ARTE- Pagina 16

“Luci d’inverno”, il sentimento dei russi per la neve

Alla galleria Pirra, sino al 21 gennaio

Una finestra, con gli stretti legni grigiazzurri che la separano in riquadri, un davanzale e una stanza che s’immagina allegra di presenze umane, divani e poltrone, il samovar sul tavolo apparecchiato.  Al di là, gli alberi spogli e carichi di neve, lo spiazzo davanti tutto imbiancato, sul fondo lo spicchio di una casa. La divisione netta tra due mondi, il dentro e il fuori, il tepore e il freddo che sembra addormentare ogni cosa. gli uomini e gli oggetti di fronte all’ovatta che li circonda. È l’immagine principe della mostra “Luci d’inverno”, ospitata nella galleria Pirra di corso Vittorio Emanuele II 82 sino al 21 gennaio prossimo, è il “Giardino invernale” di Maya Kopitzeva, artista russa scomparsa nel 2005, una degli esponenti di quel post-impressionismo che trovò i massimi traguardi nelle scuole di Mosca e di San Pietroburgo.


Realismo e poesia si mescolano in ognuna delle tele esposte, soprattutto in esterno, lo sguardo su una dimensione di sogno che quei pittori, la maggior parte scomparsa all’inizio del nuovo millennio, conoscevano assai bene, per amore, per convivenza, per il piacere di riprendere, con l’aiuto di una ineccepibile tecnica, con gli ampi quanto concreti colpi di spatola, la luce che cade sulle distese bianchissime o le ombre leggere che ne possono nascere, disseminate qua e là. La neve che, per tutto il mondo russo, nei tanti aspetti della sua arte, dalla musica alla letteratura, è intesa come “preludio della rinascita”, in un attimo prolungato di attesa, in un invito a soffermarsi nei nuovi ritmi calibrati nello scorrere lento delle giornate, a esprimere nuovi sentimenti davanti a quelle luci che si vengono a formare e di cui in nessuna altra stagione dell’anno l’uomo – l’artista – potrebbe godere. E allora è un generale intrecciarsi di rami, di cortecce che resistono o che si slabbrano, si sfaldano, di villaggi addormentati e dove rare sono le figure che s’intravedono, i fiumi gelati e i covoni come messi a riposare, i ricami del sole che a tratti riesce a introdursi tra gli alberi, tra i cespugli, tra le pieghe dei terreni.


Pirra, che da decenni mostra con orgoglio quelle immagini, allinea i nomi di Gleb Savinov, di Boris Lavrenko, del sempre superbo Georgij Moroz, di Leonid Vaichlia e di altri, e della Kopitzeva appunto. Forse la cifra che più ci immaginiamo fuoriuscire dalle tele è un senso di “adagio”, di riposo, di malinconia anche, che tutto avvolge, anche quella “Giornata di sole” di Nadezhda Vorobieva, riempita di bambini che giocano in un giardino pubblico imbiancato, avvolti in cappotti e cuffie colorate e guanti, una lunga panchina dove attenta vigila una madre su una culla gialla posta in pieno sole, anche sulla “Giornata” sembra posarsi un velo di attesa, di un sole di maggior calore. E un senso di quiete che accompagna quell’attesa, che s’intravvede nel “Villaggio” di Lavrenko, o nel “Ruscello d’inverno” di Moroz, nelle distese e nei silenzi che popolano i panorami del “Giorno invernale” di Dmitrij Kosmin e degli alberi solitari, leggeri fantasmi nella distesa bianca, di Vaichlia. “Indipendentemente da ciò che raffigurano, le opere esposte si propongono come scenografie del pensiero, in cui la natura diventa il rispecchiamento degli stati d’animo e delle riflessioni di colui che guarda”, dicono i responsabili della mostra: è l’invito rivolto al visitatore ad “entrare” nel quadro, a scoprirne le componenti più nascosto, a vedere oltre quegli alberi e quei raggi di sole indeboliti che cosa si nasconda, che cosa si voglia esprimere attraverso lo sguardo dell’artista, di più intimo, di più interiore, di più legato ai personali sentimenti di ciascuno.

Elio Rabbione

Nelle immagini, “Giardino invernale” di Maya Kopitzeva (olio, 1975), Georgij Moroz, “Oche d’inverno” (olio, 2006) e Nadezhda Vorobieva, “Giornata di sole” (olio, 1968).

“Gian Paolo Barbieri. L’uomo e la bellezza” al  Forte di Bard

La mostra dedicata al celebre fotografo di moda milanese s’accompagna a un docufilm che ne ripercorre la vita e l’opera

Mercoledì 3 gennaio

Bard (Aosta)

Fra i massimi esponenti della fotografia contemporanea di moda e di costume, Gian Paolo Barbieri (Milano, 1935) è stato classificato nel ’68 dalla rivista “Stern” come “uno dei quattordici migliori fotografi di moda al mondo”. Voce creativa dei brand più famosi a livello internazionale, con l’ostinata e superlativa vocazione a cristallizzare il “bello” secondo personali magie di visione che lo rendono unico e irripetibile, di lui possiamo ripercorrere vita e carriera attraverso il docufilm “Gian Paolo Barbieri. L’uomo e la bellezza”, proiettato, mercoledì 3 gennaio (ore 16), all’Auditorium dell’“Opera Mortai” del valdostano “Forte di Bard”. Prodotto da “Moovie” (Distribuzione Wanted), il film nasce dalla regia di Emiliano Scatarzi (soggetto dello stesso Scatarzi in coppia con Federica Masin) e vanta già un palmarès di tutto rilievo con la vittoria dell’ “Audience Award” al “Biografilm Festival” di Bologna e di due prestigiosi premi (l’“Award for Best Debut documentary on Art” e lo “Special Award for Best documentary”) al “Festival Master of Art” in Bulgaria. La proiezione nasce a corollario della grande retrospettiva “Gian Paolo Barbieri. Oltre” (in mostra 112 fotografie, di cui 88 inedite che spaziano dagli anni ’60 agli anni Duemila, frutto di un’approfondita ricerca condotta all’interno dell’archivio analogico dell’artista) realizzata dal “Forte” valdostano in collaborazione con la “Fondazione Gian Paolo Barbieri” di Milano e curata da Emmanuele Randazzo, Giulia Manca e Catia Zucchetti.

A soggetto della pellicola, la vita dell’uomo Barbieri e del celebre fotografo, dagli esordi a Roma e la consacrazione negli anni ’70, ’80 e ’90, passando per Cinecittà e Parigi, fino agli ultimi anni, caratterizzati dalla nascita della “Fondazione Gian Paolo Barbieri”, costituita nel 2016 in via Lattanzio 11 a Milano dallo stesso Barbieri che ne è oggi presidente. Un racconto intimo che ripercorre un’era. Maestri, icone di cultura e bellezza, materiale d’archivio, testimonianze di chi ha lavorato con lui portano alla luce una vita alla perenne “ricerca della bellezza”. E volti e artisti che hanno segnato nel profondo la storia mondiale della moda e del cinema: i maestri Tom Kublin e Richard Avedon; icone dello star system tra cui Audrey Hepburn, Ava Gardner, Sofia Loren, Elisabeth Taylor e Monica Bellucci; il teatro e il cinema, sue grandi fonti di ispirazione; la moda in cui ha trovato la fama, grazie anche al padre, proprietario negli anni ‘50 di un negozio di tessuti, che diventeranno protagonisti assoluti della sua ispirazione scenografica, permettendogli di comprendere al meglio il “Gotha” del settore, da Valentino a Versace a Ferré ad Armani e ad altri grandi stilisti di peso internazionale.

La macchina da presa è al servizio delle emozioni che il protagonista stesso fa trapelare nei suoi racconti, testimoniando una vita spesa per la fotografia. Oggi, Gian Paolo Barbieri continua il suo percorso creativo, ancora più ispirato. “Un ritratto tra passato e presente, la storia di un uomo mosso dalla passione, costellata di infiniti scatti fotografici di impareggiabile valore artistico, sempre volti alla ricerca della bellezza”.

L’accesso alla proiezione è incluso nel biglietto di ingresso alla mostra “Gian Paolo Barbieri. Oltre” (intero 8 euro; ridotto 7 euro; ragazzi 19-25 3 euro; gratuito 0-18 anni).

