LIFESTYLE- Pagina 14

Pesche ripiene all’antica

Un antico dessert  tipico del Piemonte, tutto da gustare. Una preparazione semplice e genuina realizzata con pesche dolci e mature, farcite da un goloso ripieno a base di cioccolato fondente e amaretti, un abbinamento davvero delizioso e irresistibile.

Ingredienti:

6 pesche mature a pasta bianca

80 gr. di amaretti

60 gr.di cioccolato fondente

2 tuorli

30 gr. di zucchero a velo

Poco burro

Lavare ed asciugare le pesche. Tagliarle a meta’ ed eliminare il nocciolo. Scavare un poco la polpa e metterla in una terrina. Preparare il ripieno mescolando la polpa delle pesche tritata con il cioccolato grattugiato e gli amaretti sbriciolati, unire parte dello zucchero a velo e i due tuorli. Disporre le mezze pesche in una pirofila da forno, precedentemente imburrata, riempirle con il ripieno di amaretti ed un fiocchetto di burro. Cuocere in forno a 190 gradi per circa 30 minuti. Servire a piacere tiepide o fredde cosparse di zucchero a velo.

Paperita Patty

L’orologio conteso

Mirella, in quanto gazza, com’è facilmente intuibile dal nome, ha un piccolo particolare che la distingue dagli altri uccelli: subisce il fascino degli oggetti luccicanti, è attratta da quelli particolarmente colorati, che adora rubare e nascondere. “Comunque”, tiene a precisare con gli altri pennuti, “andiamoci piano con le offese: io non sono una ladra. Diciamo che ho la tendenza ad appropriarmi delle cose belle anche se non sono mie. Ma non è un difetto, semmai una qualità. Mi piace il bello e di fronte al bello non resisto. Suvvia, e che sarà mai?“

Mirella è una gazza ladra bella e furba. Bella, poiché possiede un piumaggio iridescente che la rende del tutto particolare, come solo gli uccelli eleganti sanno di poter essere. A prima vista è bianconerama, a seconda della luce, s’intravedono riflessi color verde metallico e grigi. Ne è consapevole e lo fa pesare agli altri uccelli durante il volo, quando alterna veloci battiti d’ala a lunghe planate, inarcando il becco con aria altezzosa. Anche quand’è a terra cammina e saltella impettita, tenendo la coda sollevata. Si crede molto furba e scaltra, abituata com’è a fregare il prossimo. Ma Mirella, in quanto gazza, com’è facilmente intuibile dal nome, ha un piccolo particolare che la distingue dagli altri uccelli: subisce il fascino degli oggetti luccicanti, è attratta da quelli particolarmente colorati, che adora rubare e nascondere. “Comunque”, tiene a precisare con gli altri pennuti, “andiamoci piano con le offese: io non sono una ladra. Diciamo che ho la tendenza ad appropriarmi delle cose belle anche se non sono mie. Ma non è un difetto, semmai una qualità. Mi  piace il bello e di fronte al bello non resisto. Suvvia, e che sarà mai?“. Mirella va presa così com’è. Si ritiene, nonostante il difettuccio, una gazza senza aggettivo. E pretende di esser chiamata esclusivamente con il nome proprio. Comunque, visto che – pur negandone l’evidenza – un po’ ladra lo è nei fatti, ha accumulato un bel bottino nel nido che si è ricavata tra le travi del solaio della signora Brigida, l’anziana proprietaria della locanda del “Monte Camoscio”. Lì, nel fitto intreccio di ramoscelli, brillano gli oggetti racimolati durante le sue scorribande. Un bottone dorato, una spilla di latta, una fibbia argentata, alcuni tappi di metallo a corona, una moneta da cinquecento lire di quelle vecchie, con incise le tre Caravelle, il cappuccio di una stilografica. Tutte cose belle, luccicanti e quindi di valore. Ma da un po’ di tempo Mirella ha messo gli occhi sull’orologio del capostazione Ballanzoni. Amleto Ballanzoni è un omone sulla sessantina, con il volto incorniciato da una folta barba bianca. I bambini, per questo, l’hanno ribattezzato “Babbo Natale”.

