ARTE- Pagina 115

Al MAO  le suggestive “Rose Mandala” della performer americana Chrysanne Stathacos

“Blowing roses”

Da mercoledì 22 a venerdì 24 giugno

Per tre giorni al “MAO” di Torino, ci si potrà immergere nella mistica atmosfera creata attraverso la realizzazione di un “mandala” di specchi e rose ( nella tradizione religiosa buddista e induista, la rappresentazione simbolica del cosmo ), installazione performativa di Chrysanne Stathacos, artista multidisciplinare, nativa di Buffalo (NY), ma da tempo attiva e residente in Grecia (Atene) e Canada (Toronto). Attiva in più campi, dalla stampa al tessile, dalla performance all’arte concettuale, l’artista incentra il suo percorso artistico su tematiche di assoluta attualità, sempre affrontate con grande e personale impegno, da quelle legate alle rivendicazioni femministe, al sociale nel suo più ampio significato, fino alla condivisione di motivi legati alla mitologia greca piuttosto che alla spiritualità orientale e al buddhismo tibetano. E proprio in quest’ultimo scenario creativo va inserita l’installazione della serie “Rose Mandala” per cui l’artista è stata invitata al “MAO-Museo d’Arte Orientale” di Torino, nell’ambito della mostra “Il Grande Vuoto” (attualmente in corso al Museo di via San Domenico) e del progetto #MAOTempoPresente. La performance di Chrysanne Stathacos si svolgerà nel “Salone Mazzonis” del “MAO” nell’arco di tre giorni, dal mercoledì al venerdì 24 giugno prossimi. Dice la stessa artista: “Creerò un’opera dalla mia serie Rose Mandala, ‘Blowing Roses’. Le installazioni Rose Mandala si basano su strutture circolari storiche che hanno lo scopo di creare un’opera che cambia nel tempo. Questi lavori sono realizzati strappando dozzine di rose – petalo per petalo –  che vanno a circondare specchi colorati di grandi dimensioni. I sensi dello spettatore sono investiti da ondate di profumo di rose che abitano lo spazio dell’opera”. “I mandala – prosegue – vengono lasciati seccare mentre i petali si riducono a un quarto della loro dimensione originale. Alla fine, il mandala viene smantellato in una rappresentazione finale. I Rose Mandalas vengono gettati, raccolti e dispersi nel vento o spazzati via dal respiro umano, mio e del pubblico. Queste installazioni/performance riflettono l’effimero processo di cambiamento, età, decadenza e vuoto”.

Orbene, mercoledì 22 ( per tutto il giorno) e giovedì 23 giugno (nel corso della mattinata), il pubblico è invitato ad assistere alla creazione del “mandala”, mentre venerdì 24 giugnoalle 16,30, nel corso di una cerimonia rituale sempre aperta al pubblico, Chrysanne Stathacos distruggerà l’opera, soffiando nel vento i petali di rosa ormai secchi, a simboleggiare l’impermanenza (anitya in sanscrito) del mondo materiale. “Per me i ‘Rose Mandala’, evocativamente creati da Chrysanne Stathacos– afferma Jetsnma Tenzin Palmo, fra le più eminenti maestre buddhiste occidentali – simboleggiano il graduale dispiegamento del nostro innato potenziale spirituale. Al contrario, questi mandala ci ricordano l’impermanenza intrinseca anche del bello”.

L’accesso alla performance è incluso nel biglietto d’ingresso alla mostra “Il Grande Vuoto” e nel biglietto d’accesso alle collezioni permanenti. Non è necessaria la prenotazione. In occasione dell’evento di venerdì 24 giugno, i “Servizi Educativi” del Museo propongono l’attività per famiglie “L’impermanenza del bello: Rose mandala”. In presenza dell’artista, si assisterà al gesto conclusivo della sua performance con il soffio che spazza via: il momento della distruzione del “mandala” di fiori. A seguire, in laboratorio i partecipanti potranno realizzare con i petali di rosa raccolti un piccolo “mandala” su un piatto di ecocarta.

Per l’evento conclusivo, il numero di posti é limitato. La prenotazione è dunque obbligatoria, allo 011/4436927 o maodidattica@fondazionetorinomusei.it

Costo: bambini euro 7adulti biglietto mostra (gratuito per possessori Abbonamento Musei).

Per ulteriori info“MAO-Museo d’Arte Orientale”, via San Domenico 11, Torino; tel. 011/4436927 o www.maotorino.it

Gianni Milani

VideotecaGAM presenta Jannis Kounellis

22 giugno – 13 novembre 2022 a cura di Elena Volpato

Prosegue il ciclo di esposizioni dedicate alla storia del video d’artista italiano tra anni Sessanta e Settanta. La mostra, sesto e ultimo appuntamento della collaborazione con l’Archivio Storico della Biennale di Venezia, si compone di tre diverse manifestazioni dell’immagine di Apollo che Kounellis mise in opera, tra il 1972 e il 1973, nascondendo il proprio volto dietro una maschera di gesso recante le fattezze del dio.

La prima, del 1972, ebbe luogo all’Attico di Roma. Ad essa, in quanto immagine di una soglia, è affidato l’inizio del percorso: in uno scatto di Claudio Abate, Kounellis appare a cavallo, all’interno di una sala. La testa dell’animale avanza verso l’osservatore, oltre la porta. È un’immagine attraversata da inquietudine e tensione per i molti tratti di ambiguità che ne emergono: un cavallo all’interno della sala di un palazzo, la classicità della maschera unita alla contemporaneità degli abiti del cavaliere, l’aprirsi della visione e il sovrapporsi della porta all’imponente presenza che inibisce il passaggio. Tuttavia, il più rimarcabile segno di contraddizione è dato dalla dimensione temporale dell’apparizione: da un lato c’è la vita animale, il respiro del cavallo, il calore e l’odore del suo corpo, la sua incapacità a restare immobile; dall’altro c’è il bianco assoluto del gesso, la fissità imperturbabile della maschera, la terribilità di uno sguardo vuoto, il silenzio solenne.

