IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni / Un libercolo di tal Eric Gobetti (che intende minimizzare e persino giustificare le foibe) e adesso il solito, stantio manifesto di intellettuali, neppure troppo qualificati, volto a chiedere alle massime istituzioni italiane un ennesimo riconoscimento dei crimini di guerra commessi dall’Esercito italiano in Jugoslavia durante la seconda guerra mondiale, appaiono due elementi di uno stesso, evidente disegno politico : quello di cercare di cancellare dal nostro calendario civile il Giorno del Ricordo, quel 10 febbraio (che sempre meno è oggi motivo di manifestazioni pubbliche), istituito nel 2004 per non dimenticare le foibe e l’esodo Giuliano – Dalmata e Fiumano
Noi che tra i primi abbiamo sostenuto la legge istitutiva del Giorno del Ricordo avremmo mille motivi infatti per denunciare il fatto che amministrazioni pubbliche e scuole statali snobbano la data e non organizzano nessuna iniziativa in proposito. Forse la data scelta del 10 febbraio 1947 ,quando venne firmato l’iniquo Trattato di pace la cui ratifica venne osteggiata da uomini come Benedetto Croce, fu errata perché non realmente rappresentativa del dramma degli italiani dell’Adriatico orientale. Croce, all’Assemblea Costituente tenne una vera e propria grande lezione di storia che fece comprendere il dramma della guerra in una dimensione che pochi avevano capito, travolti dagli eventi o accecati dalle ideologie. Il filosofo, che aveva combattuto il fascismo ed aveva espresso ovviamente la sua contrarietà all’ingresso in guerra nel 1940, non esitò a sostenere che quella guerra sciagurata l’avevano perduta tutti gli italiani ,anche quelli che vennero perseguitati dal regime, perchè quella guerra, ”impegnando la nostra patria impegnava, senza eccezioni, anche noi che non possiamo distaccarci dal bene e dal male della nostra patria, né dalle sue vittorie né dalle sue sconfitte“. Il patriota Croce prevaleva su tutto il resto, ma il filosofo contestava, dopo aver ricordato che ”la guerra è una legge eterna del mondo che si attua al di là da ogni ordinamento giuridico“, contestava la legittimità di umiliare i vinti con un Trattato di pace che metteva l’Italia in ginocchio . Egli si espresse anche contro il Tribunale di Norimberga. Un discorso che certamente i firmatari del manifesto odierno non solo non hanno mai letto, ma non ne conoscono neppure l’esistenza. Oggi c’è chi afferma che fu un grave errore non aver fatto una Norimberga anche in Italia, dimenticando, ad esempio, l’amnistia voluta da Togliatti nel 1946 per fascisti e partigiani. Ma non basta. Va ricordato che anche in Italia ci furono Tribunali militari (oltre a quelli improvvisati del popolo che avallarono fucilazioni senza processo) che affrontarono il tema dei crimini di guerra commessi da italiani. Nel 1951la Procura Generale Militare archiviò le istruttorie non in base a cavilli, come è stato scritto, ma al fatto che la Jugoslavia di Tito rifiutò la reciprocità nel perseguire i crimini di guerra contro cittadini italiani, in primis le foibe. In questi decenni, scomparsa la Jugoslavia dopo una guerra civile mostruosa che ha rivelato ancora una volta la violenza atroce di quelle genti, tutto è stato fatto a livello internazionale per sanare le ferite di tanti anni fa. Oggi le vicende di quel passato sono superate da una prospettiva europea che, per quanto faticosa e contraddittoria, ci ha liberati dai nazionalismi nefasti di 80 anni fa. Solo gente un po’ fanatica e del tutto priva di quel senso della storia di cui parlava Omodeo, può sostenere come fa Gobetti, che i fatti della seconda guerra mondiale “pesano come un macigno sulla memoria collettiva italiana“. Come ha ricordato Gianni Oliva, uno storico che fra i primi ha scritto di foibe e delle atrocità commesse dal nostro esercito durante la seconda guerra mondiale , con gli ultimi due nostri Presidenti della Repubblica è stato fatto tutto quanto era possibile per un’opera di pacificazione tra italiani, croati e sloveni. Addirittura nel 2020 è stata conferita la più alta onorificenza dello Stato ad un poeta ultracentenario che continua a negare le foibe. Ma se ci mettiamo sul piano delle contrapposizioni frontali, io non posso allora dimenticare, ad esempio, che la Medaglia d’Oro al V. M . , conferita motu proprio dal Presidente Ciampi nel 2001 , al libero comune in esilio di Zara, la Dresda d’Italia per i bombardamenti subiti e città martire