***

Lui, sempre sorridente e pacioso, non se l’è mai presa. Anzi: la somiglianza con il caro e simpatico vecchietto gli garba, strappandogli un sorriso. Da poco meno di trent’anni dirige con fischietto e paletta la stazione ferroviaria di Baveno, sulla linea Milano-Domodossola. Un tempo era una fermata importante, ora un po’ meno, ma il signor Amleto, con in testa il suo berretto da Capostazione di prima classe in panno rosso e galloni dorati, non si scompone. Il dovere è sempre il dovere. “I treni devono viaggiare in orario”, dice scrutando orgoglioso il suo Perseo meccanico, a carica manuale, con la lucida locomotiva turca disegnata sulla cassa. Quest’orologio da tasca, fissato al panciotto con una catena d’argento, è il segno distintivo del ferroviere, quasi un segno del comando. L’orologio assume un’importanza vitale e deve garantire l’assoluta precisione nel calcolo dello scorrere del tempo per regolare il traffico su rotaia. Tutto dipende dal tempo: tabelle, orari, coincidenze, scambi. Tutto dipende dalla sincronia degli orologi. E quello in possesso di Amleto Ballanzoni non è un orologio comune: è un modello costruito appositamente per le Ferrovie dello Stato e quindi è “l’Orologio”, quello con la “o” maiuscola. Preciso e infallibile, da mantenere sincronizzato e perfettamente funzionante. “L’orologio per noi è un po’ come l’Arma dei Carabinieri: nei secoli fedele”, sentenzia al bancone del Circolo Operaio l’Amleto, lisciandosi la barba. Beh, magari non dura proprio dei secoli ma qualche decennio sì. E il suo Perseoera lì, testimone muto ma preciso, a confermarlo. Il destino del ferroviere e quello del suo orologio sono talmente indissolubili che, di norma, vanno in pensione insieme. Infatti, deposto il berretto e riconsegnato fischietto e paletta, l’orologio rimane di proprietà, quasi fosse una medaglia, un distintivo, un segno di riconoscimento per chi ha fatto parte della grande famiglia dei ferrovieri. Proprio a quell’orologio mirava la gazza ladra. Per Mirella rappresentava l’oggetto del desiderio. Un lucente e ticchettante trofeo da aggiungere alla sua collezione. Di più: il pezzo più pregiato, la “chicca” di cui potersi vantare a destra e manca. Iniziò a svolazzare con aria indolente attorno alla stazione. Un battito d’ali così svagato non avrebbe destato i sospetti del capostazione che, tra l’altro, non pareva avere – così almeno pensava Mirella – grandi conoscenze in fatto di uccelli e quindi particolare timore nell’avvistare nei dintorni il volteggiare di una gazza, per di più ladra. Così, nei giorni scorsi, è accaduto il fatto più inatteso e terribile che l’Amleto Ballanzoni si sarebbe mai immaginato di vivere: il furto dell’orologio. Un furto con destrezza, senza dubbio. E’ bastato un attimo di disattenzione, uno sguardo distolto dal prezioso oggetto che il signor Amleto aveva appoggiato sulla scrivania dell’ufficio, dopo averlo staccato dalla catenella per poterlo lucidare per bene, e… puff! Sparito! Il disperato capostazione ha frugato dappertutto, in un crescendo di agitazione e sconforto. Niente. Il suo Perseo non c’è più. Vero che la porta e la finestra erano come sempre aperte ma, mio Dio, e’ successo tutto così in fretta da non riuscire a farsene una ragione. Chi può essere stato? Il perché lo si intuisce: era un signor orologio che poteva senz’altro far gola a qualche malintenzionato. Ma, nonostante si sforzi di pensare a chi possa essere il colpevole, l’identità del ladro rimane un mistero. L’orologio si e’, come dire?, volatilizzato! Non immaginava, il pover’uomo, di aver fatto centro con quella definizione. Sì, perché proprio su di un volatile andava concentrata l’attenzione e, successivamente, la ricerca della refurtiva. Amleto Ballanzoni, però, non s’intende per nulla d’uccelli. Sa distinguere un passero da un’aquila solo per le dimensioni. Sa tutto su locomotive, convogli, linee, ma di ornitologia non conosce nulla. Buio pesto. Non sapendo distinguere un tordo da un merlo, una beccaccia da una poiana, immaginarsi cosa può sapere delle gazze e del loro “vizietto”. Così Mirella impreziosì la sua collezione e per un po’ se ne stette buona buona a rimirare i suoi trofei senza sentire l’impellente bisogno di dedicarsi al furto, alla rapina, all’altrui alleggerimento. Al capostazione, con il morale sotto le scarpe, non restò che arrangiarsi in qualche modo. Nell’attesa di comprarsi un orologio nuovo, pur con la consapevolezza che come il suo Perseo non ce ne sarebbe stato più di eguale, ha recuperato dalla soffitta il vecchio pendolo a cucù. E’ un ricordo della zia Ermelinda che, a  sua volta, l’ha ereditato dal signor Giustinetti, un impiegato alle poste svizzere di Martigny che d’estate e per molto tempo soggiornò in una camera d’affitto qui, sul lago Maggiore. Per ringraziare la zia delle gentilezze e di un certo qual affetto che aveva in lei trovato corrispondenza, lasciò come pegno d’amicizia il simbolo più indicativo del tempo per uno svizzero: un orologio. Nella fattispecie, un orologio a cucù. Esattamente questo che, pur impolverato e con la superficie tormentata da qualche scalfittura, mantiene – a dispetto dell’età – un invidiabile funzionamento. Il meccanismo é in buono stato ma il merito del suo pieno recupero va tutto ad Amleto che, con passione e curiosità, si diletta a smontare e rimontare tutti i meccanismi che gli capitano tra le mani. E’ un pezzo veramente raro della produzione tedesca di orologi a cucù di fine ‘800, e deve avere anche un discreto valore economico. Il frontale riproduce, stilizzandola, una tipica stazione ferroviaria dell’epoca, in foggia neogotica. “Quasi un segno del destino”, commenta l’omone, piacevolmente sorpreso dalla scoperta. Il cucù se lo ricordava vagamente e vederlo ora come riproduzione del suo ambiente di lavoro e di vita gli fa dimenticare per un po’ il magone del furto subito. Il movimento, revisionato e sincronizzato, consente – allo scoccare delle ore – l’apertura di uno sportello dal quale esce un uccellino che esegue un intonato canto del cuculo. Tutto questo ovviamente grazie alla suoneria, ma il piccolo volatile canterino sembra quasi vero. “Non è la mia cipolla”, borbotta Amleto, “ma non è neanche poi male e, in fondo, tiene bene il tempo che poi è giusto il mestiere che deve fare”.