L’animale vive nell’ora, il dio si mostra nella continuità del suo essere. L’opera abita uno spazio indecidibile tra le due temporalità. Ricongiunge il divenire all’immutabile, il presente all’eterno e sovrappone la sua contemporaneità al passato dell’arte.

La seconda, del 1973, è una diversa fotografia scattata in occasione della performance di Kounellis presso la galleria La Salita di Roma. L’artista siede al centro dell’inquadratura con la maschera di Apollo sul volto. Davanti a lui, su un tavolo, sono disposti i frammenti di una scultura classica che appare come il corpo smembrato del dio. Sopra il torso sta appollaiato un corvo impagliato. Alla sinistra di Kounellis un suonatore di flauto esegue musiche di Mozart e alla sua destra c’è una finestra aperta. Anche in questa apparizione la tensione è creata dall’intreccio di opposti. La ieratica presenza del volto di Apollo si confronta con l’immagine di morte della scultura disgregata e del corvo il cui corpo imita la vita ma ne è privo, al contempo, però, si unisce al corpo vivo di Kounellis che perpetua la divinità assumendone le fattezze.

Questo ciclo di morte e di rinascita trova un contrappunto, ai due lati, dalla presenza del flautista e della finestra, forse immagini di due diversi soffi vitali e di due diversi spazi che vanno mescolandosi: quello interno, abitato dall’arte e dal dio, risuonante di musica, e quello all’esterno, oltre il recinto sacro, immerso nella quotidianità.

La terza e ultima opera è un videoNo title del 1973, proveniente dall’Archivio Storico della Biennale di Venezia, l’unica opera video che Kounellis abbia mai realizzato. La sua visione, nel piccolo percorso di mostra, avviene oltre una tenda nera, in una stanzetta ricavata all’interno dello spazio espositivo perché i visitatori entrino uno alla volta. È da soli che ci si reca a interrogare l’oracolo. Da un monitor, posto più in alto dell’usuale, la maschera di Apollo appare nella sua inscalfibile immobilità. Kounellis la regge con la mano destra, mentre nella sinistra tiene una lampada a petrolio accesa.

Esiste il tempo misurabile del video, i 25 minuti della sua durata fisica; esiste il tempo storico in cui l’artista si offrì all’inquadratura fissa della telecamera, il tempo narrato dalla foggia della camicia che indossa; esiste infine il tempo perenne, il ciclo incorrotto della divinità antica che da sempre presiede alla manifestazione della luce e dell’arte e di cui l’opera di Kounellis non è che una delle infinite epifanie.

Sopra: Jannis KounellisSenza titolo, 1973

video, 25’, b/n, muto, Courtesy Archivio Storico della Biennale di Venezia

© Estate Jannis Kounellis

Da Veronica a “Vera Icon”

                                                                                                  

LA DEVOZIONE AL VOLTO DI CRISTO NEL MEDIOEVO

TRA ORIENTE E OCCIDENTE

Conferenza con Gian Maria Zaccone

direttore del CISS – Centro Internazionale di Studi sulla Sindone

Mercoledì 22 giugno 2022

ore 16.45

Palazzo Madama – Sala Feste

Piazza Castello, Torino

Dipinto raffigurante la santa Veronica che ostende il Santo Volto, seconda metà del XVI secolo.

Torino, Museo della Sindone

Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica propone, mercoledì22 giugno alle ore 16.45, la conferenza Da Veronica a “vera icon”: la devozione al Volto di Cristo nel Medioevo tra Oriente e Occidente con il professor Gian Maria Zaccone, direttore del CISS – Centro Internazionale di Studi sulla Sindone.

Due tradizioni, quella orientale del Mandylion e quella occidentale della Veronica si intrecciano fortemente, con esiti diversi nella storia della spiritualità, sebbene entrambe di forte impatto nella evoluzione della ricerca e della Pietà verso la vera immagine di Cristo.

All’epoca di Innocenzo III l’immagine cosiddetta della “Veronica” – presente da tempo in Roma e oggetto di culto crescente – raggiunge il suo status di immagine-reliquia universale del volto di Cristo. L’immagine della Veronica racchiude una doppia valenza, che impronterà la sua iconografia, che la vede ora come immagine del Cristo vittorioso e ora di quello paziente, che l’avvicina all’immagine orientale del Mandylion.

Ciò si riflette anche sulle leggende circa la sua origine, in una versione donata da Gesù alla mitica figura di Veronica che desiderava ardentemente avere un’immagine del suo maestro e guaritore, e in un’altra realizzata durante la passione. Sarà quest’ultima a imporsi nell’ambito occidentale. Per molto tempo gli studiosi si sono interrogati su quale delle due leggende – Veronica e Mandylion – si fosse modellata l’altra.

Al di là della questione storica è fondamentale prendere atto come, da un ben preciso punto della storia della Chiesa, con sempre maggiore interesse la Cristianità anela a identificare le fattezze umane di Cristo.

Il Mandylion in Oriente e la Veronica in Occidente in realtà rappresentano due fondamentali espressioni dello stesso Volto, recepite secondo le più profonde attese delle diverse spiritualità. Ne è palese testimonianza il ruolo della Veronica nella pietà medievale, e in particolare il significato enorme rivestito nel Giubileo del 1300. Le relazioni dei pellegrini, i testi letterari, da Dante a Petrarca, le cronache liturgiche segnalano in maniera inequivocabile l’emozione della presenza di quel volto a Roma, la cui storia ancora oggi risulta di difficile ricostruzione e a tratti controversa.

Gian Maria Zaccone, storico, Direttore del Centro Internazionale di Studi sulla Sindone di Torino. Laureato in Storia del Diritto si è specializzato nello studio dei processi per i percorsi di canonizzazione nel medioevo e nella storia della Pietà. In questo ambito ha approfondito il tema della ricerca della raffigurazione di Cristo con particolare attenzione agli esiti sindonici. È titolare di un corso universitario di Storia della Sindone e delle reliquie di Cristo nell’ambito della Pietà.

