fu un trattato che durò fino al conflitto di re Filippo, nel 1675-76, quando alcune centinaia di coloni e migliaia di indigeni persero la vita durante i combattimenti.

La celebrazione del Ringraziamento divenne dapprima una consuetudine nel New England, teatro del primo banchetto, per poi diventare una festa nazionale, sancita dal Congresso ma soggetta alla volontà dei singoli Stati, nel 1789.

Fu poi l’editrice della popolare rivista Godey’s Lady’s Book, Sarah Josepha Hale, che promosse una campagna per l’adozione di una festa nazionale del Ringraziamento che fu alla fine proclamata dal Presidente Abramo Lincoln nel 1863, in piena guerra civile.

I giorni successivi al Thanksgiving vennero presto dedicati agli acquisti ed iniziarono ad essere celebrati da una annuale sfilata, la Macy’s Thanksgiving Day Parade a New York, sin dal 1924.

Solo parecchi anni dopo, però, a Filadelfia all’inizio degli anni 60, la festività divenne il simbolo del consumismo arrivando a identificare l’inizio, il giorno successivo al taglio del tacchino, dello shopping natalizio.

A quegli anni va quindi fatto risalire il primo “Venerdì nero” (“Black Friday”).

Fino ad allora il termine aveva evocato cupi ricordi, come il crollo dei mercati finanziari del 24 settembre del 1869 (un venerdì, ovviamente).

La nuova accezione designava, all’inizio, il traffico caotico e gli intasamenti che si erano creati nel centro di Filadelfia per il sovrapporsi della folla che accorreva all’incontro di football tra esercito e marina con quella che affollava i grandi magazzini per lo shopping.

Prevalse in seguito la logica commerciale che vede nel venerdì di fine novembre il primo giorno nel quale i conti incominciano a tornare ed i ricavi (voce scritta in nero nei bilanci) dei centri commerciali e dei grandi magazzini iniziano finalmente a superare i costi (tradizionalmente indicati in rosso).

Quest’anno gli analisti economici attendono con particolare trepidazione questa ricorrenza.

Una nuova ondata pandemica è in corso creando una comprensibile incertezza.

Inoltre, i prezzi (ah, l’inflazione) renderanno più cara la tavola degli americani: il costo della carne di tacchino, ad esempio, è aumentato del 24% rispetto a quello messo in tavola nel 2020.

Ciononostante le attese (stime della National Retail Federation) sono di una crescita di 2 milioni del numero delle persone che effettueranno i loro acquisti recandosi direttamente nei negozi (non accontentandosi di ordinare da casa, sedute davanti al cellulare o al proprio computer).

Saranno certamente giornate frenetiche che daranno indicazioni importanti (sebbene non certo definitive) sulla capacità dell’economia americana di fronteggiare la nuova salita delle infezioni.

Le vittime del Covid negli Stati Uniti sono state quest’anno circa 771.000, il doppio di quelle del 2020, e un vero ritorno alla normalità dovrà accompagnarsi ad un rafforzamento della capacità di curare una malattia che, con le sue continue variazioni, non sparirà tanto presto dalle nostre città.

Come altre tradizioni anglosassoni anche quella del Black Friday sta  entrando da qualche anno nelle nostre abitudini ed anche nella vecchia Europa sarà perciò interessante verificare la capacità di tenuta dei consumi (che dovranno fronteggiare il vento contrario delle chiusure forzate in alcuni Paesi, come l’Austria), in vista di un auspicabile accelerazione a partire dalla prossima primavera (con la messa in campo dei tanti piani di sviluppo in corso di approvazione).

Le difficoltà non vanno sottovalutate ma una maggiore consapevolezza dei rischi e l’affinamento delle potenziali contromisure dovrebbero consentire di proseguire la ripresa economica e di celebrarla, il prossimo anno, con un degno (giorno del) ringraziamento.

Almeno tu nel metaverso

IL PUNTASPILLI  / Di Luca Martina

 

I deludenti risultati del COP26 sembrano dare ragione al fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg.  

Forse davvero il mondo che saremo destinati a vivere ed a popolare con sempre maggiore soddisfazione è il Metaverso.