***

Così, il pendolo a cucù ha preso servizio. La cosa non è passata inosservata nemmeno a Mirella che, finita la fase contemplativa, ha ripreso i suoi giri. Udito il canto del cuculo, si è precipitata a curiosare dalla finestra dell’ufficio della stazione. Ciò che vede la lascia interdetta, con il becco spalancato. “Mamma mia, che fusto! Che melodia, che ugola intonata”, dice tra se, incantata davanti alla visione dell’uccelletto di legno che fa capolino dal pendolo al battere dell’ora. Mirella ha un tuffo al cuore. Avverte il fascino irresistibile del maschio canterino e, turbata, guardandolo con occhio languido, se ne innamora così, su due zampe. Il classico colpo di fulmine, direte voi. Sì, “le coupe de foudre”, come dicono gli svizzeri tra Losanna e Ginevra. Roba da lasciare lì stecchita la gazza, che dimentica d’essere ladra e s’immagina stretta in un abbraccio a cinguettare fitto fitto con quell’esempio superbo di germanico volatile. Come fare ad attirare la sua attenzione? Come farsi vedere e fargli sentire il piacevolissimo brivido che le intirizzisce le piume? Aspetta rapita per ore, alternandosi in volo tra il davanzale della finestra e l’albero di fichi lì davanti. Ogni tanto il cuculo esce, canta e poi si ritira dietro l’anta di legno. Non sembra interessato alla presenza di Mirella. Quasi non l’avvertisse. La gazza è incredula. “Ma come? Non avverte, quel pennuto, il mio fascino? Non incrocia mai il mio sguardo. Anzi, mi pare che tenga sempre gli occhi fissi davanti a se… E quel suo rimanere lì, impettito come uno stoccafisso? E’ una mia idea o quello se la tira un po’? “. Mirella, come tutte le gazze, è caratteriale, piuttosto scontrosa, scorbutica. Ma il fascino esercitato da quell’uccelletto del cucù è troppo forte e lei, nonostante tutto l’orgoglio, non puo’ (e non vuole) resistergli. “Che sia sensibile ai regali?”, pensa Mirella. Dopotutto le gazze come lei subiscono l’attrazione dei bellissimi oggetti lucenti. Chissà che quell’uccello, per timidezza, non avendo il coraggio di volar via da quella strana casetta, non abbia bisogno di qualche incoraggiamento? Detto e fatto, Mirella vola al suo nido e, preso il bottone dorato, lo posa sulla mensola a fianco del pendolo a cucù. Allo scoccare dell’ora, puntualmente, l’uccelletto fa capolino cantando e, senza rivolgere lo sguardo né a destra né a sinistra, ritorna in casa, chiudendosi la porta dietro le spalle. Forse il bottone è un po’ misero, pensa la gazza, e poco per volta si priva di tutto il suo patrimonio, accumulato di furto in furto. In ultimo si priva anche del pezzo più pregiato: l’orologio sottratto al capostazione mettendo a segno il colpo più bello della sua vita. E’ innamorata persa, la povera Mirella. Innamorata senza speranza, ignara del fatto che l’uccello di legno dell’orologio a cucù non può corrisponderle l’affetto essendo lui, per l’appunto, un finto volatile. Così, dopo tutto quel darsi da fare senza ottenere in cambio nemmeno uno sguardo, con il cuore gonfio di amarezza, la gazza fa per riprendersi le sue cose ma – colmo della disperazione – oltre al bottone, ai tappi e alla spilla non trova più l’orologio. Amleto Ballanzoni l’ha visto sulla mensola e, incredulo, si è dato una gran manata in fronte: “Eccolo lì, il mio Perseo! Vecchio balordo, cominci a perdere i colpi! L’avevo davanti agli occhi e non riuscivo a vederlo da tanto ch’ero agitato. Meno male, va… D’ora in poi starò più attento a dove metto le cose”. Per il capostazione, recuperato il prezioso orologio, il caso era chiuso. E il pendolo a cucù? Ormai fa parte dell’arredamento. Funziona bene e, per di più, è perfettamente in “linea” con l’ambiente dato che raffigura una stazione ferroviaria. L’unica modifica che Amleto ha deciso di introdurre riguarda quel fastidioso cuculo che canta, monotono, ogni ora. L’eliminazione è avvenuta senza troppe storie. E’ bastato spegnere il meccanismo della suoneria con l’apposita levetta e l’uccello resta, segregato e silenzioso, dentro la sua casetta trasformatasi in prigione. Mirella, ormai disperata, vedendo quella porticina chiusa ha deciso di andarsene via, il più lontano possibile da quell’odioso uccello pieno di sé che chissà poi cosa credeva di essere. Volata via e stabilitasi sulle colline del Vergante, dalle parti di Massino Visconti, ha conosciuto una gazza maschio. I due vanno d’amore e d’accordo, rastrellando oggetti per abbellire la loro dimora nel bosco alle pendici del monte San Salvatore. Amleto Ballanzoni, a sua volta, fischia e agita la paletta all’arrivo e alla partenza dei treni nella sua stazione, con il berretto rosso in testa e l’orologio ben saldo alla catenella del panciotto. L’uccelletto di legno riposa nella penombra della sua dimora in attesa di tornare a cantare allo scoccare di ogni ora. Può darsi che accadrà presto ma noi non lo sappiamo. E poi questa è un’altra storia.