Info: ingresso libero fino a esaurimento posti

Prenotazione facoltativa: t. 011 4429629 (da lunedì a venerdì, orario 9,30-13 e 14-16)

e-mail: madamadidattica@fondazionetorinomusei.it

Ufficio Stampa Palazzo Madama

Stefania Audisio

+39 3426266357 e-mail stefania.audisio@fondazionetorinomusei.it  

Relazioni Esterne CISS – Centro Internazionale di Studi sulla Sindone

Paola Cappa

+39 3356669011 e-mail paola.cappa@sindone.it

Rinasce il Teatro d’acque della Fontana dell’Ercole

Reggia di Venaria, Galleria Grande

Presentazione intervento di recupero e valorizzazione del Teatro d’acque della Fontana dell’Ercole presso i Giardini della Venaria Reale

Oggi viene presentato il risultato dell’ambizioso intervento di restauro e valorizzazione funzionale del
capolavoro seicentesco di Amedeo di Castellamonte.
Alle Aziende e agli Enti Soci della Consulta di Torino si sono uniti l’entusiasmo e il sostegno di prestigiosi
Partners: Fondazione Compagnia di San Paolo, Intesa Sanpaolo, Reale Mutua, Consorzio delle Residenze Reali
Sabaude, A.V.T.A. – Amici Reggia Venaria Reale, Iren solidali nell’intento di aumentare e migliorare la fruibilità
del patrimonio culturale del territorio, nel rispetto della memoria e dell’eredità storica che il presente ha il
dovere di preservare per le generazioni a venire.
Si tratta dell’ultimo tassello del Progetto di recupero della Venaria Reale, avviato nel 1998. Proprio
quest’anno ricorrono i 15 anni di apertura della Reggia di Venaria e i 25 anni del riconoscimento Unesco delle
Residenze Reali Sabaude. La rinascita del Teatro d’acque celebra queste ricorrenze.
Il complesso della Fontana dell’Ercole Colosso, realizzato tra il 1669 e il 1672, era il luogo delle feste: una
straordinaria “macchina scenografica barocca” frutto del dialogo tra natura e architetture.
In origine era costituita da scalinate e padiglioni, ninfei e grotte preziosamente decorati, giochi d’acqua e un
grandioso apparato decorativo, dominato dall’Ercole Colosso, protagonista del contesto e collocato al centro
della grande vasca.
Simbolo del giardino tardo‐manierista l’imponente sito era stato pensato dal Castellamonte come una delle
grandi meraviglie della nuova Reggia voluta dal duca Carlo Emanuele II di Savoia.
Ideato e realizzato per il loisir e impostato su un raffinato gioco di rimandi allegorici e allusioni mitologiche,
dava lustro alla dinastia sabauda, di cui incarnava il desiderio di rivaleggiare con le più grandi corti delle
monarchie europee.
Un mutamento del gusto e gravi eventi bellici ne decretarono lo smantellamento già agli inizi del Settecento.
Il patrimonio decorativo e statuario fu disperso su altre residenze reali e nobiliari e il sito demolito e interrato.
Nei primi anni duemila, nell’ambito del Progetto La Venaria Reale, coordinato dalla Soprintendenza e dalla
Regione Piemonte, vennero realizzati importanti lavori di scavo, liberando i ruderi e riportando alla luce quel
che restava dell’antico splendore.
La Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino ha accolto la richiesta di intervenire su
quello che era stato una delle spettacolari architetture della residenza di caccia dei Savoia, per completare
l’opera di recupero della Reggia di Venaria, andando ad operare sull’ultimo tassello ancora abbandonato al
degrado.
Il progetto ideato dall’architetto Gianfranco Gritella ‐ frutto di studi e indagini accurate ‐ ha richiamato
energie e attivato sinergie tra le principali istituzioni pubbliche e private del territorio nazionale.
“L’intervento di restauro – spiega il Progettista e Direttore dei lavori ‐ ha seguito il principio della
‘progettazione della conservazione’ intesa come garanzia del rispetto delle caratteristiche proprie delle
architetture superstiti. Partendo dallo studio e dalla conoscenza dei manufatti, si è voluto ricucire il rapporto
tra intervento e preesistenza. L’Intero progetto si basa sul concetto di ‘intervento leggero’ richiamato a dare
forza all’idea di un restauro sostenibile, attraverso l’uso di due materiali storici – legno e ferro – entrambi
utilizzati con sistemi di montaggio che ne consentono una completa reversibilità.”
Nei Giardini aulici della Reggia è stata ricreata una preziosa narrazione. Sul tema della Memoria si è rievocato
un mito, la Meraviglia, per offrire un nuovo emozionante motivo per visitare la Venaria e ‐ per chi già la
conosce ‐ una stupenda ragione per tornare.
Michele Briamonte, Presidente del Consorzio delle Residenze Sabaude, ha dichiarato: “L’imponente restauro
e la valorizzazione del complesso monumentale della Fontana dell’Ercole nei Giardini della Reggia,
rappresentano l’ultimo fondamentale atto del compimento generale del progetto di recupero della Venaria
Reale, iniziato ne 2007 e definito come il più grande cantiere d’Europa per un bene culturale. E’ un traguardo
importantissimo che segna la nuova rinascita della Reggia ‐ proprio nel 15° anniversario della sua
inaugurazione – adesso arricchita da un’ennesima straordinaria attrazione. Non posso che esserne orgoglioso
e lieto, e congratularmi anche a nome di tutto il Consiglio di Amministrazione e del Direttore generale Guido
Curto, ringraziando le varie istituzioni, i mecenati e in particolar modo la Consulta di Torino per aver reso
possibile ‐ insieme al Consorzio ‐ con eccezionale generosità, perseveranza e sforzi notevoli questo incredibile
risultato”
“E’ motivo di orgoglio e soddisfazione per le Aziende e gli Enti Soci della Consulta l’aver portato a compimento
il grandioso intervento di riqualificazione del Teatro d’acque della Fontana dell’Ercole. Alla base della
decisione di realizzare il progetto c’è stato ‐ come in ogni decisione dell’associazione ‐ lo sguardo verso il
futuro. Il risultato ‐ realizzato in regime di Art Bonus ‐ è frutto e dimostrazione della capacità del tessuto
imprenditoriale di investire e collaborare con le istituzioni per la salvaguardia e lo sviluppo del patrimonio
storico‐artistico” conclude il Presidente della Consulta Giorgio Marsiaj