Il “libro delle facce” non consentiva più di ottenere di ottenere i risultati economici in continua crescita, minati dai problemi emersi sulla tutela dei dati dei quasi 3 miliardi di iscritti e dal fatto che, secondo le denunce della sua ex top manager Frances Haughen “ha messo i profitti al di sopra della sicurezza degli utenti”.

Si tratta di peccati mortali per un colosso quotato al Nasdaq, il mercato azionario americano dedicato principalmente alle società tecnologiche, dove, per sopravvivere, occorre continuamente dimostrare di sapere produrre crescita ed innovazione.

Meglio allora esplorare l’infinito, ed in continua espansione, universo virtuale in perenne costruzione in rete: il metaverso, appunto.

Per chi volesse comprendere meglio il nuovo territorio di caccia della rinominata, Meta, creatura di Zuckerberg può essere di aiuto leggere la sua recente “Lettera del Fondatore” al seguente link:   https://about.fb.com/news/2021/10/founders-letter/

Per usare le sue parole: “La prossima piattaforma sarà ancora più immersiva (rispetto alla attuale esperienza di condivisione di testi e video tramite PC e cellulari), un internet incarnato dove saremo parte dell’esperienza e non semplici spettatori. Noi la chiamiamo “metaverso” e riguarderà ogni prodotto che noi costruiremo. Nel metaverso potremo fare qualunque cosa che saremo in grado di immaginare ”.

Il video visibile su https://www.youtube.com/watch?v=Uvufun6xer8&t=1277s  può essere molto utile per farsi un’idea di quanto ci aspetta.

Si ha, insomma, l’impressione che di fronte ad un mondo “reale” destinato ad un rapido deterioramento potremo rifugiarci e prendere cittadinanza in un universo parallelo, un mondo ideale plasmabile e personalizzabile secondo i nostri desideri ed i nostri sogni.

Non possono non tornarmi alla mente, allora, le parole che Shakespeare mette in bocca a Prospero, nel quarto atto de “La tempesta”:

“Ferdinando, ti vedo assai turbato, come sgomento: non aver paura. I giochi di magia son terminati. Come t’avevo detto, quegli attori erano solo spiriti dell’aria, ed in aria si son tutti dissolti, in un’aria sottile ed impalpabile. E come questa rappresentazione – un edificio senza fondamenta – così l’immenso globo della terra, con le sue torri ammantate di nubi, le sue ricche magioni, i sacri templi e tutto quello che vi si contiene è destinato al suo dissolvimento; e al pari di quell’incorporea scena che abbiam visto dissolversi poc’anzi, non lascerà di sé nessuna traccia.  

Siamo fatti anche noi della materia di cui son fatti i sogni; e nello spazio e nel tempo d’un sogno è racchiusa la nostra breve vita.”  

Il metaverso promette di farci sognare ad occhi aperti, in modo cosciente, ed allargare così i confini della nostra breve vita, poco importa se “l’immenso globo della terra (…) è destinato al suo dissolvimento”.

Fuor di metafora non possiamo (né potremo farlo neanche in un futuro dove ci reincarneremo in un “avatar”, cittadini del metamondo) ignorare quanto sta avvenendo intorno a noi.

Gli obiettivi da raggiungere per contenere i cambiamenti climatici ed evitare un rapido deterioramento del pianeta torneranno anno dopo anno a bussare alla nostra porta e prima o poi la dovremo, volenti o nolenti, spalancare.

Un, seppur timido, spiraglio di luce nel grigiore dell’autunno scozzese è arrivato da un riavvicinamento tra la Cina e gli Stati Uniti.

Parlando ad una conferenza stampa separata, durante il COP26 di Glasgow, gli inviati sul clima Xie Zhenhua e John Kerry hanno annunciato un accordo per limitare l’aumento della temperatura ad un grado e mezzo, costituire un gruppo di lavoro per accelerare le azioni a salvaguardia del clima in questo decennio (gli impegni ufficiali spostano al 2030 ed oltre i possibili obiettivi) e cooperare più strettamente sul controllo delle emissioni inquinanti.

Proprio l’inviato per il clima degli Stati Uniti ha sottolineato come “Se tutti si lamentano significa che ciascuno ha fatto un passo indietro”.

Il presidente Biden potrebbe ora, secondo alcune indiscrezioni, essere invitato ad assistere alle prossime, blindatissime, olimpiadi invernali che si svolgeranno in Cina da febbraio.