Marco Travaglini

Maschile e femminile nel mondo del vino

Un pomeriggio di incontri al Circolo dei Lettori  a Torino lunedi 9 giugno alle 18 nella Sala Biblioteca all’insegna della cultura del vino, contraddistinti dalla presentazione del libro di Maria Luisa Alberico, giornalista, docente sommelier e membro del Comitato Direttivo del Centro PannunzioVino è Donna da baccante a sommelier” Edizioni Pedrini. In dialogo con l’autrice la giornalista Franca Giusti e l’editore, Ennio Pedrini.

Il libro è il risultato della personale riflessione dell’autrice sul mondo del vino al femminile, frutto di oltre un ventennio di esperienza professionale come presidente dell’Associazione Donna Sommelier Europa. Il saggio si interroga sul rapporto odierno tra la Donna e il Vino e si sofferma sulla spinta verso un ritorno tutto al femminile ad attività che coinvolgono la Natura ed in particolare proprio quelle attività che si ricollegano al vino. In questa nuova propensione le donne mettono in gioco componenti quali empatia, cura, accoglienza e consapevolezza del proprio autonomo impegno, doti che richiedono di essere esplorate alla luce di in un passato che trae le sue chiavi di lettura nell’antropologia e nel mito, tanto che, questa è la tesi, il vino è, in modo originale e speciale, arcaicamente/archetipicamente donna.

Nel saggio si intersecano aspetti storici, antropologici e mitologici in vista di una nuova “alleanza” dei generi,proprio attraverso il mondo del vino e a favore dell’ambiente, della Natura e dei suoi frutti.

E proprio il tema dell’incontro tra maschile e femminile sarà lo spunto per una conversazione a più voci con l’esperienza diretta di una coppia di produttori, Cristina Marchisio e Federico Signetti dell’azienda Vignevolute di Montà d’Alba che ripercorreranno la loro vicenda familiare quale esempio affermativo di nuova “alleanza” nel mondo affascinante del vino, della sua storia, del suo territorio.

Al termine dell’incontro brindisi con lo spumante Brut metodo classico “ Diecigiugno.

