Alla Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso, visita guidata agli affreschi dell’artista torinese, fra i maggiori esponenti del gotico internazionale
Domenica 17 e lunedì 18 aprile, ore 15,30
Buttigliera Alta (Torino)
I toni sono marcatamente realistici. Il dolore e la sofferenza di Cristo Uomo piegato sotto il peso della Croce, lungo la via che porta al Golgota, si confrontano drammaticamente con la spietata crudeltà dell’essere umano che lo deride, lo sbeffeggia, lo picchia e lo incalza privo d’ogni parvenza di terrena pietà. Siamo di fronte a “La Salita di Cristo al Calvario”, sicuramente l’affresco più prezioso (fra quelli raffiguranti la vita di Cristo) conservato nell’ex-sacrestia dell’Abbazia, o meglio “Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso”, realizzato intorno al 1430 da Giacomo Jacquerio (Torino, 1375 ca. – 1453), fra gli esponenti di maggior spicco della pittura tardo gotica in Piemonte.

L’affresco si inserisce in quella complessiva decorazione pittorica della Precettoria (fondata dall’Ordine di Sant’Antonio di Vienne, su volere del conte Umberto III di Savoia, negli ultimi anni del XII secolo, monumento nazionale dal 1883, assegnato da Papa Pio VI all’“Ordine Mauriziano”) che rappresenta la principale e meglio documentata testimonianza superstite della lunga e prolifica carriera dell’artista piemontese. E per chi non ne avesse ancora sperimentato la profonda intensità emozionale (quale specchio di tragica contrapposizione fra il Bene ed il Male) e l’elevata qualità artistica, si presenta – nel periodo più consono per accompagnare al godimento artistico la ritualità del Sacro, fra la Domenica di Resurrezione ed il Lunedì dell’Angelo – la possibilità di prenderne contezza attraverso due interessanti visite guidate programmate per domenica di Pasqua 17 aprile e lunedì di Pasquetta 18 aprile, a partire dalle ore 15,30. L’affresco, per la crudezza dei toni, è un’autentica botta al cuore. Su sfondo neutro, i personaggi raffigurati (da quelli che trattengono la croce a quello che tira Gesù con la corda) “presentano – si è annotato – lineamenti talmente alterati e deformati che sembra abbiano quasi connotazioni non umane. Tra la folla, si riconoscono il fabbro, a cui i giudei si rivolgono per fabbricare i chiodi della croce di Cristo e Giuda con la barba e i capelli rossi (colore che richiama la violenza e le fiamme dell’inferno) e il vestito giallo per evocare il tradimento”. La visita alla “Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso”, in territorio di Buttigliera Alta, venti chilometri da Torino all’imbocco della Valsusa, permetterà anche di ammirare (oltre alla struttura dai motivi tipicamente tardogotici di influenza francese del complesso monastico, di cui le tre imponenti “ghimberghe” dei portali decorate con formelle in terracotta e pinnacoli sono l’elemento predominante), altri affreschi realizzati da Jacquerio a partire dal 1410 e distribuiti fra il presbiterio della chiesa e l’ex-sacrestia. Affreschi venuti alla luce nel 1914, allorché, nel corso di lavori di restauro, venne scoperta un’iscrizione autografa dell’artista in margine ad un affresco raffigurante la “Madonna in trono”.

Di qui la scoperta e l’attribuzione sulla parete sinistra del presbiterio (e in problematico stato di conservazione) di altre figure “a fresco”, dai “Sei Profeti” ad altre immagini di “Santi e Sante” affacciate, sulla parete di destra, al ciclo della “Vita di Sant’Antonio Abate” e a momenti di “vita contadina” improntati ad un rigoroso, magistrale realismo. In migliore stato di conservazione, sono invece gli affreschi dell’ex-sacrestia, autentiche preziosità artistiche: dall’“Annunciazione” ai “Santi Pietro e Paolo”, dall’“Orazione nell’Orto” ai “Quattro Evangelisti” sulle “vele” della volta fino al massimo capolavoro de “La Salita di Cristo al Calvario”, in cui Jacquerio ha saputo coniugare la perfezione stilistica (per lui ormai dato di fatto) alla potenzialità di emozioni trascendenti il reale per toccare i vertici dell’infinito assoluto. Del dolore e del sacrificio del figlio di Dio fatto Uomo. Morto in Croce per salvare coloro che “non sanno quel che fanno”.
Gianni Milani
Per info: Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso, Buttigliera Alta (Torino); tel. 011/9367450 o www.ordinemauriziano.it
Nelle foto:
– Giacomo Jacquerio: “La Salita di Cristo al Calvario”
– Interno della Precettoria
– Facciata esterna
Architetto, anatomista, pittore, visionario: l’incredibile e poliedrico genio di Leonardo da Vinci torna protagonista ai Musei Reali che dal 15 al 25 aprile 2022 propongono un’esposizione straordinaria del Codice sul volo degli uccelli e dei 13 disegni, tra i quali anche il celebre Autoritratto.