per le vittime provocate da Tito , non venne mai consegnata per l’opposizione del tutto illegittima del governo croato. L’Italia ha chiuso quei conti dopo il Trattato di pace del 1947, dopo il martirio di Trieste tornata italiana solo nel 1954, con il Trattato di Osimo che sancì per sempre la cessione a Tito di altro territorio italiano. L’antifascista originario di Fiume Leo Valiani definì infame quel trattato voluto dalla peggiore diplomazia democristiana. Speravamo che fosse più o meno da tutti considerato in qualche modo superato il dramma di una storia lacerante. Invece non è così e gli italiani che non negano la loro storia dovranno continuare a presidiare il Giorno del Ricordo messo in discussione dai nostalgici di Tito. Le chiassate polemiche di Eric Gobetti non sono storia, ma sono gli ultimi residuati di una ideologia che pensavamo finita proprio perché condannata dalla storia. E’ triste doversi intrattenere a discutere di un omonimo di un grande con il quale condivide soltanto casualmente il cognome.La foto di Vincenzo Solano
Magnifica Torino / Fotografando chi fotografa la luna di Torino
IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni / La Pasqua e la Pasquetta di quest’anno sono state, almeno in termini psicologici, persino peggiori di quelle dello scorso anno. Oggi, dopo mesi di sacrifici, vediamo situazioni allarmanti, mentre il vaccino va a rilento.
I negozi e i bar sono rimasti chiusi e oggi non c’è spazio per chi voglia vivere come se niente fosse. Siamo arrivati al momento più difficile. L’isola del libro
Rubrica settimanale a cura di Laura Goria
Don Delillo “Il silenzio” -Einaudi- euro 14,00
Don Winslow “Ultima notte a Manhattan” -Einaudi- euro 18,50
Don Winslow è uno dei più affermati autori di crime e nel corso della sua lunga carriera ha creatoClare Hunter “I fili della vita” -Bollati Boringhieri- euro 18,50
Come dice il sottotitolo questa è una storia del mondo attraverso la cruna dell’ago, e svela come aRebecca Serle “Tra cinque anni” -Solferino- euro 17,00
Questo romanzo della giovane scrittrice e autrice televisiva Rebecca Serle -che vive tra New York e|
IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni /Il tema della follia mi ha sempre molto turbato, pur non avendo fortunatamente mai avuto contatti con situazioni, anche solo comparabili con essa.
.
Ricordo però con turbamento la storia di un nostro contadino sfociata in un ricovero da cui non uscì vivo. Ero bambino, ma le parole dei grandi mi lasciarono ricordi che non ho mai dimenticato.Va detto che la malattia mentale è stata una dura e costante realtà nei secoli – sarebbe inevitabile il contrario- e continua a serpeggiare anche nella società d’oggi. Il modo in cui essa venne affrontata nel passato va storicizzato come tutto il resto, va cioè capito e valutato, sforzandoci di evitare giudizi sommari che sono l’esatto opposto della storia il cui compito è quello di “intelligere”. La psichiatria contemporanea è invece una materia che forse più di ogni altra si è prestata ad interpretazioni politiche che poco storicizzano il dramma della follia.
.
Se rimaniamo a Torino, la costruzione per iniziativa di Carlo Alberto (che pochi conoscono come re riformatore) del Regio manicomio di via Giulio
rivela un’attenzione indiscutibile ad un problema medico e sociale grave. E ci sarebbero tante altre osservazioni che non danno ragione a chi ha finito di ridurre un problema drammatico molto complesso al nome di un noto psichiatra che ispirò una legge che decise la chiusura dei manicomi alla fine degli anni Settanta del secolo scorso L’aver avuto nel Piemonte tardo ottocentesco e positivista un’egemonia che non esiterei a definire soffocante, da parte di Cesare Lombroso, celebratissimo scienziato, ha sicuramente avuto anche delle ripercussioni nefaste che hanno imperversato non solo nel campo della medicina. Tornando a tempi recenti, io ricordo con piacere gli psichiatri Fiorentino Liffredo, Mario Fulcheri, Donato Munno, tutti e tre miei cari amici, che non ebbero forse la notorietà che meritavano , ma io non posso dimenticare che la loro disponibilità umana verso il malato di mente non si lasciò condizionare da militanze che sentivano intimamente incompatibili con il loro essere medici. Altri preferirono fare scelte diverse ed ebbero tutto sommato in Piemonte una notorietà abbastanza relativa. Si tratta di persone degnissime ed anche coraggiose e benemerite, da cui però mi sento lontano.