Ieri si già tenuto un primo incontro virtuale, in videoconferenza, di avvicinamento con l’omologo cinese ed il clima ed i rapporti di interscambio commerciale avranno fatto certamente la parte del leone.

L’approvazione, durante il plenum del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese della settimana scorsa, della risoluzione sui successi raggiunti dalla presidenza in corso (il terzo caso nella storia cinese dopo quelle presentate da Mao nel 1945 e da Deng nel 1981) ha di fatto innalzato il presidente in carica (atteso tra un anno alla terza riconferma) al ruolo di “principale innovatore” glorificando così “il pensiero di Xi Jinping sul Socialismo con caratteristiche cinesi per la nuova era”.

I prossimi 12 mesi saranno pieni di eventi che potranno renderci più consapevoli sul futuro prossimo della nostra salute (i vaccini ed i nuovi farmaci anti virali per fronteggiare la pandemia dovrebbero consentire ulteriori passi avanti verso il ritorno alla normalità), dell’economia (i grandi piani, il PNRR e i suoi “fratelli”, approvati in tutto il mondo, dovranno iniziare a dispiegare i loro benefici effetti), della politica (con le elezioni di metà mandato negli Stati Uniti ed il Congresso del Partito in Cina) e dell’ambiente (seguendo il progresso della diffusione delle energie rinnovabili e della mobilità elettrica).

Possiamo solo augurarci che i risultati non siano solo virtuali e che almeno qualcuno dei nostri sogni possa realizzarsi.

In caso contrario non ci resterà che rivolgerci, in preghiera, al potentissimo padre del social network nato dagli annuari universitari statunitensi: “Mark, almeno tu nel metaverso…”.

Il giovane (Paese) favoloso

IL PUNTASPILLI di Luca Martina 

 

La settimana che abbiamo alle spalle ha riservato agli economisti ed agli investitori una serie di buone (e, in qualche caso, inattese) buone notizie provenienti dagli Stati Uniti.

 

La camera dei rappresentanti ha finalmente approvato, con il voto congiunto di Democratici e Repubblicani dopo mesi di aspre negoziazioni, il pacchetto di investimenti in infrastrutture da 1.200 miliardi di dollari.

 

L’esito è stato di reciproca soddisfazione pur ridimensionando (come era d’altronde prevedibile sin dall’inizio) la proposta iniziale del presidente, l’“American jobs plan”, di 2.250 miliardi.

Lo scandalo che ha coinvolto nei mesi scorsi alcuni membri della Federal Reserve (la banca centrale statunitense), accusati di avere utilizzato (in modo legale ma non eticamente ineccepibile) le informazioni a loro disposizione per speculare sui mercati finanziari, sembrava avere messo seriamente a rischio la rinomina dell’attuale governatore, Jerome Powell (creando così incertezza sulla guida futura della politica monetaria) ma negli ultimi giorni la probabilità di una conferma del mandato (in scadenza a febbraio) sono aumentate significativamente, tranquillizzando così gli investitori.

 

Lo stesso Powell ha nei giorni scorsi rassicurato i mercati in merito alle evoluzioni del tasso di inflazione (uno dei maggiori rischi alla prosecuzione del cammino di crescita dell’economia) ed alla “pazienza” nei suoi confronti da parte della Fed (non certo intenzionata ad aumentare, ancora, i tassi di interesse), dopo averne atteso ed auspicato il ritorno per molti anni.

 

In campo sanitario, poi, i risultati dei test delle pillole antivirali per le persone affetta da Covid pubblicati da parte di Pfizer sono stati molto confortanti, mostrando una riduzione di quasi il 90% dei ricoveri ospedalieri e dei decessi.

 

Meno efficaci (con un ridimensionamento del 50% dei casi più gravi) ma promettenti sembrano essere le cure in sperimentazione da parte della Merck, un’altra casa farmaceutica statunitense.

 

La settimana scorsa erano inoltre attese con curiosità le elezioni dei governatori in Virginia e nel New Jersey che hanno alla fine confermato la perdita di consenso del Presidente Biden e del partito democratico (pur mantenendo il proprio governatorato nel New Jersey).