Dott. Enrico Riggi: Tutto quello che c’è da sapere sugli Antiossidanti  

Iniziamo dalle basi: cosa sono esattamente gli antiossidanti?
“Gli antiossidanti combattono i radicali liberi (ROS) che sono i prodotti di scarto delle reazioni chimiche dell’organismo, si tratta di piccole particelle molto aggressive responsabili dell’ossidazione cellulare che è causa del nostro invecchiamento, più queste particelle aumentano maggiormente i nostri tessuti faticano. Come fare per sapere quale è il nostro grado di ossidazione? Molto semplice, sottoponendosi a due esami del sangue, il d-ROMs test che ci dice quanti radicali liberi abbiamo nel sangue e il BAP test che misura la capacità del nostro organismo di difendersi dai radicali liberi”.
Quali sono le principali fonti di antiossidanti?
“Tutti gli alimenti con polifenoli, frutta e verdura, soprattutto quelle colorate, frutti di bosco, melograno, pomodori, l’uva e poi il pesce, gli Omega 3, le noci. I radicali liberi cercano stabilità sottraendo elettroni ad altre molecole, danneggiandole. Gli antiossidanti reagiscono con reazioni chimiche di ossido riduzione “.
È vero che possono aiutare a prevenire alcune malattie?
“Certo, una dieta ricca di antiossidanti può ridurre il rischio di malattie cardiovascolari, diabete di tipo 2, Alzheimer e tante altre, praticamente tutte perché se un tessuto è ossidato si ammala più facilmente, esiste una predisposizione genetica per cui un organo è più debole di altri. Sfatiamo però il mito che possano essere tutti assunti solo con l’alimentazione; purtroppo la qualità del cibo non è quella di una volta ma soprattutto le dosi sono importanti, per assumere un grammo di vitamina C dovrei mangiare 12 arance, avremmo tutti la glicemia alle stelle ed è così che entrano in gioco gli integratori”.
Esistono rischi legati ad un eccesso di antiossidanti?
“Tutti gli antiossidanti presi in eccesso possono interferire con alcuni processi fisiologici e ossidare facendo quindi l’effetto contrario, andrebbero assunti a cicli di tre mesi se c’è una necessità dimostrata, per questo sarebbe bene sottoporsi ai test di cui parlavo prima”.
 Ci sono ricerche e studi promettenti in questo settore?
“Proprio la scorsa settimana sono stato ad un convegno a Barcellona dove si è molto discusso del nuovo Omega 11, dotato di un gran potere antinfiammatorio e antiossidante anche se preso a dosi minori rispetto agli altri antiossidanti. Interessante anche la ‘nutrigenomica’, vale a dire come gli alimenti influenzano l’espressione dei nostri geni”.
Esiste una relazione tra stress ossidativo e malattie croniche ?
“L’ossidazione fa partire le malattie croniche per le quali siamo più predisposti, per questo è importante assumere integratori validi, fra questi cito i fondamentali: la vitamina C, la D, la E, il resveratrolo, l’astaxantina, l’acido lipoico, il glutatione, gli Omega 3 ( antiossidanti indiretti) e il NAD per via endovenosa “.
Un discorso a parte meritano gli antiossidanti per il benessere del nostro cervello, come mantenerlo in salute?
“Prima di tutto consiglio di dormire bene e a sufficienza, di mangiare bene, no quindi ai cibi ultraprocessati, e di usare integratori come l’acido alfalipoico, la colina, la fosfatidilserina, la carnitina che permette l’ingresso di energia nelle cellule cerebrali, la carnosina che ci aiuta a ‘lavare’ il cervello da tutti gli zuccheri che vi si annidano e che sono tra i maggiori responsabili delle malattie neurodegenerative e infine il fattore BDNF per nutrire le nostre cellule cerebrali e promuoverne la crescita, una sorta di ‘fertilizzante’ per il cervello “.
Didia Bargnani

Il Gianduiotto di Torino, via libera all’Igp

Grande soddisfazione da parte del ministro Lollobrigida, del presidente della Regione Piemonte Cirio e dell’assessore Bongioanni

 

Il Giandujotto di Torino diventerà la decima lgp del Piemonte. E’ stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana la domanda di registrazione che segna l’avvio ufficiale dell’iter nazionale per il riconoscimento lgp di una delle specialità dolciarie fra i simboli più noti della città e del Piemonte. Saliranno così a 90 i prodotti piemontesi a denominazione d’origine tutelata fra Dop, Igp, Docg, Doc e Ig.

“Il sistema agroalimentare italiano – spiega il Ministro dell’Agricoltura e Sovranità Alimentare, Francesco Lollobrigida – è composto di innumerevoli eccellenze del nostro territorio. Avere compiuto oggi un altro passo in avanti per il riconoscimento del GIandujotto tra i prodotti certificati lgp significa premiare il lavoro fatto. Il Giandujotto è un’eccellenza, espressione di sapienza tramandata di generazione in generazione, gusto unico e identità piemontese e italiana. Quando otterrà il disciplinare acquisterà ancora più forza sul mercato e ne verranno tutelate le sue caratteristiche inimitabili. Siamo orgogliosi di essere al fianco dei produttori”.

“Abbiamo lavorato per mesi per raggiungere questo risultato – afferma il presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio – un risultato che rappresenta il riconoscimento della storia e della tradizione di un’eccellenza del territorio. Valorizzare i nostri prodotti è fondamentale per farli conoscere sempre di più e anche per renderli più competitivi sui mercati internazionali”.

“Per il Piemonte è un traguardo che vale doppio – spiega con grande soddisfazione l’Assessore al Commercio, Agricoltura, Caccia e Pesca, Parchi della Regione Piemonte Paolo Bongioanni – Una specialità che porta il nome di Torino e del Piemonte nel mondo vede finalmente riconosciuta la sua qualità, la tradizione manifatturiera dei nostri laboratori e soprattutto l’impiego tutelato della pregiata Nocciola Tonda Gentile prodotta nel nostro territorio, che trova una sua straordinaria possibilità di rilancio. Ringrazio personalmente il ministro Francesco Lollobrigida per aver seguito personalmente, insieme alla sua struttura, l’iter del disciplinare di produzione affinché rispondesse alle severe norme europee richieste per il riconoscimento.