Non è necessaria la prenotazione.

g.m.

Nelle foto: la locandina del film e immagini della mostra “Gian Paolo Barbieri. Oltre”

Bilancio di un anno e nuovi progetti per la Fondazione Torino Musei

La Fondazione Torino Musei vede nel 2023 un significativo aumento dei visitatori rispetto al 2022: quest’anno GAM, MAO, Palazzo Madama e Artissima hanno superato le 573.000 presenze.

In particolare la GAM ha accolto, nel suo ultimo anno sotto la guida di Riccardo Passoni, oltre 180.000 persone, il MAO ha sfiorato quota 100.000 e Palazzo Madama ha registrato oltre 262.000 presenze; a questi si aggiungono gli oltre 34.000 visitatori in quattro giorni per la trentesima edizione di Artissima, che si riconferma nel suo carattere di fiera sperimentale e di ricerca e un modello a livello europeo.

Nei dodici mesi appena trascorsi i tre musei hanno inaugurato e promosso 29 mostre e progetti espositivi e organizzato 124 eventi tra concerti, performance, conferenze, corsi di storia dell’arte, workshop, visite speciali e altro.

Grazie alle ricche collezioni, che spaziano dall’arte antica a quella asiatica, passando per il moderno e il contemporaneo, i tre musei della Fondazione hanno concesso 203 prestiti a oltre 50 musei e istituzioni italiane e internazionali, rafforzando relazioni già esistenti e creandone un nuovo network di scambi.

I Dipartimenti Educazione hanno coinvolto oltre53.000 tra studenti, insegnanti, famiglie, adulti e persone con disabilità grazie alla realizzazione di attività sempre più adatte alle esigenze dei diversi pubblici.

Inoltre la Fondazione Torino Musei, nell’ambito del suo nuovo Piano Strategico, ha realizzato e promosso la XXVI edizione di Luci d’Artistache è divenuta, anche con la nomina del nuovo curatore del progetto, Antonio Grulli, la sua quinta linea culturale (insieme a GAM, MAO, Palazzo Madama e Artissima), con l’obiettivo di valorizzare una collezione unica e straordinaria e di trasformare la manifestazione in una vera istituzione di ricerca artistica permanente sempre più inclusiva ed ecologicamente sostenibile.

LE MOSTRE E LE ATTIVITÀ

Il 2023 della GAM è stato segnato dal grande successo di pubblico e di critica della mostraHayez. L’officina del pittore romantico (in corso fino al 1 aprile 2024) che dalla sua apertura, il 17 ottobre, è già stata visitata da 40.000 persone. La mostra, organizzata e promossa insieme a 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE, è curata da Fernando Mazzocca ed Elena Lissoni, in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Brera, da cui proviene un importante nucleo di circa cinquanta disegni e alcuni tra i più importanti dipinti. La grande mostra ha sostituito, negli spazi del primo piano, Ottocento. Collezioni GAM dall’Unità d’Italia all’alba del Novecento, chiusa a settembre, che ha offerto l’occasione per riscoprire parte della collezione ottocentesca del museo, da alcuni anni non visibile al pubblico.

Grande attenzione anche per i progetti legati al contemporaneo: Viaggio al termine della statuaria, in cui la GAM, proseguendo la ricognizione sul proprio patrimonio, ha dedicato un capitolo alla scultura italiana tra il 1940 e il 1980 con una mostra che ha presentato 50 opere realizzate da 40 artisti attivi nell’arco di questo periodo. In occasione della art weektorinese la GAM ha proposto la personale di un artista entrato a far parte della collezione del museo sin dal 2001: Gianni Caravaggio. Per analogiam. L’esposizione si compone di un nucleo di opere realizzate nell’arco di quasi trent’anni di lavoro, dal 1995 ad oggi, e cinque nuove opere sono state prodotte per l’occasione.

Lo spazio denominato Wunderkammer ha visto il succedersi di esposizioni molto apprezzate: la prima dedicata alla figura di Alberto Moravia,Non so perché non ho fatto il pittore a cura di Luca Beatrice ed Elena Loewenthal nel contesto del progetto “Nato per narrare. Riscoprire Alberto Moravia” che la Fondazione Circolo dei lettori ha ideato e realizzato con la GAM e il Museo Nazionale del Cinema in collaborazione con l’Associazione Fondo Alberto Moravia, Bompiani editore e le Gallerie d’Italia, e la seconda Michele Tocca. Repoussoir, progetto vincitore del PAC 2021 – Piano per l’Arte Contemporanea, promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura, nato dalla volontà della GAM di acquisire un gruppo di opere di un pittore capace di porsi all’osservazione del mondo con il candore di uno sguardo che sa vedere tutto come fosse la prima volta.

Infine il programma di mostre in VideotecaGAM, sviluppato nel 2023 attorno alle recenti acquisizioni della Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT per la collezione di film e video d’artista, ha visto succedersi tre mostre personali di Michael Snow, Giuseppe Gabellone e Simone Forti.

Nella collaborazione con 32 istituzioni e musei italiani e internazionali la GAM ha prestato 104 opere che hanno viaggiato e si sono fatte ammirare in Italia e all’estero.

Il 2023 della GAM si è chiuso con la nomina, a seguito di una manifestazione d’interesse pubblica, della nuova direttrice Chiara Bertola, che prenderà servizio l’8 gennaio 2024.

Sotto la direzione di Davide Quadrio il MAOprosegue la sua attività di rinnovamento fra mostre di durata annuale, che si pongono come piattaforme di studio e sperimentazione, riallestimenti delle collezioni e progetti legati al contemporaneo.

Nel 2023 il museo ha ospitato Buddha10 Reloaded, seconda parte della mostra Buddha10, inaugurata a ottobre 2022, e Sonic Blossom, performance partecipativa dell’artista taiwanese-americano LEE Mingwei realizzata in collaborazione con il Conservatorio di Musica “Giuseppe Verdi” di Torino e con l’Ufficio di Rappresentanza di Taipei in Italia. Infine Trad u/i zioni d’Eurasia, resa possibile grazie ai prestiti da importanti istituzioni italiane quali il MuCiv di Roma, i Musei Reali di Torino, il MIC Museo internazionale Ceramiche in Faenza, e che segna l’avvio di una proficua collaborazione con la Fondazione Merz.

Grazie alla collaborazione con l’Istituto italiano dei Sordi, tutti i contenuti delle mostre sono disponibili in LIS, per un museo sempre più inclusivo.

Legato al rinnovamento e al ripensamento del display delle collezioni permanenti il progettoContemporary Monogatari, realizzato in collaborazione con Eva Fabbris, direttrice del MADRE di Napoli, che vede il riallestimento delle collezioni della galleria Giappone 2 in dialogo con l’opera dell’artista giapponese Kazuko Miyamoto.

Proseguendo in quest’ottica di dialogo fra antico e contemporaneo, il MAO ha presentato nei giorni di Artissima Declinazioni contemporanee, frutto del ciclo di residenze d’artista avviato nel 2022 e di importanti collaborazioni con artisti italiani e stranieri: all’interno dell’edificio e fra le opere delle collezioni permanenti hanno trovato posto quattro nuove opere di Marzia Migliora, Kengo Kuma, Lee Mingwei e Francesco Simeti.

Come già nel 2022, anche le mostre temporanee del 2023 sono state arricchite da un interessante e variegato public program diconferenze e performance musicali con artisti internazionali, che riscuotono successo soprattutto tra il pubblico più giovane.

Il t-space X MAO ha visto l’avvicendarsi di una serie di piccole esposizioni, incontri e performance e, nello stesso spazio, è stata allestita anche Una breve elegia, a cura di add editore, realizzata con il contributo del Ministero della Cultura della Repubblica di Cina (Taiwan).

Per il secondo anno consecutivo il MAO ha infine organizzato e promosso in collaborazione conStudiUm, il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Torino, il Corso di formazione di Cultura Materiale dell’Asia, progetto che mira a consolidare il proficuo rapporto con l’Università di Torino e che rappresenta un’esperienza innovativa nel panorama torinese e italiano.

