ARTE- Pagina 85

“La Luna Bambina”, alla Cavallerizza tra sogno e realtà

Da andare a vedere

Siete pronti per un fantastico e meraviglioso viaggio tra sogno e realtà, fotografie ed installazioni ludiche, ma dove c’è anche da ragionare per i temi contemporanei e d’attualità!?

A Paratissima, alla Cavallerizza Reale, in occasione della mostra “La Luna Bambina” si può incontrare Spaceman Shiny, un astronauta tutto rosa e luccicante, ideato e realizzato da Filippo Trincolini, ricolmo di rose e fiori, pronto a solcare lo spazio alla ricerca di nuovi pianeti. Conoscere il fotografo australiano Andrew Rovenko che ha travestito, durante il periodo del Lockdown, sua figlia da astronauta e l’ha fotografata all’area aperta affinché non perdesse la voglia di sognare che quel momento così brutto le aveva portato via.

Il fotografo Gabriele Galimberti che ha viaggiato in lungo e in largo per tutti i continenti con le foto dei bambini che incontrava nei suoi innumerevoli spostamenti chiedendo loro di mostrargli i loro giocattoli preferiti. Oppure, anche se a prima vista può sembrare una giostra per bimbi si può trovare anche l’enorme ruota di criceto di Saverio Todaro, una scultura tutta da scoprire e da studiare che ci parla già a prima vista di libertà e di regole da seguire.

E poi ancora le creature metamorfiche e fiabesche di Simone Benedetto che sembrano tratte da una favola: ibridi appartenenti ad un’altra dimensione segreta e sconosciuta. Potrebbero essere abitanti che popolano la fitta vegetazione delle boscaglie oppure i protagonisti di un futuro prossimo, possibili discendenti della specie umana ritornata a vivere allo stato brado in seguito a qualche catastrofe naturale. Il tutto è da vedere e da scoprire.

Igino Macagno

Al Miit Tang Tang e la collettiva “Dreams”

Due nuclei di opere inaugurano la mostra prevista sabato 10 giugno al Museo di Guido Folco

 

“Tang Tang” e “Dreams” rappresentano i due nuclei della mostra che si inaugura sabato 10 giugno prossimo al Museo MIIT, Museo Internazionale di Italia Arte di cui è  direttore Guido Folco, e visitabile fino al 23 giugno prossimo.

Tang Tang è  una giovane artista cinese, che realizza lavori di ricerca e sperimentazione in diverse discipline e tecniche, a partire dalla fotografia fino a approdare alla pittura, che viene declinata in tecniche mistiche materiche e in action painting. Ella fa dell’astrazione la sua principale cifra stilistica, recuperando oggetti frantumati, frammenti naturali e elementi della propria esistenza.

Lavorando per serie, Tang Tang mette  a fuoco aspetti diversi della sua emotività e della sua interiorità,  prendendo spunto dal quotidiano, dal reale, dalle circostanze e dagli oggetti in cui abita e vive.

“La serie “Home” – spiega Tang Tang – parla della mia vita, di quando sono a casa e mi faccio un’idea della bellezza presente negli oggetti che mi circondano  e che portano tracce della miavita,  acqua piovana, frammenti di vasi rotti, foglie, piante cadute a terra”.

Nell’effimera esistenza del tutto sta il particolare e Tang Tang elabora il suo linguaggio della sintesi di ciò che appare, cercando di sondare la profondità dell’anima e dello spirito del mondo.

Negli scatti della pittrice l’elemento umano, il suo mondo e il suo spazio diventano palcoscenici  di esistenza percorsi da silenzi. Le radici della sua Terra, del Paese in cui è  nata, e della sua città rimangono indelebili nel ricordo e nell’arte di Tang Tang.

Ad affiancare la mostra di Tang Tang una collettiva di artisti italiani e stranieri dal titolo “Dreams”, con una selezione di opere dall’informale al figurativo.

MARA MARTELLOTTA

Torino, gli eventi nei musei della Fondazione

AGENDA APPUNTAMENTI FONDAZIONE TORINO MUSEI

9 – 15 giugno 2023

SABATO 10 GIUGNO

Sabato 10 e domenica 11 giugno ore 10 – 17

CILIEGIE E PICCOLI FRUTTI

Palazzo Madama – workshop di acquerello botanico

Ultimo appuntamento con Angela Petrini prima della pausa estiva per scoprire le potenzialità del disegno e dell’acquerello come forma di studio e di riproduzione della realtà: il workshop è un esercizio di attenzione e creatività e prenderà le mosse anche in questa occasione dal giardino botanico medievale dove sono presenti lucide amarene, insieme a ribes, uva spina e more che stanno preparandosi alla maturazione.

Rappresentare questi frutti significherà osservarne con attenzione le caratteristiche, per arrivare a conoscerne la morfologia e alcuni particolari che diversamente si perdono nel colpo d’occhio.

Il corso è aperto a tutte le persone curiose e desiderose di mettersi alla prova unendo arte e osservazione botanica.

 

Il corso ha una durata di 12 ore, si svolge il sabato e la domenica dalle ore 10 alle 17, ed è accreditato per l’aggiornamento degli insegnanti (legge 170 del 21/03/2016 art. 1.5).

