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Chi è Brigitte Sardo, General Manager di Sargomma

Rubrica a cura di ScattoTorino 

Determinata e open mind, madre, moglie e Direttore Generale dell’azienda di famiglia, Brigitte Sardo riveste, con un forte impegno personale, un ruolo che la vede interagire con i principali players del settore automobilistico italiano e internazionale. Concentrata sul proprio business, ma anche sensibile nei confronti dell’attività imprenditoriale in genere e delle donne in particolare, Brigitte Sardo è al secondo mandato come presidente Apid e guida le titolari delle piccole e medie imprese del torinese nella promozione e nello sviluppo delle competenze femminili in vari ambiti professionali.

Curiosa e infaticabile, nutre una profonda passione per il cinema e, con la figlia Carolina, nel 2014 ha fondato la Gran Torino Production, una società cinematografica che ha coprodotto vari film. In questo momento Brigitte Sardo sta traghettando l’azienda Sargomma verso una nuova visione di realtà industriale che cresce e si svilupperà sul territorio piemontese, a fronte di un grosso sforzo imprenditoriale, economico e manageriale; Brigitte inoltre crede fortemente nel valore di fare cultura di impresa e nella forza dei giovani, sostenendo molti progetti innovativi e di welfare aziendale.

Dal 1981 Sargomma è protagonista del mercato. Ripercorriamo la storia?

Nell’home page del sito di Sargomma si legge: “Siamo di gomma: resistenti e tutti d’un pezzo, ma anche flessibili, con una naturale vocazione al cambiamento”. Un claim che è anche uno stile di vita della famiglia Sardo e del padre Giuseppe, fondatore dell’azienda Sargomma nata a Torino nel 1981, con un credo che resta lo stesso nel tempo, ovvero trovare nuove soluzioni tramite prodotti di qualità e realizzare soluzioni sempre più innovative ed efficienti. Mio padre collaborava con le maggiori carrozzerie torinesi, lavorava con gli ingegneri costruttori e forniva soluzioni di componenti per gli interni delle auto più note, per macchine per il movimento terra e macchinari agricoli. Insieme con gli uffici tecnici dei suoi clienti, a un certo punto intravide la possibilità di inserire nelle innovative cabine chiuse delle macchine agricole tutti gli elementi di confort di cui è dotata un’automobile. I componenti Sargomma, montati su questi nuovi macchinari, gli garantirono un successo immediato. Oggi i 15 milioni di prodotti venduti all’anno a 150 clienti nel mondo, per lo più grandi aziende, sono destinati a mezzi di trasporto molto diversi: dalle utilitarie alle berline di lusso, dalle macchine agricole agli yacht. A fronte di questo con grande forza e impegno professionale ho messo in moto un programma di investimenti in organizzazione e tecnologia. Per il 2019, grazie agli incentivi messi a disposizione dal programma di governo industry 4.0, abbiamo avviato un’operazione di insourcing, con l’acquisto di nuovi macchinari e l’ampliamento dell’area industriale. Stiamo importando le lavorazioni di fustellatura e del taglio ad acqua. Con più garanzie per noi: saremo più competitivi, i clienti avranno un miglior servizio e ci sarà lavoro per tutti. Questo ha creato nel tempo un valore aziendale che resta alla base della storia di Sargomma. Una regola che ha contribuito e contribuisce, in modo più che sostanziale alla crescita dell’azienda, unita ad un’altra, dettata dal fondatore: il rapporto diretto con i clienti in tutto il mondo. Perché una squadra di professionisti è prima di tutto una squadra di persone”.

Brigitte Sardo

Re-generation: una parola chiave del vostro organigramma?

“Se con la parola re-generation intendiamo l’accezione di un ‘impresa che rigenera, che recupera forza e vigore, tramite le nuove generazioni, che di volta in volta nutrono e si nutrono in azienda in modo innovativo, allora sì. Nella Sargomma di oggi il nostro organigramma corrisponde all’idea di Re-generation, senza però escludere la crescita personale ed aziendale che si può compiere solo nel tempo. Abbiamo una struttura dove ogni settore si adatta perfettamente in età, competenze e conoscenze, al bisogno e al compito aziendale che gli compete. La Sargomma di domani, che stiamo già “costruendo”, ovvero una realtà in itinere, seguirà questa linea di innovazione e rispetto di tutti i collaboratori e dipendenti, inserendo nuove figure e nuovi progetti con un’attenzione naturale verso i giovani”.

Andare avanti è nel vostro DNA: quali sono i prossimi step?

