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Una Pasqua di cultura nei musei di Torino

Moltissimi i visitatori – turisti e torinesi – durante il ponte pasquale nei musei di Torino

Da venerdì 29 marzo a lunedì 1° aprile 2024, sono state 21.850 le persone che hanno visitato le collezioni dei Musei Reali (16.039), la mostra L’Autoritratto di Leonardo. Storia e contemporaneità di un capolavoro (2.919), allestita fino al 30 giugno alla Biblioteca Reale, e l’esposizione dedicata a Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino(2.892), in corso alle Sale Chiablese, fino al 28 luglio.

Un risultato che supera di 5.558 unità, il dato relativo al weekend di Pasqua dello scorso anno.

L’Autoritratto di Leonardo. Storia e contemporaneità di un capolavoropropone un’occasione eccezionale per conoscere ed esplorare da vicino l’opera di Leonardo da Vinci e ammirare alcuni dei suoi capolavori conservati nel patrimonio dei Musei Reali.

Allestita nelle due sale-caveau della Biblioteca Reale, realizzate nel 1998 e nel 2014 con il sostegno della Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino, l’esposizione, in una versione totalmente inedita curata da Paola Salvi, docente all’Accademia di Belle Arti di Brera, si propone di inquadrare storicamente il celeberrimo Autoritratto di Leonardo da Vinci a partire dagli anni della sua realizzazione, seguendo le tracce che ne documentano la conoscenza nel secondo Cinquecento e nel primo Ottocento, prima del suo arrivo alla Biblioteca Reale di Torino, e la successiva consacrazione e divulgazione.

A impreziosire questo racconto per immagini, la Galleria Sabauda dedica per la prima volta una sala a venti opere eseguite da pittori leonardeschi – allievi, seguaci e imitatori del Maestro – nelle quali si evidenzia l’attualità della lezione di Leonardo.

La rassegna, dal titolo GUERCINO. Il mestiere del pittore, con oltre 100 opere di Guercino e di artisti coevi, provenienti da più di 30 importanti musei e collezioni – tra cui il Prado e il Monastero dell’Escorial – presenta la grande arte del Maestro emiliano e insieme raccontare il mestiere e la vita dei pittori del Seicento, in un affascinante, grande affresco del sistema dell’arte.

Sono ben 16.500 le persone – 1.500 in più rispetto allo scorso anno – che hanno visitato il Museo Nazionale del Cinema alla Mole Antonelliana da venerdì 29 marzo al 1 aprile, giorno di Pasquetta.

Numeri record confermati dalla biglietteria online sold-out da più di un mese, tant’è che si è reso necessario allungare l’orario di apertura per soddisfare le numerose e incessanti richieste. E, nonostante la pioggia battente degli ultimi giorni, si sono formate dalle lunghe code fuori della Mole per acquistare gli ultimi biglietti rimasti, con tempi di attesa superiori alle 3 ore.

Marzo si è inoltre confermato il mese che ha avuto più visitatori al Museo Nazionale del Cinema dalla sua apertura, con la cifra record di oltre 93.000 presenze, polverizzando il precedente record di 92.000 dell’aprile 2017.

“Sono numeri ottimi, strabilianti, ottenuti grazie alla mostra di Tim Burton e alle iniziative incentivanti che il Museo Nazionale del Cinema sta portando avanti con una politica museale attenta e ad ampio raggio – sottolinea Enzo Ghigo, presidente del Museo Nazionale del Cinema. Siamo particolarmente orgogliosi della risposta del pubblico, ancora una volta il vero protagonista di questo successo: il record assoluto di marzo 2024, con oltre 93.000 presenze, non fa altro che confermare il trend positivo del 2023, anno in cui il museo ha avuto ben 755.000 visitatori, altro record assoluto dalla sua apertura”.

“La mostra di Tim Burton è strabiliante e altrettanto fantastici sono i risultati che stiamo ottenendo – dichiara Domenico De Gaetano, direttore del Museo Nazionale del Cinema. È andata oltre le nostre migliori aspettative, eravamo consapevoli che un personaggio come lui potesse attrarre tantissimi visitatori di tutte le età: per la prima volta sono i figli a chiedere ai genitori di portarli al museo a vedere la mostra, quando quasi sempre capita il contrario. È un messaggio bellissimo che ci rende tutti soddisfatti e ci motiva a continuare in questa direzione”.

 

Durante le festività di Pasqua da venerdì 29 marzo a lunedì 1° aprile i visitatori al MAUTO – Museo Nazionale dell’Automobile sono stati di quasi 10 mila, circa il 20% in più rispetto all’affluenza dello scorso anno con 8.100 ingressi.

 

Un buon risultato ottenuto sia grazie alle attività che il Museo ha organizzato in questi giorni, come le visite guidate, le attività dedicate alle famiglie e l’iniziativa promozionale legata al simulatore di guida, sia grazie al richiamo delle due mostre in corso, che termineranno domenica 7 aprile: Drive Different. Dall’Austerity alla mobilità del futuro” – cinquant’anni di politiche sulla mobilità, di ricerca tecnologica sui  motori, di progettazione delle nuove aree urbane, di innovazione nel trasporto pubblico e di invenzioni futuristiche – e “Pagani. 25 anni di cuore, mani e passione”, che ripercorre l’avventura imprenditoriale di Horacio Pagani, iniziata negli anni Sessanta in Argentina e proseguita nel cuore della Motor Valley italiana.

 

Sono 15.400 le persone che hanno visitato, negli stessi giorni le collezioni permanenti e le mostre in corso alla GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, al MAO Museo d’Arte Orientale e a Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica.

Triplicati i numeri rispetto allo scorso anno, anche grazie al grande successo delle mostre Hayez. L’officina del pittore romantico alla GAM, in chiusura nel weekend di Pasqua, di Liberty. Torino capitale a Palazzo Madama e Tradu/izioni dall’Asia al MAO.

In particolare, sono stati 7.037 i visitatori della GAM1.861 quelli del MAO e 6.440 quelli di Palazzo Madama.

Premio InediTO, alla Scuola Holden “Dall’IO all’IA”

Il presente del Premio InediTO – Colline di Torino è radioso, a giudicare dai risultati (pubblicati sul sito www.premioinedito.it) della partecipazione al bando uscito a novembre dello scorso anno e scaduto a febbraio, che si interrogava su un quesito quanto mai attuale, “Dall’IO all’IA, quale futuro per la scrittura?”, nuovo input grafico della ventitreesima edizione, escludendo, per la prima volta in un concorso letterario, testi generati da software di intelligenza artificiale.

Sarà nuovamente la Scuola Holden di Torino a ospitare dal vivo (ingresso libero) nella sala del General Store, mercoledì 3 Aprile ore 18:00, la designazione dei finalisti, trasmessa anche attraverso una diretta streaming Facebook dalla pagina del premio. Parteciperanno all’evento Margherita Oggero, presidente della Giuria, Valerio Vigliaturo, direttore del concorso e membro del Comitato di Lettura affiancati da Valentino Fossati, Riccardo Levi, Clara Calavita, Davide Bertelè, Fabio Bisogni, Beneddetta Marchiori che da mesi sono impegnati nella selezione dei testi ricevuti per le sette sezioni dedicate a tutte le forme di scrittura (poesia, narrativa, saggistica, teatro, cinema musica), secondo i criteri di valutazione del premio.

827 gli iscritti e 869 le opere ricevute da tutta Italia e dall’estero (Giappone, Inghilterra, Germania, Francia, Belgio, Svizzera, Spagna, Lussemburgo, Romania, Slovenia, San Marino, Grecia) di 28 autori che si sono trasferiti per studio o lavoro, e hanno spedito il materiale cartaceo da ogni parte del mondo, nonostante la distanza, a testimonianza della passione e volontà di chi manifesta ancora la propria creatività attraverso l’intelligenza naturale. Mentre, sono nati in Argentina, Brasile, Messico, Costa Rica, Francia, Olanda, Belgio, Svizzera, Romania, Slovacchia, Albania, Iran, i 20 iscritti residenti nella nostra penisola, a conferma sempre più dell’internazionalità e inclusività del premio.

Tra gli iscritti, diversi hanno già partecipato e sono stati premiati, menzionati o finalisti nelle passate edizioni, segno della fiducia riposta nel premio. Il più giovane concorrente è una minorenne del 2011 nata a Rivoli (TO), il più anziano in vita è nato nel 1937 a Giardini Naxos (ME), mentre è del 1921 (novantanni prima dell’autrice più giovane) l’autore non vivente, Giorgio Buridan, nato a Stresa (VB) iscritto da una curatrice per il premio speciale “InediTO RitrovaTO”, che ha già ricevuto una menzione la scorsa edizione. Sommando le percentuali dagli iscritti minorenni (17 che potranno concorrere per il premio speciale “InediTO Young” e non hanno pagato la quota d’iscrizione insieme a scuole e operatori culturali “minori”, detenuti, diversamente abili), fino a quelli dei cinquantenni si ottiene una percentuale del 57%, la maggioranza, un dato quindi incoraggiante per l’evoluzione della scrittura.