 

Questo rende più probabile che tra un anno, alle elezioni di metà mandato, i repubblicani possano tornare a controllare la camera dei rappresentanti (mentre il senato potrebbe rimanere in mano ai democratici); un simile scenario non dispiace affatto ad economisti ed analisti finanziari in quanto potrebbe limitare gli eccessi di spesa proposti dal presidente e rendere più equilibrata la gestione della spesa pubblica nella seconda parte del suo mandato.

 

Malgrado una sempre maggiore rifocalizzazione sulla politica economica domestica, iniziata da Trump e non certo smentita da Biden, rimane cruciale il comportamento dell’economia statunitense (dove si produce un quarto circa del PIL mondiale) anche per le sorti del nostro vecchio continente (in special modo in una fase storica che si sta caratterizzando per il ridimensionarsi della crescita economica cinese) ed i segnali positivi fanno ben sperare.

Gli Stati Uniti, d’altronde, sono forse il solo luogo al mondo dove il miracolo economico non ha mai smesso di rinnovarsi e possiamo ben dire, citando Thomas Wolfe, che “… è un paese favoloso, l’unico paese favoloso, l’unico posto dove i miracoli non solo avvengono, ma dove accadono ogni momento”.

Ciò non può naturalmente fare dimenticare come i prossimi mesi saranno molto delicati, in special modo per i colli di bottiglia ancora presenti nel sistema produttivo (responsabili in buona parte dell’aumento dei prezzi di beni, materie prime e servizi ai quali stiamo assistendo) e per una possibile ripresa, stagionale, dei contagi ma, se queste difficoltà saranno superate senza troppi affanni, potremo poi assistere, dalla prossima primavera, alla continuazione di un ciclo economico positivo ed ancora nella sua fase iniziale.

 

La ripresa mondiale (rinata dalle ceneri della pandemia) è ancora molto giovane proprio come lo è l’America secondo Bruce Chatwin: “Giovane, innocente e crudele”.

Celeste Impero e cieli azzurri

IL PUNTASPILLI di Luca Martina 

 

La ventiseiesima Conferenza delle parti (Conference Of Parties, COP26) che hanno aderito alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti climatici, trattato nel cui ambito è stato siglato l’Accordo di Parigi ha iniziato domenica i suoi lavori a Glasgow, in Scozia.

 

Si tratterà di trovare un accordo tra i principali Paesi per ridurre l’inquinamento ed arrestare il trend in corso (di fatto dalla rivoluzione industriale del diciannovesimo secolo) al surriscaldamento del pianeta.

 

L’obiettivo esigerà una azione decisa su più versanti: dalla riduzione dell’utilizzo del carbone all’arresto della deforestazione, dall’utilizzo di veicoli elettrici al massiccio investimento nelle risorse energetiche rinnovabili.

 

Durante gli incontri preparatori durante il G20 di Roma non si sono fatti sostanziali passi avanti al di là dell’accordo a non finanziare i progetti di produzione energetica basati sul carbone al di fuori dei propri confini (ma non all’interno, come fatto recentemente dalla Cina).

 

Cruciale sarà il ruolo dei Paesi emergenti che contribuiscono ai due terzi delle emissioni di CO2 e che necessiteranno dell’aiuto economico dei Paesi più industrializzati.

 

La sola Cina si stima che sia il principale responsabile, con il 28% del totale, della produzione di anidride carbonica, pur essendo solo al tredicesimo posto nelle emissioni pro-capite.

 

Il Paese più popoloso del mondo ha aderito alla richiesta di procedere alla riduzione delle sostanze inquinanti ma la data della “neutralità” (“net zero emissions”) che ha fornito, ”entro  il 2060”, è lontana da quella proposta dagli altri Paesi (il 2050).

 

L’impressione è che l’attenzione della leadership cinese sia in questo momento rivolta più ad un consolidamento politico interno che a perseguire un impegno deciso sul fronte del riscaldamento globale (rinunciando ad una fonte energetica ancora fondamentale per il paese asiatico come il carbone).

 

Il 7 novembre inizierà, infatti, l’assemblea plenaria del Comitato Centrale Cinese ed avrà come piatto forte una nuova “Risoluzione sulla storia”.