Ora la strada è in discesa. Il GIangujotto di Torino lgp potrà entrare nel club degli ambasciatori di eccellenza della nostra regione e fregiarsi del brand “Piemonte is-Eccellenza Piemonte”.

Il disciplinare di produzione, già approvato dalla Regione Piemonte, era stato presentato lo scorso marzo al Ministero dell’Agricoltura, Sovranità Alimentare e delle Foreste dal Comitato Giandujotto di Torino, che riunisce circa una quarantina tra artigiani e aziende del settore, presieduto dal maitre chocolatier Guido Castagna e con il coinvolgimento della storica azienda Lindt-Caffarel. I funzionari del Ministero hanno verificato la conformità del disciplinare ai metodi tradizionali di produzione durante una riunione di pubblico accertamento, confermandone la validità.

Il percorso per l’ottenimento dell’lgp era stato avviato ne lontano 2017, ma aveva subito alcune battute di arresto in seguito alle osservazioni presentate dal gruppo svizzero. Tra i punti centrali del documento l’esclusione del latte in polvere, coerentemente con le tecniche ottocentesche di produzione che si intendono salvaguardare, e l’obbligo di utilizzare una determinata percentuale di Nocciola Piemonte Igp.

In assenza di opposizioni il dossier pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale sarà ora trasmesso alla Commissione Europea, che avvierà la fase istruttoria a livello comunitario per il riconoscimento ufficiale dell’lgp.

Mara Martellotta

 

Il Mocha Mousse e i suoi abbinamenti. 1^ parte

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Proseguiamo a parlare del Colore dell’anno 2025, il Mocha Mousse, tonalità di marrone della quale ora, anche grazie alla sua diffusione, abbiamo ben percepito l’esistenza e stiamo conoscendo la versatilità.

Proprio questa è la caratteristica principale di questo colore: riuscire ad assumere connotazioni e, quindi, veicolare messaggi diversi a seconda degli abbinamenti con altri colori. E’ straordinario, se consideriamo che il Mocha Mousse è già di per sé un colore con caratteri originali, dei quali si è detto all’articolo precedente: un colore classico, raffinato, sofisticato.

Come si abbina il Mocha Mousse per avere effetti diversi?

Il carattere classico e senza tempo viene enfatizzato dagli abbinamenti con il marrone cioccolato, con marroni freddi, con i taupe, i crema, i beige, i cipria. L’abbinamento con i taupe e i cipria trasmette tranquillità. Gli abbinamenti con il cioccolato, il beige, il crema denotano maggiore personalità. Tutti sono sofisticati. Altrettanto lo è quello tra Mocha Mousse e il nero: splendido e sofisticato, trasmette autorevolezza.

Importante avere presente che possiamo abbinare il Mocha Mousse sia a colori caldi sia a colori freddi e, in tema di abbigliamento – di cui si occupa questa rubrica – mai si possono indossare più di tre colori, in proporzione diversa, accessori compresi. Questo non è un dettaglio, ci aiuta a comprendere perché talvolta, guardandoci allo specchio, notiamo “qualcosa che non va”. Se riguarda il colore, può essere l’abbinamento, la proporzione tra i colori o la loro collocazione nella figura.

Altrettanto raffinati – e meno scontati – possono essere alcuni abbinamenti del Mocha Mousse con colori non in tonalità o non neutri.

Penso alle tante tonalità del rosa, fredde e calde. Ne ho scelte tre, che ravvivano il Mocha Mousse mantenendolo elegante, senza tempo e aggiungendo una nota di sottile vivacità. Come scegliere quello migliore per ciascuno? Sulla base della classificazione secondo l’Ora del Giorno, di cui ho scritto. Le nostre caratteristiche fisiche, insieme alle preferenze, ci indicheranno la tonalità (in questo caso del rosa) da scegliere.

Altra scelta da suggerire: il blu. Anche qui vi mostro tre tonalità di blu molto diverse tra loro da abbinare al Mocha Mousse per un effetto di contrasto sofisticato. Quale scegliere? Dipende dalle vostre caratteristiche. E il blu, anche nelle fantasie, è splendido con il Mocha Mousse anche nella stagione estiva, della quale parleremo nel prossimo articolo

Chiara Prele

 

 

Eataly Lingotto, a Torino “Tutti i colori del bianco”

Giovedì 5 giugno prossimo, presso Eataly Lingotto, Go Wine promuove l’evento dal titolo “Tutti i colori del bianco”, dedicato al vino bianco italiano: al banco d’assaggio dell’enoteca sarà presente una selezione esclusiva di bianchi d’autore. Alcune cantine presenteranno in assaggio lo stesso vino prodotto in due annate differenti. La selezione presenterà molte varietà a bacca bianca in un contesto esclusivo per ricchezza e varietà di proposte. Un’originale degustazione spazierà dalle Alpi alla Sicilia e valorizzerà vitigni e realtà del bianco italiano, coinvolgendo nomi prestigiosi dell’enologia italiana in una sorta di viaggio intragenerazionale tra vini bianchi di razza. L’evento si svolgerà nella location di Eataly Lingotto, in via Ermanno Fenoglietti 14, e l’invito è rivolto a professionisti del settore, soci Go Wine e simpatizzanti. Tra i bianchi nostrani presenti, tra gli altri, L’Erbaluce di Caluso e il Gavi.