Foto Paolo Robino

La tecnica del chiaroscuro nel “Volto Santo” di Ugo da Carpi

Sino al 29 agosto, nella Corte Medievale di Palazzo Madama

 

Un mattino del 1524, Giorgio Vasari racconta di essersi ritrovato a fianco di Michelangelo dinanzi all’altare del Volto Santo, all’interno della Basilica Vaticana, senza troppa convinzione forse e con un sorriso a levare gli occhi verso la tavola che là era posta, “La Veronica tra i santi Pietro e Paolo”. L’autore delle “Vite” fece notare al grande artista la scritta che l’autore aveva inserito in basso, tra i piedi di Paolo – a mo’ di firma, di principale professione e di grande pregio -, “per Ugo da Carpi intajatore fata senza penello”: probabilmente eliminando il bisbiglio e scandendo a voce chiara e udibile da chi gli stava vicino, se consideriamo il carattere sin troppo schietto e sfrontato che lo ha sempre accompagnato, Michelangelo, “ridendo anch’esso”, rispose: “Sarebbe meglio che avesse adoperato il pennello e l’avesse fatta di migliore maniera”.

Non certo un capolavoro, quello di Ugo, che Vasari in altra occasione non ci penserà due volte a stabilire come “mediocre pittore”. Ma anche a riconoscere come sia stato “nondimeno in altre fantasticherie d’acutissimo ingegno”. Fantasticherie? La capacità sua nel riprendere le grandi opere di Tiziano e di Raffaello e di Parmigianino e di mostrare la maestria dei passaggi tonali attraverso la xilografia (nel 1516 richiese di brevettare la tecnica) o tecnica del chiaroscuro, nella realizzazione di “carte con stampe di legno di tre tinte”. Spiegava ancora Vasari che “la prima faceva l’ombra, l’altra, che era una tinta di colore più dolce, faceva un mezzo, e la terza, graffiata, faceva la tinta del campo più chiara et i lumi della carta bianchi”. Eccellenza e sperimentazioni, più o meno ardue – non l’uso del pennello ma “con le dita” e “con suoi altri instrumenti capricciosi” -, che lo imposero tra gli artisti del tempo (era nato nella città emiliana nel 1470, poco più che trentenne era passato a Bologna e Venezia per spostarsi a Roma e restarvi, avendo trovato nelle opere di Raffaello nuova materia per la propria tecnica, certo sino al Sacco del 1527; morì probabilmente nel 1532).

Adesso, trasportativi alcuni degli “instrumenti capricciosi”, la pala d’altare è lì, nella Corte Medievale di Palazzo Madama, sotto gli occhi dello spettatore di cinquecento anni dopo (vi resterà sino al 29 agosto), grazie alla ben avviata collaborazione tra la Fondazione Torino Musei e la Fabbrica di San Pietro in Vaticano, che già un paio d’anni fa aveva visto l’occasione di Antoniazzo Romano, e alla cura di Pietro Zander: certo un’opera singolare nel suo genere, che esprime tutta l’importanza del proprio apporto tecnico, frutto di studi e di ricerche, una pittura che si potrebbe definire “sghemba”, inaspettata, fuori di ogni abituale itinerario pittorico, certo di maniera, eseguita, sottolinea il direttore di Palazzo Madama Carlo Federico Villa, all’interno del ricco catalogo edito da Sagep Editori di Genova, “con una tecnica solitamente riservata ai supporti cartacei e a formati non certo di cotali proporzioni”. Un’opera che si presume di qualche anno precedente il Giubileo del 1525, concepita per l’altare dove era venerata una delle più preziose reliquie vaticane, quella del “Volto Santo”, e che trova le proprie radici nei nomi del Parmigianino e di Albrecht Dürer; un’opera alloggiata nell’elegante progetto espositivo dovuto all’arch. Roberto Pulitani, centro pulsante di un percorso che si snoda attraverso i secoli dall’antica Basilica Costantiniana alla Fabbrica di San Pietro di oggi, la “Veronica” è altresì simbolicamente posta sotto l’affresco della Sacra Sindone (“Santa Sindone sostenuta dalla Vergine e dal beato Amedeo e san Maurizio”), in loco per volere di Cristina di Francia, la prima Madama Reale, a memoria della collocazione torinese, dal 1578, del Sacro Lino.

Ai lati della sala, a perfetto completamento della mostra, il ritratto di Ugo ad opera di Antonio Montanari detto il Postetta, proveniente da Carpi, e soprattutto alcuni esempi di xilografie a chiaroscuro, dal Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi fiorentini, come “Diogene” (1527 – 1530), da taluni definito il capolavoro dell’”intajatore” (“la più bella stampa che alcuna che mai facesse Ugo”, la celebrò il non più sorridente Vasari), e “Enea ed Anchise” (1518), ancora dagli Uffizi, un alternarsi di ombre e di luci tra le fiamme di Troia e i Penati in una mano e il piccolo Ascanio nell’altra da parte dell’eroe; dalla Galleria Sabauda di Torino “La Veronica che mostra il velo del Volto Santo tra gli apostoli Pietro e Paolo” (Venezia, 1612; la matrice originale è del 1510).