Angela Petrini ha ottenuto il Diploma con lode in disegno e acquerello botanico dalla Society of Botanical Artists di Londra; è Presidente dell’Associazione Italiana Pittori Botanici “Floraviva”. Premiata dalla Royal Horticultural Society con la Gold Medal al Plant and Botanical art Fair 2018, Londra.

Materiale occorrente: acquerelli; pennelli tondi a punta fine numeri 4, 2, 0; matita HB; gomma (evitare possibilmente la gomma pane); carta liscia satinata 300 gr. formato 30×40 circa. A chi non avesse il materiale l’insegnante può fornire carta, pennelli e colori necessari per lo svolgimento al costo di 5 €. È necessario segnalarlo al servizio prenotazioni.

Costo: € 140

Posti disponibili per ogni appuntamento: 7
Prenotazione obbligatoria: tel. 011 4429629; e-mail: madamadidattica@fondazionetorinomusei.it

 

 

LUNEDI 12 GIUGNO

 

Lunedì 12 giugno ore 17

LIGNAGGI PIEMONTESI E IMPERO BIZANTINO

Palazzo Madama – conferenza con lo storico Walter Haberstumpf

Le vicende dei marchesi di Monferrato, dei Savoia e degli Acaia, nonché di altri lignaggi piemontesi sono ben conosciute quanto studiate, ma sovente non si conosce la loro vocazione oltremarina ovvero i loro rapporti con l’impero bizantino. Questi casati, anche per uscire dal loro particolarismo locale, ebbero complicate relazioni politiche, economiche e matrimoniali con Bisanzio, in un moto quasi pendolare specialmente nei secoli XII-XV. Pagine di storia ancora da studiare e da approfondire.

È questa la prima conferenza del nuovo ciclo, che approfondisce alcuni dei temi presentati nella mostra Bizantini. Luoghi, simboli e comunità di un impero millenario, visitabile nella Sala del Senato di Palazzo Madama fino al 28 agosto 2023, attraverso 350 opere provenienti da importanti musei italiani e da oltre venti musei greci.

Le conferenze sono a cura di studiosi – archeologi, storici e storici dell’arte -che da prospettive e ambiti disciplinari differenti affrontano il millenario sforzo di un impero teso al dialogo tra la cultura classica e quella orientale.

Walter Haberstumpf, “bizantinista della scuola di Torino”, membro del C.R.S.M. (Centro di Ricerca sulle Istituzioni e Società Medievali di Torino), collabora con numerose riviste. In vari congressi internazionali ha tenuto conferenze sui rapporti tra Europa e Bisanzio. Circa le relazioni tra i lignaggi europei e il vicino Levante è autore di numerosi articoli saggi e libri.

Prossimi appuntamenti

Lunedì 19 giugno, ore 17

Costruire la mostra “Bizantini”. Il percorso dall’ideazione alla realizzazione

Con Federico Marazzi, Università Suor Orsola Benincasa di Napoli

Lunedì 26 giugno, ore 17

Bella di fama e di sventura. Galla Placidia, la virtù del potere

Con Giovanni C.F. Villa, Palazzo Madama –  Museo Civico d’Arte Antica di Torino

Lunedì 3 luglio, ore 17

Smalti bizantini tra Oriente e Occidente

Con Giampaolo Distefano, Università degli Studi di Torino

Lunedì 10 luglio ore 17

Una vita, molte leggende. Teodora di Bisanzio santa e diavolessa

Con Paolo Cesaretti, Università degli Studi di Bergamo

Lunedì 17 luglio, ore 17

Il nostro debito con Bisanzio

Con Mario Gallina, già Professore ordinario di Storia bizantina presso l’Università degli Studi di Torino

Ingresso gratuito

Prenotazione consigliata: t. 011.4429629 (dal lun. al ven. 09.30 – 13.00; 14.00 – 16.00) oppure scrivere a madamadidattica@fondazionetorinomusei.it

 

Theatrum Sabaudiae propone visite guidate in museo

alle collezioni e alle mostre di Palazzo Madama, GAM e MAO.

Per informazioni e prenotazioni: 011.52.11.788 – prenotazioniftm@arteintorino.com

 

https://www.arteintorino.com/visite-guidate/gam.html

https://www.arteintorino.com/visite-guidate/mao.html

https://www.arteintorino.com/visite-guidate/palazzo-madama.html

 

Tassisto a Moncalvo: vita e arte, un continuo rapporto di emozioni

LA MOSTRA E’ IN CORSO AL MUSEO CIVICO

La mostra dedicata a Mario Tassisto vuole riportare alla memoria uno dei più singolari artisti  monferrini del 900 affinché non si disperda il ricordo del suo grande talento.

Nato a Casale Monferrato nel 1919, egli  respirò fin da giovane il clima culturale di una città orgogliosa di aver dato i natali ad artisti famosi quali, tra i tanti, Martino Spanzotti, Pietro Francesco Guala e, ancora vivente, Leonardo Bistolfi.

Formatosi presso Gino Mazzoli, virtuoso ritrattista allievo di Giacomo Grosso, frequentò poi l’Accademia Albertina, abbandonata quando fu chiamato alle armi durante la Seconda Guerra Mondiale,  ma non volle sottostare a regole accademiche, senza peraltro cedere a lusinghe di avanguardia, accolte più tardi per alcuni anni.

Piuttosto si nota, nel periodo giovanile, una affinità elettiva con Felice Casorati nel convenire che i valori autentici dell’arte figurativa non dovessero perdersi se portati avanti con stile innovativo.