“Guardando Gesù nella sua passione, noi vediamo come in uno specchio le sofferenze dell’umanità e troviamo la risposta divina al mistero del male, del dolore, della morte”: con queste parole Papa Francesco sintetizza nel suo più intimo significato il tema della morte in croce del Cristo Redentore. Passione e morte per la salvezza dell’Uomo, che pure partecipa, nella sua avventura terrena, all’inciampo del dolore, dell’emarginazione, della tortura, della passione e della morte. Su questa linea intende proporsi la riedizione aggiornata della mostra “Crocifissioni” nuovamente ospitata, in periodo quaresimale – dopo lo stop imposto nel marzo del 2020 dalla pandemia – nelle sale espositive del Collegio “San Giuseppe” di Torino, oggi certamente fra i più importanti centri di promozione culturale cittadina.
rinascimentale) realizzati dal torinese Ottavio Mazzonis (Torino, 1921 – 2010) fra il ’90 e il ‘98. Appeso alla Croce non il corpo del Cristo, ma solo il freddo “sudario”, a simboleggiare il “calvario” della Chiesa odierna, e intorno il dolore senza fine di Maria e discepoli. Dolore in cui si fa luce intensa il grande disco lunare, monito di attesa Risurrezione, proposto dal disegno “Nel buio la luce” di Carla Parsani Motti, mentre dolore assoluto senza fine resta quel Cristo “lanciato in una dimensione di profondità atemporale, in cui la Maddalena è ridotta ad un volto rovesciato indietro” del “Jesu, dimitte nobis” di Luigi Rigorini.
figura quasi astratta in una tela di sacco dorata. E ancora i dettagli. Gli oggetti del martirio.
Mattana e a Renzo Igne. Originale la visionaria leggenda del “pettirosso” di Nick Edel e la complessa narrazione di Rosanna Campra. E poi, il tradimento, preludio al martirio, nel cupo “Bacio di Giuda” di Giovanni Taverna e ancora il dolore estremo negli inchiostri di Giacomo Soffiantino, nell’uccello trafitto di Sandro Lobalzo come nei rami e spine di Franco Sassi e nelle pagine famigliari di Michele Tomalino Serra, fino all’immagine in acquaforte di Lucia Caprioglio del mandylion (il panno con cui la Veronica asciugò il volto di Gesù grondante sangue e sudore) e allo straniante surrealismo di Vito Oliva, di Giorgio Viotto e di Sergio Saccomandi.”Gesù sarà in agonia – ricorda Fratel Alfredo, citando Pascal – fino alla fine del mondo: non bisogna dormire fino a quel momento”. Saggio monito. Di innegabile, drammatica attualità.




Curata da Ilario Manfredini, la rassegna ricrea la favolosa stagione artistica intrapresa da Domenico Della Rovere e dalla sua nobile famiglia in Piemonte. Nato a Vinovo nel 1442, figlio del conte Giovanni di Vinovo e dalla contessa Anna del Pozzo, studiò teologia all’Università di Torino. La storia dei Della Rovere di Vinovo si intreccia strettamente con quella di Francesco Della Rovere, futuro papa Sisto IV. Nato da una famiglia savonese, benestante ma non blasonata, famoso teologo e abituale frequentatore della corte papale a Roma, Francesco Della Rovere conobbe i fratelli vinovesi Domenico e Cristoforo Della Rovere durante una visita a Chieri presentandosi perfino come membro della loro famiglia pur non avendo un titolo nobiliare. Avevano lo stesso cognome ma non erano congiunti anche se forse tra i due rami della famiglia esiste davvero una lontana parentela. I “Della Rovere” sono infatti originari di Savona dai quali nasceranno varie famiglie tra cui i Della Rovere di Urbino. I tre Della Rovere divennero amici e un tal giorno Domenico e Cristoforo si trasferirono a Roma proprio sotto la protezione di Francesco che qualche anno dopo diventerà papa Sisto IV. A Vinovo Domenico trascorse brevi periodi della sua vita ma fu comunque l’artefice del castello che verrà eretto alla fine del Quattrocento. Alla morte del fratello Cristoforo divenne cardinale e poi vescovo di Torino nel 1482.
In mostra sono esposte miniature, dipinti, documenti e riproduzioni antiche provenienti da diversi musei e biblioteche in cui si mettono in rilievo anche le fasi del restauro rinascimentale della dimora e del parco. Tra i dipinti in vetrina nelle sale del castello spiccano tre tavolette di Gandolfino da Roreto, una serie di ritratti in cui compaiono personaggi illustri conosciuti da Domenico Della Rovere, come Carlo VIII di Francia e Carlo II di Savoia, detto il Buono, in un quadro realizzato dal chivassese Defendente Ferrari.
Il maniero rinascimentale sarà sede nel Settecento di una prestigiosa manifattura di porcellane e in seguito accoglierà il collegio della Regia Università degli studi di Torino. Nel 1693 con la morte, senza eredi, dell’ultimo discendente Carlo terminò il ramo vinovese dei Della Rovere e la proprietà fu assegnata al conte Carlo Francesco Delle Lanze, figlio del duca di Savoia Carlo Emanuele II. Oggi il castello, patrimonio del Comune di Vinovo, ospita la biblioteca e in alcune sale vengono organizzate mostre e iniziative culturali.