Il museo ha inoltre ospitato incontri nell’ambito di Torino Spiritualità, della Settimana della Cultura UNI.VO.C.A. e del Salone del Libro di Torino.

Nell’arco dell’anno appena terminato sono state59 in totale le opere oggetto di prestito, fra cui due importanti sculture in arenaria al Museo delle Civiltà/Chateau des Ducs de Bretagne – Musée d’Histoire de Nantes, due paraventi della collezione giapponese alla Fondazione Prada di Milano, 46 reperti archeologici provenienti da Seleucia e Coche allo Zhengzhou Museum di Zhengzhou (Cina), La grande onda del Kanagawa di Hokusai e una selezione di ottosurimono alla Promotrice delle Belle Arti di Torino.

A Palazzo Madama hanno riscontrato l’apprezzamento del pubblico le mostre Le chiavi della città nei capolavori di Palazzo Madama, un inedito sguardo sulle sue collezioni civiche e la loro storia attraverso una selezione di opere emblematiche; Bizantini. Luoghi, simboli e comunità di un impero millenariocon oltre 350 opere tra sculture, mosaici, affreschi, vasellami, sigilli e monete, straordinari manufatti in ceramica, smalti, oggetti d’argento,preziose gemme e oreficerie, pregevoli elementi architettonici e Liberty. Torino Capitale, cheracconta il fondamentale ruolo di Torino per l’affermarsi del Liberty, un’arte che nella capitale sabauda diviene il fulcro di una storia che travolge ogni aspetto della vita e della società. In occasione del Black History Month Torino – Seconda edizione Palazzo Madama ha inoltre proposto la mostra Congo Italia. Ripensare il passato con una selezione di sedici fotografie scattate da Carlo Sestin.

Inoltre ha proposto l’esposizione In cammino. La porta di Torino: itinerari sindonici sulla Via Francigena, promossa dalla Fondazione Carlo Acutis e realizzata con Palazzo Madama in collaborazione con la Regione Piemonte: una narrazione del territorio che mette in risalto le centralità storiche e contemporanee della regione, casa della Sacra Sindone e accesso principale alla Penisola lungo il pellegrinaggio sulla Via Francigena.

Grande successo e partecipazione hanno avuto le visite guidate gratuite al cantiere di restauro e consolidamento della facciata juvarriana di Palazzo Madama e alle monumentali statue di Giovanni Baratta riportate al loro splendore con il contributo straordinario della Fondazione CRT.

Nel 2023 Palazzo Madama ha inoltre sviluppato importanti progetti per le scuole, le circoscrizioni, le anagrafi, i dipendenti comunali, cui sono state dedicate visite guidate in museo con il direttore di Palazzo Madama. È ripartito e si è ampliato il progetto L’aula che vorrei, che ha coinvolto più di 200 studenti che hanno fatto lezione in museo e sono iniziati i corsi di lingua italiana per le persone richiedenti asilo e rifugiate accolte dalla Città di Torino.

Nel 2023 il museo ha inoltre prestato 40 operea 14 sedi museali italiane e straniere.

Per il trentesimo anniversario di ARTISSIMA, diretta da Luigi Fassi, il 2023 ha segnato un’edizione speciale: ancora una volta la Fiera ha portato a Torino un’esplosione di vitalità che ha coinvolto l’intera città e attratto gallerie, artisti, collezionisti e curatori tra i più interessanti sulla scena internazionale. Anche quest’anno gli spazi dell’OVAL Lingotto hanno accolto le quattro sezioni consolidate della fiera – Main Section, New Entries, Monologue/Dialogue e Art Spaces & Editions – e le tre sezioni curate – Disegni, Present Future e Back to the Future, ospitate anche online sulla piattaforma Artissima Voice Over. Ma Artissima si è estesa anche oltre i confini dell’Oval Lingotto, con numerosi progetti e collaborazioni attivate con istituzioni pubbliche e private in città. Artissima 2023 ha inoltre organizzato tre premi per artisti e gallerie, due riconoscimenti a memoria di figure di spicco del mondo dell’arte, sei supporti istituzionali ad artisti e gallerie promossi da fondazioni e istituzioni e due fondi.

Nel 2023 ha preso avvio la XXVI edizione diLUCI D’ARTISTA, progetto della Città di Torinodallo scorso anno affidata alla realizzazione diFondazione Torino Musei, con l’obiettivo di trasformare la manifestazione in un Museo a cielo aperto, diffuso, che possa allargare i suoi classici confini invernali e natalizi e sia dotata di una programmazione attiva tutto l’anno, di un archivio storico, di un sito internet ricco e dettagliato, di una comunicazione continuativa e di una rete di collaborazioni nazionali e internazionali ramificata. Per raggiungere questi ambiziosi obiettivi è stata prevista una guida stabile del progetto e per la prima volta è stato chiamato un curatore, Antonio Grulli, con il compito di sviluppare e valorizzare la manifestazione portandola alla sua completa evoluzione.

L’edizione 2023 di Luci d’Artista si è arricchita di una nuova installazione luminosa: Orizzonti firmata dal grande maestro Giovanni Anselmo, purtroppo scomparso pochi giorni fa, collocata in piazza Carlo Alberto. Intorno a questa nuova installazione luminosa e a tutte le 27 luci disposte tra le vie e le piazze di Torino, si sviluppa Accademia della Luce, il Public Program che mette in campo con grande partecipazione una serie di attività educative curate dai Dipartimenti Educazione delle principali istituzioni torinesi dedicate all’arte contemporanea, che hanno preso avvio con l’accensione delle Luci e proseguono nei mesi successivi, fino a giugno e al solstizio d’estate.

I PROGETTI SPECIALI DEL 2023

 

Parallelamente alle consuete attività svolte sul territorio, i tre musei di Fondazione hanno sviluppato anche alcuni importanti progetti con istituzioni culturali italiane e internazionali.

Grande soddisfazione per la GAM che nel 2023 ha vinto l’assegnazione di fondi ministeriali per la realizzazione di tre progetti, a cura di Elena Volpato. Il museo è stato tra i vincitori dell’Italian Council 2023 per la realizzazione di due mostre personali in Francia – al CEAAC di Strasburgo e presso l’Atelier Meisenthal – dedicate a Luca Bertolo e, per il terzo anno consecutivo, si è aggiudicata i fondi del PAC – Piano per l’Arte Contemporanea 2022-23 per l’acquisizione della Collezione di Dischi d’artista di Giorgio Maffei dando vita alla prima collezione pubblica di Dischi d’Artista in Italia. Infine la GAM si è aggiudicata che anche l’ultimo dei bandi ministeriali: Strategia Fotografia 2023, promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura, grazie al quale sarà possibile acquisire22 fotografie di Gianfranco Gorgoni, realizzate all’inizio degli anni Settanta, in stretto contatto con alcuni dei più rilevanti artisti dell’arte statunitense di quegli anni.

 

Il MAO è stato fra i vincitori del bando pubblico per proposte progettuali di intervento per la rimozione delle barriere fisiche, cognitive e sensoriali dei musei e luoghi della cultura pubblici non appartenenti al Ministero della Cultura, da finanziare nell’ambito del PNRR. Il progetto ammesso a finanziamento, dal valore di 302.000 €, consentirà al museo di investire in interventi di tipo strutturale per l’abbattimento delle barriere fisiche e architettoniche, ma soprattutto in servizi per l’accessibilità cognitiva e sensoriale, che trasformeranno il MAO e le sue collezioni permanenti in un patrimonio sempre più inclusivo.

Particolarmente attivo sul piano internazionale, ilMAO ha esportato Il Grande Vuoto, esposta all’Italian Cultural Center di New Delhi fra gennaio e febbraio 2023, e Flu水o, proposto in un’inedita versione installativa al McaM – Ming Contemporary Art Museum di Shanghai lo scorso settembre.

Dal 21 marzo al 21 maggio al Museo Nazionale di Zara Narodni Muzej Zadar è stata presentata la mostra Il mestiere delle arti in Italia. Capolavori da Palazzo Madama, promossa dall’Istituto Italiano di Cultura Zagabria, con il patrocinio dell’Ambasciata d’Italia a Zagabria.