Le opere giovanili, intorno agli anni trenta, sono trattate secondo la poetica del quotidiano, silenti paesaggi collinari del Monferrato, ritratti di persone solitarie, nature morte con oggetti semplici, frutta e verdura colte nell’orto sotto casa.

Particolarmente interessante il “Piatto bianco con uova” di influsso casoratiano, con purezza volumetrica ed essenzialità spaziale vista secondo la prospettiva dal basso in alto.

Uno stile più personale si delineò dal 1946 quando, tra i pochi superstiti dell’eccidio di Cefalonia e della prigionia in Germania, ritornò a Casale segnato dolorosamente nel corpo e nello spirito.

La tragica esperienza si ripercosse non solo nel suo carattere di per sè scontroso ma anche nella sua arte sostituendo alla visione naturalistica una visione interiore rivestita di ansiosa inquietudine.

A mio parere, contrariamente a quanti hanno considerato migliore il successivo periodo aniconico, è questa la fase più bella e sincera in cui mette a nudo con forza espressiva la propria anima, consegnata alle opere come una accorata confessione.

Sempre più solitario e scostante, si rifugiò in casa dedicandosi quasi completamente alla pittura degli interni in una atmosfera di travolgente espressionismo.

Ora in preda all’horror vacui dipingendo una ridondanza di mobili e oggetti di famiglia di alto valore  simbolico, quasi volesse riappropriarsi della vita precedente,  ora assalito da una stato claustrofobico espresso attraverso l’oppressiva violenza del colore non semplice complemento ma esso stesso forma.

E’ questo uno dei tanti casi in cui la conoscenza della vita di un artista è illuminante ed eloquente per la comprensione delle opere in cui si conciliano personalità umana ed energia creatrice.

Le varie fasi del percorso artistico diventano ricostruzione del conflitto con la realtà che lo spinge all’isolamento mentre l’istinto di sopravvivenza lo incita a gettarsi in una nuova sperimentazione,

Sono gli anni tra il 1957 e il 1962 in cui abbandona i temi dolorosi e strazianti come le crocifissioni, usando non più colori plumbei ma più vivaci e accostandosi all’arte gestuale istintiva.

Fu una scelta forse non tanto per forte convinzione quanto per scacciare l’oppressione dei ricordi tormentosi attraverso il radicale cambiamento di vita e di stile.

Si susseguirono apprezzate mostre in importanti gallerie all’estero e in Italia, in particolare ad Albisola nel 1962 insieme a Lucio Fontana,  Giuseppe Capogrossi, Emilio Scanavino ed altri famosi artisti.

Sicuramente Tassisto fu contagiato ed appagato dal frenetico clima della cittadina ligure dove gravitavano maestri ceramisti, futuristi, astrattisti, informali, spazialisti, e dove avevano casa Wifredo Lam, Tullio Mazzotti, Asger Jorn e il mitico gallerista Carlo Cardazzo che, con Milena Milani, aveva contribuito a lanciarli.

Nonostante si fosse inserito tra di loro, che lo avrebbero voluto ancora in altre occasioni, fu colpito nuovamente da una nuova crisi esistenziale che lo spinse a ritornare nel guscio protettivo della sua città natale lontano dal clamore.

Fu una sorta di crisi di coscienza, quasi incolpandosi di aver abbandonato l’ arte figurativa per l’aniconica sacrificando l’oggetto a favore della sola idea.

Il ritorno non fu più però in versione naturalistica del reale bensì come espressione del proprio sentire interiore.

Ogni tonalismo viene eliminato, le nature morte assumono bagliori cromatici azzardati, ne fa testo la stupenda “Zucca” antropomorfa simile ad un tragico volto, le figure umane hanno aspetto sofferente, i fiori scaturiscono come visioni apparse all’improvviso dal nulla, le maschere disumanizzate urlanti d’angoscia e gli autoritratti dallo sguardo sperduto sono specchio di malessere spirituale.

Il rapporto emozionale tra la vita e l’arte confermano Tassisto grande esponente del movimento espressionista novecentesco a cui hanno dato voce non solo pittori, scultori, incisori ma anche filosofi, letterati, musicisti.

Una esistenza, la sua, dedicata all’arte volta con stile personalissimo, senza per questo ignorare suggestioni di altri artisti che, essendo uomo di intelligenza e cultura, seppe cogliere e ricreare.

Lo si nota nello stupendo fregio materico, nell’atrio di un palazzo di Casale, in cui si sente l’eco del danese Asger Jorn nel risvegliare la concezione animistica del divenire del Cosmo a cui partecipa la creazione dell’artista, oltre allo slancio vitale bergsoniano come forza spirituale che gli permette di dominare la materia liberandone la potenzialità con forte carica espressiva.

Giuliana Romano Bussola

Arazzo / Esaudire la vita che vive Performance di Claudia Losi, GAM Torino – Arena Paolini


Conversazione con Alice Benessia e Mauro Sargiani

martedì 6 giugno 2023, ore 18:00

Ingresso libero fino a esaurimento posti

 

Intervengono:
Luisa Papotti, 
Presidente della Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT
Elena Volpato, 
Conservatore e Curatore GAM

 

La GAM è felice di ospitare Arazzo. Esaudire la vita che viveincontro con Claudia Losi la cui opera Arazzo è stata acquisita dalla Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT per le collezioni della GAM di Torino.

