DA PALAZZO LASCARIS – Nella seduta legislativa della III Commissione del Consiglio regionale, è stata approvata la proposta di legge che istituisce le comunità energetiche.“Il Piemonte è la prima regione ad incentivare la creazione di aree territoriali che sperimentano la produzione e lo scambio di energia generata da fonti rinnovabili” ha spiegato il Vicepresidente del Gruppo consiliare del Partito Democratico Elvio Rostagno, secondo firmatario del provvedimento.“La nuova legge, che prevede un primo stanziamento di 50 mila euro nel biennio 2018-2019 – ha concluso il Vicepresidente Rostagno – è un provvedimento innovativo e all’avanguardia che, se promosso e sostenuto nel modo corretto, porterà ad un rinnovamento in campo energetico e ad ottenere vantaggi in termini di costi, sostenibilità ambientale e sicurezza”.
“Abbiamo, in estrema solitudine, denunciato gli esiti nefasti della strada apolide del gruppo FCA. Lo abbiamo sempre fatto per segnalare le ingenti entrate fiscali (IRAP in primis) che abbiamo perso in Piemonte in questi anni.
Siamo stati attenti, provando a non accontentarci degli annunci. Fabbrica Italia ci aveva già mostrato quanto “il referendum ricatto” e l’uscita dai contatti collettivi nazionali non avessero portato alla piena e buona occupazione. Successivamente, nel Piano industriale FCA 2014/2018, furono annunciati ventisette nuovi modelli fra FIAT, Alfa Romeo, Jeep e Maserati. Tuttavia a oggi ne sono stati realizzati solo 12. Nel 2017 FCA ha realizzato utili da record, 3,5 miliardi di euro, cui i lavoratori e la lavoratrici hanno partecipato in minima parte. L’obiettivo per il 2014 era una produzione di 6 milioni di auto, mentre si è passati dai 4,6 milioni del 2011 a 4,8 milioni a oggi. Nel gennaio 2018 FCA ha ribadito che entro giugno avrebbe presentato un Piano che includesse la piena occupazione e la cessazione della cassa integrazione a fine anno. Tuttavia, allo stato attuale, da Mirafiori a Pomigliano ci sono 5.508 addetti al lavoro su 10.092, e anche negli Enti Centrali è tornata la Cig (non avete mica creduto alla favola che FCA non prende più un euro dallo stato. Fca ha poi chiarito a Balocco che il gruppo stava azzerando l’indebitamento, che avrebbe presto dato l’addio alle macchine utilitarie (tra i 19 nuovi modelli nessuna è di segmento A, tutti sono Premium) e che avrebbe comunicato, modello per modello, i lanci e le allocazioni produttive. Qualche suggestione sull’elettrico, l’addio al diesel nel 2021 e – unica certezza del piano per Torino – la fine a inizio luglio della produzione dell’Alfa Romeo Mito alla Carrozzeria di Mirafiori.
In questi ultimi giorni non siamo voluti intervenire, non siamo soliti prendere parola sulla vita o addirittura sulla malattia di una persona, né tantomeno avremmo potuto schierarci fra i nuovi agiografi o fra i malauguranti. Non avremmo mai scritto “Ciao Sergio”, così come, per rispetto verso il lutto della famiglia Marchionne, non ci sembrava il caso di tornare sulle ragioni che hanno portato alle divisioni, che tutti ben ricordano, nel mondo del lavoro.
Ci interessa invece dire la nostra sul futuro della produzione in questo paese. Per questo, insieme a Eleonora Artesio, ho chiesto (due mesi fa) e ottenuto un consiglio congiunto straordinario (a settembre) di Città e Regione con i sindacati e i vertici di Fca. All’incontro doveva essere invitato il responsabile delle attività europee del Gruppo, Alfredo Altavilla. A maggior ragione, dati i cambiamenti ai vertici del Gruppo, riteniamo urgente che il Governo e le istituzioni, a partire dal Comune di Torino e dalla Regione Piemonte, chiedano a Mike Manley di essere presente a quell’incontro. Crediamo che sia venuto il momento di verificare se le forze politiche, proprio su questa sfida, hanno ancora voglia di ribadire che in Italia si progettano e si producono auto. Quelle di oggi e quelle di domani: elettriche, senza pilota, condivise. Abbiamo l’impressione che senza guida, sia sempre e solo la politica industriale del paese”.