Di rilievo internazionale è stato il progetto Europa. L’illustrazione italiana racconta l’Europa dei popoli, promosso dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e dalla Fondazione Torino Musei, in collaborazione con Città di Torino, Regione Piemonte e Palazzo Madama: 42 esposizioni organizzate nei cinque continenti con il coordinamento della Direzione Generale per la Diplomazia Pubblica e Culturale della Farnesina.

L’esposizione In cammino. La porta di Torino: itinerari sindonici sulla Via Francigena, a Palazzo Madama tra luglio e ottobre 2023, è ora allestita fino al 14 giugno 2024 a Bruxelles, negli spazi di Regione Piemonte.

GAM, MAO e Palazzo Madama hanno aderito alle principali iniziative promosse dalla Città, proponendo aperture straordinarie e ingressi gratuiti o a tariffe agevolate in occasione del Salone del Libro, delle ATP Finals, della festa di San Giovanni, della Notte Europea dei Musei, del Ferragosto, delle Giornate Europee del Patrimonio, della Notte delle Arti Contemporanee e della giornata AMACI.

Come lo scorso anno, anche nel 2023 Palazzo Madama è stato sede di Casa Italia durante le ATP finals.

 

La Farina, il siciliano sabaudo

Alla scoperta dei monumenti di Torino Una nota curiosa per quanto riguarda il monumento è la presenza, sul lato posteriore della balaustra, di un pannello decorato con il simbolo della Trinacria

Collocata all’interno di piazza Solferino, quasi all’altezza dell’intersezione con via Lascaris, la figura di La Farina è ritratta in piedi, appoggiata ad una balaustra. Le gambe sono leggermente sovrapposte in posizione rilassata ed indossa un cappotto chiuso dove sulla spalla sinistra, si dispiega un mantello che ricade sull’elemento architettonico. La Farina viene rappresentato mentre sta lavorando ad uno scritto: nella mano sinistra sorregge dei fogli che corregge con una penna stretta nella mano destra appoggiata anch’essa alla balaustra,mentre alle sue spalle un libro ferma alcuni fogli già letti. La balaustra presenta posteriormente un pannello decorato con il simbolo della Trinacria inquadrato tra due colonnine dal disegno complesso.

 

Nato a Messina il 20 luglio del 1815, Giuseppe La Farina fu un patriota, scrittore e politico italiano. Avvocato dalle idee liberali, sviluppò un interesse crescente per gli studi storici e letterari che lo portarono a pubblicare, lungo tutta la sua vita, numerosissimi scritti (tra i quali la Storia d’Italia dal 1815 al 1850) e a collaborare con giornali e riviste (è stato fondatore e collaboratore del giornale L’Alba che fu tra i primi a tendenza democratica-cristiana).

Nel 1837 cominciò a sostenere la causa per la liberazione della Sicilia, partecipando al primo movimento insurrezionale anti-borbonico. Dopo un periodo di esilio dall’isola, nel 1848 venne eletto deputato alla camera dei Comuni di Messina assumendo, in seguito, la carica di Ministro della Pubblica Istruzione; fece anche parte (assieme ad Emerico Amari) della missione incaricata di offrire la corona di Sicilia al Duca di Genova.

A seguito della riconquista borbonica della Sicilia, l’anno successivo si rifugiò in Francia da dove continuò la sua attività letteraria. Nel 1854 si stabilì a Torino e poco dopo fondò la “Rivista Enciclopedica Italiana”, il giornale politico “Piccolo Corriere d’Italia” e nel 1857 la Società Nazionale Italiana, un’associazione politica finalizzata a realizzare l’unità del Paese sotto la guida della Casa Savoia. La Società Nazionale Italiana aveva come presidente Daniele Manin e come vice presidente Giuseppe Garibaldi.

Dal 1856 venne chiamato a collaborare con Cavour che, nel 1860, gli affidò il delicato incarico di rappresentare in Sicilia il governo; dopo essere rientrato a Torino nel 1861, venne eletto al Parlamento italiano e nominato vice presidente della Camera dei Deputati. Muore a Torino il 5 settembre 1863. Subito dopo la sua scomparsa un comitato, composto da alcuni uomini politici, iniziò a sostenere l’erezione di un monumento alla sua memoria ma la proposta venne sospesa a causa dei lavori collegati al trasferimento della capitale da Torino a Firenze.

Nel novembre del 1866, grazie a Filippo Cordova (a quel tempo ministro dell’Agricoltura, Industria e Commercio), l’idea venne ripresa e fu aperta una pubblica sottoscrizione a livello nazionale; nel dicembre 1868 il Comitato promotore per l’erezione del monumento a Giuseppe La Farina, incaricòGiovanni Duprè, autorevole scultore toscano, della realizzazione dell’opera. Tuttavia fu solo dopo dieci anni e cioè nel 1878, che il progetto cominciò a prendere vita; Giovanni Duprè venne sostituito dallo scultore e scrittore palermitano Michele Auteri Pomar, che con le 24.000 lire raccolte, creò un monumento di una certa rilevanza.

Il monumento venne collocato nell’aiuola a mezzogiorno di piazza Solferino e fu inaugurato il 1 giugno del 1884, esattamente sedici anni dopo l’approvazione del progetto; il giorno precedente l’inaugurazione, i rappresentanti del Comitato promotore lo donarono con atto ufficiale alla Città di Torino.  Nel febbraio 1890, a seguito del progressivo distacco delle lettere bronzee che compongono l’epigrafe, il testo dell’iscrizione venne inciso sul fronte del basamento.

Una nota curiosa per quanto riguarda il monumento è (come già ricordato prima) la presenza, sul lato posteriore della balaustra, di un pannello decorato con il simbolo della Trinacria. Questo antico simbolo (Triscele per i greci e Triquetra per i romani), raffigura una testa gorgonica, con due ali, dalla quale si dispongono in giro simmetrico tre gambe umane piegate. La sua presenza sul monumento ricorda non solo le origini siciliane del personaggio, ma anche l’impegno da lui profuso nella lotta per l’indipendenza della Sicilia, durante la quale il bianco vessillo gigliato dei Borboni fu sostituito dal tricolore che recava al centro il simbolo triscelico.

 

Avendo già accennato la storia riguardante Piazza Solferino, grazie alle precedenti opere di cui abbiamo parlato, aggiungerò semplicemente che il monumento commemorativo a Giuseppe La Farina, dopo essere stato inaugurato nel 1884 all’interno dell’aiuola centrale meridionale, vi rimase fino al 2004, anno in cui la statua fu spostata per permettere alla piazza di ospitare i padiglioni Atrium per i Giochi Olimpici Invernali 2006. Il monumento fu provvisoriamente ricoverato all’interno di un deposito comunale per poi essere ricollocato, all’interno della piazza, il 16 giugno 2013. Oggi il monumento si erge in tutto il suo splendore all’interno di piazza Solferino.

 

Anche per oggi il nostro viaggio in compagnia delle opere di Torino termina qui. L’appuntamento è sempre per la prossima settimana per la nostra (mi auguro) piacevole passeggiata “con il naso all’insù”tra le bellezze della città.

 

 

Simona Pili Stella

‘Riflessi di natura’, alla galleria Malinpensa by Telaccia l’artista Vanni

Informazione promozionale

 

Si intitola “Riflessi di natura” la mostra personale che la galleria d’arte Malinpensa by Telaccia dedica all’artista Vanni dal 19 al 30 marzo prossimo.

Vanni vive e lavora in umbria, contornato da una natura incontaminata, che spesso suggerisce trame artistiche che egli è in grado di narrare con cromaticità legata chiaramente alla luce mediterranea appartenente alle proprie radici.

Dopo i primi studi compiuti a Roma, Vanni ha perfezionato il suo percorso artistico a Parigi, città dove ha vissuto diversi anni entrando in contatto con il variegato e stimolante mondo artistico della capitale francese.

Dopo aver frequentato “Les Etudes des Beaux- Arts” di Parigi, l’artista ha perfezionato i suoi studi presso gli atélier di affermati espressionisti contemporanei i cui insegnamenti hanno definitivamente tracciato il suo indirizzo pittorico: l’osservazione degli spazi circostanti e delle loro cromaticità.

Figurano nel suo curriculum numerose esposizioni, personali e collettive ( italia, Francia, Belgio, Ungheria, Lussemburgo e Grecia) cosiccome diverse sono le manifestazioni culturali cui l’artista ha preso parte, sempre riscuotendo successo di critica e di pubblico.