“Sargomma sta cambiando e si sta avviando verso un processo davvero innovativo, naturalmente la gomma rimane il nostro prodotto, ma l’uso che ne faremo spazierà in diversi territori, dal design, all’ecosostenibilità, all’arte e grazie al nuovo ufficio di ricerca e prodotto saremo sempre più competitivi verso le nuove esigenze del mercato. In un mercato che cambia rapidamente bisogna essere flessibili e innovativi e la nuova Sargomma lo sarà ancora di più. A questo si aggiunga che il progetto di riqualificazione dell’ex area Pininfarina, sarà una svolta multi-funzionale in seno alla nuova Sargomma. Si inseriranno di fatto nuovi stakeholders e collaboratori. L’area prevede un progetto di riqualificazione ampio, l’occasione di creare una nuova realtà aziendale, che è stata proprio in questo periodo materiale di studio degli studenti dello IAAD, con ottimi risultati, oltre ad essere motore di vari progetti di innovazione e welfare, che si sta già attuando nella sede di partenza e che sarà davvero una modalità pilota per Torino di vivere lo spazio aziendale. Giardini sopra i tetti, arte, cucina, spazi destress… insomma sembrerà di non lavorare, ma di cercare nuove opportunità di vita e per la vita. Sargomma cresce ed è sempre cresciuta nel tempo con un’attenzione particolare non solo al prodotto, al mercato e ai clienti; il nuovo scenario post Covid è senza dubbio complesso, da qui l’attenzione alla comunicazione e al marketing, una sfida che i miei collaboratori e dipendenti stanno affrontando insieme e io con loro. Sargomma cresce con radici sane, nuovi frutti e promettenti fronde ampie e ristoratrici, come l’albero, rigorosamente della gomma, che sarà il simbolo della nostra nuova sede con un’attenzione forte all’ecosostenibilità”.

Qual è la mission di Apid – Imprenditorialità Donna?

“Fin dalla sua fondazione nel 1989, l’obiettivo di Apid è quello di portare avanti le istanze delle imprenditrici di Torino e provincia; per fare questo è necessaria una rappresentanza che si muova dal livello territoriale a quello internazionale, con una presenza attiva in sede europea. Questo è possibile attraverso le azioni di networking e lobbying che APID ed il suo consiglio conducono quotidianamente”.

Come Presidente di Apid Torino, a quali temi si dedica maggiormente?

“Cerco di fare la mia parte oltre che come imprenditrice, anche come presidente al secondo mandato di Apid, costola dell’Api sul versante femminile; Apid riunisce 380 iscritte ed è inserita, tra l’altro, all’interno della Cabina di regia dell’Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali). Sono subentrata a una grandissima donna, Giovanna Boschis Politano, dopo 16 anni di mandato. Apid è un mondo completamente diverso da quello industriale, una sfida continua. L’associazione aiuta molto le piccole e medie imprese, mi confronto con chi capisce le esigenze delle imprenditrici, e la sezione di Torino ha il maggior numero di aziende e di dipendenti a livello nazionale. Apid lavora su progetti europei, ricordiamo il bando vinto sui business angels, della durata di due anni, per aiutare le start up al femminile. Anche con il Club degli investitori, di cui faccio parte, mi adopero per trovare finanziamenti. È ora di restituire quello che per la mia tenacia e fortuna sono riuscita a ottenere, è fondamentale trasmettere il valore della responsabilità sociale di impresa. Il social impact che può essere prodotto e diffuso dalla buona pratica aziendale, può portare il nostro territorio ad un livello superiore, in cui trasparenza e responsabilità vanno di pari passo. Già prima dell’emergenza Covid-19 erano diverse le iniziative rivolte in tal senso, ad oggi non possono che essere incrementate. Apid dovrebbe essere sostenuta anche economicamente dalle istituzioni, riconoscendogli però quella libertà di pensiero che aiuta a sostenere le donne imprenditrici in quanto persone che fanno la differenza nel tessuto sociale ed economico piemontese”.

APID Brigitte Sardo

Fare rete tra donne fa la differenza?

“Assolutamente sì. Quella tra le imprenditrici è una rete di portatrici di interessi comuni che, senza un’azione coesa, rischia di disperdere possibilità ed opportunità di crescita che spesso vanno oltre le esigenze aziendali. Fare rete è una necessità strutturale del presente e un irrinunciabile passaggio per il futuro. Le donne conoscono da sempre il significato del ‘fare rete’. Il senso di condivisione e comunità è innato. La rete aiuta a comunicare contenuti di vario tipo, prodotti, ma anche idee nuove da realizzare, progetti comuni da condividere, ci permette di spaziare in varie realtà e di sentirci ‘sostenuti’ nelle differenze e nella nuova complessità. Fare rete è vitale e il femminile conosce bene l’esigenza dello scambio e del sostegno. La rete porta verso una nuova collettività, più smart e più dinamica, scambiando competenze e conoscenze, la formazione diventa ‘liquida’. Quindi fare rete vuol dire anche avere un gruppo di persone con cui puoi confrontarti, alla pari, potendo mostrare i tuoi dubbi e aumentando la tua professionalità”.

In cosa consiste il progetto SAFE?