Marco Grimaldi, Capogruppo Liberi e Uguali, Consiglio Regionale del Piemonte
Lega, nuovo responsabile enti locali Piemonte
“Un episodio che indigna e rattrista”: con queste parole Nino Boeti, Presidente del Consiglio regionale del Piemonte e del Comitato Diritti Umani, commenta l’aggressione omofoba avvenuta nei giorni scorsi a Torino, in zona San Salvario. “L’omofobia appartiene ai vili e agli stupidi. Quanto accaduto è un ulteriore segnale del clima avvelenato che sta crescendo nel nostro Paese e che non lascia immune neppure una città da sempre aperta e tollerante come Torino”.
Domenico Ravetti (Pd): “Ho impegnato la Giunta a creare un portale che consenta di verificare regolarità e legalità dei cantieri
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RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO “Il Consiglio regionale ha approvato il mio ordine del giorno finalizzato ad impegnare la Giunta ad integrare nel più breve tempo possibile, sul modello della filiera edilizia bresciana, il Modello Unico Digitale dell’Edilizia, con il Sistema informativo SpreSAL (Servizi di Prevenzione e Sicurezza degli Ambienti di Lavoro) e ad attivarsi affinchè si possa firmare, tempestivamente, una convenzione per la gestione delle notifiche preliminari e il controllo sui cantieri” ha spiegato il Presidente del Gruppo Pd in Consiglio regionale Domenico Ravetti. “Il sistema delle Costruzioni – ha proseguito il Presidente Ravetti – rappresenta, da sempre, un settore strategico nel panorama produttivo del nostro Paese, ma è caratterizzato da una frammentazione delle attività che lo espone, più degli altri, a rischi derivanti dal mancato rispetto delle regole. Inoltre, la situazione di grave crisi che, ormai da anni, sta interessando questo settore potrebbe portare ad una recrudescenza di alcune forme di irregolarità e illegalità, quali fenomeni di elusione fiscale e contributiva, di infiltrazione malavitosa, di dumping sociale, attraverso la diffusa mancata applicazione del C.C.N.L dell’edilizia, nonché forme di lavoro irregolare”. “Ritengo fondamentale – ha concluso Domenico Ravetti – per preservare la legalità e la sicurezza nel settore dell’edilizia pubblica e privata che, come richiesto da molti attori del settore (ANCE, Confartigianato e principali sindacati dei lavoratori del Sistema Edile alessandrino), la Regione Piemonte si attivi per implementare il software dell’edilizia, creando un portale unico che consenta di verificare regolarità e legalità dei cantieri”
“La carenza di medici è un problema che da troppo tempo attende di essere affrontato e che, se non considerato nella sua completezza rischia di creare gravi ripercussioni sul sistema sanitario nazionale e sull’offerta territoriale e ospedaliera regionale. Per questo motivo ho scritto una lettera al ministro Grillo” lo dichiara il presidente del gruppo regionale del MNS, Gian Luca Vignale che stamane ha indirizzato una missiva al ministro della Salute e al presidente della Commissione Sanità della Conferenza Stato Regioni, Antonio Saitta.
“Secondo alcune stime – spiega Vignale – in Piemonte entro il 2030 ben 962.000 cittadini potrebbero non avere l’assistenza di base, mentre a livello nazionale tra pochi anni 14 milioni di italiani rimarranno senza medico di base e quasi 50 mila tra medici di base e ospedalieri lasceranno il lavoro per raggiunti limiti di età. È quindi evidente che serva un immediato, quanto concreto piano di intervento che riesca a programmare azioni che, se siamo fortunati, daranno i primi risultati entro il 2030”.
“Per questo ho solleciato il ministro Grillo – aggiunge – ad operare sostanzialmente due misure. Primo tra tutti chiedo di abolire un anacronistico e dannoso numero chiuso alle Facoltà di Medicina. Inoltre credo fondamentale rinnovare i percorsi formativi. Per questo serve l’istituzione di un Osservazione interdipartimentale e ministeriale finalizzato a verificare annualmente quante specializzazioni e figure mediche rischiano di essere senza un numero adeguato di coperture. Dai risultati emersi ciascuna Regione potrà programmare lo stanziamento delle borse di studio e decidere su quali figure puntare”.
“Infine – scrive Vignale – credo davvero importante dare seguito alla proposta avanzata dalle Regioni di dare l’opportunità ai laureati in medicina e chirurgia di accedere al servizio sanitario pubblico seguendo un percorso formativo finalizzato all’acquisizione della specialità presso le aziende sanitarie stesse”.
“ Mi auguro – conclude Vignale . che la mia lettera possa rappresentare un momento di riflessione per il ministro e dare spunti utili per un intervento immediato su quello che già oggi è un vero e proprio problema”.