Il linguaggio pittorico di Vanni si concretizza in opere che testimoniano inequivocabilmente la fascinazione nell’artista provocata dalla luce mediterranea, caratterizzata da visioni terse e luminose e dai contrasti di colore netti e abbaglianti.

Tali contrappunti orientano la produzione dell’artista alla ricerca perenne di un codice chiaroscurale più marcato ed evidente. Colori dominanti, quindi, decisi e filtrati da uno sguardo abbagliato dal sole, in grado di cogliere i contorni delle cose.

Di qui una palette intensa, ricca di colore, data senza compiacimenti cromatici e che sembra scolpire nello spazio ciò che lo sguardo coglie.

Galleria Malinpensa by Telaccia

Corso inghilterra 51.

 

MARA MARTELLOTTA

“Ivo Saglietti. Lo sguardo nomade”. Al Museo del Risorgimento la prima retrospettiva del grande fotografo

“Nomade” e ribelle, una vita a raccontare gli ultimi del mondo

Fino al 28 gennaio 2024

… Quando si dice … il destino! E nel destino Ivo Saglietti ci credeva. Eccome, se ci credeva! “Ho aperto gli occhi – scriveva – nella luce del Mediterraneo, a Tolone, nel sud  della Francia, dove, se lo guardi a lungo, il sole diventa un cerchio nero. Credo che il primo sguardo determini anche un destino: quasi sicuramente è grazie a questa luce che sono diventato fotografo”. E di “destino” gli parlava anche l’amico scrittore Paolo Rumiz“Amico mio, alla fotografia hai sempre chiesto qualcosa che va molto oltre gli effetti speciali, qualcosa  che si chiama destino”. Già, il destino. Ognuno di noi ha il suo, si dice. Ed è un susseguirsi di eventi che ti accompagnano, senza vie d’uscita, per tutta la vita. E a volta ti giocano anche brutti scherzi che sarebbe bene non accadessero. In forme inaccettabili. Crudeli. Come quella, per un artista, di trasformare l’omaggio di una mostra a lui dedicata nella sua prima “retrospettiva”. La prima mostra del “dopo”. E’ il caso proprio di Ivo Saglietti (Tolone, 1948 – Genova, 2023), scomparso il 2 dicembre scorso, a poco più di una settimana dall’avvio della personale a lui dedicata nella “Manica” della Camera Italiana al “Museo Nazionale del Risorgimento” di Torino.

Personale divenuta dunque (per destino!) “mini-retrospettiva” volta ad omaggiare, fino a domenica 28 gennaio prossimo“la storia professionale dell’artista entrata a titolo definitivo nel Pantheon che raccoglie i grandi fotoreporter del nostro Paese”. Parole accorate, queste di Michele Ruggiero, presidente de “La Porta di Vetro” (impegnata dal 2013 in importanti attività di social engagement) promotrice della mostra – è ormai la quarta – realizzata con la curatela di Tiziana Bonomo (“ArtPhotò”), in collaborazione con il “Consiglio Regionale del Piemonte”, il “Comitato Diritti Umani e Civili” e “Intesa San Paolo”. 53 sono gli scatti esposti, tutti in bianco e nero (cifra linguistica ideale per esaltare i contrasti formali e quell’arsura di luce che impregna a fondo ogni immagine), quasi tutti di piccolo formato all’interno dei passepartout e incorniciati di nero, come la grande “scuola francese” (da Saglietti intensamente amata) ha sempre insegnato.

In parete troviamo un saggio, che va dagli anni ’80 al 2018, di un’importante carriera professionale ((ben tre i “World Press Photo Award” vinti, oltre ad altri numerosi e prestigiosi riconoscimenti) che si srotola per oltre quarant’anni, dall’inizio delle rivolte in Centro America – Cile e Perù – ad Haiti e ancora dal vicino Oriente al “Mar Musa” in Siria, dove Ivo incontra padre Paolo Dall’Oglio con cui stringe un sodalizio importante ed una complicità di idee sfociata in alcune mirabili foto presenti in mostra (“Padre Dall’Oglio sale nella luce verso la montagna”) e nel libro (negli anni ne ha realizzati otto) “Sotto la tenda di Abramo” (Peliti Editore), prima del rapimento nel 2013 del gesuita italiano mai più ricomparso. Si tratta di lavori in assignement come quelli per il “New York Times Magazine”, “Time”, “Der Spiegel”, “Newsweek” e collaborazioni con prestigiose agenzie di fotogiornalismo come “Sipa Press”, “Stern” e “Zeitenspiegel”. Ma ad Ivo non piaceva il lavoro “mordi e fuggi” sottoposto ai ritmi frenetici della cronaca. Da “cavallo solitario” e di gran razza, amava – l’immancabile Leica sempre a portata di scatto – la “lentezza”. Diceva: “La lentezza è un fondamento della fotografia …  Quando arrivo sul luogo del mio lavoro, il primo giorno raramente estraggo la macchina fotografica. Avanzo torno indietro, passeggio, giro intorno, osservo, prendo appunti. Tutto con grande lentezza, lasciandomi penetrare dalle sensazioni, cercando di entrare in sintonia con i luoghi e con le persone”. Mirabili, in questo senso, la foto dei “Braceros” a Cuba o quella dell’infermiera che bacia sulla fronte, sempre a Cuba, un bambino vittima del disastro di Chernobyl o ancora a Srebrenica l’immagine delle due donne vestite di bianco, con il velo sul capo, chinate in preghiera sopra le bare dei propri cari, premio “World Press Photo” 2010. Cristallizzazioni di sofferenze e dolori e tragedie indicibili. Vuote però di rabbia, di urla sguaiate, di esibizionismi rancorosi.

La fotografia, secondo Saglietti, non ha nulla da “dimostrare”, ma tanto da “mostrare”. Scrive Tiziana Bonomo:  “Neri intensi, ombre lunghe, colpi di luce muovono le magie che Saglietti usa per commuoverci. In lui sono inseparabili amore, disperazione e speranza”. E coraggio. Tanto. Quel coraggio “che non si  esprime soltanto – conclude Michele Ruggiero – nella ricerca di un bianco e nero che vuole snidare l’indifferenza dalle nostre coscienze, ma nell’amore che esprime per gli ultimi, che sono anche i più deboli”.

Gianni Milani

 

“Ivo Saglietti. Lo sguardo nomade”

Museo Nazionale del Risorgimento Italiano, piazza Carlo Alberto 8, Torino; tel. 011/5621147 o www.museorisorgimentotorino.it

Fino al 28 gennaio 2024

Orari: dal mart. alla dom. 10/18

Nelle foto: “Braceros il giorno della paga”, Repubblica Domenicana, 1993; “Padre Dall’Oglio sale nella luce verso la montagna”, Mar Musa – Siria, 2002; “La città dei bambini”, Cuba, 1993; “Due donne piangono dopo aver trovato le bare dei propri cari”, Srebrenica-Potočari (Bosnia ed Erzegovina), 2009

La grande pittura del Quattrocento nelle opere di Felice Casorati

Nelle sale rinnovate della Fondazione Accorsi – Ometto, sino all’11 febbraio

Qual era lo status artistico che veniva respirato nella Torino di inizio anni Venti? Quello di una città uscita anch’essa da un conflitto europeo, che aveva mietuto vittime, e che ora ristagnava, posta alle periferia di un paese che già assorbiva artisticamente esiti di ragguardevole importanza? La città subalpina è ancora legata ad una linea filo-ottocentesca, che vede al proprio centro i nomi di Giacomo Grosso e di Leonardo Bistolfi, fari decisamente irrinunciabili: mentre nell’industriosa Milano già si pongono le basi del Futurismo. Ma qualcosa a Torino cambia, qui maggiormente si accoglie quell’aria che convoglia verso il “Ritorno all’ordine”, la scintilla decisiva la porta con decisione Felice Casorati, un’infanzia e una giovinezza di spostamenti e di nuove abitazioni al seguito della carriera militare del padre, Novara Milano Reggio Emilia Sassari, poi una laurea in giurisprudenza a Padova e studi artistici a Napoli inseguendo Pieter Brueghel il Vecchio a Capodimonte. Arriva a Torino nel 1917, dopo la morte del padre ed entra ben presto nelle cerchie intellettuali della città, frequentando tra gli altri Alfredo Casella, grazie al quale riscalda il vecchio amore per la musica (“verso sera, per tutta la vita dedicò almeno mezz’ora al pianoforte, suonava per sé e non per gli altri, sovente a quattro mani con mia madre”, dirà anni dopo in un’intervista il figlio Francesco) e Piero Gobetti, abbracciandone nel ‘22 le idee e la stretta vicinanza al gruppo antifascista “Rivoluzione Liberale”, frutto pure un arresto e qualche giorno di carcere.