Il progetto chiamato A Safe & Normal Day è il primo crowfunding in Italia rivolto alle Piccole e medie imprese che premia la responsabilità sociale d’impresa e diffonde la buona pratica di contrasto alla violenza di genere ed alle discriminazioni nelle scuole secondarie di primo grado. Il progetto verterà su quattro regioni italiane e coinvolgerà 100 studenti nella realizzazione di quattro docu-film, uno per ogni istituto coinvolto, che porteranno alla sensibilizzazione sul tema facendo leva sull’educazione dei più giovani. È una grande opportunità per le imprese di dare il loro contributo al cambiamento e all’abbattimento degli stereotipi di genere. A tal proposito l’agenzia Fund for SAFE, ha creato un sistema di premialità per le aziende che effettueranno una donazione al sito “Produzioni dal Basso”, come deducibilità per le imprese, opportunità di visibilità per merito sociale, seminari in azienda sulla gestione dei conflitti basati sulle differenze di genere ed una valutazione in azienda per ricevere il bollino “AZIENDA SAFE” per certificare la neutralità dell’ambiente di lavoro ai temi di genere. Sono già tantissime le PMI che hanno donato per A Safe & Normal Day, ma è necessario l’aiuto di tutti per raggiungere l’obiettivo e apportare un cambiamento positivo e tangibile nella società con un progetto unico nel suo genere”.

Torino per lei è?

“Rispondo con una serie di parole; opportunità, bellezza, imprenditorialità, compostezza accoglienza, creatività, consapevolezza. Torino è un cuore che pulsa, antico, radicato, forte della sua storia, spesso in bilico. Torino è provata, ma sempre pronta a rialzarsi con dignità e inventiva. È una delle più belle città europee, sono molte le testimonianze in questo senso, continuiamo ad amarla, rispettarla e farla vivere… Torino è davvero la Mia Città”.

Un ricordo legato alla città?

Torino è piena di ricordi, è la città che amo, che porto con me ogni volta che viaggio nel mondo, ogni angolo è un pensiero, un respiro, qui sono nati i miei figli, qui è nata la Sargomma, qui sono arrivati i riconoscimenti al mio impegno, qui è nato il mio amore per il cinema. I ricordi sono tanti non sempre luminosi, ci sono stati giorni bigi, ma a volte basta camminare per le sue vie piene di scorci belli, luminosi, incantati e severi al contempo, per riconciliarsi con la vita. Ricordo passeggiate, discussioni, sorrisi e risate, che sono risuonate per le sue vie. Non un solo ricordo, ma tanti e tutti insieme sono una parte importante della mia vita, così come lo è la mia città”.

Coordinamento: Carole Allamandi
Intervista: Barbara Odetto
Ph: Silvano Pupella

Troppa leggerezza nell’assegnare il reddito di cittadinanza

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni / Pietro Maso che nel 1991 uccise in modo barbaro a sprangate entrambi i genitori in concorso di tre amici, e’ riapparso alle cronache come detentore del reddito di cittadinanza. Il suo fu delitto orribile commesso allo scopo di fruire dell’eredità dei genitori. Venne condannato a 30 anni di carcere con il riconoscimento della seminfermità mentale al compimento del fatto,una formula ambigua, quasi una scappatoia da azzeccagarbugli di alto livello. Scontò 22 anni da detenuto e venne rimesso in libertà nel 2013 

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Dal 2016 venne  ricoverato in clinica psichiatrica .Venne anche  accusato anche di estorsione nei confronti delle sorelle che vennero messe sotto scorta. Nel frattempo, dopo essersi sposato, si separò.
Nel 2019 ottenne il reddito di cittadinanza, malgrado la sentenza contemplasse il divieto di poter fruire di erogazioni, data l’interdizione  perpetua dai pubblici uffici, di stipendi o assegni a carico dello Stato o di enti pubblici. Lo scorso anno si era parlato di una ex terrorista figlia di un magistrato ed ex parlamentare del pds che fruiva del reddito di cittadinanza e la cosa creò scandalo. Oggi il reddito di cittadinanza a Maso ha provocato  altra indignazione. Il delitto premeditato commesso è davvero grave, anche se la condanna che non comportò l’ergastolo, poteva apparire in qualche modo non rapportata al reato commesso. Va detto che Maso ha scontato almeno 22 anni di pena,cosa che molti terroristi, dissociandosi, non hanno scontato. Certo, appare scandalosa la leggerezza con cui venne concesso il reddito di cittadinanza  senza rispettare le norme di legge. E balza anche fuori il fatto che il reddito e ‘ un sussidio certamente non finalizzato, almeno in questo caso, alla ricerca di un lavoro.E forse in tantissimi altri casi e’ mero assistenzialismo. E’ giusto il reinserimento nella società del condannato al carcere. Io esaminai nel carcere delle Vallette uno studente condannato a decine di anni di carcere per mafia che desiderava laurearsi in Scienze Politiche. E’ giusto che vengano offerte opportunità di reinserimento, ma il reddito di cittadinanza a Maso lascia molto perplessi.  Ma forse è proprio il reddito di per sè che rivela dei limiti molto evidenti. Il caso di Pietro Maso lo dimostra in maniera quasi lapalissiana.
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(foto Corriere Veneto)

Sgarbi, Bocelli, Salvini e la responsabilità

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni / Sta serpeggiando nel Paese l’idea che il Covid sia ormai alle nostre  spalle e si possa riprendere una vita normale. Le dichiarazioni in un sala del Senato della Repubblica di Sgarbi e Bocelli hanno dato fiato  a queste interpretazioni ottimistiche, prive di fondamento scientifico.