Il risultato finale è uno dei migliori del premio dopo il boom d’iscrizioni raggiunto nel 2021 (1.249 iscritti e 1.382 opere) e nel 2022 (865 iscritti e 945 opere) maturati durante la parentesi pandemica. In particolare, la Poesia è tornata a essere la sezione con più iscritti, seguita di pochissimo dalla Narrativa-Romanzo e in ordine dalle categorie della Narrativa-Racconto e Testo Teatrale, con un netto incremento delle sceneggiature.

A valutare le opere finaliste dopo la designazione sarà la Giuria formata dai poeti Aldo Nove (a grande sorpresa nelle vesti di giurato), Francesca Serragnoli, dagli scrittori Piersandro Pallavicini, Eleonora C. Caruso, Graziano Gala, Elena G. Mirabelli, Giuseppe Lupo, Sonia Caporossi, dagli attori Federica Fracassi, Alessandro Averone, dai registi Adriano Valerio, Irene Dorigotti, dai cantautori Peppe Voltarelli, Carolina Bubbico e dai vincitori della passata edizione.

La proclamazione dei vincitori si terrà a maggio al Salone del Libro di Torino e sarà seguita dalla premiazione attraverso la consegna dei premi e il reading sonorizzato dedicato alle opere dei vincitori.

Una Pasqua culturale a Sauze d’Oulx

SAUZE D’OULX – Una Pasqua all’insegna della cultura a Sauze d’Oulx. Due gli appuntamenti proposti dall’Associazione “Chambra d’OC”. La domenica di Pasqua 31 marzo, alle ore 18 presso la sala conferenze dell’Ufficio del Turismo in viale Genevris 7 verrà presentato e proiettato il docufilm: “Ambin la roccia e la piuma“ con la regia di Fredo Valla. Un film prodotto da Ines Cavalcanti per Chambra d’Oc, dall’Unione Montana Alta Valle Susa e dalla Regione Piemonte all’interno del progetto “AMB.ENIS – Interreg V-A Italia Francia ALCOTRA”.

Il regista Fredo Valla introduce alla visione del suo docufilm: “Il Massiccio d’Ambin: un acrocoro, un deserto d’alta quota sul confine fra l’Italia e la Francia che l’aridità del mutare del clima colora nei toni dell’ocra. Quindici cime oltre i tremila metri. E laghi e roccia e ghiacciai. Persino di incontro (e scontro) di lingue: d’oc, francoprovenzale, italiano, francese… piemontese”.

L‘Associazione Chambra d’Oc organizza poi per il Lunedì di Pasquetta 1° aprile la presentazione del libro “Riti alpini – Feste patronali in Alta Valle Susa“ di Pierangelo Chiolero. L’appuntamento è per le ore 21 al bar “Scacco Matto” di piazzale Miramonti 9.

Un viaggio all’interno della cultura e delle tradizioni dell’alta Val di Susa, è quello racchiuso in “Riti Alpini”, il nuovo libro di Pierangelo Chiolero. Adatto al pubblico più variegato, dal turista incuriosito fino al ricercatore in cerca di approfondimenti, il libro ripercorre il viaggio del protagonista attraverso nove comuni dell’Unione Montana Alta Valle di Susa. Durante il suo percorso, il protagonista annota su di un taccuino le osservazioni effettuate su questo mondo, fatto di feste patronali, storia, cultura, curiosità e lingue. Il lettore si ritrova così catapultato in una dimensione senza tempo, basata su persone, gesti e ritualità che scandiscono il ritmo delle giornate dell’Unione Montana. La storia inizia proprio con una di queste feste, la festa Patronale di Bardonecchia, in cui tra costumi, simbolismo e tradizioni, collettività e sacro si fondono e prosegue toccando i Comuni di Oulx, Salbertrand, Exilles, Chiomonte, Gravere, Meana, Giaglione e Moncenisio. Ed è proprio grazie alle vicissitudini del protagonista viaggiatore che veniamo a conoscenza di molteplici aspetti culturali dell’Unione Montana, compreso quello linguistico: una Valle che ospita al suo interno ben tre varianti linguistiche (francese, occitano e francoprovenzale).

Intanto prosegue sino a domenica 5 maggio la mostra “Arti e costumi dell’alta Valle di Susa”: Mostra di costumi tradizionali ed oggetti allestita dal “Groupe ‘d Tradisioun Populer Aoute Doueire“ e visitabile tutti i giorni dalle 9 alle 12 e dalle 15 alle 18 presso l’Ufficio del Turismo in viale Genevris 7.

“Ciau Masino”. Capolavori ritrovati della Letteratura

Prende avvio, con la “prima opera compiuta” di Cesare Pavese, la Collana del “Capricorno” tesa a riscoprire i “Classici della letteratura”

“Opera sperimentale”, nasce come ciclo di racconti e poesie che Cesare Pavese (Santo Stefano Belbo – Cuneo, 1908 – Torino, 1950) scrisse fra il settembre del 1931 ed il febbraio del 1932. Storia non facile, quella di “Ciau Masino” rimasto per lungo tempo inedito e pubblicato, per la prima volta, solo nel 1968 (diciotto anni dopo la tragica scomparsa del grande “cantore di Langa”) da “Einaudi” nel volume dei “Racconti”. Dopo di allora, il silenzio. “Ciau Masino”, come libro autonomo, non venne mai più riproposto. Solo oggi, dopo più di cinquant’anni di assenza dalle librerie, “Capricorno” (nel suo nuovo brand – non più “Edizioni del Capricorno” – più essenziale, moderno ed immediatamente riconoscibile) ripropone la prima affascinante prova narrativa del “giovane” Pavese” nella sua originaria integrità.

Il libro pavesiano, come molti sapranno, si  articola in brevi racconti divisi, due alla volta, da una poesia che “serve ad intercalare e a dare la scansione del racconto”. I protagonisti della narrazione sono Masino, giovane giornalista, e Masin, operaio che arriva a Torino dalle colline della “Granda”. Testo “sperimentale” – si è detto – non solo per quell’insolito alternarsi di racconto e poesia, ma anche per l’utilizzo del dialetto, di un dialetto che non va mai ad intaccare, tuttavia, lo scorrere narrativo e che, invece, fa la sua comparsa solo nelle parti dialogate.

In “Ciau Masino” Pavese traccia “racconti paralleli” in cui già si individuano tematiche che saranno, anni dopo, al centro dei capolavori della maturità: il contrasto fra campagna e città, il desiderio di appartenere a un ambiente sociale cui si è incapaci di aderire e quello di evadere in un altrove mitico. E ancora, la  straordinaria, sobria Torino degli anni Trenta e quelle sue colline di Langa, radicate per tutta la vita nel cuore, nei pensieri e nell’anima dello scrittore. Insomma, con “Ciau Masino” si entra in presa diretta nel “laboratorio fondativo” delle tematiche pavesiane, trovandosi di fronte a un suggestivo “ritratto dell’artista da giovane”.

L’opera “ è la più sfaccettata e sfacciata mai scritta da Pavese – scrive Massimo Tallone nella prefazione – ardita nella struttura che allude al caleidoscopio di racconti, tutti autoconclusi e pur concatenati; libera nel palleggio fra prosa e stacchi in versi; sfrontata nell’uso dei dialetti.

“Ciau Masino” è il primo titolo della nuova collana “Capolavori ritrovati della letteratura”, pensata da “Capricorno” per rendere nuovamente disponibili ai lettori scrittori fondamentali e outsider di genio, romanzi imperdibili ma da tempo non più disponibili sugli scaffali delle librerie oppure ingiustamente dimenticati dalla vulgata letteraria. Temi e autori storici della letteratura fra Ottocento e Novecento. In una “Collana” che mette insieme grandi classici, riproposti con lo sguardo degli scrittori di oggi, e gustose (ri)scoperte capaci di stupire il lettore. Libri che da troppo tempo non vengono letti, riportati nel posto che loro compete: il “Gotha” della grande letteratura senza tempo.

Dopo Pavese, seguiranno Guido Gozzano (“L’altare del passato”), Edmondo De Amicis (“Amore e ginnastica”) e Carolina Invernizio (“Nina la poliziotta dilettante”).

Per info: “Capricorno”, via Borgone 57, Torino; tel. 011/3853656 o www.edizionidelcapricorno.com

g.m.