Intorno alla figura del grande pittore muove l’apertura della mostra “Da Casorati a Sironi ai Nuovi Futuristi. Torino-Milano 1920-1930 Pittura tra Classico e Avanguardia” (fino all’11 febbraio) curata nelle sale ampliate della Fondazione Accorsi – Ometto di via Po da Nicoletta Colombo e Giuliana Godio, due sale a lui completamente dedicate, disposizione e illuminazione delle opere davvero impeccabili, l’avvio trionfale con il “Concerto” del 1924 a mostrare al visitatore sei nudi femminili, quasi religiosi, avvolti nel silenzio, una grande macchia color arancio ai loro piedi, posizioni le più differenti (una ad imbracciare una chitarra), chine soprattutto, l’ultima sul fondo contro un ampio spazio aperto d’azzurro. Corpi che paiono sospesi, accomunati e unici allo stesso tempo, riempiti di luce e ricamati nelle ombre, posti al riparo di uno scuro tendaggio, dalle forme perfette, ogni viso, ogni tratto a riportarci felicemente alla pittura quattrocentesca di Piero della Francesca intesa con linguaggio moderno, geometricamente novecentesco, del tutto razionale. Ogni cosa all’opposto di quanto stava succedendo in altra parte del territorio: “Vorrei saper proclamare la dolcezza di fissare sulla tela le anime estatiche e ferme, le cose mute e immobili, gli sguardi lunghi, i pensieri profondi e limpidi… la vita di gioia e non di vertigine, la vita di dolore e non di affanno. No, perché fuggire veloci in automobile, perché imitare il fulmine, la saetta, il lampo? Io vorrei invece adagiarmi nel più morbido letto e avere intorno a me, così a portata di mano, le cose più care, sempre, eternamente… Quale sincerità si cerca nell’arte? La sincerità esterna o la sincerità intima, interiore?” E le anime estatiche e ferme compaiono appieno nella seconda sala dell’esposizione, con “La donna e l’armatura” (1921), con il “Ritratto di Cesarina Gualino Gurgo Salice” (1922), una Madonna dei Bellini o dell’Angelico o del Mantegna, con quello del figlio Renato del 1923, ieratico nella sua giovinezza, con quelle due figure sul fondo in ombra che paiono uscite da una tela fiorentina; altresì con i semplici paesaggi (“Rubiana” del ’27) o con le cose (come gli affetti) semplici, quelle di ogni giorno (“Le uova sul cassettone”, quindici per l’esattezza, posate a formare deboli ombre sul piano del mobile antico: in un gioco di simbologie, come non ripensare all’uovo della Pala di Brera di Piero o alla scenografia approntata da Pierluigi Pizzi per “Il gioco delle parti” pirandelliano messo in scena dalla Compagnia dei Giovani a metà degli anni Sessanta?).

Su Casorati e sulla sua arte veglieranno il mecenatismo di Riccardo Gualino e la presenza decisiva di Lionella Venturi. Spetterà al Maestro promuovere e vegliare con una scuola-bottega su un ristretto gruppo di giovani autori, quei “Sei di Torino” in cui si raccolgono – “nutriti dalle premesse culturali europeiste filtrate dall’insegnamento di Venturi e dal successivo avvento critico di Edoardo Persico” – Jessie Boswell (qui con “Casa Gualino” del ’30), Gigi Chessa, Carlo Levi che propone nel suo “Nudo” del 1929 la lezione parigina di Matisse, Nicola Galante (l’elegante “Natura morta con pesci rossi”, 1924), Francesco Menzio ed Enrico Paulucci, di cui è presente l’arioso quanto solare panorama di “San Michele di Pagana”, ancora 1930. Dilatandosi le pareti dell’entourage casoratiano, si inseriranno Daphne Maugham (eccezionali le geometrie, i differenti piani e le separazioni, i colori, la solitudine, le cose di ogni giorno nella “Colazione” del 1929), Emilio Sobrero, Giulio da Milano e, più discosto, l’inquieto Luigi Spazzapan.

Mentre ci si spinge nelle sale successive – sono una settantina le opere in mostra, in un percorso ricco di idee e di spunti, di tele famose e meno, di sorprese e di prestiti assai interessanti provenienti da Musei, Fondazioni italiane, collezioni private e grazie alla collaborazione con gli archivi degli autori selezionati -, s’incrociano gli autori che attorno al nome e all’opera di Fillia (al secolo Luigi Colombo) diedero vita a partire dal 1923 al Secondo Futurismo, ambizioso di una partecipazione maggiormente a carattere nazionale. Erano Giacomo Balla, qui con i suoi “Merli futuristi”, piegati, seghettati, in un panorama divertente e colorato (1924), Diulgheroff, Pippo Oriani, Bruno Munari, Osvaldo Bot e Enrico Prampolini di forte personalità. Infine, Milano, con il suo “Novecento” artistico, ispirato alle linee teoriche di Margherita Sarfatti, “le cui premesse vertono su sobrietà del colore, antirealismo e antiromanticismo, recupero di una classicità aggiornata, composizione secondo le leggi di equilibrio e di proporzione e importanza della forma, scandita da linee architettoniche e geometriche”.

Pronto per le ultime attenzioni alle opere esposte, la Fondazione ha mutato la vecchia sala delle conferenze in un nuovo, ampio e illuminato spazio espositivo. Qui, in lineare esposizione, una decina di tele e disegni di Mario Sironi, Achille Funi (“Ragazza con frutta”, 1924), Piero Marussig, Anselmo Bucci e i suoi “Giocolieri” in un grandioso gioco di prospettiva, Leonardo Dudreville e i suoi “Occhiali” del 1925, un piccolo gioiello d’arte, Carlo Carrà e il paesaggio, Filippo Usellini e Gian Emilio Malerba, sua una “Natura morta” dal Museo del Novecento milanese, la semplicità di tre frutti un piatto e una scodella da sbalordire.

Elio Rabbione

Nelle immagini: Felice Casorati, “Concerto”, 1924, tempera su tavola, Collezione RAI, Direzione Generale, Torino; Felice Casorati, “Ritratto di Cesarina Gualino Gurgo Salice”, 1922, olio su tavola, Collezione privata; Leonardo Dudreville, “Gli occhiali”, 1925, Coll. Mita e Gigi Tartaglino; Daphne Maugham Casorati, “La colazione”, 1929, olio su tavola, coll. Paola Giovanardi Rossi.

Gustav Klimt, le avventure di un capolavoro

Da Piacenza al valdostano “Forte di Bard”, in bella mostra il celebre “Ritratto di signora” dell’artista viennese

Fino al 10 marzo 2024

Bard (Aosta)

Al “Forte”, lo definiscono un “quadro evento”. Certamente, la sua esposizione al pubblico rappresenta un appuntamento più che speciale nell’ambito della stagione espositiva invernale. Dipinto dal funambolico destino, il quadro di cui si parla, e che sarà in visione negli spazi della “Cappella Militare” al “Forte di Bard”fino a domenica 10 marzo, è il famoso “Ritratto di signora” dipinto fra il 1916 e il 1917 da Gustav Klimt (Vienna 1862 – 1918), fra i più significativi e celebri artisti della cosiddetta “Secessione viennese – Wiener Secession”, da lui fondata (insieme ad altri diciannove artisti, simbolisti, naturalisti e modernisti) nel 1897, come rifiuto totale dell’arte accademica tradizionale.