 

Si tratterà della terza “risoluzione” in cent’anni di storia del gigante asiatico e precederà di un anno esatto la terza riconferma di Xi Jinping a capo del Partito, nel 2022.

 

Le “risoluzioni” hanno sempre caratterizzato in Cina dei momenti di snodo, storicamente rilevanti, e sono state utilizzate per rafforzare la leadership al governo e per porre fine alle lotte di potere al vertice della politica cinese.

 

La prima venne elaborata da Mao Zedong nel 1945, per affermare la sua leadership unica sul partito e sbarazzarsi senza tanti scrupoli dei suoi rivali interni, e la seconda da Deng Xiao Ping nel 1981, con l’ammissione degli errori della Rivoluzione culturale, l’adozione di una politica di apertura, senza rinnegare il pensiero del “Grande timoniere”, e l’introduzione di un’economia di mercato (al fianco di quella governata dallo Stato).

La risoluzione che verrà discussa la prossima settimana non potrà che riaffermare l’importanza di Xi Ping e della politica della “Prosperità comune”  (della quale ho parlato nell’articolo: https://iltorinese.it/2021/10/19/prosperita-e-carbone/) nella storia del Paese.

 

L’obiettivo finale, più volte dichiarato, è quello di costruire entro il 2049, il centesimo anniversario della Cina Moderna, un grande e moderno Paese socialista capace di inaugurare una nuova fase del “socialismo con caratteristiche cinesi”.

 

Anche in questa occasione la pianificazione sui tempi lunghi rimane una delle caratteristiche della Cina e non a caso un suo celebre detto recita: “ci vuole un decennio per coltivare gli alberi, ma un secolo per coltivare gli esseri umani”.

 

E’ molto forte, quindi, la sensazione che gli interessi del Celeste impero saranno, almeno per il momento, posti di fronte a quelli, globali, di avere cieli più azzurri ed una crescita più sostenibile.

 

Sperando ardentemente di essere smentito, consiglio di seguire con attenzione gli sviluppi della politica cinese cercando di individuarne le evoluzioni ed i mutamenti, qualche volta lenti e quasi impercettibili.

 

D’altronde, come diceva Confucio, non importa quanto lentamente vai finché non ti fermi.

 

Nel frattempo saranno i Paesi occidentali che dovranno guidare il cambiamento e mantenere viva la speranza di un mondo migliore.

 

Eppur si muove…

Nero petrolio

IL PUNTASPILLI di Luca Martina 

 

Il prezzo del petrolio ha toccato negli ultimi giorni dei livelli che non si vedevano dal 2018. 

 

Sembra lontanissimo il ricordo di quando, appena 18 mesi orsono, nell’aprile del 2020, incamerando un barile di petrolio, consegnato a fine maggio, si poteva incassare fino a 40 dollari (non sapendo dove depositare il greggio acquistato tramite i contratti “future”, gli investitori erano disposti a pagare pur di sbarazzarsene).

La forte, e per molti inattesa, ripresa dell’economia nella seconda parte del 2020 ha rappresentato uno shock che ha rapidamente fatto impennare il prezzo del carburante che ora può nuovamente fregiarsi del titolo di “oro nero”.

 

Non si tratta certamente del primo caso: più volte in passato le oscillazioni del combustibile hanno sorpreso per la loro violenza.

 

Ma questa volta si inserisce un nuovo elemento.

 

La pandemia, oltre ai drammatici riflessi umani ed economici, ha prodotto un accresciuto interesse verso l’ambiente ed i rischi legati al cambiamento climatico indotto dall’uomo.

 

Il gap delle emissioni di CO2 rispetto al livello fissato durante gli Accordi di Parigi del 2015 rimane molto ampio.

 

Il rallentamento economico del 2020 ha prodotto solo una modesta, del 7%, riduzione delle emissioni inquinanti ed abbondano gli inviti ad un’azione più decisa per ridurre l’utilizzo di combustibili fossili.

 

Le fonti rinnovabili rappresentano oggi quasi la metà della produzione di energia elettrica in Europa e poco meno di un terzo negli Stati Uniti.

 

Non si tratta di una quota trascurabile ma occorre considerare come i due terzi dei consumi petroliferi siano dovuti ai trasporti e la loro riconversione sarà graduale e richiederà parecchi anni.