.
La legge a cui tutti fanno riferimento, è quella intitolata al mai abbastanza celebrato Basaglia che certo pose fine a situazioni inumane e “medievali“ intollerabili , senza tuttavia prevedere delle alternative percorribili. Il dramma di molte famiglie che convissero con dei congiunti malati di mente resta un grumo di quella storia penosa e terribile che non può essere trascurato.
Bruna Bertolo nel suo documentatissimo libro “Le donne e la follia in Piemonte“, edito da Susalibri, ricostruisce la storia delle donne ricoverate negli ospedali psichiatrici piemontesi, dopo un lavoro di tre anni di ricerca. Era un lavoro che mancava. . . . Mi è piaciuto leggere che la Bertolo abbia citato l’Assessore alla Sanità del Comune di Torino e medico di chiara fama Filippo Franchi, che era ben consapevole della gravità della situazione di via Giulio e premeva per cambiare . Filippo Franchi era un liberale che aveva capito – me lo
disse una volta nel 1968 – che la legge del 1904 era già illiberale quando nacque ed ora era diventata anche una ”legge inumana“. |
IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
Questa idea balzana di consentire agli italiani di andare all’estero e di vietare ogni movimento, ghettizzandoci tutti in casa a Pasqua è un’ altra follia della accoppiata Di Maio- Speranza, i due ministri sopravvissuti del Conte 2.
Il solito Speranza, causa di tanti errori commessi che hanno aggravato la pandemia in Italia. Per farci digerire gli arresti domiciliari a Pasqua, ci annunciano l’immunità di gregge in luglio, una boutade propagandistica che non fa onore al governo Draghi. Ma l’idea di poter andare con facili due tamponi all’estero supera ogni immaginazione ed è una presa per i fondelli per gli albergatori e i ristoratori italiani. Una vera provocazione per gente che non riesce più ad andare avanti . Pensiamo a Venezia, Firenze, Roma diventate un deserto.Anche l’idea di riaprire prima le scuole e dopo i ristoranti appare una stupidaggine perché ormai l’anno scolastico è compromesso e nulla si è fatto per garantire trasporti e distanziamento degli studenti. Io continuo ad avere grande fiducia in Draghi, ma continuo a richiedere le dimissioni di Speranza,un piccolo politicante senza arte né parte a cui scioccamente qualcuno ha affidato le nostre vite . Quest’anno l’agnello da sacrificare a Pasqua in modo simbolico e incruento e’ il piccolo lucano che ci ha provocato guai infiniti.Questa dei viaggi concessi all’estero non può passare come l’uovo di Pasqua che il proletario ministro della Salute concede agli italiani con i soldi ,come avrebbe detto il ministro stesso, quando imparava il mestiere di demagogo alla scuola di Bersani.
La crisi, l’incertezza e la paura di non farcela
Il punto di vista / Le interviste di Maria La Barbera
Luigi Bubba, titolare dello storico Caffè Arsenale di Torino, ci racconta l’apprensione e il senso di precarietà di questo periodo.
Un incasso giornaliero attuale di 80 euro contro i 600 del 2019, 20 coperti (forse) in zona gialla, rispetto ai 60 di 2 anni fa, personale più che dimezzato, ora sono rimasti solo in due a gestire il bar, Luigi e Marco, prima di questa pandemia erano in 5. Cucinano, servono i clienti, preparano cappuccini (tra i più buoni e cremosi di Torino tra l’altro!), puliscono, fanno consegne a domicilio, tutto in aderenza alle attuali norme. Oltre a resistere e darsi da fare praticano la solidarietà, quella vera e concreta, regalando brioche e panini a chi ha bisogno, a chi non può permettersi più nulla, neanche un caffè.