L’opera arriva a Bard dalla “Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi” di Piacenza cui appartiene ed è una delle tre opere realizzate dal grande maestro viennese presente sul suolo italiano, nonché l’unica ad essere stata acquistata da un collezionista privato, a differenza della “Giuditta” (1901) della veneziana “Ca’ Pesaro” e de “Le tre età della donna” (1905) – entrambe appartenenti al “periodo aureo” di Klimt – della “Galleria Nazionale d’Arte Moderna” di Roma. Il quadro venne acquistato nel 1925 dal nobile industriale piacentino Giuseppe Ricci Oddi, per 30mila lire, dal gallerista milanese Luigi Scopinich che, a sua volta, lo aveva acquistato a Vienna dal gallerista austriaco Gustav Nebehay. Il dipinto fu inizialmente appeso in parte nella sala da biliardo di casa Ricci Oddi, per poi approdare alla “Galleria” aperta dal collezionista stesso nel 1931. La storia del dipinto, segnata da avventurose vicende, viene svelata al “Forte” valdostano attraverso un allestimento di grande impatto scenico grazie ad un progetto curato da “Forte di Bard”, “Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi” e “Skira”, il più antico e glorioso marchio nella storia dell’editoria d’arte internazionale. La tela appartiene al “periodo maturo” (o “fiorito”), all’ultima fase dell’attività di Klimt che, l’anno successivo, di ritorno da un viaggio in Romania, morirà colpito dall’epidemia di influenza spagnola. E’ un periodo per l’artista di forte “messa in discussione” del proprio linguaggio artistico, entrato in contatto e criticamente scontratosi con la produzione di artisti come Van Gogh, Matisse, Toulouse-Lautrec e, soprattutto, con la pittura espressionista di Egon Schiele ed Oskar Kokoschka (già suoi allievi) che lo portano completamente fuori dal precedente “fulgore dell’oro” e dalle decorative linee dell’“Art Nouveau”. La sua pittura si fa allora meno sofisticata e più spontanea, pronta ad abbracciare gli inviti spontanei di una tavolozza più accesa, con pennellate quasi “sbrigative”, rapide e marcate e meno attente ai rigori del segno per un approccio ai soggetti (ritratti femminili, in particolare, dai rossi accesi di labbra e gote e dai blu intensi degli occhi fino al nero corvino dei capelli) più emozionale e poeticamente più istintivo. Nel dipinto “Ritratto di signora” non  è nota l’identità della donna raffigurata, che con ogni probabilità è una delle tante modelle che posarono per l’artista. L’opera deve la propria fama alle incredibili vicende che l’hanno vista protagonista.

Spetta a una studentessa di un liceo piacentino – Claudia Maga – avere intuito nel 1996 la particolarissima genesi dell’opera poi confermata dalle analisi, cui la tela è stata sottoposta: Klimt la dipinge, infatti, sopra un precedente ritratto già ritenuto perduto raffigurante una giovane donna identica nel volto e nella posa all’attuale effigiata, ma diversamente abbigliata e acconciata.

Ma i colpi di scena non finiscono qui: il 22 febbraio 1997, la tela di Klimt viene rubata dalla “Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi” con modalità che le indagini non riusciranno mai a chiarire. Per la ricomparsa del dipinto occorrerà aspettare quasi ventitré anni e il suo ritrovamento sarà ancora più enigmatico del furto. Esso avviene il 10 dicembre 2019durante alcuni lavori di giardinaggio lungo il muro esterno del Museo piacentino. Qui, in un piccolo vano chiuso da uno sportello privo di serratura, viene rinvenuto un sacchetto di plastica, dentro al quale vi è una tela: è il “Ritratto di signora” di Klimt. Quando il caso s’allea con la fortuna!

Gianni Milani

“Gustav Klimt, le avventure di un capolavoro”

Forte di Bard, via Vittorio Emanuele II, Bard (Aosta); tel. 0125/833811 o www.fortedibard.it

Fino al 10 marzo

Orari: feriali 10/18; sab. dom. e festivi 10/19. Lunedì chiuso

Nelle foto: Gustav Klimt “Ritratto di Signora” (dettaglio) e ambientazione, olio su tela, 1916 – ’17; Credits “Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi”  di Piacenza

“La materia parla”. A Chieri, un ricco panorama di “sculture d’autore”

In dialogo con i più importanti siti storici della Città

 

Fino al 7 gennaio 2024

Chieri (Torino)

Sculture d’autore. Sculture d’arte contemporanea di peso internazionale, proposta in una molteplicità di caratteri e sfumature su cui riflessione e dialogo sono chiamati, giocoforza, al confronto e alla più libera interpretazione. Sono 18 gli artisti rappresentati nella rassegna “La materia parla. Sculture in dialogo con la Città”, curata da Monica Trigona, e allocata in cinque punti strategici, fra i siti storicamente più rilevanti della Città di Chieri. Inaugurata il 31 ottobre scorso, in occasione della riapertura al pubblico (dopo un importante intervento di restauro conservativo) della seicentesca “Cappella dell’Oratorio di San Filippo Neri”, la rassegna si svilupperà, fino al 7 gennaio del prossimo anno, in altre quattro importanti location chieresi: la “Cappella dell’Ospizio di Carità (Giovanni XXIII)”, i sagrati della “Chiesa di San Filippo” e della “Chiesa di San Bernardino”, per finire con l’“Imbiancheria del Vajro”. Mix perfetto, che di più non si può, fra architetture di imponente classicità e declinazioni artistiche assolutamente contemporanee, la mostra non è evento isolato nel territorio, connettendosi idealmente ad altre esperienze espositive ricorrenti, volte a valorizzare quella “Fiber Art” che è consolidata espressione artistica del “Tessile” chierese, lecitamente raccontato “attraverso l’utilizzo di qualsiasi ‘medium’, a fronte di una forte e sincera verve creativa”. L’iter espositivo mette insieme un nutrito gruppo di opere “che dagli anni Ottanta del secolo scorso – spiega Monica Trigona – fino ai giorni nostri hanno concorso allo sviluppo della multiforme espressione contemporanea, attribuendo grande importanza all’elemento profondo e primario che è sostanza del proprio linguaggio”: la “Materia”, asservita ai voleri, al pensiero, ai “capricci” dell’artista per trasformarsi appunto in “materia parlante”. Quali opere troviamo, dunque, sul cammino ideato fra i cinque siti coinvolti nell’iniziativa? In primis vanno ricordate l’informale scultura bronzea (anni ’60) del grande “caposcuola della rivoluzione novecentesca”, Umberto Mastroianni, posizionata nel Giardino dell’“Imbiancheria del Vajro” (via Imbiancheria), mentre nella “Cappella dell’Ospizio di Carità (Giovanni XXIII)”, in via Cottolengo, troviamo la suggestiva riproduzione bronzea (seconda metà anni ’50) di Maria Lai, rappresentante un “Presepio” con due semplificate (“quasi geometrizzate”) figure umane, in cui si legge chiara la lezione di Arturo Martini, di cui l’artista sarda fu allieva. Nella stessa suggestiva cappella barocca svetta la “scultura tessile” di juta riciclata della giovane svedese Diana Orving e, ancora, negli spazi esterni dell’“Imbiancheria del Vajro”, ecco le due sculture in bronzo (fine anni ’80), che già dai titoli (“Lobby Star” e “Faccia di bronzo”) strappano un sorriso, dell’ironico orientaleggiante Aldo Mondino, mentre all’interno dell’edificio ci si imbatte nei lavori (“Latomia”, fine anni ’80) di Piero Fogliati, impegnato nel “trasmutare in pratica artistica la percezione di fenomeni fisici”. Il “palleggiare” continuo sui sentieri del “contemporaneo” ci porta a un lungo peregrinare fra la “Sottiletta” in lamiera, marmo e ferro del milanese Umberto Cavenago, posta nella “Cappella di San Filippo” dove troviamo anche il “carretto-giocattolo” del vicentino Silvano Tessarollo e il modellino di “sommergibile” inglobato in una bottiglia di vetro del visionario Antonio Riello da Marostica. Per continuare con i “gessi” di Giacinto Cerone e con le opere “patinate” di Carlo Pasini, fino agli “Incidenti planetari” di Marco Mazzucconi e alla “scultura esile” di Stefano Bonzano. Più vicine ai nostri giorni, spiccano le “plastiche in resina” di Domenico Borrelli, le quattro inquietanti “teste in cemento” con penzolanti stoffe colorate di Paolo Grassino, da cui staccarsi  per ritrovare un briciolo di sereno nell’“installazione ambientale” di Theo Gallino, così come nell’esibizione del prezioso tecnicismo di Gabriele Garbolino Rù nella “Cappella di San Filippo”, in cui trova spazio anche il “maestoso portale” in acciaio inox di Salvatore Astore, mentre sul sagrato della “Chiesa di San Filippo” termina il percorso con il gruppo scultoreo (figure stilizzate e dinamiche) più recente, opera del torinese Carlo D’Oria.