La parte food sarà gestita da Eataly, che proporrà una selezione di eccellenze gastronomiche con un menù di assaggi che potranno essere acquistati in loco. L’evento si svolgerà su due distinti turni, il primo riservato agli operatori del settore, a partire dalle 16.30 fino alle 18, tra cui giornalisti e professioni del settore, e un secondo turno di apertura del banco d’assaggio al pubblico di appassionati, dalle 18 alle 22.

 

Mara Martellotta

Da Torino città ai campi tra i laghi: la favola agricola di Fabio Tofi e Alessandra Bernardi

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SCOPRI – TO   ALLA SCOPERTA DI TORINO

È torinese Alessandra e insieme al suo compagno Fabio ci accompagna alla scoperta del loro luogo magico, un luogo che ha conquistato il cuore di molti piemontesi: l’azienda agricola “La Terra dei Due Laghi”, incastonata tra il Lago Maggiore e il Lago d’Orta.
La terra dei Due Laghi non è solo una semplice realtà agricola; è il frutto di un sogno, della caparbietà di un ragazzo che ha deciso di costruirsi un futuro con le sue mani, partendo da zero.
Fabio aveva appena 18 anni quando ha preso una decisione che ha cambiato la sua vita: aprire un’azienda agricola. Mentre molti si chiedevano “cosa posso fare di nuovo?”, lui ha scelto una via inaspettata: coltivare zafferano. Ma non un qualsiasi zafferano: ha recuperato una varietà autoctona piemontese, quasi dimenticata, e l’ha fatta rinascere nei campi della sua famiglia.
Fabio ha cominciato la sua attività con la gavetta più dura, non arrivava da una tradizione di famiglia (il padre assicuratore, la madre medico) ma aveva un suo sogno e tanta caparbietà. Era presente nei mercatini più piccoli dove spesso ci rimetteva affrontando giornate in cui il costo del banco superava di gran lunga il ricavato dalle vendite. Tornava a casa a mani vuote, stanco, ma mai sconfitto. In quei momenti, in cui sarebbe stato facile mollare tutto, ha scelto invece di stringere i denti e andare avanti.
La svolta è arrivata quando il direttore di Coldiretti Novara lo ha notato e gli ha detto chiaramente: “Tu devi diventare presidente”. Così Fabio è diventato il più giovane presidente Coldiretti d’Italia, un riconoscimento che ha acceso i riflettori su di lui.
Poco dopo, in uno di quei mercati, un giornalista del Gambero Rosso lo ha definito “il re dello zafferano” in un articolo che gli ha aperto le porte del successo. Da quel momento, La Terra dei Due Laghi ha iniziato a diventare un punto di riferimento per gli amanti del buon cibo e delle storie autentiche.
All’inizio non c’era ancora un punto vendita fisico: Fabio coltivava, produceva e vendeva da casa o alle fiere. Oggi, invece, l’azienda ha un volto, un luogo curatissimo, costruito con materiali riciclati e decisamente accogliente. L’8 novembre scorso ha inaugurato il punto vendita e la nuova area dedicata agli aperitivi, immersi tra i filari di nocciole, i campi di zafferano e le vigne.
Lo zafferano resta il cuore dell’attività: l’azienda è oggi il terzo impianto italiano per produzione, con 6-7 chili annui. Ma attorno a questo oro rosso, Fabio ha costruito un vero e proprio ecosistema agricolo: prodotti a base di zenzero, nocciole, miele (grazie alle sue api), pasta, torte e dolci realizzati da terzisti di fiducia e poi selezionati per essere venduti o usati per gli aperitivi.
Oggi Fabio ha 24 anni e continua a non fermarsi: durante la stagione invernale lavora sulle piste da sci per mettere da parte il denaro necessario ad acquistare nuovi terreni in primavera. Si sporca ancora le mani, guida il trattore, cura ogni dettaglio, ma allo stesso tempo è un comunicatore naturale, capace di fare rete, coinvolgere mondi diversi e raccontare la bellezza della vita agricola con autenticità.
Non sono mancati i momenti difficili, quelli in cui avrebbe potuto gettare la spugna, ma Fabio ha capito una cosa fondamentale: nella vita non bisogna rincorrere il successo è il successo che arriva, se davvero nel proprio lavoro ci si dedica con tutto sé stessi, senza compromessi e senza scorciatoie. Lo si conquista quando si diventa così bravi da non poter più essere ignorati.
Accanto a lui c’è Alessandra, lei ha un altro lavoro, ma ogni volta che può è in azienda, per affiancare Fabio col suo spirito prettamente torinese analitico e concreto contribuisce con passione al progetto. Insieme Fabio e Alessandra trasmettono l’amore per una terra che non è solo lavoro, ma anche bellezza, identità e possibilità.
Una storia vera, fatta di fatica, visione e coraggio. Una storia che, nata tra i laghi del Piemonte, continua a crescere ed essere apprezzata e di esempio anche qui, a Torino.
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Noemi Gariano

Giro d’Italia europeo

Proprio mentre sta per passare il Giro d’Italia nel Canavese, da dove sto scrivendo, mi vengono spontanee alcune riflessioni.