Chi scrive ha denunciato i pericoli per la libertà dei cittadini insiti nei DPCM emanati negli scorsi mesi e ha anche di recente sollevato dei dubbi di  costituzionalità sul rinnovo dello stato di emergenza fino a metà ottobre. In ogni caso un voto del Parlamento ha “sanato“ la situazione e solo un intervento (del tutto improbabile) del Presidente della Repubblica potrebbe riaprire la questione.
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Se sia stato utile  o sbagliato continuare l’emergenza lo vedremo nei prossimi mesi. Ma non ci sembra neppure tollerabile ciò che afferma Sgarbi che minimizza l’entità della pandemia, senza averne titolo. Altrettanto discutibile ci sembra la posizione di Bocelli che ha sentito come una privazione illegittima della libertà il lockdown. Certo non è stato piacevole per nessuno, ma credo che sia una verità incontrovertibile la sua utilità. Non è bastato a salvare migliaia di vite, ma è servito a contenere la pandemia. Ridicolizzare queste cautele a cui si sono assoggettati milioni di Italiani ci sembra sbagliato e Bocelli non può dimenticare di aver cantato nel Duomo di Milano in ricordo delle vittime del Codiv. Sgarbi nella sua incontenibile intelligenza è purtroppo sempre esagerato, ma Bocelli è apparso aver steccato proprio perché appare una persona contenuta. Purtroppo non possiamo pensare ad un’estate senza limiti. Andare ad una cena può rappresentare un pericolo perché non tutti i ristoranti hanno personale che usa le mascherine e i guanti e soprattutto garantisce le distanze di sicurezza. I controlli al riguardo sono troppo blandi. Gli stessi ristoratori non garantiscono in modo formale con certificazioni ufficiali il rispetto delle norme, cosa che potrebbe indurre molti avventori a tornare come clienti,superando le esitazioni. Sottovalutare un nemico sconosciuto come il Covid 19 e’ un atto di irresponsabilità personale e sociale. Prendere sotto gamba la pandemia come ha fatto a Trump a suo tempo si è rivelato esiziale. Chi contribuisce a formare l’opinione pubblica deve essere prudente e non lasciarsi andare agli allarmismi ingiustificati ,ma neppure alle minimizzazioni infondate. A minimizzare ci pensano già i tanti irresponsabili che non usano le mascherine nei luoghi chiusi e non mantengono le distanze di sicurezza. A settembre ci troveremo davanti ad  uno scoglio molto cospicuo: la riapertura in sicurezza   delle scuole. Le persone di cultura, gli intellettuali dovrebbero pensare a questi problemi, invece di indurre alla leggerezza. Compito degli uomini di cultura è quello di vedere le cose con “misura, circospezione,ponderatezza“, diceva Norberto Bobbio tanti anni fa. Anche in questo caso il suo magistero resta più che mai valido. Non a caso le esibizioni e le dichiarazioni di Salvini non hanno nessuna credibilità anche se anch’esse contribuiscono a creare confusione perché anche lui è un uomo pubblico come leader politico e come senatore della Repubblica. Spicca invece per pertinenza ed autorevolezza il richiamo della seconda carica dello Stato, la Presidente del Senato Elisabetta Alberti Casellati, al Governo che ha emarginato il Parlamento per troppi mesi. Era già stata la Casellati ad affermare la necessità di un voto parlamentare sul rinnovo dello Stato di emergenza. Con la sobrietà che le e’ solita, ieri ha evidenziato un’anomalia costituzionale per mesi che anche la prima carica dello Stato forse avrebbe dovuto evidenziare.
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Stato di emergenza. Il diritto oscuro e incerto nella babele italiana

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni / L’estensione dello stato di emergenza fino al 15 ottobre (e non al 31 dicembre, come inizialmente  aveva annunciato il presidente del  Consiglio) e’ stata annunciata dal presidente Conte con una dotta lezione di diritto  nel suo intervento al Senato della Repubblica dove più volte la Presidente  Casellati aveva invitato il Presidente del Consiglio a sottoporre al voto parlamentare lo stato di emergenza, non previsto dalla Costituzione se non in stato di guerra, come recita l’articolo ’78 che vincola comunque i “provvedimenti necessari“, senza mai parlare di Stato di emergenza, al voto parlamentare.