Arazzo è un grande ricamo realizzato con fili di lana su un tessuto in cotone. Iniziato da Losi nel 1995da allora, secondo un ordine temporale non prestabilito, e in contesti privati e pubblici, continua a crescere: come i licheni su una superficie rocciosa, si espandono, si toccano, si sovrappongono, muoiono, così i punti di ricamo si aggiungono ai punti precedenti, modificandosi nel tempo.

La concezione dell’opera prevede quindi un lento evolversi negli anni come accade in natura.

La presenza di Arazzo nella collezione della GAM di Torino è dovuta alla sua recente acquisizione da parte della Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT ed è una dichiarazione di intenti. Acquisire un’opera in fieri, che non risponda a un predeterminato progetto di sviluppo, significa non solo desiderare di prendersene cura, ma anche desiderare di accogliere, all’interno del tempo storico dell’arte e del tempo liminale del museo, il ritmo dei cicli stagionali. Significa contemplare la possibilità concettuale che le opere, anche tra pareti istituzionali, si modifichino e crescano come esseri viventi e come pensieri, accompagnando il percorso dell’artista e delle collezioni che le accolgono.

La GAM intende, ogni anno, creare l’occasione per Claudia Losi di “presentarsi a un appuntamento” dandole la possibilità di dare nuova forma e sviluppo alla superficie-paesaggio di Arazzo.

Ad ogni appuntamento alcune voci verranno invitate a dialogare intorno a temi che siano in rapporto di vicinanza e analogia con la natura dell’opera di Losi, secondo le loro personali pratiche di ricerca e sensibilità. L’andamento di queste conversazioni procederà parallelamente alla crescita dell’arazzo.

Il titolo della prima conversazione è Esaudire la vita che vive: accogliere, ascoltare porgendo la massima attenzione alla vita che si dispiega nella sua attività di vivere, con il desiderio di affidarsi a parole che si presentano per rispettare e restituire questo moto perpetuo.

Per questo primo appuntamento, le voci invitate sono quella di Alice Benessia (fisica teorica, filosofa della scienza e artista) e di Mauro Sargiani (scrittore e designer artista). Come i profili dei licheni, i confini della loro conversazione saranno nomadi, si sposteranno e tracceranno topografie che cercano di esaudire il loro destino.

*telai per il ricamo nello studio di Claudia Losi

Claudia Losi parte dall’osservazione delle relazioni che esistono tra l’individuo e la comunità a cui appartiene, con l’ecosistema minerale- animale-vegetale che condivide, con l’immaginario collettivo in cui si identifica. Realizza progetti pluridisciplinari che si sviluppano anche per lunghi periodi di tempo, attivando diverse forme di collaborazione (attraverso il cammino, il fare manuale e il canto corale) facendo rete e tessendo storie. Opera con diversi media come installazioni site-specific e performance, scultura, fotografia, opere tessili e su carta. Ha esposto le sue opere in numerose istituzioni in Italia e all’estero.

Nel 2021 pubblica con Johan&Levi, The Whale Theory. Un immaginario animale, e Voce a vento, con Kunstverein Milan. Nel 2022 pubblica Being There. Oltre il giardino, Viaindustriae, Foligno.

Alice Benessia. Con una formazione ibrida in arti visive, fisica teorica e poi filosofia della scienza – e un passato urbano di ricerca accademica e pratica artistica – nel 2017 ha fondato Pianpicollo Selvatico, un piccolo centro di ricerca rurale al confine tra arte, ecologia profonda e convivenza interspecifica, in una valle remota del Piemonte Meridionale. Pianpicollo Selvatico è oggi la sua casa, luogo di ricerca e pratica quotidiana.

Mauro Sargiani è uno scrittore che progetta e realizza mobili in legno con nome di Elefante Rosso Produzioni. La scrittura continua a governare il disegno e la forma dei suoi tavoli, una disciplina praticata in omaggio ai suoi maestri, Gianni Celati e Piergiorgio Bellocchio.

GAM – GALLERIA CIVICA D’ARTE MODERNA E CONTEMPORANEA – Via Magenta, 31 – 10128 Torino

Orari di apertura: da martedì a domenica 10:00 – 18:00.

Chiuso il lunedì.  La biglietteria chiude un’ora prima.

“Nodo Chieri – Firenze”, la “Notte degli Archivi”

In mostra l’incontro fra due eccellenze della manifattura tessile

Venerdì 9 giugno

Chieri (Torino)

Esito della sinergia avviata nel 2021 con la “Fondazione Arte della Seta Lisio” di Firenze, il Progetto “Nodo Chieri – Firenze”sarà protagonista a Chieri nella “Notte degli Archivi”, in agenda per “Archivissima”, che vede anche quest’anno l’adesione della “Fondazione Chierese per il Tessile e per il Museo del Tessile”. L’appuntamento è per venerdì 9 giugno, dalle 18 alle 21, presso la Sala – Studio dell’“Archivio Storico Chierese” (in via Giovanni De Maria, 10) che verrà aperta liberamente al pubblico per la visione di un “disegno particolare” del Fondo “Serra e Carli” e dei “campioni di velluto” che ne restituiscono il motivo in forma di tessuto grazie al sapiente lavoro della prestigiosa manifattura fiorentina.