 

Elio Rabbione

 

Nelle immagini: Ugo da Carpi, “La Veronica tra i santi Pietro e Paolo”, 1524-1525. Carboncino, inchiostro, pigmenti a olio e dorature su tavola, Fabbrica di San Pietro in Vaticano, c. Fabbrica di San Pietro in Vaticano, Ph. M. Falcioni; Ugo da Carpi, “Diogene”, 1527-1530 circa, xilografia a chiaroscuro, Firenze, Gallerie degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe, c. Su concessione del Ministero della Cultura – Galleria degli Uffizi; Albrechr Dürer, “La Veronica che mostra il velo del Volto Santo tra gli Apostoli Pietro e Paolo” (dalla Passione di Nostro Signore Giesu Christo d’Alberto Durero di Norimberga, in Venezia, 1612, dalla matrice originale del 1510, appresso Daniele Bissuccio), xilografia, Torino, Galleria Sabauda, Musei Reali Torino, c. MiC – Musei Reali, Galleria Sabauda

La nuova collezione Bistolfi

DAL PIEMONTE / Casale Monferrato 

Nel lontano 1984 un’esposizione di gessi di Leonardo Bistolfi (nato a Casale Monferrato nel 1859 e deceduto a La Loggia nel 1933) , fortemente voluta dall’allora assessore alla cultura Guido Cattaneo anticipò alcuni grandi eventi culturali che interessarono Casale Monferrato negli anni successivi: la nascita della Gipsoteca che porta il suo nome, l’apertura del Museo Civico nel complesso di Langosco – Santa Croce nel 1995 e della Pinacoteca. Sabato, a quasi 38 anni di distanza, nel Salone Vitoli (un tempo sede della Corte d’Appello) si è tenuta la presentazione ufficiale della niova Collezione Bistolfi, donata al Comune di Casale Monferrato nel gennaio 2021 da Vanda Martelli, torinese, in memoria del marito Andrea Bistolfi, nipote di Leonardo, scultore e uno dei maggiori protagonisti della vita artistica e culturale, non solo piemontese ma italiana, a cavallo tra l’Ottocento ed il Novecento, insieme ad Angelo Morbelli e Giuseppe Pellizza da Volpedo. Il contenuto della donazione è stato trasportato a Casale Monferrato grazie al contributo della Fondazione Cassa di risparmio di Alessandria e della Fondazione Crt, sottoposto ad una serie di interventi conservativi, inserito all’interno di arredi museali appositamente acquistati e collocata nella Sala delle Lunette. Questa è diventata così un deposito visitabile ed aperta al pubblico, che sarà comunque sempre accompagnato. Complessivamente si tratta di una scultura in marmo, 20 in terra cotta e terra cruda, 263 in gesso, 9 in metallo, 21 plastiline, 52 dipinti, 22 medaglie in gesso e 38 in metallo, circa 600 disegni e grafica che costituiscono il vero piatto forte, 35 taccuini e poi ancora stoffe, onorificenze, mobili (la scrivania su cui scriveva di notte), articoli personali come il suo cavalletto, senza dimenticare un ingente dotazione archivistica, comprese dediche che gli di personaggi della levatura di Marinetti, D’Annunzio, Sibilla Aleramo. “Questo per noi è un punto di partenza, non un punto di arrivo” ha detto il sindaco di Casale Monferrato, Federico Riboldi, presente insieme al vice Emanuele Capra ed all’assessore alla cultura Gigliola Fracchia. L’obiettivo dell’amministrazione casalese è quello di portare le opere bistolfiane all’interno di quello che era il vecchio carcere di via Leardi, recentemente acquisito in proprietà dal Comune. La personalità artistica di Leonardo Bistolfi è stata poi approfondita da Aurora Scotti che ha delineato l’influenza che ebbero sulla sua formazione lo studio milanese a Brera, piuttosto che all’Accademia Albertina a Torino, l’esperienza della scapigliatura i collegamenti con il positivismo torinese. “Bistolfi era una mente fertile – ha detto – capace di dialogare con tutte le esperienze, autore di opere che sono un unicum nella produzione artistica italiana”. Sandra Berresford, curatrice dell’Archivio Bistolfi, era stata una delle autrici del catalogo sulla mostra del 1984. Oggi a tanti anni di distanza ha tenuto una relazione di approfondimento sulla sua figura, alternando alcuni aspetti legati all’arte ma soprattutto quelli maggiormente inediti dedicati all’Uomo, al figlio di un umile falegname diventato amico ed intimo della maggior parte del mondo culturale del suo tempo, conosciuto a livello internazionale, ad un amore per l’arte coltivato sin da giovanissimo (come dimostrano i disegni che faceva già a 13 anni), al genio instancabile che non staccava mai, all’artista che soffre e che lotta nella vita, per il quale l’arte  una missione.

A cooordinare i lavori è stata, conservatore del Museo civico di Casale Monferrato, mentre Gabriele De Giovanni ha illustrato il lavoro di mappatura digitale delle opere digitali dello scultore nel mondo. In tutto sono stati censiti 262 luoghi e 355 opere di cui 21 a Casale Monferrato, escluse quelle della Gipsoteca Bistolfi, 304 in Italia e 30 nel mondo, tra Europa, Giappone e Americhe.

Nei fine settimana successivi a quello dell’inaugurazione il Museo proporrà il sabato e la domenica quattro momenti giornalieri di visita alla collezione con i seguenti orari fissi: alle 11,00, alle 12,00, alle 16,00 e alle 17,00. La prenotazione, anche in questo caso, non sarà richiesta.

Durante i mesi di giugno e luglio, inoltre, il conservatore del Museo, Alessandra Montanera, terrà quattro momenti di approfondimento sulla Collezione. Le date in calendario sono: 23 e 30 giugno, 7 e 14 luglio. L’appuntamento per queste speciali occasioni è fissato alle ore 17,00 e non è necessaria la prenotazione.