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Conte ha esplicitamente detto che non era di per sé necessario ed obbligato  un voto in Parlamento ed ha aggiunto che il dibattito in Senato doveva essere circoscritto agli elementi tecnici e giuridici del provvedimento del rinnovo dello stato di emergenza , senza sconfinare in temi politici, quasi fosse possibile non considerare il fattore politico che in ogni atto del Governo è di essenziale evidenza ed importanza. Un atto di arroganza quello di Conte di considerare il voto del Parlamento quasi superfluo e di vincolare il dibattito parlamentare  a suo  piacimento.
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In effetti Conte si è rivelato il più preparato in materia e il dibattito parlamentare – se si eccettua l’intervento della sen. Bernini e della sen. Pinotti –  è stato inadeguato in quanto ha ripreso le polemiche più stantie senza obiezioni vere  al discorso del Presidente Conte. Un senatore 5 stelle ha  persino divagato in esilaranti argomentazioni storiche che nulla c’entravano con la discussione in atto, una ennesima  prova  dello scadimento di una classe parlamentare davvero inadeguata. Sarebbe stato interessante ascoltare la sen. Bonino che non si è espressa su un tema che tocca le libertà costituzionali, tema molto caro ai radicali delle origini. E’ stato un dibattito tutto politico che non ha smontato la tesi del presidente del Consiglio che venne confutata  dal presidente emerito della Corte Costituzionale Sabino Cassese, uomo delle istituzioni molto cauto che è spinto a vedere nel prolungamento dello stato di emergenza un vulnus alla Costituzione.
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Non si è capito bene se siamo o non siamo in emergenza perché lo stato di emergenza dovrebbe essere dichiarato non preventivamente, ma in presenza appunto dello stato di emergenza effettiva. Dire, come afferma il ministro Speranza, che siamo fuori dalla tempesta, ma non siamo in un porto sicuro equivale ad affermare un’ambiguità di fondo che non significa nulla. Al di là del virus, ci troviamo in ogni caso  di fronte a due emergenze che il governo sottovaluta: gli sbarchi e le fughe di migranti contagiati e non e l’emergenza delle scadenze fiscali di chi non ha potuto lavorare ed è costretto a pagare egualmente le tasse e bollette. Sono emergenze gravi che non vengono considerate. Addirittura Zingaretti invita il governo ad approntare nuove accoglienze di migranti, secondo un modo di vedere le cose che appare davvero incredibilmente fuori da ogni senso della responsabilità, non fosse altro almeno sanitaria.
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Il voto finale ha confermato la maggioranza che regge il governo con un altro 5 stelle che si è dissociato. Appare davvero un Paese incredibile un’Italia che prolunga l’emergenza -unico tra i paesi europei-  e che così distrugge in modo definitivo la sua immagine turistica. Per altri versi appare ridicolo, se non fosse drammatico, prolungare l’emergenza per poter riaprire le scuole a settembre.
In ogni caso, andrebbe ricordato che la via maestra indicata dalla Costituzione in caso di necessità e  urgenza  è il ricorso al decreto – legge di cui tanti governi hanno fatto abuso, fino a legiferare per decreto – legge, senza che nessun Presidente della Repubblica abbia mai eccepito. E’ evidente che – se il decreto-legge non è l’eccezione, ma la norma -non ci sia affatto  da stupirsi dei Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri che diventano vincolanti come leggi, anche se sono atti amministrativi. Nella babele italiana tutto è  diventato possibile e il diritto per primo appare oscuro ed incerto.
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“Valentina questa notte sarai mia”

Music Tales, la rubrica musicale / Stiamo parlando dei 5Hundred, Rock ‘n Roll Pop Funk, e per la precisione di:

Gianluca Donnarumma – chitarra
Riccardo Ceccarelli – voce e chitarra
Erik Brienza – batteria
Federico Currà – basso

Primo singolo estratto dall’album “Dolci Ispirazioni” in uscita.

Dolci ispirazioni è il primo album di inediti della band. Valentina è la traccia che inaugura l’album.

I 5Hundred sono 4 ragazzi di una semplicità imbarazzante e, quello che rende il loro gruppo “speciale e prezioso”, a parer mio, è proprio l’avvertire ogni volta che li osservo sul palco, quella cosa che dice: “siamo qui, per servire la musica, niente altro”.

In un momento storico/musicale dove l’apparenza pare valere quasi più della sostanza, loro arrivano con brani diretti, facili da comprendere, e li riproducono in modo egregio, pulito, almeno quanto le loro facce.

Valentina lascia un po’ l’amaro in bocca.

Parla dell’amore non corrisposto; di una Valentina che lascia il suo uomo ad aspettare un ritorno che non arriverà mai.

Ma Riccardo Ceccarelli, voce del gruppo, rende questa attesa “scanzonata” perchè interpreta il brano con una leggerezza vocale e visiva che la fanno sembrare, questa attesa inutile, quasi “sopportabile”… mi ricorda un Cremonini nazionale che nel brano “I love You” lascia andare la donna della quale è innamorato, con la serenità di chi sa che, soffre adesso, ma poi tutto passerà, (perchè tutto passa, si sa) e mentre la lascia all’altare ad un altro uomo, si allontana su un motoscafo quasi a voler dire:”ok, non mi hai voluto, ma io vado libero come il vento e pure col sorriso; giusto per farti capire che, forse, chi ha avuto la peggio sei proprio tu (n.d.r.)”

Ecco dove mi riportano le sonorità di Valentina, e questo mi piace al punto da invitarvi ad ascoltarla, perchè non sempre i pezzi migliori sono quelli alla radio, anzi, spesso, stanno nel sottobosco, e nemmeno lo meriterebbero!