Nelle foto:

–       Cover “Ciau Masino”, “Capricorno – Capolavori ritrovati”

–       Nuovo logo “Capricorno”

–       Massimo Tallone

Missionari e civiltà contadina, i musei del Colle Don Bosco

Ci sono le spade dei samurai, i mitici guerrieri giapponesi, le armi da lancio dei gauchos delle pampas argentine, il tucano, l’anaconda, utensili giunti dall’India e dalla foresta amazzonica per la tessitura, la pesca e la caccia, statue dei Buddha, arnesi domestici, abiti e ornamenti. Non mancano oggetti di uso quotidiano realizzati con abilità e con materiali a noi più o meno sconosciuti come la fibra intrecciata, la corteccia battuta, le penne di vari uccelli, la seta, la lacca. Un’ampia parte del Museo etnologico missionario al Colle don Bosco è dedicato alla natura e agli animali imbalsamati come felini, serpenti e volatili di ogni specie.
La collezione comprende più di 10.000 reperti, non tutti esposti, giunti in Italia nel 1925 provenienti da quattro continenti e portati al Colle dai missionari salesiani presenti in 134 nazioni. La mostra permanente, divisa per continenti, inizia dall’America Latina per passare all’Africa, Asia e Oceania. Oggi come ieri i missionari di Don Bosco diffondono nel mondo il messaggio cristiano dedicandosi all’educazione dei giovani, alla formazione professionale, al volontariato in ospedali e ambulatori e prestando il loro aiuto in occasione di emergenze come calamità naturali, guerre e carestie. Dedicato al cardinale Giovanni Cagliero, il salesiano castelnovese che guidò la prima spedizione missionaria voluta da don Bosco nel 1875 in Argentina, il Museo etnologico missionario fa parte del complesso di strutture edificate intorno al Colle Don Bosco.
Tutto il materiale artistico e culturale raccolto dai missionari in Giappone, America Latina, Sud-est asiatico e Paesi africani, documenta la loro attività e fa conoscere le tante culture presso le quali hanno vissuto e dove continuano ancora oggi la loro missione. Aperto il 31 gennaio 1988, nel centenario della morte del Santo dei giovani, il Museo è stato riordinato nel 2000 con un nuovo allestimento. Il percorso della mostra inizia dalla Patagonia e dalla Terra del Fuoco dove è iniziata l’attività dei missionari mandati da Don Bosco tra gauchos argentini e popolazioni minacciate dalle malattie e dagli allevatori di bestiame. Poi si entra in Paraguay e in Bolivia, Ecuador, Brasile e Venezuela. Gli oggetti usati nelle case in Kenya ci portano in Africa con contenitori per gli alimenti, coltelli, pestelli per il granoturco, collane o tabacchiere. Maschere e strumenti musicali sono i protagonisti delle danze che ritmano gli eventi della vita quotidiana in Africa come le invocazioni agli spiriti e agli antenati o gli incontri delle società segrete. Dopo una breve puntata in Oceania si passa in Giappone e in Cina e poi in India e nel Sud est asiatico. L’ingresso al Museo missionario è gratuito, le sale sono aperte da martedì a sabato con orario 10-12 / 14,30-18,00, domenica 10,30-12,30 / 14-18 (lunedì chiuso).
Dall’altro lato del complesso salesiano, a pochi passi dalla casetta dove nacque don Bosco, si trova il Museo della Civiltà contadina dell’Ottocento dove ci sono le radici contadine del Santo. É allestito in un vasto salone scavato nel cortile della casa del fratello Giuseppe e nelle stanze della stessa abitazione. Oltre 700 fotografie, raccolte nelle cascine di campagna, mostrano i luoghi e gli oggetti del tempo di don Bosco che visse immerso nella mentalità contadina “nutrita dal vivo senso familiare, dal molto lavoro, dal duro sacrificio, dalla estrema povertà e dalla fede cristiana”. Si vedono per esempio il forno di Giuseppe, le attrezzature per la vinificazione, gli arnesi per la casa e il lavoro nei campi, la cantina, le camere e la stalla. Tutti gli oggetti e le fotografie del museo testimoniano perfettamente questo stile di vita. Il Museo della vita contadina dell’Ottocento è aperto da martedì a domenica con orario 10-12 / 14,30-18,00
Filippo Re
Nelle foto l’ingresso del Museo etnologico missionario al Colle don Bosco e alcune vetrine della mostra permanente insieme alla cantina del vino allestita nel Museo della vita contadina dell’800.

Giornate FAI di Primavera, ecco tutti i luoghi aperti

Il più importante evento di piazza dedicato al patrimonio culturale e paesaggistico italiano

Sabato 23 e domenica 24 marzo 2024

Elenco dei luoghi aperti e modalità di partecipazione su www.giornatefai.it

IN PIEMONTE

Sabato 23 e domenica 24 marzo tornano le Giornate FAI di Primavera, il più importante evento di piazza dedicato al patrimonio culturale e paesaggistico del nostro Paese: 750 luoghi in 400 città saranno visitabili a contributo libero, grazie ai volontari di 350 delegazioni e Gruppi FAI attivi in tutte le regioni (elenco dei luoghi e modalità di partecipazione, consultabili su www.giornatefai.it).

Le Giornate FAI di Primavera si confermano nella loro trentaduesima edizione uno degli eventi più importanti e significativi per conoscere il patrimonio culturale e paesaggistico italiano. Un’esclusiva opportunità di scoprire un’Italia meno nota, di luoghi solitamente inaccessibili, dalle grandi città ai borghi, da veri e propri monumenti a luoghi curiosi e inediti, che tuttavia ugualmente raccontano la cultura millenaria, ricchissima e multiforme del nostro Paese. Un modo per contribuire alla tutela e alla valorizzazione di questo patrimonio, che va innanzitutto conosciuto, frequentato, e prima ancora, raccontato. È questa la missione del FAI: “curare il patrimonio raccontandolo”, a cominciare dai suoi 72 Beni aperti al pubblico durante l’anno, ma ampliando e arricchendo questo racconto proprio in occasione delle Giornate FAI di Primavera, quando 750 luoghi saranno aperti in tutta Italia grazie a migliaia di delegati e volontari del FAI e agli Apprendisti Ciceroni, giovani studenti appositamente formati per raccontare le meraviglie del loro territorio. Le Giornate del FAI offrono un racconto unico e originale dei beni culturali italiani, che risiede nella loro Storia intrecciata con la Natura, nei monumenti e nei paesaggi, nel patrimonio materiale e immateriale, e nelle tante storie che questi possono raccontare, che insegnano, ispirano e talvolta anche commuovono. Un racconto corale e concreto che si fonda sulla partecipazione di centinaia di istituzioni, associazioni, enti pubblici e privati che in numero sempre maggiore vi collaborano grazie a una vasta e capillare rete territoriale con un unico obiettivo: conoscere e riconoscere il valore del patrimonio italiano per tutelarlo con il contributo di tutti, perché appartiene a tutti.

Le parole del Presidente del Fondo per l’Ambiente Italiano Marco Magnifico in occasione della XXXII edizione delle Giornate FAI di Primavera: “Raccontare il patrimonio culturale per educare la collettività a proteggerlo e a prendersene cura: da questa necessità nacquero nel 1992 le Giornate FAI di Primavera dando vita, e poi corpo, e poi forza ad una impressionante struttura di volontariato – le Delegazioni del FAI -, che con entusiasmo e pervicacia eccezionali in questi trentadue anni hanno aperto al pubblico 15.540 luoghi dimenticati o difficilmente visitabili raccontandoli, appunto, con semplicità e passione a ben 12 milioni e 515.000 di cittadini. Ai benefici di questo raccontare se ne è ora aggiunto un altro: quello della fisicità e del ruolo che essa ha per un vero apprendimento.”

Ecco alcune delle aperture più interessanti in Piemonte:

TORINO

Palazzo Carpano già Asinari di San Marzano

Il Palazzo Asinari di San Marzano, ottimo esempio di dimora nobiliare della seconda metà del ‘600, sorge nel cuore di Torino in quello che un tempo era l’isolato di Sant’Aimo, costruito a seguito del secondo ingrandimento della città nel 1673, voluto dal Duca sabaudo Carlo Emanuele II. In questo luogo il marchese Ottavio Asinari di San Marzano fece costruire la propria residenza, affidando il progetto a un grande ingegnere di casa Savoia, Michelangelo Garove: il risultato dei lavori condotti tra il 1684 e il 1686 può essere considerato uno dei suoi capolavori. L’elegante palazzo è uno dei più raffinati e affascinanti esemplari del barocco piemontese, protetto dallo Stato italiano come monumento nazionale. Di grande impatto scenografico è l’atrio arricchito da colonne tortili che sorreggono una volta a vela che abbraccia coloro che entrano, mentre la presenza di alcune sculture seicentesche sottolinea il gusto raffinato dei committenti. L’atrio permette di accedere al cortile ideato per offrire alle carrozze l’agio di entrare e invertire la marcia; all’epoca esisteva anche un secondo cortile destinato alle scuderie e alla rimessa, ma nel 1885 venne chiuso dal fondale neobarocco per opera dell’architetto piemontese Camillo Boggio, tuttora visibile. Gli interni furono rinnovati a metà ‘700 dall’architetto Benedetto Alfieri e dal Martinez, in stile impero: i solai lignei colorati furono occultati da finte volte ornate a stucco, le sale arricchite da sovrapporte, boiseries, specchiere e arredi. Ritrovo in passato di politici e letterati, nel 1946 il cavaliere del lavoro Silvio Turati ne fece la sede della società Carpano, produttrice del famoso vermut, inventato nel 1786, il Palazzo oggi è sede di uffici. L’apertura durante le Giornate FAI prevede la visita dell’atrio, dello scalone composto da due rampe con balaustre in marmo rosa e dell’appartamento aulico al piano nobile, eccezionalmente aperto per il FAI e normalmente non fruibile.