Da alcuni anni la partenza del Giro avviene all’estero (nel 2022 da Budapest, quest’anno da Durrës) per poi proseguire nel nostro Paese fino all’arrivo.

Certo, viene meno il significato di Giro d’Italia stante che una parte, benché minima, avviene in territorio straniero, ma a parer mio conta dove avvenga la maggior parte del percorso.

Analogamente avverrà con la Vuelta, analogo spagnolo del nostro Giro, che partirà da Venaria Reale e che nel 2023 partì dall’Olanda.

Una commistione di luoghi stranieri in un evento che da sempre è, invece, caratteristico di un Paese, con i suoi colori ben definiti (giallo per il Tour de France, rosa per il nostro Giro e rosso per la Vuelta) può significare molto, a seconda di quale metro si usi: abbattimento ideale dei confini e dei nazionalismi, inserimento nel percorso di difficoltà che, forse, nel proprio territorio non esistono (si pensi alle altitudini nostrane rispetto a quelle spagnole) o altro.

Resta il fatto che io, personalmente, sono incerto se accogliere con piacere questa innovazione o considerarla una modernizzazione fuori luogo di un evento storico.

Si potrebbe per esempio creare un Giro d’Europa settentrionale, uno per l’Europa meridionale e idem per quella centrale, oppure togliere l’attributo nazionale, chiamandole soltanto Giro o Tour.

La cosa che, però, veramente mi lascia interdetto è che questa modernizzazione avviene proprio mentre dal punto di vista politico l’Europa sta marciando in direzione opposta, ovvero nella direzione dei nazionalismi, del mantenimento delle tradizioni e delle identità nazionali.

Ad una prima analisi si potrebbe rispondere che gli eventi sportivi citati siano in realtà organizzati non dagli Stati in cui l’evento ha l’arrivo ma dai Giornali che possono, ora in un modo ora in un altro, essere filogovernativi o esserne antagonisti, com’è attualmente per la maggior parte dei nostri o da Associazioni come l’Amaury Sport Organisation che, in ogni caso, fa capo al quotidiano l’Equipe.

Occorre dire che gli eventi professionistici stanno allo sport come l’arte sta alla grande industria, per cui lo stesso gruppo un domani potrebbe smettere di seguire il ciclismo per dedicarsi alle regate.

Il motivo per cui da alcuni anni queste partenze non avvengano più in territorio nazionale non è chiaro e potrebbe proprio essere un segnale in controtendenza con la politica di chiusura attuata da alcuni Paesi.

Certo è che lo sport dovrebbe essere apolitico, apartitico e, soprattutto, unire i popoli anziché dividerli o porli su rive opposte; altrimenti si rischia di assistere nuovamente a episodi come quello delle Olimpiadi di Berlino nel 1936 dove moderni Hitler rifiuteranno di stringere la mano agli Owens di quel contesto.

Ed è simbolico che proprio l’Ungheria, attualmente uno dei Paesi più nazionalisti, abbia dato il via al nostro Giro nel 2022.

Non sarà, per caso, che dove arrivano sponsorizzazioni e ricadute economiche fantastiche la politica va in vacanza per qualche giorno? 

Sergio Motta

Associazione Socratè: Cultura e Inclusione con Maria Antonietta Floscio

L’Associazione Socratè, attiva sul territorio da diversi anni, si distingue per il suo impegno nella promozione della cultura, del pensiero critico e dell’inclusione sociale. Fondata su valori di dialogo, partecipazione e crescita collettiva, l’associazione organizza regolarmente incontri, laboratori e progetti formativi aperti a tutte le età e provenienze.

Figura centrale dell’associazione è Maria Antonietta Floscio,Presidente e fondatrice,volontaria, attivista culturale, che con passione guida le attività di Socratè. Il suo approccio unisce rigore pedagogico e umanità, con l’obiettivo di offrire spazi di confronto e riflessione accessibili e stimolanti.
Grazie a Socratè, molte persone hanno trovato un luogo dove esprimersi liberamente, approfondire temi filosofici, letterari e sociali, e soprattutto sentirsi parte di una comunità attiva e accogliente. Un’associazione che, proprio come il filosofo da cui prende il nome, crede che la vera crescita passi dal dialogo.

Enzo Grassano