Fai di me un prato. Con tanta luce.

E poi aggiungici un cielo, come vuoi tu.

E’ lì che io ti aspetterò.”

Mi piace Valentina, eccovela: fatela girare, lo merita.

Chiara De Carlo

https://www.youtube.com/watch?v=VGNY8jMcY4Y

 

Chiara vi segnala i prossimi eventi …mancare sarebbe un sacrilegio!

Festa di paese di Rivalba

Sabato 01 Agosto 2020

ore 21.00 …Omaggio a Battisti in acustico con Chiara e Mr. Sil!

Scrivete a musictales@libero.it se volete segnalare eventi o notizie musicali!

Mascarin-a, parola piemontese attualissima

Rubrica a cura del Centro Studi Piemontesi

Mascarin-a. C’è un’altra parola che ci lascia in eredità il Covid 19: mascherina!

E come possiamo dirlo a nòsta manera, in piemontese?

Pesco dai vocabolari più noti, ma questa volta la creatività dei nostri lettori sarà davvero indispensabile!

Parto da Giuseppe Gavuzzi, Vocabolario-Italiano Piemontese (1896): per Machera ci dà mascra, mostacia, bavéra, visagéra; Ballo in maschera: bal masché.  

Per mascheretta, mascherina, dà: mascarin-a. Su Ël Neuv Gribàud. Dissionari piemontèis (1996), troviamo anche le forme mascherin-a, mascrin-a.

Per Mascra il REP (Repertorio Etimologico Piemontese, 2015), parla di etimo incerto, probabilmente dal latino medievale MĂSCAM “STREGA”,  e altro…

Conformismo e vecchie ideologie

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IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni / Albisola Marina, vecchia meta dei torinesi nel secolo scorso,  ospiterà l’11 esima edizione di “Parole ubikate in mare“ sul tema “Libertà e rinascita“ con incontri con Moni Ovadia, comunista e nemico dichiarato di Israele, Dario Vergassola, Gad Lerner e Marco Revelli. La rassegna  è organizzata dalla libreria Ubik di Savona che ha da sempre un preciso orientamento politico  che non hanno più neppure le librerie Feltrinelli divenute molto più liberali 

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E’ evidente  l’identità  politica d’insieme che sarebbe accettabile, se non ci fosse come promotore anche il Comune di Albisola che dovrebbe rispettare certe regole. Una cultura a senso unico non è vera cultura perché la cultura è fondata sul confronto di opinioni. Dove  tutte le idee sono eguali o molto simili – diceva Mario Soldati – la libertà incomincia a mancare. Solo un vero pluralismo di idee può consentire ai cittadini di farsi un’idea personale fuori dal conformismo. E come si possa parlare di libertà e rinascita con personaggi ormai logorati dagli anni e dalla astiose polemiche che hanno provocato , appare un mistero. La rinascita, non si sa bene da cosa, può derivare, come diceva Gobetti, dalla diversità di idee che faccia nascere nuove idee. E’ strano che queste passerelle a senso unico trovino ancora gente disposta a dedicare loro una serata: sono la ripetizione delle solite, intollerabili sceneggiate televisive condotte da Lilli Gruber. E da quanto si sa,questi signori imperverseranno nel Ponente Ligure per tutto agosto invitati e ospitati da molti Comuni. Forse è davvero ora di cambiare aria, la libertà e la rinascita può arrivare solo dal ricambio o almeno da un’aggiunta di idee discordanti. Altrimenti c’è puzza di regime, non c’è affatto profumo di libertà. C’è odore di vecchie ideologie tramontate, un Amarcord degli anni 60 e 70 che nessuno che li ha vissuti, può rimpiangere.
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Il partito delle autostrade è vivo e “non” lotta insieme a noi

PAROLE ROSSE di Roberto Placido/ Settimane molto impegnate insieme alla mancanza di ispirazione, la debolezza e spesso l’inconsistenza della sinistra in Italia non aiutano, mi hanno portato a non scrivere nulla. L’approssimarsi delle vacanze estive e soprattutto le vicende delle autostrade italiane mi hanno dato lo spunto per riprendere “Parole Rosse.