Centro di Produzione RAI

Inaugurato nel 1968, il Centro di Produzione RAI di Torino è, con Roma, Milano e Napoli, una delle strutture in cui viene realizzata la maggior parte dei programmi televisivi dell’azienda. Progettato da Umberto Cuzzi e Felice Bardelli, il Centro si sviluppa su un’area di circa 3000 metri quadri che comprende, oltre agli studi televisivi e le redazioni, una serie di laboratori necessari alla produzione televisiva come quello di montaggio e sonorizzazione, quello di montaggio e grafica, quello di falegnameria, decorazione e arredi, quello di costumi e trucco e infine il Museo della Radio e della Televisione RAI. In più di cinquant’anni di attività, il Centro di Produzione RAI di Torino ha realizzato programmi di tutti i generi, dalle news alla fiction, dall’intrattenimento all’animazione, dalla musica all’educational. Un’occasione unica per scoprire il ‘dietro le quinte’ delle produzioni RAI grazie all’apertura eccezionale durante le Giornate FAI di Primavera dello Studio TV1 e lo Studio TV4. Lo Studio TV1, uno tra i più grandi di tutta l’azienda, ha una platea di 820 metri quadri di superficie, un’altezza di 12 metri con grigliato per il posizionamento delle luci sceniche e doppie pareti con intercapedine per garantire un adeguato isolamento acustico. Qui sono stati prodotti alcuni dei programmi più amati dal pubblico come Ulisse – Il Piacere della scoperta, L’Albero Azzurro, Passaggio a Nord Ovest e molti altri ancora. Lo Studio TV4, dedicato alla testata giornalistica TGR, ha una platea di 430 metri quadrati di superficie 2023 è tra quelli più all’avanguardia per le soluzioni tecniche ed ergonomiche grazie alla recentissima ristrutturazione del 2023. Da qui vengono trasmesse in HD le due edizioni giornaliere del telegiornale regionale del Piemonte, oltre alla striscia settimanale Buongiorno Regione e l’edizione del TG Leonardo a diffusione nazionale. Il percorso si chiude con la visita alle sale del Museo della Radio e Televisione RAI, rinnovato nel 2020, uno spazio esperienziale che invita il pubblico a vivere da protagonista un viaggio nel tempo che parte dai primi mezzi di comunicazione fino ai giorni nostri.

Accademia di Liuteria Piemontese San Filippo

Ingresso dedicato agli iscritti FAI

L’Accademia di Liuteria Piemontese San Filippo ha sede nel cuore della città di Torino, a pochi passi dal Museo Egizio e da Palazzo Carignano, presso il Complesso Monumentale di San Filippo Neri, costruito nel 1891 per volere del duca sabaudo Carlo Emanuele II allo scopo di ospitare la congregazione dei Padri Filippini. L’Accademia nasce nel 2010 da una collaborazione tra il Maestro liutaio Enzo Cena e la congregazione, con il fine di tramandare la bellezza e il rigore del mestiere di liutaio, straordinaria eccellenza piemontese. All’interno dei locali al pianterreno si potrà visitare la Sala Valfrè, che fino al 1998 ha ospitato la cappella di S. Anna, adibita alla celebrazione di matrimoni. Fu probabilmente qui che, nel 1863, il primo ministro Urbano Rattazzi sposò, quasi in segreto, Maria Wyse Bonaparte, nipote di Napoleone. Al piano superiore troviamo il laboratorio dove attualmente gli studenti seguono i corsi formativi per progettare, realizzare e collaudare lo strumento ad arco scelto. Oltre alla storica Sala Valfrè al piano terra durante le Giornate FAI si visiterà il laboratorio dove ascoltare, direttamente dalla voce degli studenti, la loro esperienza nella pratica e nel perfezionamento delle abilità manuali. Dopo un emozionante affaccio dall’alto sulla lunga navata di circa 70 metri di lunghezza e sulla caratteristica volta a botte della chiesa di San Filippo, sarà possibile visitare anche al piano “infernotti” la grande sala adibita a concerti ed eventi in cui ammirare gli strumenti, i legni e i materiali utilizzati per la loro costruzione.

Energy Center House (PoliTo)

Situato all’interno del campus del Politecnico di Torino, l’Energy Center House è il pilastro del progetto Energy Center Initiative (ECI), lanciato dall’Ateneo nel 2016 con l’obiettivo di avviare una serie di azioni e progetti per supportare e fornire consiglio strategico alle autorità locali, agli enti nazionali e transnazionali sulle politiche e le tecnologie energetiche da adottare. L’Energy Center House ospita start-up, pubbliche amministrazioni, aziende e altri soggetti attivi nei comparti della ricerca e sviluppo, del management, della policy e del decision-making in campo energetico. Al suo interno anche l’Energy Center Lab, il Centro Interdipartimentale che è il motore scientifico dell’iniziativa Energy Center, dove competenze multidisciplinari di ricercatori e docenti vengono condivise con l’obiettivo di sviluppare tecnologie e sistemi integrati per un utilizzo più responsabile delle risorse. La struttura, ideata per soddisfare requisiti elevati in termini di ambiente, prestazioni energetiche e di comfort termico, ha vinto l’Italian Gyproc Trophy ed è stata candidata all’International Saint-Gobain Gyproc Trophy 2016, nella categoria di Innovation & Sustainability. In occasione delle Giornate FAI i visitatori scopriranno le particolari caratteristiche architettoniche dell’Energy Center, costruito secondo i principi della sostenibilità: l’edificio, infatti, autoproduce parte dei propri fabbisogni energetici attraverso risorse on site, tra queste troviamo l’utilizzo di acqua sotterranea come fonte di calore e pozzo per riscaldamento e raffrescamento e pannelli fotovoltaici per la produzione di elettricità.

QUASSOLO (TO)

Centrale Edison Quassolo

Ingresso dedicato agli iscritti FAI

Il 15 settembre 2023, Edison ha inaugurato una nuova centrale idroelettrica a Quassolo, in provincia di Torino. Situata lungo la sponda sinistra del fiume Dora Baltea, è un impianto ad acqua fluente di piccola derivazione con una potenza installata di 2.700 kW e una producibilità di 8.300.000 kWh all’anno, in grado di soddisfare il fabbisogno energetico di circa 3.000 famiglie e di evitare l’emissione in atmosfera di 3.300 tonnellate di CO2 all’anno. L’idea del progetto risale al 2013, mentre i lavori di costruzione, iniziati nel novembre 2021, si sono conclusi nel giugno 2023. In fase di progettazione è stata rivolta particolare attenzione agli impatti sul territorio e alla conservazione del contesto paesaggistico, con l’obiettivo di assicurare la naturale integrità ecologica del fiume Dora Baltea, a conferma dell’impegno di Edison per la tutela dell’ambiente. I residenti dei comuni di Quassolo, Borgofranco di Ivrea, Quincinetto, Tavagnasco, Montalto Dora e Settimo Vittone, oltre ai clienti di Edison Energia di tutta Italia, hanno contribuito al finanziamento per la realizzazione della centrale aderendo alla campagna di crowdfunding – Edison Crowd per Quassolo – lanciata dal Gruppo nel 2022, scegliendo così di supportare la transizione energetica sul proprio territorio. Edison è stato il primo operatore energetico in Italia a lanciare iniziative di questo tipo già nel 2018, concludendo con successo ben tre campagne di crowdfunding.

CASTIGLIONE TORINESE (TO)

Impianto di depurazione SMAT

Situato a circa 10 km da Torino, l’impianto di depurazione Smat di Castiglione Torinese è il più grande in Italia e rappresenta un importante esempio di connubio tra tecnologia e natura. Attivo dal 1984, l’impianto centralizzato Smat è il punto di incontro tra le esigenze di realizzare infrastrutture complesse, altamente tecnologiche e le esigenze di preservare un ambiente naturale di elevato pregio al fine di garantire la depurazione delle acque reflue. La costruzione dell’argine a protezione del sito con terre provenienti da cave del fiume Po, la successiva riqualificazione delle aree, la piantumazione di boschi e la realizzazione di aree naturalistiche, sono alcune delle attività eseguite nel tempo che hanno portato un importante valore aggiunto ad un’opera che è un “unicum” nel panorama italiano. Se fino ai primi anni Ottanta il Po riceveva le acque reflue con un forte scompenso ecologico, grazie al depuratore e a un processo di rinnovamento continuo, oggi vengono immesse nel fiume le acque depurate di ben 43 Comuni della cintura torinese, incluso il capoluogo. Operativo sette giorni su sette e ventiquattro ore su ventiquattro, in occasione delle Giornate FAI sarà possibile visitare, con un pulmino, i vari impianti del complesso e scoprire le fasi di depurazione. Il percorso terminerà nell’area verde con la visita alla vasca che raccoglie l’acqua potabile.

RONCO CANAVESE (TO)

Fucina del rame

In borgata Castellaro, sulla sponda sinistra del torrente Soana, sorge un’antica fucina per il rame risalente al 1675, come attestato da una scritta su pietra all’interno del fabbricato principale “IHS Glaudo Calvi 1675”. L’opificio rimase in attività fino al 1952 e la sua funzione produttiva è testimoniata dalle dimensioni inusuali come, ad esempio, la notevole altezza dei locali interni. Essa è la documentazione storica di un modo di lavorare che sfrutta le risorse locali: acqua, minerali e legname. Gli edifici della fucina sono stati ceduti al Comune di Ronco dall’ultimo proprietario, il signor Domenico Magnino, quando trasferì la sua attività a Cuorgnè. Il complesso è costituito da una fucina grande, adibita alla lavorazione del rame, da una fucina piccola per la lavorazione del ferro e dal carbonile, per la produzione del carbone di legna. Un canale, derivato dal Soana a monte dell’opificio, spingeva l’acqua sulle ruote in ferro che mettevano in moto i magli e su due trombe idrauliche in legno per la ventilazione delle forge. Si producevano principalmente manufatti utilizzati dagli abili calderai della Val Soana, ma non è escluso che in alcuni periodi storici – come quello napoleonico – la fucina sia stata adibita a produzioni belliche. In seguito a un accordo con il Comune, il Parco Nazionale Gran Paradiso ha ottenuto la gestione di tutto il complesso e ne ha curato la ristrutturazione e l’allestimento interno realizzando, tra l’altro, un moderno laboratorio didattico con dotazione di audiovisivi e una mostra di manufatti in rame realizzati dai calderai “ruga” della Valle. La fucina di Castellaro è ora un ecomuseo.