Un disegno a tempera dal Fondo Chierese“Serra e Carli” del Novecento è stato infatti studiato nella storica manifattura fiorentina per realizzarne la versione in trama e ordito. Il progetto “Nodo Chieri-Firenze” si è articolato in elaborazione del disegno tecnico per la tessitura del motivo originale su telaio jacquard, previa foratura e legatura e montaggio dei cartoni, inserimento dei ferri a telaio e infine tessitura e cimatura. Il risultato – vedere per credere! – è uno splendido velluto tagliato, prodotto in tre varianti colore blu, rosso, verde.

“Coniugando – spiega Melanie Zefferino, presidente della ‘Fondazione Chierese Museo del Tessile’ – le diverse tradizioni di due eccellenze manifatturiere, quella di Chieri più orientata al cotone e quella della ricca Firenze, più focalizzata su lana e seta, si è completato il percorso creativo appena abbozzato in un disegno del XX secolo che era rimasto solo rappresentazione grafica di una ‘idea per stoffa’. La sua realizzazione contemporanea oltre Chieri, infonde nuova linfa vitale all’ ‘Archivio Storico’ dell’Ente fondato nel 1997 da Armando Brunetti (1934-2015) con l’intento di preservare la cultura del tessile per le generazioni a venire”.

Al contempo, l’iniziativa congiunta presentata ad “Archivissima 2023” è un arricchimento, senza alcun dubbio, anche per la “Fondazione” fiorentina che deve la sua esistenza a Fidalma Lisio (1910-2001), la quale ha voluto salvaguardare e trasmettere l’“Arte della Seta” trasformando la “Manifattura” di Giuseppe Lisio in “Fondazione” nel 1971 portandola nel nuovo millennio.

Il “nodo” che lega l’“Archivio di Chieri” alla “Tessitura di Firenze” è frutto di una collaborazione che può esser vista “come un ‘viaggio’ fra due città a forte vocazione tessile ma anche fra due realtà che coniugano memoria storica e sviluppi contemporanei”. In quest’ottica, il Progetto ben si inserisce nel quadro tematico “Carnet de voyage” di “Archivissima”, dove “il viaggio è esplorazione … un andare – sottolineano ancora gli organizzatori – che non esisterebbe senza il racconto di ciò che è stato”. Così le trame immaginate in un disegno e tessute a telaio sono divenute “segni vivi, in cui risuonano emozioni, senza cui tutto resterebbe segno muto”.

g.m.

Ingresso libero

Per info: Fondazione Chierese per il Tessile e per il Museo del Tessile”, via Giovanni De Maria 10, Chieri (To), tel. 329/4780542 o www.fmtessilchieri.org

A Piossasco, a Casa Lajolo

Quando si varca il cancello della villa la vista è mozzafiato. Camminando nelle tranquille viuzze del borgo, all’esterno della dimora, non si penserebbe certo di vedere uno spettacolo simile. Nascosta dal muro di recinzione c’è una villa di campagna di metà Settecento che conserva intatto il suo antico fascino. Ma è il giardino che rapisce gli sguardi. Si resta ammirati dall’eleganza di quel piccolo parco più che dalla villa. Siamo a Casa Lajolo, residenza nobiliare nell’antico borgo di San Vito, sulla collina di Piossasco, alle pendici del Monte San Giorgio. Entriamo con i volontari di “Dimore storiche italiane”, l’associazione nazionale che, d’intesa con i proprietari, apre le porte al pubblico di palazzi, ville, castelli e tenute agricole, tutte proprietà private e abitate, consentendo di scoprirne la storia e le bellezze artistiche e di passeggiare in giardini incantati e parchi storici ammirando alberi secolari, piante poco conosciute e specie esotiche. Qui a Piossasco, insieme ai responsabili dell’associazione c’è il conte Lajolo, il proprietario, è lui che apre le porte di questa meraviglia, da aprile a ottobre. Davanti a noi un giardino all’italiana, tra ortensie, iris, agrumi, fiori perenni e annuali, poi un’alta siepe di tassi che custodisce un giardino all’inglese, poi ancora un orto-giardino in cui perdersi tra colori e profumi. Una dimora da visitare per trascorrere una giornata di relax. Appartenuta nel Settecento alla famiglia Ambrosio conti di Chialamberto, la proprietà fu ereditata dai cugini nella metà dell’Ottocento, i conti Lajolo di Cossano, antica famiglia astigiana, tuttora proprietaria della dimora. Oggi l’obiettivo della Fondazione Casa Lajolo è quello di conservare e valorizzare un patrimonio di notevole valore artistico e storico. Le visite si svolgono, su prenotazione, da aprile a fine ottobre, contattando l’Associazione “Dimore storiche italiane”. È possibile vedere il piano terreno della casa padronale, il giardino e l’orto botanico, con visite guidate da giovani botanici che ci fanno conoscere, tra l’altro, la pianta del cappero e una pianta di canfora, ci presentano una piccola coltivazione di alberi da frutto, una ricca varietà di ulivi, un noce americano e una pawlonia. In villa si tengono concerti di musica contemporanea, mostre d’arte, laboratori per bambini e concorsi fotografici. Tra i prossimi appuntamenti, sabato 17 giugno, una giornata dedicata agli amanti di orti e giardini per imparare le basi del giardinaggio e della cura dell’orto. Dal 25 giugno fino all’8 ottobre sarà invece la volta di “Bellezza tra le righe, maneggiare con cura, incontri e letture per mettersi in salvo” con autori e libri nei giardini storici di alcune dimore del pinerolese, Casa Lajolo, Castello di Miradolo e Palazzo Bricherasio. Le visite guidate si svolgono ogni ultima domenica del mese e partono ogni 30′, dalle 10 alle 13 e dalle 14,30 alle 18. Si può prenotare la visita contattando il sito di Casa Lajolo o telefonando al 333-3270586.                                               Filippo Re

“Media-mente falso”

La galleria Spazio 44 ospita nei suoi spazi torinesi di via Maria Vittoria 44 l’arte di Akira Zakamoto e le sue notizie pop.