Massimo Iaretti

“Barriera a cielo aperto 2022” Un’estate per tutti en plein air 

Cinema, musica, letteratura, workshop, performance, talk e concerti

Dal 15 giugno al 24 settembre

Nell’arco di quattro mesi60 appuntamenti in 5 diversi spazi in Barriera di Milano per un ricco palinsesto di eventi: da film acclamati, a concerti musicali dal vivo, a serate di approfondimento e divulgazione su problematiche globali e tutela ambientale, a performance teatrali site-specific, fino a sessioni di ascolto, workshop artistici, esposizioni temporanee, talk e concerti in radio con palco su strada. Questo è e questo generosamente propone la seconda edizione di “Barriera a cielo aperto”, frutto della condivisione progettuale di otto realtà partner, capofila l’“Associazione Museo Nazionale del Cinema”. Ad inaugurare il progetto sarà la programmazione cinematografica, ospitata presso il grande cortile interno dell’“Oratorio Michele Rua” per dare seguito al grande successo dell’“Arena Monterosa” (via Brandizzo, 55) attivata nel 2020 nell’ambito di “Torino Città del Cinema”; nello spirito fortemente inclusivo del progetto, il primo film in programma il 15 giugno alle ore 21.30, sarà  il documentario “Sul sentiero blu” di Gabriele Vacis che racconta di un grande viaggio compiuto da ragazze e ragazzi nello spettro autistico. La programmazione cinematografica ospiterà anche la serata finale di “Lavori in corto – gli occhiali di Gandhi”, concorso rivolto ad autori under35.

Tutti gli altri appuntamenti si tengono presso il “Community Hub” di Via Baltea 3, la “Casa del Quartiere Bagni Pubblici” di Via Agliè 9, il “Boschetto – Agrobarriera” (via Petrella, 29) e la new entry del “Centro Interculturale della Città di Torino” (corso Taranto 160). “Via Baltea” ospiterà la ricca programmazione “Radio Street Community di Banda Larga” con palco su strada e coinvolgimento attivo degli abitanti del quartiere. I “Bagni di Via Agliè” propongono una rassegna jazz nel cortile della “Casa del Quartiere”, spettacoli teatrali e ring culturali, mentre i venerdì dell’orto urbano del “Boschetto” uniscono la musica a serate dedicate alla divulgazione sui temi della sostenibilità e della cooperazione internazionale. Tra gli ospiti principali per quanto riguarda il cinema, all’ “Arena Monterosa” sarà presente il produttore Michele Fornasero che aprirà il ciclo di proiezioni il 15 giugno, con la direttrice del “Disability Film Festival” Carmen Riccato che il 17 giugno presenterà il film“Beautiful Minds” e Tommaso Caroni che proporrà il documentario “Ghiaccio” il 22 giugno in occasione della “Giornata Mondiale del rifugiato”, mentre Annalisa Lantermo, Direttrice dei “Job Film Days”, presenterà “Un altro mondo”, l’ultima pellicola firmata da Stéphane Brizé in programma il 15 luglio. Presso i “Bagni Pubblici” di Via Agliè saranno protagonisti i linguaggi del teatro, della fotografia e della musica e il 24 giugno, in occasione della festività di San Giovanni, i “Bagni” ospiteranno un ricco programma multiculturale che unirà tradizioni, musiche, piatti e costumi tipici di diverse nazionalità presenti sul territorio di Barriera di Milano.

“Siamo molto orgogliosi di poter realizzare per il secondo anno un progetto così ampio e articolato – dichiarano i coordinatori del progetto Valentina Noya e Vittorio Sclaverani dell’ ‘AMNC’ – in un quartiere dove torniamo a portare il cinema come in altre periferie della città, ma non solo. Dopo la fortunata esperienza del 2021 è stato possibile migliorare la collaborazione tra tutti i partner del progetto. Quest’anno la rete di ‘Barriera a Cielo Aperto’ vede l’ingresso della ‘Jazz School Torino’ e del ‘Centro Interculturale della Città di Torino’, uno degli spazi più vivaci del nostro territorio insieme al coinvolgimento di tante altre realtà che arricchiranno l’estate torinese. Riteniamo lungimirante, in un periodo ancora molto complesso per la cultura, la decisione della ‘Città di Torino’ e della ‘Fondazione per la Cultura Torino’ di voler sostenere un percorso biennale per le attività estive, condizione che ci aiuterà a pianificare in forma sostenibile l’edizione 2023 di ‘Barriera a Cielo Aperto’”.

Per info e programma dettagliato: “Arena Monterosa” www.teatromonterosa.it; “Via Baltea – Laboratori di Barriera” www.viabaltea.it; “Bagni Pubblici di via Aglié Casa di Quartiere” www.bagnipubblici.wordpress.com; “AgroBarriera. Orto Urbano del Boschetto www.reteong.org; “Centro Interculturale della Città di Torino” www.interculturatorino.it

g.m.

Alla GAM di Torino, “Pubic Program” per la mostra “Una collezione senza confini”. Si inizia con l’artista tessile, Noemi Di Nucci

“Incroci = I I = Crossroads”

Sabato 18 giugno, ore 15,30

Incroci di mestieri. Incroci di azioni/visioni artistiche e di tecniche compositive che possono interagire, con suggestivi sorprendenti risultati, fra di loro. Parte da quest’idea, l’organizzazione, da parte della GAM di Torino, di un ciclo di incontri legato alla mostra “Una collezione senza confini. Arte contemporanea Internazionale dal 1990”, dedicato “all’inclusione sociale e al coinvolgimento di nuovi pubblici”, per dirla con gli organizzatori del progetto, Antonella AngeloroArianna Bona con Roberta Lo Grasso, il “Dipartimento Educazione GAM” e Angela Benotto – “Ufficio Relazioni Internazionale” di “Fondazione Torino Musei”.  Incroci” nasce nell’ambito del programma “La democratizzazione della cultura” ideato e promosso dalla “Phillips Collection di Washington DC” e dalla “Missione Diplomatica degli Stati Uniti in Italia”, iniziato lo scorso maggio con due giornate che hanno visto protagonista l’artista londinese Marcos Lutyens. A seguire, il progetto prevede ora un focus sulle opere di quattro artisti: William Kentridge, Marina Abramović, Antony GormleyChen Zhen scelte tra le 57 esposte in mostra. Obiettivo: “permettere a culture e idee differenti di incontrarsi”. Tutti gli appuntamenti prevedono una presentazione dell’opera da parte del curatore della mostra, un approfondimento a cura dello specialista di altra disciplina e un’ attività pratica. I temi includono il disegno e l’intessitura, la cristalloterapia, la meditazione, la pratica yoga e l’uso delle erbe per la cura del corpo.