Ma veniamo al tema indicato nel titolo, il ritorno in mani pubbliche di una delle tante sfacciate operazioni sui beni comuni avvenute nel nostro paese. Le infrastrutture strategiche non dovrebbero essere mai privatizzate e se proprio si decide di farlo, considerando che i pedaggi sono delle vere e proprie macchine che generano utili, non lo si può fare come avvenne per autostrade. Tanto tempo fa, come nelle favole, erano gli anni ’50 dello scorso secolo, in pieno sviluppo economico l’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale) costituisce la Società Autostrade Concessioni e Costruzioni S.p.A. Inizia così la costruzione di buona parte della rete autostradale italiana, con i conferimenti delle concessioni da parte di ANAS (Azienda Nazionale Autonoma delle Strade), altra azienda pubblica che gestisce tutta la rete delle strade statali, entrata a far parte recentemente delle Ferrovie dello Stato.  Nei decenni successivi cresce si sviluppa, diventerà poi nel 2003Autostrade per l’Italia, acquisisce e costruisce, autostrade in altri paesi, Inghilterra, Stati Uniti, Austria. Nel 1990 lancia ilpagamento automatizzato con il Telepass, novità mondiale, e cosa importante genera utili. Arriviamo così al fatidico 1999 anno nel quale il governo italiano, siamo negli anni in cui la sinistra italiana è in piena sbornia liberista, procede alla privatizzazione della rete autostradale, che inizia con il primo governo Prodi e si conclude con il governo D’Alema, con Ciampi ministro del Tesoro di entrambi gli esecutivi, Draghi direttore generale e Gian Maria Gros-Pietro presidente dell’IRI. Nota a parte gli unici ancora con cariche sono Draghi e Gros-Pietro che oltre alla guida di Intesa San Paolo è Presidente di ASTM (Autostrada Torino Milano) del Gruppo Gavio che ha acquisito in questi giorni le quote della Città di Torino e della Città Metropolita di SITAF (Autostrada e Traforo del Frejus). Nel 2014 l’allora Sindaco di Torino Piero Fassino cedette, non senza polemiche con quanti erano contrari alla cessione e nel caso a farlo con gara pubblica, ad ANAS, sociopubblico di SITAF le stesse quote. La cessione delle quote pubbliche avvenne senza gara per 40 milioni di euro. Ricorso dei privati ed annullamento della cessione. Ora con gara pubblica le stesse quote, Sindaco Appendino, le ha comperate il Gruppo Gavio per 272 milioni.

Ma torniamo al capolavoro di cessione del 1999 dove la famiglia Benetton con la società Schemaventottoacquisì il 30% delle azioni per 2,5 miliardi di euro di cui 1,2miliardi di euro di risorse proprie ed 1,3 miliardi presi in prestito dalle banche. Acquisizione che avvenne con gara pubblica con un solo concorrente. Il 56% delle azioni vennero vendute sul mercato per circa 4.5 miliardi di euro. IRI, lo stato italiano dall’operazione incassò circa 7 miliardi di euro. Le restanti quote in possesso di banche ed assicurazioni. Nel 2003 con una seconda operazione finanziaria ed una nuova società, NewCo28, controllata da Schemaventotto, i Benetton rilevarono mediante un’OPA (Operazione Pubblica di Acquisto) il 54% delle azioni di Autostrade per 6,5 miliardi di euro. In questo modo NewCo28 incorporò Autostrade scaricandole il debito che aveva contratto per finanziare l’operazione. Per i Benetton l’operazione si chiuse a costo zero perché attraverso Schemaventotto tra il 2000 ed il 2009 prelevarono da Autostrade 1,4 miliardi di euro di dividendi tutti generati da utili e collocò sul mercato borsistico un 12% di azioni ricavandone 1,2 miliardi di euro per un totale di 2,6 miliardi pari all’intera operazione rientrando così dei propri soldi e della quota presa in prestito. Le fonti bene informate dicono addirittura che il loro investimento iniziale reale fu di 20 milioni di euro. Ma per questo servirebbe una puntata a parte. Così, in nove anni i Benetton sono rientrati del debito, hanno ripreso i soldi investiti, hanno scaricato i debiti su Autostrade che nonostante il peso ha continuato a generare utili superiori ai dividendi e la loro partecipazione nella società vale una montagna di miliardi. Questo è stato il trasferimento di un monopolio naturale dallo Stato ad un privato. Tutto è entrato in discussione con gli sviluppi più recenti che conosciamo con il crollo del Ponte Morandi, con le decine di vittime le centinaia di sfollati e l’emergenza mobilità per una città, una regione e per l’intero paese. Ma cosa è successo in questi decenni? Nonostante il susseguirsi di maggioranze diverse, di ministri, alcuni dei quali ho avuto l’opportunità di incontrare personalmente, i provvedimenti sono stati tutti sempre sfacciatamente a favore delle concessionarie. Alcuni esempi per rendere l’idea: I lavori della terza corsia della Torino-Milano, in condizioni di traffico limitato e velocità ridotta con code estenuanti, oltre ad una durata esagerata avvennero con il continuo ed inspiegabile aumento delle tariffe. Aumento ingiustificato delle tariffe per praticamente tutte le concessionarie e che avviene ogni anno senza vergogna e senza pudore. Sulla Torino-Milano tutto proseguì nonostante i parametri di sicurezza e di viabilità fossero tali da determinare la revoca della concessione. I guadagni delle concessionarie, alla faccia della libera impresa e del rischio d’impresa, sono garantiti con una percentuale ben superiore ad una normale rendita finanziaria. Asti-Cuneo da terminare? Nessun problema basta concedere, al Gruppo Gavio, una proroga della concessione della Torino-Milano pari al doppio del costo dell’opera. Il costo viene stimato, naturalmente, non da un operatore terzo ma dallo stesso concessionario. La “Gronda di Genova”? Cioè la tangenziale esterna che dovrebbe dcongestionare lo snodo genovese, nessun problema, stesso schema anche con concessionario diverso. Costo 5 miliardi di euro ed Autostrade, i Benetton, chiede la proroga dell’intera rete da loro gestita per un valore di dieci miliardi di euro. E potrei continuare. Poi ci sono i lavori di manutenzione affidati per anni, senza gara a società esterne di proprietà delle stesse concessionarie a costi elevati riducendo gli utili di gestione che rientravano tranquillamente dall’altra parte. Da qui le resistenzedelle società concessionarie alla modifica, della parte che leriguardava, al cambiamento del codice degli appalti. La mancanza di manutenzione vera ai ponti, come si è scoperto poi drammaticamente, viadotti e manto autostradale, con lo scopo principale di aumentare gli utili.Tutto questo senza che l’Autorità dei Trasporti, che tra l’altro a sede a Torino e che nessuno sa cosa faccia, da quando esiste battesse un colpo o del ministero competente. l ministero poi, spopolato dei più capaci per pensionamento o dimissioni per andare a lavorare altrove, più che controllare è diventato il megafono dei concessionari. Si ha l’impressione che, parole di un addetto ai lavori, “cambino solo la carta intestata alle veline dei concessionari stessi”. In questo straordinario modo siamo arrivati ai giorni nostri con l’incredibile ministro Danilo Toninelli (M5S) e la straordinaria ed attuale ministro Paola De Micheli (PD) che è riuscita in quello che sembrava impossibile e cioè far rimpiangere il suo predecessore. Ad un certo punto, nella vicenda Ponte Morandi- concessione Autostrade, sembrava il rappresentante di Autostrade.