 

Si inaugura venerdì 9 giugno prossimo la mostra dedicata dalla galleria Spazio 44 all’artista Akira Zakamoto dal titolo “Media-mente falso”.

L’artista, all’anagrafe Luca Motolese, racconta episodi e fatti di cronaca degli ultimi ottant’anni,  tra grandi titoli  giornalistici e disegni di personaggi che sono entrati nella storia, da quelli fumettistici, come Doraemon  a Tiger Man, fino a quelli reali di Mussolini e Gagarin.

Akira Zakamoto reinterpreta le prime pagine dei giornali di tutto il mondo degli ultimi ottanta anni  rispolverando tempi di guerra e sogni di pace, obiettivi di informazione e parti di nebulizzazione.

Riscrive la grande Storia armato di colori e pennelli, attraverso le piccole storie, perpetuando massacri collettivi e colpe personali in stile pop.

La mostra, il cui vernissage è in programma  alle 18.30 di venerdì 9 giugno, sarà  visitabile fino a venerdì 23 giugno prossimo presso la galleria Spazio 44 di Torino, in via Maria Vittoria 44.

Sono circa trenta le opere in mostra,  attraverso le quali l’artista racconta episodi e fatti di Cronaca che isno entrati nella cultura mondiale, da quelli fumettistico come Wonder Woman e Tiger Man, a quelli storici, come Benito Mussolini e l’astronauta Jurij Gagarin.

Nei quadri di Zakamoto le pagine dei giornali fungono da tela inedita e riportano la Grande Storia.  Principale arma delle sue opere l’ironia, che talvolta si apre al cinismo. L’artista propone un caleidoscopio di immagini fantastiche e realistiche,  riflesse nello specchio deformato dell’informazione del Novecento. Qui i disegni rimandano al testo e il testo ai disegni. I colori sono pochi, ben studiati, i box pubblicitari si integrano perfettamente nella struttura dell’opera.

Tra i numerosi fatti di cronaca che l’artista ripropone figurano l’assalto ai convogli anglosassoni nel Canale di Sicilia, le rivelazioni su Gagarin, l’arrivo a Munich delle truppe americane,  il pranzo che Mussolini offrì  in onore dei rappresentanti della Germania e del Giappone, l’attacco aereo a Pearl Harbour, la resa senza condizioni dell’Armata greca dell’Epiro e della Macedonia.

“Nel giornale di ieri – spiega Akira Zakamoto – la menzogna è  il sistema di riferimento . Si parla di ciò che si spera sia successo in una continua manipolazione avanti e indietro nel tempo.  Se tutti mentono le menzogne non si trasformano in realtà, ma la pratica della mistificazione diventa di fatto accettata come sistema. Osservo le immagini del futuro immaginato attraverso specchi deformanti che mettono in luce gli oltre ottanta anni di cosiddetta “pace”.

L’artista ha tracciato anche una biografia poetica di sé: “Akira Zakamoto, nato amato. Ha un amico immaginario che compie grandi imprese,  detto Luca Motolese. Dipinge  e inventa cose futili.  Sulla spiaggia vino e mitili. Legge tanto e scrive poco. Morirà prima o dopo”.

MARA MARTELLOTTA

Grandi mostre. La nuova stagione alla Reggia di Venaria “All’ombra di Leonardo”

“Arazzi e cerimonie alla corte dei papi”

Fino al 18 giugno

Venaria Reale (Torino)

Mostra davvero prestigiosa. E “non solo per la preziosa collaborazione con i ‘Musei Vaticani’ che l’ha permessa, ma anche e soprattutto in quanto occasione imperdibile per ammirare da vicino capolavori unici che consentono di conoscere rituali e cerimonie ricchi di simboli e significati lontani nel tempo”. Così descrivono Michele Briamonte e Guido Curto, presidente e direttore generale del “Consorzio delle Residenze Reali Sabaude”, la mostra “All’ombra di Leonardo. Arazzi e cerimonie alla corte dei papi”, visitabile, fino al prossimo 18 giugno, nelle Sale delle Arti alla “Reggia di Venaria”. Curata da Alessandra Rodolfo e Andrea Merlotti, storici dell’arte, la rassegna raccoglie opere provenienti, oltre che dai “Musei Vaticani”, dal “Palazzo del Quirinale”, dal “Museo di Roma”, dai “Musei Reali” di Torino, dal “Museo Diocesano Tridentino”, dalla Civica Raccolta delle Stampe “A. Bertarelli” di Milano e da diverse collezioni private. L’iter espositivo ci permette di “entrare”, attraverso la proposta di arazzi, quadri, incisioni ed oggetti che raccontano storie antiche di secoli, in un mondo “alto”, fatto di antichi riti, come la “Lavanda dei piedi” e la “Coena Domini” che si svolgevano il Giovedì Santo nel cuore del “Palazzo Vaticano”.

