Al torinese Palazzo Cavour il via alle celebrazioni per il Cinquecentenario della scomparsa del Genio di Vinci
Mostra “apripista”, quella inaugurata sabato 9 febbraio nelle Sale di Palazzo Cavour a Torino, che ben si inserisce nel frenetico tourbillon di iniziative pensate e progettate sotto la Mole (ma anche a Firenze, a Milano, ovviamente a Parigi custode della“Giocanda” – il ritratto e il sorriso in arte più famoso al mondo – e un po’ ovunque su scala internazionale) per celebrare i 500 anni trascorsi dalla scomparsa di Leonardo Da Vinci, il Genio dei Geni, “avente qualità trascendenti la stessa natura – scriveva nelle sue “Vite” il Vasari – meravigliosamente dotato di bellezza, grazia e talento in abbondanza”. Figura simbolo del 2019, Leonardo di ser Piero da Vinci, nato ad Anchiano il 15 aprile del 1452, morì infatti in Francia, ad Amboise – dov’era stato invitato dallo stesso sovrano Francesco I che gli conferì il titolo di “premier peintre, architecte et mecanicien du roi” – nel 1519. Accanto a lui, l’inseparabile allievo Francesco Melzi, Leonardo spirò il 2 maggio di quell’anno. Cinque secoli fa. E l’anniversario cade giusto fra una manciata di mesi. Di qui il fervore commemorativo con cui da tempo e da più parti si mettono in agenda importanti e suggestivi eventi. Ovunque si possa. In ogni modo e maniera. Appigliandosi a qualsiasi frammento di memoria. Di meraviglie dell’arte e della scienza. Di particolari pittorici. Di capolavori creativi o di bizzarre mirabolanti invenzioni. Perché a quel gran Genio che fu Leonardo, fra i massimi archetipi dell’uomo “universale” proprio del Rinascimento, tutto appare (ed è) dovuto. Originale, in quest’ottica, anche la scelta espositiva che a Palazzo Cavour, sotto l’organizzazione di Next Exhibition e la curatela storico-artistica di Nicola Barbatelli, vede idealmente ricreata, fino al 12 maggio prossimo, la Bottega aperta a Milano da Leonardo negli anni ’80 del Quattrocento, in quella Corte Vecchia di fronte al Duomo, dove confluirono numerosi allievi, i cosiddetti “leonardeschi”, i cui tratti pittorici spesso si riflettono e si confondono nelle cifre stilistiche e nei narrati del Maestro. Tanto da renderne incerte, a volte, le stesse attribuzioni. Degli uni e dell’Altro.
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Sono venticinque in tutto le opere esposte. In tre meritano la più assoluta attenzione (ad ognuna è riservata un’intera sala e la custodia in teche di vetro), in quanto opere che con altissima probabilità portano i segni palesi di interventi aggiuntivi attribuibili allo stesso Leonardo o sono comunque espressione di una collaborazione fattiva e concreta fra il Maestro e la sua Scuola. In primo piano, la “Maddalena discinta”, olio su tavola menzionato per la prima volta nel 1929 dallo storico dell’arte Wilhelm Suida (che in allora lo attribuì al Giampietrino, fra i migliori seguaci di Leonardo) e apparso brevemente nel 1949 in una mostra a Los Angeles, per poi misteriosamente scomparire e altrettanto misteriosamente ricomparire in Svizzera, in una collezione privata. Nel 2005 l’opera fu nuovamente esposta alla “Mole Vanvitelliana” di Ancona, suscitando l’entusiasmo del decano degli studiosi vinciani, Carlo Pedretti, che in essa intuì la strettissima collaborazione fra Leonardo e l’allievo Marco d’Oggiono. In particolare, secondo Pedretti, alla mano del Maestro andrebbe riferito “quel paesaggio sullo sfondo fatto di giochi di luce e ombra, così vicino a quello della Gioconda”, non meno che il sorriso ambiguo ed enigmatico della Maddalena ritratta “in estasi”. Tracce autografe di Leonardo ben accertabili ancora oggi, e pur anche rilevabili in altri due celebri disegni in mostra a Palazzo Cavour: la “Testa d’uomo” ( già esposta alla Reggia di Venaria nel 2012), realizzata a punta metallica con lumeggiature di biacca su carta, opera del Maestro probabilmente “ripassata” da un allievo e lo “Studio da cavalli e cavalieri” (attribuito), eseguito a penna e inchiostro marrone su carta quale “frammento di pensiero” per la Battaglia di Anghiari, grande pittura murale commissionata a Leonardo nel 1503 per il “Salone dei Cinquecento” di Palazzo Vecchio a Firenze e andata tristemente perduta. Accanto a queste, troviamo in parete un’altra ventina di opere nate all’interno della meneghina Bottega leonardesca e realizzate, solo per citare alcuni nomi, da Gian Giacomo Caprotti (il “Salaì”) autore di un luminoso e vivido “Cristo fanciullo”, come dal Giampietrino (al secolo Giovanni Pietro Rizzoli) cui si deve la “Santa Caterina d’Alessandria”, tema trattato anche da Marco d’Oggiono, via via fino a Cesare da Sesto, con il grande olio su tela raffigurante “San Gerolamo in penitenza” e a Bernardino Scapi detto Bernardino Luini con la sua “Marta e Maria Maddalena”, perfetto e suggestivo esempio del caratteristico “sfumato” leonardesco.
Gianni Milani
“La Bottega di Leonardo. Opere e Disegni in Mostra”
Palazzo Cavour, via Cavour 8, Torino; tel. 011/19214730 – 0881178
Fino al 12 maggio – Orari: dal lun. al ven. 10/18, sab. e festivi 10/20, dom. 10/18
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