“Nelle ultime settimane gli organi di stampa e numerosi programmi televisivi hanno dedicato notevole spazio alla situazione di insolvenza della Società “Qui Ticket Group”, fornitrice di ticket restaurant, nei confronti di moltissimi operatori, fatto che ha creato diffidenza da parte degli esercenti che, in parecchi casi, hanno deciso di non accettare più i buoni pasto emessi dalla società, causando, a loro volta, difficoltà ai consumatori già in possesso dei buoni” ha spiegato la Consigliera regionale del Partito Democratico Valentina Caputo.
“Qui Ticket – ha proseguito la Consigliera Caputo – in più di un’occasione, si sarebbe impegnata a rimborsare agli esercenti il debito mediante un’operazione di risanamento della Società. Tuttavia, fin dallo scorso mese, numerose catene della piccola e grande distribuzione piemontese hanno rifiutato questi tagliandi e i sindacati hanno sottoposto a Consip la problematica”.
“L’ordine del giorno del quale sono la prima firmataria – ha concluso la Consigliera Caputo – affronta questo problema molto grave sia per i cittadini che per gli esercenti coinvolti, notevolmente danneggiati dalla situazione, e impegna la Giunta regionale a “intraprendere ogni azione possibile, per quanto di propria competenza, in Conferenza Stato Regioni e nei confronti del Ministero del lavoro e dello sviluppo economico affinchè venga trovata, in tempi rapidi, una soluzione alla problematica sopra richiamata, arrivando al pagamento di tutti i debiti pregressi, in modo tale che gli esercenti coinvolti possano garantire gli attuali livelli occupazionali”.
“Insieme alla lotta contro il governo M5S-Lega”
Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Il Ministro dei Trasporti Danilo Toninelli in un’intervista radiofonica è stato molto chiaro: l’Alta Velocità Torino –Lione “è un’opera che abbiamo ereditato … il nostro obiettivo sarà quello di migliorarla, così come scritto nel contratto di governo …”. Dunque nessun blocco dei lavori per la realizzazione del Tav in Valsusa, così come per altre Grandi Opere previste in Italia, ma solo migliorie, ritocchi, se possibile abbattimento di costi. Un Tav infiocchettato da tante belle parole. Ora che qualche esponente locale del M5S continui a spacciare le parole del Ministro dei Trasporti per il loro contrario, per una sorta di stop o rallentamento del Tav, francamente è intollerabile, risulta essere una presa in giro. Il M5S, primo partito italiano al governo con la Lega, ha deciso di cambiare spartito. Ha deciso che non si vive solo di promesse elettorali ma del sostegno accordato dai poteri forti, gli stessi che non demordono dal perseguire la realizzazione del Tav in Valsusa. Contro questi poteri, contro un’opera inutile e dannosa occorre proseguire più che mai la mobilitazione e la lotta. Ma serve chiarezza non servono doppie parole. Nessuno pensi più di utilizzare il Movimento Notav per portare acqua al mulino del M5S e di un governo di destra il cui Ministro dei Trasporti, al pari di quello degli Interni, oltre che essersi convertito alle Grandi Opere non ha avuto ritegno alcuno nello sbarrare i porti italiani a quanti scappano dalle guerre e dalle violenze, ai disperati che muoiono a centinaia, a migliaia in mare. Ministri di questo genere e le forze politiche che lo sostengono meritano solo di essere cacciati a casa.