SANT’ANTONIO DI SUSA (TO)

Rifugio Antiaereo II Guerra Mondiale

Il rifugio antiaereo si trova nel comune di Sant’Antonino di Susa, nel giardino dei Medagli, di fronte alla stazione ferroviaria. Costruito nel 1943 a opera del Cotonificio Valle Susa – come risulta dalla lettera inviata dal commissario prefettizio al Comitato Provinciale di Protezione Antiaerea il 15/3/1943 e completato il 13 luglio dello stesso anno -, poteva contenere fino a 100 persone. L’edificio, realizzato in calcestruzzo a 4 metri sotto il livello di calpestio, è ricoperto in terra e non facilmente individuabile dall’alto. Di dimensioni contenute (circa 34 mq), sono ancora ben visibili una traccia per l’illuminazione elettrica e alcune condotte per l’areazione forzata, entrambi probabilmente azionate a pedali. La struttura era standard per edifici di questo tipo: una scala di accesso conduce alla stanza dove erano collocate le panche per i rifugiati ed era presente una via di fuga di emergenza. Il rifugio santantoninese è l’unica costruzione di questa tipologia ancora visibile in valle di Susa. La sua messa in sicurezza è stata realizzata di concerto dall’amministrazione comunale, i Vigili del Fuoco del Distaccamento di Sant’Antonino – Borgone e l’Unitre. Quest’ultima ha curato la ricerca storica e la preparazione del materiale documentario, mentre il Comune ha provveduto alla recinzione dell’area di accesso, nonché alla sua riapertura al pubblico il 15 ottobre 2016. In occasione delle Giornate FAI, sarà possibile rivivere la parte di storia della II Guerra mondiale che ha interessato questo tratto della Valle di Susa, grazie alle numerose storie che testimoniano il coinvolgimento delle famiglie nell’ospitare sfollati e offrire rifugio a famiglie ebree.

CASALE MONFERRATO (AL)

Palazzo Leardi

Ubicato nel centro storico di Casale Monferrato, Palazzo Leardi fu costruito alla fine del Settecento dal conte Diego Leardi su probabile progetto del Magnocavallo. Nel 1858, per volontà testamentaria del conte, fu trasformato in Istituto e convitto a beneficio dei giovani appartenenti alla classe meno agiata. Nelle sue aule sono passati insigni personaggi come il primo Preside Pio Rosellini, il cui famoso erbario, Flora Monferrina, è conservato all’interno nell’Istituto. Al momento della donazione il fabbricato era costituito solo dalla metà della facciata che oggi guarda via Leardi, sviluppandosi verso via Mameli. Il terreno rimanente era ed è ancora circondato da un muro di cinta che racchiude il giardino e la porta della chiesa di S. Maria Maggiore di Piazza, fatta ricostruire dal conte Leardi nel 1826. In occasione delle Giornate FAI i visitatori potranno scoprire il maestoso androne con la statua di Filippo Mellana, lo scalone realizzato con la tecnica del trompe-l’oeil, l’Aula magna, un tempo salone d’onore, l’aula degli insegnanti con l’esposizione di antiche strumentazioni di agrimensura e i disegni della scuola del grande scultore liberty Leonardo Bistolfi.

CASSANO SPINOLA (AL)
Palazzo Millelire

Aperto per la prima volta al pubblico in occasione delle Giornate FAI di Primavera, Palazzo Millelire è una casa signorile eletta a residenza della nobile famiglia genovese degli Spinola, quando il Castello di Cassano fu abbandonato in favore di dimore più lussuose e comode. Il palazzo, di cui abbiamo notizia già dal 1608, assume le forme architettoniche tipiche dei palazzi genovesi del XVII secolo: doppio loggiato, tetto a quattro falde, portale solenne, vasto salone riccamente affrescato e ampio giardino interno, conservatosi sino alla fine dell’800. Il palazzo rimase di proprietà degli Spinola sino al 1687. Si succedettero altri proprietari sino al 1851, quando l’edificio venne acquistato dalla nobile famiglia Albini-Millelire che lo trasformò in una comoda dimora dove ancora è possibile ammirarne il fascino ottocentesco. Il palazzo, oggi di proprietà della famiglia Merloni, conserva al suo interno una importante raccolta di dipinti del Seicento genovese. Si potrà quindi scoprire una pregevole pinacoteca con numerose opere di questo felice periodo, tra cui quelle di Domenico Fiasella, uno dei più importanti pittori dell’epoca, di Domenico Piola con il suo stile estroso e vivace, di grandi maestri come Luca Cambiaso e Bernardo Strozzi e di Anton Maria Maragliano, scultore tra i più rappresentativi dell’epoca.

TRISOBBIO (AL)
Castello e Borgo di Trisobbio

Adagiato nel verde delle colline dell’Alto Monferrato, il borgo di Trisobbio, compreso tra i corsi dell’Orba e della Bormida, si sviluppa secondo il modello urbanistico medievale del “recetto”: attorno al vertice della collina, dominata dal Castello, si dipanano tre anelli concentrici dove sono distribuite le abitazioni. La leggenda narra che il paese sia stato fondato da tre famiglie di uomini sobri, fratelli di sette uomini ebbri, fondatori di Strevi, e da qui Tres Sobri. Il borgo potrebbe avere addirittura origini etrusche, ma le prime notizie certe risalgono al 1023; i documenti, invece, attestano il nome Trexoblo a partire dal 1040. In epoca medievale Trisobbio fu feudo dei Marchesi del Bosco; dal 1240 passò ai Malaspina e, successivamente, alla famiglia Boccaccio. Nel 1536 entrò a far parte dei possedimenti dei Gonzaga e dopo degli Spinola. Occupato dalle truppe francesi, seguì, infine, la sorte del Regno di Sardegna, fino all’Unità d’Italia del 1861. Di proprietà comunale, il Castello che domina Trisobbio è stato costruito agli inizi del XIII secolo e conserva ancora oggi la forma originaria, mentre la torre è stata realizzata durante i lavori di ristrutturazione avviati nel 1913 dal marchese Spinola. Di particolare pregio la Parrocchiale, dedicata a Nostra Signora Assunta, risalente alla fine del XIV secolo e che oggi si presenta in stile barocco dopo vari interventi nel corso dei secoli. Al suo interno sono conservati gli affreschi realizzati dai fratelli Ivaldi, la cui produzione fu vastissima e spazia per l’intero Piemonte, e due tele di Michele Beccaria, nato a Trisobbio nel 1568, Parroco di Montaldo e pittore assai prolifico. In occasione delle Giornate FAI i visitatori saranno accompagnati lungo i tre anelli concentrici del borgo per scoprire il Castello, il Palazzo Comunale, la Parrocchiale e l’Oratorio attraverso la narrazione delle antiche vicende, delle tradizioni locali e delle peculiarità enogastronomiche. Infine, per gli amanti della natura, un percorso ad hoc che si sviluppa lungo l’incontaminato fondovalle del rio Stanavasso, di importante pregio naturalistico all’interno della tartufaia di Trisobbio.

ACQUI TERME (AT)
Castello dei Paleologi

Il Castello dei Paleologi, situato nel centro di Acqui Terme, è un complesso edilizio articolato: nacque come residenza vescovile, poi trasformato in fortezza militare, in seguito convertito in carcere e oggi ospita il Museo Archeologico e un parco cittadino dotato di un birdgarden ricco di essenze arbustive locali e popolazioni di insetti, uccelli, anfibi e minuscoli mammiferi. Eretto nel 1506, dal 1260 venne acquisito dai marchesi Paleologi del Monferrato che lo ricostruirono nella forma in parte ancora attuale e lo utilizzarono come fortezza militare. I Paleologi, salvo brevi intervalli in cui la città passò sotto l’egida di Roberto d’Angiò e poi sotto quella dei Visconti di Milano, ne conservarono il controllo fino al 1536; fu poi la volta dei Gonzaga di Mantova e, dal 1708, dei Savoia. Nei secoli la struttura subì molti danni a cui seguirono varie ricostruzioni; smantellata nel 1815 dai Savoia come presidio militare, impiegata poi come carcere, dal 1967 ospita il Civico Museo Archeologico. Del nucleo originario medievale del castello non rimane ormai più nulla. Le strutture più antiche attualmente esistenti, risalenti alla seconda metà del XV secolo, coincidono con il ponte levatoio e una parte della cinta muraria con torre difensiva angolare. Di epoca napoleonica è tutta l’ala separata delle ex-Carceri. In occasione delle Giornate FAI, oltre al birdgarden, alle sale e in via straordinaria ai depositi del Civico Museo Archeologico, sarà possibile visitare il rifugio antiaereo, aperto eccezionalmente e realizzato nel 1943 dall’ingegnere Venanzio Guerci.