Opere da trattenere il fiato, come il prezioso “Arazzo” raffigurante l’“Ultima Cena”di Leonardo, donata nel 1533 dal re di Francia Francesco I a papa Clemente VII, in occasione del matrimonio di Caterina de’ Medici, nipote del pontefice, ed Enrico di Valois, secondogenito del re francese. L’opera fu realizzata dopo il 1516 su ordine dello stesso Francesco I e di sua madre Luisa di Savoia. Interamente lavorata in oro e seta, l’“Ultima Cena” milanese è lì trasposta con assoluta fedeltà, ma con un’importante variazione allo sfondo – quasi astratto nell’originale – simile nel prezioso “panno” ad un’architettura rinascimentale. Francesco I era un grande estimatore di Leonardo, tanto da averlo chiamato alla sua corte presso il “Castello di Amboise” (nella Valle della Loira) dove l’artista visse dal 1516 al 1519, ed è ormai opinione di molti che il cartone dell’arazzo, su cui fu poi effettuata la successiva tessitura, sia stato realizzato in Francia sotto la supervisione dello stesso Leonardo. Una volta entrato nelle collezioni vaticane, l’arazzo venne utilizzato per alcune delle più importanti e suggestive cerimonie religiose della corte papale. In particolare nella “Lavanda dei Piedi” che si svolgeva nella “Sala Ducale” del “Palazzo Vaticano” e in occasione della quale il pontefice, a imitazione di Cristo, lavava i piedi a tredici sacerdoti “poveri” posti a sedere su un palco sotto l’arazzo leonardesco. Lo stesso pontefice, poi, coadiuvato dal suo seguito, serviva la cena (“Coena Domini”) ai tredici con chiaro rimando all’“Ultima Cena”.

E proprio qui il “panno leonardesco” intrecciò la sua storia con un altro arazzo, di grande rilievo e bellezza: quello per il “Dossale del baldacchino papale”, sopra al “trono” (da cui il pontefice si alzava per praticare la “Lavanda dei piedi”) realizzato sempre per Clemente VII e disegnato dagli allievi di Raffaello, gli stessi che avevano lavorato con il Maestro nelle celeberrime “Stanze Vaticane” e nelle “Logge” del Palazzo. A quarant’anni di distanza dalla sua ultima esposizione l’imponente baldacchino, realizzato nella stessa “manifattura brussellese” da cui uscirono i famosi “Arazzi” raffaelleschi della “Cappella Sistina”, viene ricostruito in mostra, con la sua copertura impreziosita da pendenti di straordinaria bellezza. La mostra alla “Venaria” ci ricorda anche che il rito della “Lavanda” non era però solo una prerogativa pontificia. Tutti i sovrani cattolici – e sino a fine Seicento anche il protestante re d’Inghilterra a imitazione della corte papale – la praticarono per molti secoli, in alcuni casi sino a meno d’un secolo fa. Una storia rammentata in rassegna da una splendida brocca (aiguiere) usata da Carlo Felice e Carlo Alberto di Savoia, ora nei depositi dei “Musei Reali” di Torino, associata ad altre due analoghe, provenienti dalla “Sagrestia Pontificia” e usate probabilmente per lo stesso scopo.

Gianni Milani

“All’ombra di Leonardo. Arazzi e cerimonie alla corte dei papi”

“Reggia di Venaria”, piazza della Repubblica 4, Venaria Reale (Torino); tel. 011/4992300 o www.lavenaria.it

Fino al 18 giugno

Orari: dal mart. al ven. 9,30/17; sab. dom. e festivi 9,30/18,30

Nelle foto:

–       Manifattura Brussellese(?): “Ultima Cena” (copia da Leonardo da Vinci), 1516- 1533, Arazzo, Musei Vaticani

–       Manifattura di Pieter Van Aelst, Bruxelles, su cartone della scuola di Raffaello, “Dossale del baldacchino di Clemente VII Medici”, 1525-1530, Arazzo, Musei Vaticani

–       Innocente Gaya: “Aiguière con bacile”, 1827-’28, Musei Reali di Torino

–       Wilhelm Gause: “Lavanda dei piedi dell’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe”, stampa, 1885, Torino, collezione privata.

Eve Arnold e Ruth Orkin, due americane a Torino

EVE ARNOLD E RUTH ORKIN, DUE AMERICANE A TORINO

 

MERCOLEDÌ 31 MAGGIO 2023, ORE 18.30

Gymnasium di CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia

Via delle Rosine, 18 – Torino

 

Incontro presso Camera sul tema “Eve Arnold e Ruth Orkin, due americane a Torino” a margine della mostra a loro dedicata

 

Mercoledì 31 maggio prossimo, alle 18.30, presso Camera, il Centro Italiano per la Fotografia, si terrà l’incontro “Eve Arnold e Ruth Orkin, due americane a Torino”, promosso in collaborazione con i Musei Reali di Torino.

Walter Guadagnini, direttore artistico di Camera, ed Edoardo Accattino, amministratore di Ares srl, racconteranno le storie avventurose delle due autrici americane che hanno fotografato quasi un secolo, catturando il senso del mondo con sguardi originali, empatici e intraprendenti.