Da segnalare: a corollario dell’iniziativa, venerdì 24 novembre, alle 18, all’“Imbiancheria del Vajro” la “tavola rotonda” su “L’evoluzione della materia” alla quale parteciperanno la curatrice della mostra Monica Trigona, Roberto Mastroianni, docente all’“Accademia Albertina di Belle Arti”, e alcuni artisti partecipanti al percorso espositivo.

Tutte le informazioni sul sito: www.comune.chieri.to.it

Gianni Milani

Nelle foto: Salvatore Astore “Sconfinamenti”, acciaio inox, 2022 (Ph. Renato Ghiezza); Domenico Borrelli “Memorie – per abitarsi”, resina, 2016-2020; Paolo Grassino “Senza nome”, cemento e stoffe, 2021; Theo Gallino La valle dei pollini”, terracotta, acciaio corten, 2021

Liberty misterioso: Villa Scott

Oltre Torino: storie miti e leggende del torinese dimenticato

È luomo a costruire il tempo e il tempo quando si specchia, si riflette nellarte 

Lespressione artistica si fa portavoce estetica del sentire e degli ideali dei differenti periodi storici, aiutandoci a comprendere le motivazioni, le cause e gli effetti di determinati accadimenti e, soprattutto, di specifiche reazioni o comportamenti. Già agli albori del tempo luomo si mise a creare dei graffiti nelle grotte non solo per indicare come si andava a caccia o si partecipava ad un rituale magico, ma perché  sentì forte la necessità di esprimersi e di comunicare.

Così in età moderna – se mi è consentito questo salto temporale – anche i grandi artisti rinascimentali si apprestarono a realizzare le loro indimenticabili opere, spinti da quella fiamma interiore che si eternò sulla tela o sul marmo.  Non furono da meno gli  autori delle Avanguardie del Novecento  che, con i propri lavori disperati, diedero forma visibile al dissidio interiore che li animava nel periodo tanto travagliato del cosiddetto Secolo Breve.

Negli anni che precedettero il primo conflitto mondiale nacque un movimento seducente ingenuo e ottimista, che sognava di ricreare la natura traendo da essa motivi di ispirazione per modellare il ferro e i metalli, nella piena convinzione di dar vita a fiori in vetro e lapislazzuli che non sarebbero mai appassiti: gli elementi decorativi, i ghirigori del Liberty, si diramarono in tutta Europa proprio come fa ledera nei boschi. Le linee rotonde e i dettagli giocosi ed elaborati incarnarono quella leggerezza che caratterizzò i primissimi anni del Novecento, e ad oggi sono ancora visibili anche nella nostra Torino, a testimonianza di unarte raffinatissima, che ha reso la città sabauda capitale del Liberty, e a prova che larte e gli ideali sopravvivono a qualsiasi avversità e al tempo impietoso. (ac)

Torino Liberty

1.  Il Liberty: la linea che invase l’Europa
2.  Torino, capitale italiana del Liberty
3.  Il cuore del Liberty nel cuore di Torino: Casa Fenoglio
4.  Liberty misterioso: Villa Scott
5.  Inseguendo il Liberty: consigli “di viaggio” per torinesi amanti del Liberty e curiosi turisti
6.  Inseguendo il Liberty: altri consigli per chi va a spasso per la città
7.  Storia di un cocktail: il Vermouth, dal bicchiere alla pubblicità
8.  La Venaria Reale ospita il Liberty:  Mucha  e  Grasset
9.  La linea che veglia su chi è stato:  Il Liberty al Cimitero Monumentale
10.  Quando il Liberty va in vacanza: Villa  Grock

Articolo 4. Liberty misterioso: Villa Scott

Talvolta il cinema va in cerca di luoghi suggestivi e unici, per rendere la pellicola ancora più indimenticabile. Uno di questi ambienti da cellulosa si trova nella collina torineseuna villa silenziosaNascosta in un elegante “vedo non vedo” tra il verde degli alberil’abitazione si affaccia indifferente sul panorama torinese che si prostra poco più in  delle sue fondamenta. È Villa Scott, situata in Corso Giovanni Lanza 57, uno dei più fulgidi esempi dello stile floreale a livello nazionale. Il committente, Alfonso Scott, consigliere delegato della Società Torinese Automobili Rapid, nel 1901 acquista un appezzamento di terreno precollinare affidando l’incarico di costruire una villa per la propria famiglia all’ingegnere Fenoglioche allora aveva 36 anni

Fenoglio si impegna nella costruzionedando al  progetto caratteristiche architettoniche di alto pregio, con una chiara apertura al Liberty, e con prospetti caratterizzati da decorazioni floreali in litocemento e in ferro battutoAlla morte di Alfonso Scott, la villa passa alle Suore della Redenzioneche la utilizzano per ospitare un collegio femminilenoto con il nome di Villa Fatima. Fenoglioche lavora al progetto di Villa Scott in collaborazione con il collega Gottardo Gussonirisolve le difficoltà di realizzazione – dato che vi è un dislivello di ben 24 metri tra la villa e il cancello d’ingresso – con una scalinata e con l’inserimento di diversi corpi di fabbricaaccanto al complesso principale lievemente curvilineo della villa. Il volume della costruzione è arricchito da un apparato decorativo che trae vita anche dalla scala esternaL’edificio viene completato nel 1902, anno in cui Fenoglio si dedica anche alla palazzina Fenoglio-La Fleur di corso Francia angolo via Principi d’AcajaNel contesto dell’ampio spazio verde in cui è ubicata Villa Scott, si stagliano netti i due corpi laterali a torrettauno su quattro livelliun altro sutre, ma con un bovindo quadratocollegati da una veranda vetrata sormontata da una terrazza.  La pianta di Villa Scott è amabilmente articolata in un gioco di loggebovindivetrategli elementi litocementizi di finitura murariaripieni e turgidi con misura, quasi rinviano all’ultimo barocco, con radiosi richiami ecletticiLa fantasmagoria floreale, la fitta lavorazione del terrazzinogli ariosi loggia-ti laterali, la decorazione a stucchi e boiseries di color crema e oroil tutto perfettamente in armoniacon l’arredo interno, un mobilio apertamente ispirato a un fioritoLuigi XVI, ne fanno una dimora elegante e raffinata, e piuttosto suggestivatanto che il regista Dario Argento vi ha ambientato uno dei più celebri gialli italianiProfondo rosso, del 1975.

Villa Scott viene infatti scelta per essere la villa del bambino urlante e gioca un ruolo essenziale per lo svolgimento della trama: è tra queste mura che si trova la soluzione del mistero. Tra gli appassionatialcuni indentificano la sfarzosa e terribile residenza del film giallo-horror con l’altrettanto celebre Villa Capriglioanch’essa situata in collina e nascosta tra la vegetazionesede inquietante di vicende 

orrorifichepurtroppo più veritiere rispetto a quelle altrettanto spaventose ma irreali di Villa Scott. 

Occorre ricordare che all’epoca delle riprese la villa era utilizzata come collegio femminile e abitata da suore e fanciulle che ovviamente non potevano rimanere  mentre veniva girato il film. La produzione dovette allora trovare un escamotagepoiché non si poteva abbandonare quella location così perfettamente suggestiva! Si decise dunque di offrire un periodo di villeggiatura a Rimini alle suore e a tutte le ragazze del collegio, le quali non opposero alcuna obiezione e con la loro vacanza inaspettata contribuirono alla realizzazione di una delle pellicole horror più conosciute. Dopo un breve periodo di abbandono, la villa è stata  restaurata e adibita a residenza privata.

Alessia Cagnotto