Il Caffè Arsenale è un bar storico di Torino (nella Galleria Tirrena) aperto sin dagli anni ’70, che ha visto, grazie alla sua posizione ma anche ad una gestione amichevole e professionale, il passaggio di avventori importanti come artisti, sportivi, personaggi della cultura e della politica, l’affezione delle persone che orbitano in zona, come i lavoratori dell’INPS e gli allievi della Scuola di Applicazione dell’Esercito, l’apprezzamento di chi passa da lì per caso.
Nel 2020 le perdite di questo bar, come del resto di tutti gli appartenenti alla categoria, si sono aggirate intorno al 70%, “ i sacrifici che si sono fatti sono enormi, ora le forze si stanno indebolendo come d’altronde la fiducia” afferma Luigi, il titolare.
Proprio parlando con lui cerchiamo di capire cosa sta succedendo e cosa ci si aspetta per superare questo momento pandemico che ha aggravato seriamente la crisi di esercizi commerciali come questo.
3 domande a Luigi Bubba
Luigi cosa è accaduto nel 2020 al Caffè Arsenale, come sta andando ora?
E’ successo che la pandemia, il Covid-19, ha creato e sta continuando a produrre enormi danni economici alla categoria dei bar e della ristorazione. All’inizio abbiamo stretto i denti, dato fondo alle nostre risorse economiche, frutto di anni di sacrifici e di lavoro, ora però siamo allo stremo. Nonostante gli sforzi, la comprensione e l’aiuto delle persone, per esempio il proprietario del locale che mi è venuto incontro sull’affitto, siamo arrivati al limite. Si vive nell’incertezza a causa delle continue chiusure e aperture in funzione dei colori delle regioni, ma anche delle conseguenze dello smart working che ridimensiona i flussi delle persone in giro per la città, la paura è di non farcela, di chiudere definitivamente; se poi hai una famiglia, dei figli da mantenere e da far crescere il timore diventa panico.
Cosa dovrebbe fare lo Stato per aiutare realmente la vostra categoria?
A parte i sussidi e i ristori, che comunque sino ad ora non hanno assolutamente coperto le perdite economiche ponendoci nella difficile condizione di mettere mano ai risparmi o in alcuni casi di rinunciare drammaticamente alla attività, sarebbe molto utile sospendere il pagamento di alcune utenze o perlomeno mettere in fattura solo gli effettivi consumi eliminando tutte le altre voci come le spese fisse e le imposte; parallelamente si dovrebbero agevolare anche i proprietari dei locali, per esempio attraverso il credito di imposta, in modo tale che anche loro possano ridimensionare le perdite dei ridotti o mancati affitti.
Cosa è cambiato in termini sociali e come si sono modificate le abitudini delle persone durante la pandemia?
Oltre ad avere perso parte della clientela che non può più permettersi di fare colazione o pranzare al bar per questioni economiche, si sono innescati comportamenti “nuovi” da parte di molte persone che hanno, legittimamente, paura e quindi frequentano molto meno il bar e quando lo fanno agiscono con molta prudenza sanificando le mani molte volte, per esempio, o rinunciando, anche quando permesso, al caffè in tazza chiedendolo invece nel bicchiere usa e getta.
La gente è terrorizzata perché oramai , nello scenario attuale, i nostri locali sono identificati quasi esclusivamente come luoghi di trasmissione del virus e questo anche a causa di una comunicazione non sempre comprensibile ed a volte forse troppo allarmante.
Oltre allo Stato, anche noi cittadini possiamo aiutare i bar acquistando, per esempio, un panino o una bevanda, anche se non ne abbiamo sempre necessità o voglia, oppure pagando un caffè sospeso a coloro che sfortunatamente hanno perso proprio tutto. Attraverso il nostro piccolo ma importante contributo, infatti, possiamo sostenere una categoria, che in quest’ultimo anno è stata tra le più penalizzate, ridandole speranza e respiro con l’auspicio che presto tutto ritorni come prima e che i bar ridiventino piacevoli luoghi di relax e ritrovo sociale.

Ricordo però con turbamento la storia di un nostro contadino sfociata in un ricovero da cui non uscì vivo. Ero bambino, ma le parole dei grandi mi lasciarono ricordi che non ho mai dimenticato.

