Di Pier Franco Quaglieni / Cinquant’anni fa Il mio amico Tito Gavazzi, che era stato uno stretto collaboratore di Adriano Olivetti come assessore alla cultura ad Ivrea, mi offri’ la candidatura di capolista al Comune di Moncalieri come indipendente. Pur tra tante esitazioni finii di accettare, anche se nel frattempo fui retrocesso da capolista numero 1 a capolista numero 3
Ero legato sentimentalmente a Moncalieri perché la prima storia d’amore che ho avuto, fu con una ragazza di Moncalieri che abitava in via San Martino. Era un motivo non politico ma affettivo allora di non poco conto. Ancora oggi quando passo per quella via sento il ricordo di quella ragazza mai più incontrata dal 1969. Un piccolo politicante locale, tale Rodolfo Caponnetto, fece fuoco e fiamme per ottenere il numero uno e farmi cancellare dalla lista, anche se il mio nome non poteva allora dare molto fastidio. Scrivevo già su qualche giornale e avevo contribuito a fondare il Centro Pannunzio due anni prima. Avevo un ottimo rapporto con Alberto Ronchey, allora direttore della “Stampa”. C’era forse qualcosa di più perché il Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, che io avevo conosciuto in qualche occasione pannunziana, mi fece telefonare dal suo più stretto collaboratore Costantino Belluscio per dirmi che avrebbe gradito la mia candidatura come figura intellettuale indipendente. Io riuscii secondo eletto della lista con poco stacco dal primo escluso che mi avrebbe ostacolato per l’ intero quinquennio. Alcuni mi votarono pensando di votare mio padre Piero, molto autorevole e allora conosciuto. Festeggiai con gli ultimi soldi rimasti con una cena offerta ai fedelissimi al ristorante “La Darsena” appena inaugurato. Fu nel complesso una bella anche se faticosissima esperienza. L’ ultimo giorno di campagna elettorale feci dieci comizi volanti. Il comizio più importante avvenne in piazza Vittorio Emanuele con Gian Piero Orsello che venne apposta da Roma per sostenermi. Quando venni in contatto con l’apparato di partito mi misi quasi subito le mani nei capelli. Quasi subito mi offrirono la direzione del settimanale “Torino giorni” che diressi svogliatamente fino al 1973. Garosci mi chiese di scrivere su “’Umanità”. Saragat mi ricevette al Quirinale congratulandosi con me. Voleva conferirmi anche una onorificenza , ma io non avevo l’età minima per riceverla. Ma le dolenti note cominciarono con gli incontri per la formazione della Giunta dai quali venni escluso, malgrado fossi il capogruppo. Per circa tre anni seguii assiduamente i lavori del Consiglio comunale e delle Commissioni e feci tante interrogazioni e interpellanze che non venivano prese seriamente in considerazione. Una di queste venne persino perduta e io per protesta abbandonai i lavori del Consiglio. Avevo un’idea idilliaca e in fondo distorta della politica che mi impediva il compromesso. Quando mi resi conto di questo, incominciai ad allontanarmi, Votare sì per disciplina di partito mi infastidiva, specie quando andava contro le mie idee. Nei lavori consiliari ero nel banco sotto a quello occupato dal presidente della Regione ed ex sindaco di Moncalieri Edoardo Calleri di Sala con cui non legai politicamente ma sul terreno intellettuale si stabilì tra noi un certo feeling. Era una persona preparata e colta, forse troppo spregiudicata, ma sicuramente di alto valore. Nel frattempo divenni amico di suo nipote Paolo Macchi che non fece mai nulla per far facilitare un rapporto tra me e lo zio. Allora si diceva che la città fosse un suo feudo e c’era chi la chiamava scherzosamente Moncalleri.
Inoltre, la riduzione dei contatti esterni e la prolungata condivisione degli spazi domestici con il partner rendono, spesso, ancora più complicata l’emersione di situazioni di violenza: infatti, nelle ultime settimane si è registrata una diminuzione degli accessi delle donne ai centri antiviolenza e agli sportelli, ma anche delle denunce stesse per maltrattamenti, fatto, purtroppo, che non indica una regressione del fenomeno, ma è anzi il segnale di una situazione nella quale le donne rischiano di trovarsi più esposte alla violenza e ai maltrattamenti” afferma il Presidente del Gruppo Pd in Consiglio regionale Domenico Ravetti.
Aldo Moro cautamente possibilista. Voleva sbloccare la situazione politica. Berlinguer ha dedicato gli ultimi suoi anni a due obiettivi. PrimO andare al governo per realizzare delle riforme, come diceva, strutturali. Secondo liberare il PCI dal giogo mortale dei comunisti russi. Alberto Franceschini fondatore delle Br , ex giovane comunista di Reggio Emilia ha sostenuto che le Br erano indecise tra, appunto, Berlinguer e Moro. Optarono per il secondo perché Berlinguer era troppo protetto dal servizio d’ordine del PCI. Indicativo, no? L’ obiettivo terroristico era ben chiaro: impedire l’alleanza tra i due partiti. Ed è altresì vero che i servizi segreti di mezzo mondo erano entusiasti che il lavoro sporco lo facessero loro. Dai russi agli statunitensi, dagli inglesi ai australiani qualcuno ha brindato quando fu ucciso Moro ed i nostri servizi segreti fecero di tutto per far sì che Moro venisse liberato incolume. Consumato il dramma l’ Italia protestò. Il rispetto che dovevamo ai democratici si concretizzò nel chieder loro di sfilare per primi. E cambiava anche la mia percezione della DC come partito. I nemici erano i terroristi rossi, gli avversari i dc. C’e’ una radicale differenza, prima di tutto il rispetto per l’avversario. Anni in cui conobbi i giovani democratici. Donatella Genisio, figlia d’arte con il padre sindacalista della CISL. Sposata con Paolo Girola allora giornalista del Tg 3, in anni successivi impegnato nel sindacato subalpino dei giornalisti. Piero Damosso, che partito dal giornalismo piemontese è approdato alla testata nazionale. Tra i più ” interessanti” era Giampiero Leo.