BIELLA
Cittadellarte – Fondazione Pistoletto

Nata per volontà dell’artista Michelangelo Pistoletto, la Cittàdellarte è un tipico esempio virtuoso di riconversione industriale: acquistato dal noto artista italiano nel 1991, l’edificio ha ospitato fino agli anni ’70 del Novecento le attività del Lanificio Trombetta. In questo luogo vocato alla produttività, Michelangelo Pistoletto ha dato origine alla Fondazione che porta il suo nome, luogo di congiunzione tra il passato e il futuro di un territorio, il distretto industriale biellese, che ha fatto della creatività il proprio punto di forza. Un vero e proprio percorso di rigenerazione funzionale e culturale: l’ex fabbrica di tessuti, ristrutturata, diventa fabbrica di idee, cultura e progetti di grande valore sociale. È un laboratorio aperto e attivo, una Università delle Idee, che crede nella forza della creatività artistica. L’attività svolta dalla Fondazione Cittadellarte è oggi in costante ascesa ed entra concretamente in relazione con le strutture e le istanze del tessuto socio-economico, concependo e mettendo in atto progetti rivolti ad una trasformazione sociale, responsabile a livello locale e globale. Un laboratorio-scuola dedicato alla sperimentazione e allo sviluppo di pratiche che traducono in realtà il simbolo del Terzo Paradiso, concetto al centro della ricerca artistica di Pistoletto e che rappresenta, a livello filosofico, la connessione equilibrata tra l’artificio e la natura.

NOVARA
Palazzo Episcopale

Situato in pieno centro, il Palazzo Episcopale di Novara è composto da un doppio porticato, in origine con sei archi, scandito da colonne di ordine dorico al pian terreno e ionico al piano superiore, tutte realizzate in granito di Baveno. È probabile che una Domus Episcopi esistesse in quest’area sin dalla costituzione della diocesi. Successivamente, con l’affermarsi della Signoria Vescovile, mutò il nome in Palatium. Nel 1147 è nominato il Palatium Novum, nel 1233 il palazzo è chiamato Pictum, segno che era ornato di pitture anche all’esterno. I Vescovi della prima metà del sec. XIV, in particolare Guglielmo da Cremona, alzarono di un piano tutto il complesso e costruirono una nuova cappella palatina, sovrapposta alla precedente di S. Siro. Al primo piano, nell’atrio del salone della Maddalena, si notano alcuni resti dell’antico Palazzo Medievale: un affresco ed una colonnina con capitello antropomorfo. Notevole la Sala Verde con le grandi tele delle Storie di Mosè ed i Dottori della Chiesa. In occasione delle Giornate FAI, oltre a scoprire la storia di questo antico palazzo, si potranno ammirare, nel Salone della Maddalena, gli affreschi del XV secolo e alcune tele del XVII secolo.

MIASINO (NO)
Itinerario nel borgo
Il bellissimo borgo di Miasino sorge lungo la riviera occidentale del Cusio, a mezza costa tra il Lago d’Orta e la montagna. Di origine gallica, si è arricchito nel tempo di numerose residenze signorili, grazie alla folta presenza di famiglie borghesi e aristocratiche fra il Seicento e il Settecento. Tra le dimore più eleganti spicca Villa Nigra, caratterizzata da grandiosi loggiati interni, balaustre in granito e ferro battuto e decorata da pregevoli affreschi. L’itinerario di Giornate FAI per le vie del borgo ne consentirà la scoperta, insieme ad altri luoghi di interesse storico e artistico. Come la Chiesa parrocchiale di San Rocco, proclamata monumento nazionale, che conserva al suo interno un altare secentesco in marmi policromi e bronzi cesellati, oltre a importanti quadri e affreschi. In particolare, di grande pregio è la tela di Giulio Cesare Procaccini raffigurante i santi Carlo, Antonio Abate e Rocco e quella di Stefano Maria Legnani detto “il Legnanino” con Le nozze di Cana. E ancora, si potrà visitare il secentesco Palazzo Martelli Dathe, con la sua bella facciata barocca, le splendide logge, i camini monumentali e i raffinati allestimenti. Inoltre, sarà aperto Palazzo Sperati con il suo delizioso giardino all’italiana, che ospita una camelia e un rododendro centenari e da cui si gode di una suggestiva vista sulle alture del Lago. Attuale sede di uffici comunali e dell’Archivio storico del borgo, vi si ammirano un monumentale camino in granito, volte dipinte con motivi ottocenteschi e soffitti lignei a cassettoni di ottima fattura.

ROMAGNANO SESIA (NO)
Collegio Curioni

Situato nella parte alta di Romagnano Sesia, il Collegio Curioni è un complesso architettonico che comprende l’edificio centrale, il porticato e un giardino interno e che oggi ospita il distaccamento del Liceo Artistico “felice Casorati” di Novara. La struttura, esempio di architettura neoclassica, è stata edificata tra il 1875 e il 1880 su progetto di Giuseppe Locarni e nel corso degli anni ha subito diverse modifiche strutturali. In occasione delle Giornate FAI, il pubblico, accompagnato dagli Apprendisti Ciceroni, potrà visitare, oltre ai saloni oggi adibiti ad aule, il porticato, il cortile interno e gli ambienti dedicati al convitto. Un racconto a tutto tondo sulla vita scolastica del convitto anche attraverso documenti d’epoca.

VAPRIO D’AGOGNA (NO)
Villa Bono

Situata nel centro storico di Vaprio d’Agogna, piccolo borgo adagiato tra l’alta pianura novarese, Villa Bono, già di proprietà della famiglia Caccia nel XVII secolo e poi venduta a seguito di confisca, è nota per aver dato i natali a Gaudenzio Bono, garibaldino che partecipò alla spedizione dei Mille e cadde, a fianco dei cugini Cairoli, nella Battaglia di Mentana del 1967. La villa si sviluppa su quattro piani: le cantine cinquecentesche a volta, il piano terra con mosaici a pavimento e le volte affrescate, alcune delle quali per mano di Francesco Cantoia ad inizio del XX secolo, il primo piano con parquet e soffitti a cassettoni ed infine il sottotetto: ambiente unico con grandi pilastri e travi in legno. Limitrofi alla villa gli ambienti più rustici destinati un tempo alla servitù e ai fattori, con i soffitti di travi in legno e le cantine con volte in mattoni. La corte civile, che in epoca viscontea era dedicata alle scuderie, è uno spazio raccolto adiacente alla villa. Il parco di oltre 7000 metri quadrati è suddiviso in vialetti con antiche statue e trasporta il visitatore in epoche passate dal sapore romantico: la fontana con i putti, il laghetto dei pesci e la ghiacciaia cinquecentesca, testimonianza rara di come si conservavano i cibi nei secoli passati. Nel parco si potranno ammirare antiche camelie, il bambù nero e magnolie grandiflora.

VERCELLI
Basilica di Sant’Andrea by night

Ingresso dedicato agli iscritti FAI

Edificata tra il 1219 ed il 1227 per iniziativa del cardinale Guala Bicchieri, la basilica di Sant’Andrea è tra i monumenti più importanti e conosciuti di Vercelli. Primo complesso gotico del Piemonte, uno dei più precoci d’Italia in questo stile, la chiesa è un esempio di architettura romanico-gotica in cui convivono il romanico locale e lo stile gotico cistercense. Il complesso abbaziale ha conservato in ampia misura l’aspetto originale: all’inizio del XV secolo venne aggiunto, sul lato destro della chiesa, un nuovo campanile dello stesso stile dei due originari posti accanto alla facciata. Nel corso del XVI secolo – quando già ai canonici di San Vittore erano subentrati i canonici regolari lateranensi – venne rifatto il chiostro del monastero, conservando tuttavia le originali colonnine disposte a gruppi di quattro che si osservano ancora oggi. A distanza di dieci anni dal censimento I Luoghi del Cuore, quando la Basilica fu votata da ben 15.582 persone, promosso dal FAI e Intesa Sanpaolo ottenendo un contributo economico per avviare il progetto di valorizzazione multimediale, in occasione delle Giornate FAI, il pubblico, con ingresso riservato agli iscritti alla Fondazione, potrà eccezionalmente visitare in notturna la chiesa sabato 23 marzo e assistere alle ore 21 al concerto vocale delle Suore della Trasfigurazione di Vercelli organizzato nell’Aula Capitolare della Basilica, a cui seguirà, alle ore 22, la visita guidata arricchita dalla segnaletica immersiva, che unisce l’esperienza reale con la tecnologia digitale, offrendo al pubblico contenuti aggiuntivi e approfondimenti realizzati in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Biella Novara Verbano Cusio Ossola e Vercelli e del Segretariato regionale del Piemonte del MIC.

Sabato e domenica, per tutto il pubblico, saranno invece organizzate visite nell’isolato della Basilica, in occasione degli 800 anni della Fondazione dell’Ospedale Maggiore, ad essa collegato: saranno fruibili in modo straordinario diversi spazi dell’ex Ospedale, nato come “ospitale” per i pellegrini e tra le prime fondazioni ospedaliere italiane: dal Salone Dugentesca, aperto occasionalmente dal Comune per eventi, a Palazzo Tartara, oggi tra le sedi dell’Università del Piemonte Orientale, all’ex monastero di San Pietro Martire, che dopo il restauro concluso nel 2022, oggi ospita laboratori artigianali, start-up, attività nel sociale.