Ezio Locatelli Segretario provinciale
Popolari e Pd, una storia del passato
Forse è giunto il momento per dirlo con chiarezza e senza tanti equivoci. Il voto del 4 marzo, e il dibattito che l’ha seguito, ha rappresentato un vero e proprio spartiacque nella politica italiana. Almeno su un altro punto, al di là dell’ormai noto rovesciamento politico alla guida del paese, non ci dovrebbero essere più dubbi. E cioè, l’esaurimento dei cosiddetti “partiti plurali”. E, nello specifico, il tramonto definitivo del Pd come “partito plurale”. Del resto, il Partito democratico da almeno 4 anni – cioè dall’irrompere di Renzi al comando di quel partito – e’ diventato a tutti gli effetti un “partito personale”, al punto che molti politologi e autorevoli commentatori, a cominciare dal bravo Ilvo Diamanti, lo avevano unanimemente definito come il “Pdr”, ovvero come il partito di Renzi. E il decollo del “partito del capo”, a prescindere dalla bontà o meno di quel nuovo modello politico ed organizzativo, aveva già di fatto archiviato e messo in soffitta l’intuizione dei fondatori di quel partito. Cioè di un soggetto politico che riunificava al suo interno culture e filoni ideali diversi che sino a qualche tempo prima erano alternativi e seriamente competitivi per la guida del paese. Quell’intuizione originaria e’ stata archiviata per un motivo molto semplice. Nei partiti personali, come tutta l’esperienza italiana e non solo italiana insegna, il pluralismo culturale e’ tollerato ad una sola condizione: e cioè, questa pluralità deve coincidere con le posizioni delineate dal “capo”. Altrimenti, come abbiamo sentito mille volte nel dibattito interno al Pd, ma non solo del Pd, il tutto viene liquidato come “gufi”, “rosiconi”, “perditempo” e via discorrendo. Ora, la fine prematura del renzismo e la caduta politica di Renzi potrebbe far pensare a qualche simpaticone che l’orologio della storia torna indietro e, come se nulla fosse, si riparte da zero. Ma, come tutti sappiamo molto bene, la storia non si ripete mai come prima. E se adesso il partito personale – ammesso che Renzi non comandi più in quel partito, cosa alquanto incerta e dibattuta visti i concreti risultati politici che emergono – potrebbe essere giunto al capolinea, nel Pd emerge un’altra valutazione politica, del tutto comprensibile e forse anche fondata. Ovvero, dopo la debacle storica della sinistra italiana, in tutte le elezioni amministrative dal 2015 in poi culminata con il tracollo del 4 marzo scorso, l’imperativo di larga parte di quel partito e’ uno solo: ricostruire il pensiero e la cultura della sinistra. Ovvero trasformare il Pd in un nuovo, rinnovato e moderno partito della sinistra italiana. Per capirci, un Pds rinnovato e moderno. E chi, ingenuamente, continua a blaterare che dopo il 4 marzo il Pd resta un partito plurale come se nulla fosse capitato o è un ingenuo, appunto o, nella migliore delle ipotesi, e’ semplicemente un ipocrita. Perché nega cio’ che è, ormai, sotto gli occhi di tutti. Ora, in un contesto del genere – e cioè, il ritorno legittimo e fondato delle identità politico e culturali, e quindi la trasformazione del Pd in un novello Pds – l’apporto del pensiero popolare o di ispirazione cristiana, della cultura cattolico democratico e del cattolicesimo sociale sarebbe destinato ad essere più un esercizio accademico o retorico che non un fatto politico. Credo che sia, questa, una osservazione altrettanto nota e scontata che non merita neanche di essere particolarmente approfondita se non per motivi protocollari e burocratici. Perché il ritorno delle identità nello scenario politico italiano vale per la destra come la Lega correttamente persegue, vale per il populismo dei 5 stelle, vale per la sinistra con il Pd ma deve valere, a maggior ragione, anche per la tradizione e la storia del cattolicesimo politico italiano. Del resto, non si capirebbe il perche’ questa operazione politica e culturale e’ consentita e giustificata per tutti tranne che per un filone ideale, culturale e politico che è stato decisivo in tutti i tornanti cruciali della storia democratica del nostro paese. Ecco perché, al di là della buona fede e della bontà delle intenzioni dei singoli, quel che rimane di questa cultura politica nel futuro del Pd non potrà che avere un ruolo del tutto ornamentale e periferico ai fini del progetto e del profilo politico di quel partito. Perché la ricostruzione della sinistra italiana non potrà che avvenire con coloro che rappresentano coerentemente e correttamente la sinistra italiana. E’ una inflessione talmente semplice e banale che non merita ulteriori commenti
“Caro Ministro Salvini a quando lo sgombero del centro sociale Askatasuna di Torino? In una sola settimana gli autonomi del centro sociale hanno collezionato misure cautelari per gli scontri del 1 marzo e oggi sono i protagonisti degli attacchi no tav alle forze dell’ordine. Cosa aspetta il Ministro? Rifissi la sua visita a Torino e visto che di certo non sarà la pentastellata Appendino a chiedertelo te lo ricorderemo noi: Torino non può più tollerare che gli stabili pubblici siano il covo logistico da cui partono vere e proprie azioni di guerriglia. Con un’interrogazione parlamentare sollecitiamo Salvini ad occuparsi dello sfogo vero dello stabile. Se è davvero dalla parte delle forze dell’ordine questa e’ l’unica soluzione” afferma Augusta Montaruli, parlamentare di Fratelli d’Italia. Maurizio Marrone, dirigente nazionale FDI, aggiunge “Il movimento no tav stava progressivamente scomparendo, ora torna ad alzare la testa aggredendo le forze dell’ordine perché sente di avere copertura politica dal M5S al governo. Il ministro Salvini deve dimostrare con i fatti che lui sta con chi indossa la divisa e non con chi si travisa il volto con le bandane no tav”