La stessa conclusione della vicenda e la prevista uscita dei Benetton, dai più definita equilibrata, è avvenuta a condizioni molto più vantaggiose di quanto gli stessi Benetton fossero disponibili. Complimenti al loro avvocato che si è ampiamento meritato la lauta parcella. Anche in questa vicenda il cosiddetto “partito delle autostrade” ha lavorato attivamente. Partito delle autostrade nazionale e trasversale, va da destra a sinistra, che è molto forte a Torino ed in Piemonte dove ha dato il meglio nella questione tangenziale di Torino. Tangenziale a pagamento, a differenza di quanto avviene a Roma con il GRA (Grande Raccordo Anulare) gratuito come metàdella tangenziale milanese, come altre città italiane. Scade la concessione, dopo che il costo dell’opera con il pedaggio si è ampiamente ripagato, ed invece di liberalizzare il passaggio, risolvendo così i problemi di diversi comuni della cintura, pensano di continuare a fare pagare il pedaggio. Tutto questo, naturalmente, non a vantaggio della collettività ma dei concessionari e di qualche mancia e briciola per loro. Ecco perché il “partito delle autostrade vive e “non” lotta insieme a noi. A Torino o in vacanza, buon mese di agosto e ci si ritrova a settembre.

La foto di Vincenzo Solano

Magnifica Torino / Giardino aiuola Balbo. La statua di Daniele Manin in mezzo alle fontane è colpita dai giochi del sole che passa attraverso l’acqua e proietta la sua ombra.

Immigrazione e Covid

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni/ La situazione che si è creata può diventare esplosiva

La moltiplicazione degli sbarchi e i casi di contagio da Covid può scapparci di mano.

La fuga dai centri di accoglienza di migranti contagiati crea oggettivamente dei problemi gravissimi: solo l’onestà intellettuale di Marcello Sorgi parla di “miscela esplosiva sbarchi- Covid”. La linea del Viminale appare incerta e tende a trovare una nave per accogliere i contagiati, una sorta di lazzaretto,  ma nessun armatore è  disposto a concedere una nave per questo scopo.

Il problema vero è un altro:  bloccare le ONG e impedire sbarchi così come sono stati bloccati i voli. Non c’ è altra strada praticabile. Il Pd frena su questa ipotesi, ma l’interesse nazionale deve prevalere sul buonismo che oggi rasenta l’autolesionismo.

Siamo in una grave emergenza sanitaria e chiunque complichi la situazione va fermato. Siamo in un’emergenza economica tale da impedirci di spendere ulteriori fondi per l’accoglienza. Non si tratta di insensibilità, ma di realismo, di etica della responsabilità che impone scelte coerenti con i gravi problemi italiani.

Gli sbarchi oggi sono incompatibili con un Paese prostrato. Non ci sono scelte intermedie.Occorre rigore e fermezza. I giornali marginalizzano le notizie relative ai migranti infetti per non creare allarmismo, ma la situazione è effettivamente allarmante.

Il Governo deve decidere di fermare le ONG. Non ci sono altre scelte per tutelare l’incolumità degli italiani che sono stati tre mesi in casa e continuano ad usare le mascherine e a lavarsi spesso le mani.
Anche il problema dei rumeni che vengono in Italia va affrontato con la stessa fermezza perché il dilagare della pandemia deve essere l’obiettivo primario.

Occorrerebbe la fermezza che avevano i vecchi comunisti come Togliatti, Minucci e Pecchioli, che sapevano anteporre in certi casi gli interessi nazionali agli interessi di partito.