Le Giornate FAI di Primavera si inquadrano nell’ambito delle iniziative di raccolta pubblica di fondi occasionale (Art 143, c 3, lett a), DPR 917/86 e art 2, c 2, D Lgs 460/97). A coloro che decideranno di partecipare verrà suggerito un contributo libero a partire da 3€ utile a sostenere la missione di cura e tutela del patrimonio culturale italiano della Fondazione. Gli iscritti al FAI o chi si iscriverà per la prima volta durante l’evento potranno beneficiare dell’accesso prioritario in tutti i luoghi, e di aperture e visite straordinarie in molte città e altre agevolazioni e iniziative speciali. Inoltre, fino al 31 marzo 2024 si potrà sostenere la missione del FAI donando con un SMS o una chiamata da rete fissa al numero 45584. Il valore della donazione sarà di 2 euro per ciascun SMS inviato da cellulari WINDTRE, TIM, Vodafone, iliad, PosteMobile, Coop Voce, Tiscali. Sarà di 5 o 10 euro per le chiamate da rete fissa TIM, Vodafone, WINDTRE, Fastweb, Tiscali, Geny Communications e, sempre per la rete fissa, di 5 euro da TWT, Convergenze, PosteMobile.

Coltivare fiori di parole. I trent’anni di Interlinea

 

L’ultimo numero di Microprovincia, il 56° della fortunata rivista di cultura e poesia diretta da Franco Esposito, è interamente dedicato ai trent’anni della casa editrice novarese Interlinea con il suggestivo titolo “Coltivare fiori di parole”. Proponendo una ricca e interessante raccolta di testimonianze su tre decenni di attività editoriale di Interlinea, coinvolgendo gli autori e coloro che l’hanno fatta vivere dietro alle quinte con il lavoro redazionale, la cura dei testi e la promozione di collane che si sono affermate tra i lettori (da “Nativitas” e “Lyra” a “Le rane”) la rivista che si è sempre battuta contro i conformismi della cultura ufficiale rende omaggio ad una impresa culturale di assoluta grandezza fondata da Roberto Cicala e Mario Robiglio. Giuliano Vigini, nella presentazione della rivista subito dopo l’appassionato editoriale di Esposito, ricorda che “alle origini di una casa editrice c’è innanzitutto una speciale passione per quello che gli autori, le collane, i singoli libri che si vorrebbero privilegiare come emblema e portabandiera dell’attività che si sta per avviare possono lasciare come idea di un modo di fare letteratura e insieme di interpretare, dal vivo di tante espressioni e testimonianze diverse, le realtà del mondo e le esperienze di vita degli scrittori”. Ovviamente, non bastando la bontà e l’entusiasmo delle idee, ci sono volute “anche le risorse personali o la capacità di procurarsele, la condivisione ideale e pratica di chi è coinvolto in un determinato progetto” come è stato tra Cicala e Robiglio, lavorando con la perseveranza di chi non si accontenta di ciò che di volta in volta si è raggiunto “perché, essendo il traguardo sempre più in là, bisogna continuare a cercare, a scoprire, a lasciare segni nuovi”. Ed è così che nasce e prende corpo quella che oggi può essere definita, a buon titolo, una grande voce della cultura italiana contemporanea. L’originale storia della casa editrice che ha sede in via Mattei a Novara viene narrata in 250 pagine con molti interventi tra i quali si segnalano, pur senza far torto a nessuno degli altri, Pino Boero, Eugenio Borgna, Carlo Carena, Barbara Caristia, Graziella Cerutti, Gian Luca Favetto, Gian Carlo Ferretti, Walter Fochesato, Anna Lavatelli, Dacia Maraini, Gianni Mussini, Alessandra Alva Perez, Roberto Piumini, Giovanni Tesio, Sebastiano Vassalli e Giuliano Vigini. La stessa scelta del nome della casa editrice è originale e racconta molto: l’interlinea è lo spazio bianco tra due righe scritte o stampate, apparentemente inutile ma in verità necessario alla lettura. Infatti le parole si confonderebbero sulla pagina senza questa distanza, il cui bianco fa risaltare il nero del testo illuminando così il significato di un romanzo, di uno studio, di una poesia. Dall’inizio degli anni Novanta ad oggi  sono stati riscoperti autori italiani dell’800 e ‘900, anche con inediti (da Rebora a Montale, fino a Soldati e Vassalli), aprendo la prima collana letteraria italiana legata al Natale e intitolata Nativitas con Dickens, Consolo, Rigoni Stern, Testori, Wojtyla, offrendo uno spazio importante alla critica letteraria, alla poesia, ai libri per bambini e ragazzi con la collana Le Rane. Scorrendo l’impressionante cronologia delle collane e dei libri pubblicati non si fatica a comprendere il valore del viaggio intrapreso trent’anni fa da quel “piccolo vascello di carta” che salpò da Novara e che, in tutti stesi anni, non ha chiesto altro “se non di avere lettori che sappiano leggere la verità di quelle parole vecchie e nuove nell’interlinea dell’editoria e della cultura italiana”.

Marco Travaglini

Turismo da record a Torino e in Piemonte E’ trainato dalle presenze estere

Il turismo nella regione del Piemonte ha raggiunto un nuovo record nel 2023, con oltre 6 milioni di arrivi e 16 milioni di presenze registrate, segnando un aumento significativo rispetto all’anno precedente. L’incremento è stato trainato principalmente dal turismo estero, che ha mostrato una crescita del 15% rispetto al 2022, contribuendo in modo significativo all’espansione complessiva del settore turistico regionale.

 

Secondo i dati elaborati dall’Osservatorio Turistico della Regione Piemonte – Visit Piemonte, Il territorio dell’ATL di Turismo Torino e Provincia, con i suoi oltre 2 milioni e 700 mila arrivi e più di 7 milioni di presenze, si pone come una delle gemme della regione. La città di Torino, con la sua storia millenaria e la sua vibrante cultura contemporanea, continua ad attirare visitatori da tutto il mondo. L’aumento del 9,6% negli arrivi e del 7,2% nelle presenze rispetto al 2022 sottolinea il costante fascino della città e dei suoi dintorni.

 

Con l’avvicinarsi della primavera del 2024, si delineano prospettive importanti per il turismo che proprio con Torino seguito dalle Langhe Monferrato Roero guida la lista delle mete più ambite.

 

«Il Piemonte si conferma una regione pilota dell’accoglienza – hanno osservato il Presidente della Regione, Alberto Cirio e l’assessore al Turismo, Vittoria Poggioeravamo partiti nel 2019 dal 7,4% del Pil regionale del turismo e siamo arrivati al 9,5 di adesso con una proiezione sul 2024 che ci farà raggiungere la quota del 10%. Si tratta di un grande risultato raggiunto non solo per la qualità della comunicazione, ma anche per il progressivo innalzamento degli standard di qualità delle strutture ricettive che in questi cinque anni hanno potuto contare sul sostegno della Regione che ha erogato quasi 20 milioni di euro. Il successo è anche merito del sostegno continuo sui territori da parte delle nostre ATL e delle Proloco che sono i migliori avamposti della promozione per il turismo nazionale e internazionale. Il turismo rimane un faro di speranza e un catalizzatore per la crescita economica e culturale del nostro Piemonte».

 

«Il 2023 ha fatto registrare la miglior performance in termini di presenze turistiche in Piemonte negli ultimi 10 anni, superando la soglia dei 16 milioni di pernottamenti. E, sempre per la prima volta, nel 2023 i pernottamenti di turisti provenienti dall’estero hanno superato quelli italiani con il 52% del totale – sottolinea Beppe CarlevarisPresidente del Cda di Visit Piemonte -. Non solo risultati quantitativi ma, e soprattutto, di qualità: infatti la forte spinta verso l’internazionalizzazione dei turisti in Piemonte ha portato i volumi di spesa complessivi attivati in loco in crescita di oltre il 20% rispetto all’anno precedente. Il livello di soddisfazione è salito all’86,4/100, decisamente superiore alla media nazionale di 85,4/100. Questi grandi risultati certificano ulteriormente che il nostro “sistema turismo” è sempre più attrattivo e consapevole. Dobbiamo quindi guardare al futuro con ottimismo, migliorandoci costantemente, programmando e fissando obiettivi, anche con l’utilizzo delle nuove tecnologie a disposizione, che vadano sia nella direzione della sostenibilità ambientale ma anche a quella economica delle nostre imprese turistiche».

 

Quando il re e Cavour inaugurarono il Conte Verde

Situato al centro di piazza Palazzo di Città, davanti al Comune, il monumento rappresenta Amedeo VI di Savoia

Situato al centro di piazza Palazzo di Città, dove risiede il Palazzo Civico sede dell’amministrazione locale, il monumento rappresenta Amedeo VI di Savoia detto il Conte Verde, durante la guerra contro i Turchi, mentre trionfante ha la meglio su due nemici riversi al suolo. La riproduzione dei costumi mostra grande attenzione ai particolari secondo i canoni “troubadour” e neogotico, stili in voga nell`Ottocento, ispirati al medioevo e al mondo cortese-cavalleresco.