Le vicende delle due fotografe, Eve Arnold e Ruth Orkin, presentano diversi parallelismi e punti di contatto, sia dal punto di vista biografico sia artistico.

Eve Arnold nasce a Philadelphia nel 1912 e muore a Londra nel 2012; Ruth Orkin nasce a Boston nel 1921 e muore a New York nel 1985. Entrambe nate in città degli Stati Uniti orientali , entrambe di origini ebraiche e determinate nel volersi costruire una strada nel proprio mondo, quello della fotografia, che negli anni del secondo dopoguerra era ancora prettamente maschile, hanno dimostrato una spiccata sensibilità e un’attitudine innata a entrare con empatia nei soggetti fotografati, fossero essi personaggi famosi o gente comune.

Nelle fotografie dei divi dell’epoca, le due artiste rifuggono l’estetica patinata nei ritratti delle protagoniste del jet set, come Marylin Monroe, Marlene Dietrich, Woody Allen e Alfred Hitchcock, colti in pose e contesti assolutamente naturali, sviluppando ritratti originali e lontani dalle rappresentazioni ufficiali dei divi del tempo.

Il loro occhio si posa con lucidità e sensibilità sulla vita quotidiana delle persone comuni, cogliendone luci e ombre. Basti pensare alla naturalezza e spontaneità dei bambini colti mentre giocano in strada negli scatti di Orkin o la fatica del lavoro e dello sfruttamento dei lavoratori impiegati nei campi nelle immagini di Arnold.

L’esposizione delle fotografie di Eve Arnold, visitabile fino al 4 giugno, si compone di circa 170 immagini, di cui molte mai esposte prima, e presenta l’opera completa della leggenda della fotografia del Novecento, a partire dai primi scatti in bianco e nero nella New York degli anni Cinquanta fino agli ultimi lavori a colori, realizzati alla fine del secolo. Le tematiche che le opere esposte affrontano sono il razzismo negli Stati Uniti, l’emancipazione femminile, l’interazione fra diverse culture, fino alle fotografie scattate sul set di film indimenticabili, dove sono state ritratti gli artisti del periodo, quali Marlene Dietrich, Marylin Monroe, da Joan Crowford a Orson Welles. Alcune delle immagini fotografiche di Eve Arnold esposte in mostra risultano inedite, tra queste la serie “Black is beautiful” del 1968, testimonianza del lento emergere dell’orgoglio identitario afroamericano e il monumentale “Behind the veil” del 1969, che l’ha portata a raccontare in un viaggio compiuto insieme alla scrittrice Lesley Blanch, la condizione femminile in Egjtto, Emirati Arabi Uniti, Pakistan, Turkmenistan e Afghanistan.

Nella maggior parte dei soggetti delle fotografie di Eve Arnold emergono donne, madri, bambine, lavoratrici, dive, studentesse, che non cadono mai nello stereotipo e sono al centro di riflessioni e di racconti speciali, come nel caso di Yvonne Sylvain, la prima dottoressa di Haiti. Significative anche le immagini intime empatiche realizzate nei reparti di maternità degli ospedali di tutto il mondo.

156 fotografie rappresentano il corpus dell’opera di Ruth Orkin esposta in mostra, in particolare quelle vintage che ripercorrono la traiettoria di u a delle personalità più significative della fotografia del secolo scorso, tra il 1939 e la fine degli anni Sessanta. Ricordiamo scatti iconici della storia della fotografia e i ritratti di figure quali Robert Capa, Orson Welles, Albert Einstein, Marlon Brando, Lauren Bacall , Vittorio DE Sica e Woody Allen.

“Come curatore e storico della fotografia – afferma Anne Morin – mi è sempre sembrato che il lavoro di Ruth Orkin non abbia ricevuto il riconoscimento che merita. Se questa fotografa ha un destino affascinante, il suo lavoro lo dimostra e questa esposizione si propone proprio di rivisitare il lavoro della donna che sognava di diventare una regista, affascinata dal mondo cinematografico essendo sua mamma, Mary Ruby, un’attrice di film muti. Ruth Orkin rinunciò al sogno di diventare cineasta o perlomeno divette trasformare questo sogno, complice il regalo della sua prima macchina fotografica una Univex da 39 centesimi, con la quale si avvicinò alla fotografia, senza mai trascurare la passione per il cinema .

L’appuntamento mancato con il cinema la costringerà a inventarsi un linguaggio che doveva porsi alla confluenza tra queste due arti sorelle, tra l’immagine fissa e l’illusione dell’immagine in movimento, un linguaggio che induceva una corrispondenza costante tra due temporalità non parallele”.

La mostra consente con molta precisione di capire i meccanismi messi in atto per evocare il fantasma del cinema nel suo lavoro.

Eve Arnold fu la prima donna insieme a Inge Morath, a far parte dell’agenzia Magnum Photos e nel 1951 Robert Capa dirà di lei “ Il suo lavoro cade a metà tra le gambe di Marlene Dietrich e la vita amara dei lavoratori migranti nei campi di patate.

La sua produzione artistica fotografica sarà io mix di reportage d’inchiesta e ritratti delle grandi star del cinema e dello spettacolo, denotando una ampia trasversalità del suo corpus fotografico.

MARA MARTELLOTTA