 

Per rendersene conto basta pensare allo “strano caso” della Norvegia.

 

Nel Paese scandinavo, il tredicesimo produttore al mondo di petrolio, le vendite di autovetture elettriche costituivano già il 60% nel 2020 ed a settembre di quest’anno erano ulteriormente salite al 78% del totale.

 

Ciò nonostante i consumi norvegesi non si sono minimamente ridotti.

 

I nuovi veicoli elettrici, infatti, costituiscono ancora solo una piccolissima parte del parco auto circolante (per lo più alimentato a benzina).

 

A livello mondiale le vendite di veicoli elettrici sono oggi circa il 3% del totale e l’obiettivo di raggiungere il 60% entro il 2030 appare molto ambizioso.

 

Di fronte a queste incertezze i giganti del settore energetico hanno congelato o ridimensionato i nuovi investimenti, nel timore che un brusco rallentamento nella domanda di greggio possa, tra qualche anno, renderli non più convenienti.

 

L’IEA (l’Agenzia internazionale dell’energia, un’organizzazione internazionale intergovernativa fondata nel 1974 in seguito allo shock petrolifero dell’anno precedente) stima che i consumi scenderanno, entro il 2030, del 29% e provocheranno così una discesa del prezzo a 35 dollari (dagli 85 attuali).

 

Avviene così che l’apertura di nuovi pozzi e gli investimenti in nuovi impianti vanno a rilento e l’estrazione fatica a tenere il passo della domanda.

 

Non va peraltro trascurato il fatto che anche la produzione proveniente dalle fonti rinnovabili comporta un notevole dispendio di risorse inquinanti (e di petrolio).

 

Un recente studio della società di consulenza indipendente Alpine Macro (“The chaotic energy transition”, 12 ottobre 2021) ha messo a confronto i valori del rapporto tra energia prodotta (e immagazzinata) ed energia consumata per la sua produzione per le principali fonti energetiche (l’ EROI, Energy Return on Investment).

 

Questo calcolo tiene conto, ad esempio, che per produrre le turbine eoliche occorre acciaio ed alluminio che, a loro volta, richiedono grandi consumi di energia per essere prodotti.

 

Senza volere andare troppo nello specifico di un dibattito già molto acceso (dove sono in grande crescita gli estimatori del nucleare, la fonte che emergerebbe come la più efficiente con un EROI di 70, rispetto ai meno di 3 del fotovoltaico), tutto ciò contribuisce a rendere molto complessa ed incerta la previsione del mix energetico dei prossimi anni.

 

Per rimanere ai nostri giorni, il rallentamento dell’economia, su ambedue le sponde dell’oceano, potrebbe riportare presto un maggiore equilibrio sul mercato ed una stabilizzazione e, successivamente, un ridimensionamento del prezzo del barile (e delle altre materie prime) e con questo del tasso di inflazione.

 

L’andamento dei prezzi al consumo è una delle maggiori preoccupazioni dei banchieri centrali che hanno nella custodia della loro stabilità una delle loro funzioni principali e che con la loro azione (decidendo, ad esempio, di aumentare i tassi di interesse) potrebbero complicare l’andamento dell’economia.

 

Il governatore della Banca centrale statunitense, Jerome Powell, in un discorso tenuto nei giorni scorsi, ha rinunciato a definire come “temporanea” l’attuale inflazione ed ha, invece, sottolineato come essa permarrà elevata anche nei primi mesi del nuovo anno, provocando un brivido nella schiena degli investitori.

 

Non è il caso di essere troppo pessimisti ma occorrerà prestare la massima attenzione e non farsi spaventare da eventuali reazioni scomposte da parte dei mercati finanziari.

 

La transizione verso un futuro più sostenibile comporterà, inevitabilmente, dei mutamenti che potranno provocare, per alcuni settori, conseguenze negative ma che creeranno, in tempi più lunghi, benefici ben superiori.

 

Dovremo fare i conti con i carburanti fossili ancora per molti anni ma la minaccia rappresentata dalle loro emissioni inquinanti (e dalle oscillazioni del loro prezzo) dovrebbe gradualmente ridursi, con effetti positivi anche in campo geopolitico (con una riduzione del potere esercitato dai Paesi produttori).

Il futuro, insomma, sarà un po’ meno nero…petrolio.