Il primo incontro è in programma per il prossimo sabato 18 giugnoalle 15,30. Durata due ore. Il tema: “Trama e ordito. Le possibilità della tessitura: dall’arazzo al tappeto”. A disquisirne, sarà l’artista tessile torinese Noemi Di Nucci in dialogo con l’opera del sudafricano di Johannesburg, William Kentridge (noto per i suoi disegni, incisioni e soprattutto per i suoi film di animazione creati da disegni a carboncino) “Moscow: the Nose Series City of Moscow” del 2009. L’incontro con la Di Nucci (textile artist designer), incentrato sull’opera di Kentridge, realizzata in collaborazione con Marguerite Sthepens che, assieme alle sue collaboratrici, ha prodotto gli arazzi in lana di moher tessuta a mano, nell’atelier sudafricano “The Stephens Tapestry Studio” di Johannesburg è volto a comprendere il processo di traduzione che avviene nel passaggio dai disegni all’intessitura. In proposito racconta la Sthepens: “Kentridge consegna un disegno composto da forme di carta nera incollate su una superficie di carta o cartone completata da spilli, scotch e altri materiali. Ci disegna sopra e ogni singolo segno che ha fatto, noi lo reinterpretiamo così che possa essere intessuto”. Durante l’incontro ci si concentrerà sul dinamismo del segno e sul senso del bianco e nero, di pieni e vuoti, leggendo il processo che dalla scelta cromatica porta alla tessitura vera e propria. Noemi di Nucci porterà alcuni esempi di arte tessile: un arazzo del ‘700uno realizzato con tecnica tradizionale ma di gusto contemporaneo e un tappeto “Hand tufting” o “taftato a mano” (fatto da una punzonatura di fili di lana in una tela fissa su un telaio), permettendo ai partecipanti di scoprire le tecniche, cimentarsi nella pratica – dal disegno all’intessitura – e conoscere le nuove tecnologie che trasformano tempi e modi di lavorazione.

La partecipazione all’incontro è al costo di 15 euro, comprensivi della visita al museo.

Posti limitati: prenotazione obbligatoria infogamdidattica@fondazionetorinomusei.it

Per info calendario prossimi appuntamenti: GAM-Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, via Magenta 31, Torino; tel. 011/4429518 o www.gamtorino.it

g.m.

Nelle foto:

–       Noemi Di Nucci

–       William Kentridge: “Moscow: the Nose Series City of Moscow”, 2009

Open house Torino: siamo stati nelle case più belle della città

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Quello appena passato è stato per Torino un weekend all’insegna della scoperta delle più belle case , ville oltre che di luoghi abitualmente non accessibili al pubblico, grazie ai tour organizzati dal team di Open HouseArrivato alla quinta edizione, l’evento vuole avvicinare il pubblico al grande patrimonio architettonico della città alla riflessione sul ruolo dei luoghi in cui viviamo, mostrandone la loro unicità. Con più di 100 siti aperti in città, Open House si riconferma, così, una delle iniziative urbane più in voga dell’anno, raggiungendo– presumibilmente- le 60.000 visite già sfiorate nel 2019.

Moltissimi gli stili e gusti delle abitazioni visitabili, passando dal liberty di Casa Crescent alla bioarchitettura ecosostenibile di 25 Verde. I siti accessibili sono stati distribuiti in tutta la rete urbana, toccando anche alcuni paesi limitrofi alla città. Interessante anche la valorizzazione dquartieri meno noti, come borgata Mirafiori, nascosta fra i palazzi della periferia sud, Barriera di Milano.

Il nostro tour, invece, è andato alla scoperta di alcuni appartamenti siti nella parta centrale della città, in particolare in zona Crocetta, San Salverio e centro.

Via Cassini, 34- Palazzo Cassini- Garrone Architetti

Nel cuore del quartiere residenziale Crocetta, proprio dietro la storica chiesa dai mattoni rossi, sorge Palazzo Cassini, esempio di “retrofitting” urbano. La simmetrica facciata esterna ha subito un profondo rinnovamento nel 2019 grazie all’utilizzo dell’ innovativo acciaio corten, in grado di autoproteggersi dalla corrosione elettrochimica. La visita allo stabile comprende la visione dell’appartamento al quinto piano e dello studio professionale al primo piano, dove lavorano le due giovani architette Garrone. Colpisce subito la linearità degli interni, la cura del dettaglio ed il sapiente uso degli spazi che rendono questo complesso modernissimo ma, al contempo, accogliente. Lo studio Garrone è insonorizzato dai rumori della strada grazie al sistema di piante visibili anche dall’estero, in grado di trasformarlo in un ambiente insonorizzato e di gran classe. La vera particolarità dello studio è il suo spettacolare giardino interno: un angolo di paradiso in piena città. Questa zona, oltre ad accogliere i clienti, è diventato un luogo di incontro per Vernissage ed eventi culturali. Le proprietarie, infatti, hanno un particolare attenzione all’arte come dimostrano gli ambienti interni, che ospitano quadri e opere d’arte.