 

Figlio di Aimone, detto il Pacifico e di Iolanda di Monferrato, Amedeo VI nacque a Chambery il 4 gennaio del 1334. Giovane, scaltro ed intraprendente, Amedeo VI in gioventù partecipò a numerosi tornei, nei quali era solito sfoggiare armi e vessilli di colore verde, tanto che venne appunto soprannominato Il Conte Verde: anche quando salì al trono, continuò a vestirsi con quel colore. Il monumento a lui dedicato non venne però realizzato subito dopo la sua morte ma bensì nel 1842, quando il Consiglio Comunale, in occasione delle nozze del principe ereditario Vittorio Emanuele II con Maria Adelaide arciduchessa d`Austria, decise di erigere il monumento al “Conte Verde”. Il modello in gesso della statua, ideata da Giuseppe Boglioni, rimase nel cortile del Palazzo di Città finché re Carlo Alberto decise di donare la statua alla città. La realizzazione del monumento, che doveva sostituire la statua del Bogliani, venne però commissionata all’artista Pelagio Palagi. I lavori iniziarono nel 1844 e terminarono nel 1847, ma la statua rimase nei locali della Fonderia Fratelli Colla fino all’inaugurazione del 1853. Il gruppo statuario rappresenta Amedeo VI di Savoia in un episodio durante la guerra contro i Turchi alla quale partecipò come alleato dell’imperatore bizantino Giovanni V Paleologo. Ma qui subentra una piccola diatriba scatenata dall’ “Almanacco Nazionale” che vedrebbe come protagonista del monumento non Amedeo VI ma bensì suo figlio Amedeo VII detto invece il “Conte Rosso”, durante l’assedio alla città di Bourbourg nella guerra contro gli Inglesi. Il 7 maggio 1853 re Vittorio Emanuele II inaugurò il monumento dedicato al “Conte Verde” alla presenza di Camillo Benso Conte di Cavour. All’inizio la statua venne circondata da una staccionata probabilmente in legno, sostituita poi da catene poggianti su pilastrini in pietra e quindi da una cancellata.Nel 1900 il Comune decise di rimuovere la cancellata “formando un piccolo scalino in fregio al marciapiede”; una nuova cancellata, realizzata su disegno del Settore Arredo e Immagine Urbana, venne collocata intorno al monumento in seguito ai lavori di restauro effettuati nel 1993. Per dare anche qualche informazione di stampo urbanistico, va ricordato che la piazza in cui si erge fiero il monumento del “Conte Verde” ha subito negli anni numerose trasformazioni.Piazza Palazzo di Città è sita nel cuore di Torino, in corrispondenza della parte centrale dell’antica città romana. L’area urbana su cui sorge l’attuale piazza aveva infatti, già in epoca romana, una certa importanza in quanto si ritiene che la sua pianta rettangolare coincida con le dimensioni del forum dell’antica Julia Augusta Taurinorum, comprendendo anche la vicina piazza Corpus DominiPrima della sistemazione avvenuta tra il 1756 e il 1758 ad opera di Benedetto Alfieri, la piazza aveva un’ampiezza dimezzata rispetto all’attuale. All’inizio del XVII secolo, Carlo Emanuele I, avviò una politica urbanistica volta a nobilitare il volto della città che essendo divenuta capitale dello Stato Sabaudo doveva svolgere nuove funzioni amministrative e militari; piazza Palazzo di Città con annesso il “suo” Palazzo di Città (noto anche come Palazzo Civico), ne sono un esempio lampante. Nel 1995, sotto il controllo della Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici del Piemonte, sono stati avviati i lavori di riqualificazione della piazza; la totale pedonalizzazione, la rimozione dei binari tranviari che collegavano Via Milano a piazza Castello e la realizzazione di una nuova pavimentazione, hanno restituito ai cittadini una nuova piazza molto più elegante e raffinata. Da ricordare come piccola curiosità, il fatto che per tutti i torinesi piazza Palazzo di Città sia conosciuta con il nome di “Piazza delle Erbe”, probabilmente a causa di un importante mercato di ortaggi che, nell’antichità, aveva sede proprio in questa piazza. 

(Foto: il Torinese)

Simona Pili Stella

Per il monumento ai Cavalieri il Canonica lavorò gratis

Alla scoperta dei monumenti di Torino / Il monumento venne inaugurato, alla presenza di Re Vittorio Emanuele III, il 21 maggio del 1923, con una carosello storico, parate dei militari e delle associazioni. Nel 1937, per fare spazio all’opera dedicata ad Emanuele Filiberto Duca d’Aosta, la statua venne spostata sul lato destro di Palazzo Madama, dove è situata ancora oggi

 

Ed eccoci nuovamente giunti al nostro consueto appuntamento con Torino e le sue meravigliose opere. Cari amici lettori e lettrici, oggi andremo alla scoperta di uno dei monumenti presenti in una delle piazze più “frequentate” della città: sto parlando di Piazza Castello e del monumento ai Cavalieri d’Italia. (Essepiesse)

 

 

La statua è collocata in Piazza Castello sul lato destro di Palazzo Madama, rivolta verso via Lagrange. Il monumento rappresenta un soldato a cavallo su un piedistallo di granito,che poggia su un basamento a gradoni. Il cavaliere dall’aria vigile, scruta l’orizzonte volgendo lo sguardo alla sua destra mentre con il fucile in spalla, con una mano tiene le redini e con l’altra uno stendardo; la posa del destriero e del suo cavaliere è rilassata, lontana dalle immagini stereotipate di nobili cavalieri che caricano al galoppo. Di contorno al basamento vi sono una serie di alto rilievi con fregi militari.

 

Con il termine Cavalleria si è soliti indicare le unità militari montate a cavallo. Essa ebbe origini molto antiche, venne infatti da sempre impiegata per l’esplorazione dei territori, per azioni in battaglia dove venisse richiesta molta mobilità e velocità nell’attacco e fu anche strategicamente determinante in alcune battaglie. In seguito cominciò ad evidenziare i suoi limiti con il perfezionamento delle armi da fuoco e l’avvento dei treni e degli autoveicoli.

Riformata all’interno dell’Esercito Sardo sin dal 1850, la Cavalleria venne impiegata con l’esercito francese prima in Crimea ed in seguito contro gli Austriaci, ai confini della Lombardia all’inizio della II Guerra di Indipendenza. L’ Arma si conquistò così la fiducia e la stima degli alleati francesi. I Reggimenti combatterono, guadagnando numerose medaglie al Valor Militare, sia a Montebello che successivamente a Palestro e Borgo Vercelli; le battaglie più famose di questa guerra, quella di Solferino e di San Martino (alle porte del Veneto), si combattono con i francesi impegnati a Solferino e i sardo-piemontesi a S. Martino. Dopo il 1861, il Regio Esercito Sardo divenne Esercito Italiano e negli anni seguenti, tutto l’esercito venne riformato e uniformato. La Cavalleria, a partire dagli anni ’70, venne impiegata in Africa, dove furono formati Reggimenti di Cavalleria indigena, ed anche nella guerra italo-turca del 1911-1912.

In seguito il primo conflitto mondiale impose alla Cavalleria l’abbandono del cavallo in modo da adeguarsi alla guerra di posizione, in trincea, dove reticolati e mitragliatrici rendevano impossibile l’uso dell’animale. Verso la fine del conflitto però, la Cavalleria venne nuovamente rimessa in sella: nel 1917 fu impiegata a protezione delle forze che ripiegavano sul Piave, dopo la sconfitta di Caporetto. Verso la fine della Prima guerra mondiale, la II Brigata di Cavalleria coprì la ritirata della II e della III Armata, comandata dal generale Emanuele Filiberto Duca d’Aosta, ed il 16 giugno 1918 fermò il nemico sul Piave. Questa data fu così importante per gli esiti del conflitto mondiale, che ancora oggi viene celebrata come festa della Cavalleria.

Per ricordare e onorare il valore dell’Arma, nel 1922 a Roma si istituì il Comitato generale per le onoranze ai Cavalieri d’Italia con l’intento di elevare un monumento equestre. Pochi giorni dopo il comitato, presieduto dal Re e dal senatore Filippo Colonna, propose alla Città di Torino di collocare l’opera in piazza Castello, dove era già ricordato il soldato dell’Esercito Sardo; questa proposta venne accolta con orgoglio ed onore dalla Giunta e dal Consiglio Comunale. La realizzazione del monumento venne affidata a Pietro Canonica che si offrì di lavorare gratuitamente, mentre il bronzo (materiale utilizzato per la costruzione dell’opera) fu offerto dal Ministero della Guerra.

Il monumento venne inaugurato, alla presenza di Re Vittorio Emanuele III, il 21 maggio del 1923, con una carosello storico, parate dei militari e delle associazioni. Nel 1937, per fare spazio all’opera dedicata ad Emanuele Filiberto Duca d’Aosta, la statua venne spostata sul lato destro di Palazzo Madama, dove è situata ancora oggi. Nel 2008 il monumento ai Cavalieri d’Italia è stato restaurato ed il lavoro di pulitura del bronzo ha riportato finalmente alla luce l’originaria colorazione tendente al verde, una patina data come finitura dallo stesso scultore Canonica.

 

Simona Pili Stella