Via Saluzzo, 49 (interno cortile)– La casa tra gli alberi- Studioata

Un bosco nel bel mezzo del quartiere San Salvario: questa è la perfetta descrizione della Casa tra gli alberi, un’abitazione sorprendente nascosta in un cortile interno del multietnico quartiere di San Salvario. Interamente realizzata da Studioata, l’edificio ha vinto nel 2013 il premio “Architetture rivelate” per la capacità, da parte dei progettisti, di effettuare un intervento trasformativo esemplare di un basso fabbricato artigianale in un uso abitativo. Colpiscono le idee progettuali, l’attenzione alla luminosità degli interni e la vivibilità degli spazi. Notevole anche l’idea dell’inserimento dello spazio verde interno all’abitazione, che riprende il concetto di giardino zen e crea un ambiente rilassante e in linea con lo stile dell’intera struttura.

Via Mazzini, 50– Loft M50- Zona Centro- Paola Maré

Un ex carrozzeria trasformato in un loft avveniristico ricco di luce grazie alle cosiddette “capannine” ad andamento a sega in grado di illuminare intensamente l’intera abitazione. L’appartamento è caratterizzato da un design minimal dove prevalgono i toni bianchi e neri. Il soppalco ospita due stanze da letto dalle quali è visibile l’intero loft. Fra le caratteristiche più singolari vi è il piccolo cortile interno, ricavato eliminando una porzione del tetto, che crea luminosità e amplia l’interno dell’ ambiente.

Via Mazzini, 40- Creative Shop- Zona Centro

Il nostro tour si conclude con la visita al collettivo creativo 515 in Via Mazzini 40. Lo spazio espositivo, nato con l’intento di divenire un luogo di coworking per professionisti di vari settori, è ampio e ben illuminato grazie alle larghe vetrate. Lo stesso mescola al suo interno stili e gusti differenti. Questo luogo, che prima ospitavano una fabbrica di flipper e poi di una galleria d’arte, guarda ad un interno cortile alberato. A dominare l’intero spazio è una rampa da skateboard interamente in legno, oltre che una libreria circolare dello stesso materiale. Le stanze ospitano varie postazioni dove poter lavorare e rilassarsi, in un ambiente che stimola la creatività e aiuta l’incontro tra diverse professionalità.

Valeria Rombolà

Maurizio Briatta. La luce dentro casa illumina il mondo

Quando gli “interni” diventano racconto di vita e scrigni di poetica intimità

Da sabato 18 a venerdì 24 giugno

Appoggiato a terra, il ritratto fotografico di un volto femminile. Delicato, sguardo intrigante. Di chi osserva per capire. Non solo per vedere. Definito nella perfetta linearità dell’immagine, in un gioco di ombre e luci che rendono appieno la magia di un racconto che invita a superare il reale per leggere “oltre”, per porre e porci domande, quelle che abitano un presente o un passato su cui ancora non si sono definitivamente chiusi i conti. Altrove un vaso di tulipani, un convulso ma armonico intreccio di rossi, gialli e verdi riflessi nella cornice di un quadro, anch’esso (pare) messo lì in un angolo a terra. Presenza provvisoria, in attesa forse d’altra collocazione. E anche qui è la formidabile intensità del chiaroscuro a plasmare le cose. La vita in un interno. La vita in più interni. In via Palmieri, a Torino. O in quel di Mondrone. Un’agenda a tema natalizio. Arredi, filo e pulsante di una lampada riflessi sul  legno di una porta, specchio di misteriose immagini. Particolari fermati all’istante. Prima di capirne il senso. Che pure hanno. In quanto oggetti che custodiscono la memoria del tempo. Mi piace leggere così la piccola mostra fotografica “La luce dentro casa illumina il mondo” con cui si ripresenta, dopo l’assenza di alcuni anni dalla scena artistica subalpina, il torinese Maurizio Briatta. Sono quindici le immagini a colori che Briatta (alle spalle numerose mostre in Italia e all’estero) presenta, da sabato 18 a venerdì 24 giugno, presso gli spazi “Eikon_Museo della Fotografia” in piazza Statuto 13 a Torino. Curata da Tiziana Bonomo, anima e mente di “ArtPhoto”, la rassegna permette di riprendere le fila (in uno spazio amico qual è per l’artista quello di Gianni Oliva) di un discorso artistico che s’è mantenuto nel tempo nella ricerca di un linguaggio estremamente singolare fondato essenzialmente sul tema della “creatività nel colore”. E, a tal proposito, di lui scriveva giustamente Antonella Russo, storica della fotografia: “Elemento centrale della fotografia di Maurizio Briatta è l’uso del colore che è insieme forma e testo principale di ogni suo lavoro. In tal senso le sue non sono fotografie colorate a posteriori, ma al contrario immagini dove il colore è carne e materia viva di ogni stampa fotografica”. Colore e luce. Luci e ombre, per una poesia dalle semplici, ma non banali, connotazioni. Poesia del quotidiano. Così profonda da “ illuminare il mondo”. E la vita. Come sentiero fatto di salite e discese, di cadute e riprese dell’anima. Senza complicati intrecci emozionali, con quella “leggerezza  – scrive Tiziana Bonomo – che lo accomuna ai grandi fotografi italiani, ma con una contemporaneità artistica che lo differenzia da fotografi come Ghirri o Cresci. Briatta accetta infatti le provocazioni artistiche del nostro mondo senza alcuna retorica, costruendo una rima affatto diversa”. Tutta sua. Inconfondibile. Per quei decisi tagli di luce – colore – ombra capaci di sfidare (ben certi di spuntarla) la più banale realtà delle cose.

Gianni Milani

“Maurizio Briatta. La luce dentro casa illumina il mondo”

“Eikon_Museo della Fotografia”, piazza Statuto 13, Torino; tel. 348/8605090 o gianniolivafoto@gmail.com

Da sabato 18 a venerdì 24 giugno. Dal 25 giugno, su appuntamento

Orari: dalle 15 alle 19

Nelle foto:

–       “Interni via Palmieri 54”/1

–       “Interni via Palmieri 54”/2

–       “Interni via Palmieri 54”/5

–       “Interni Mondrone”/3