LIFESTYLE- Pagina 14

Il mare sotto i portici: “La Costa”, l’anima mediterranea di Torino

SAPORE DI SALE, STORIE DI CUCINA 

di Vincenza Giustino

Passeggiare sotto i portici di Torino in una serata autunnale fredda e ventosa riporta alla mente nostalgie di stagioni lontane, di giornate luminose e vacanze ormai passate, quando il vento del mare ti accarezzava e ti lasciava il sale sulla pelle.

Ed è proprio lì, in quell’angolo di corso Vittorio Emanuele II dove un tempo sorgeva lo storico Caffè Stadium, che quell’onda di ricordi ti trasporta… e ti fa approdare a La Costa. Un locale che, nel nome, evoca il mare, ma che oggi racconta anche un nuovo modo di vivere Torino, tra memoria e modernità.

Per alcuni torinesi quell’angolo era un punto di riferimento per il caffè storico, ma pochi sanno che in quella zona sorgeva davvero uno “Stadium”. In occasione dell’Esposizione Universale del 1911 fu costruito lì un grande complesso sportivo, proprio accanto alla vecchia Piazza d’Armi. Non solo: quella struttura fu il primo stadio del Torino e, all’epoca, uno dei più grandi mai realizzati –  persino più imponente di quelli di Atene e di Londra.

L’area dello Stadium (1910-1946)

Oggi quello spazio racconta un’altra storia: La Costa, ristorante dallo spirito del mare, ha raccolto l’eredità dello Stadium trasformandola in un ritrovo contemporaneo e creativo, che porta sulla tavola un’idea di Torino che guarda al mare.

Un pescato sempre attento alla stagionalità del pesce e degli ingredienti, alla qualità delle materie prime e all’equilibrio dei sapori: il tutto accompagnato da una cantina di vini studiata per abbinare al meglio ogni piatto- non solo di mare, ma anche di terra- per non dimenticare il legame con il territorio, come i plin della tradizione piemontese al sugo d’arrosto o il brasato della tradizione al Barolo. 

Dal mare arriva un polpo cotto in tre versioni, tenero, profumato, che racconta tecnica e passione. Poi la tartare di tonno, precisa e raffinata, fino ai sapori che ti fanno viaggiare in costiera amalfitana, con le linguine di Gragnano con scampi e limoni ischitani; un omaggio a nonna Maria, dal gusto sublime e che si scioglie in bocca e ti porta lì sulla costa. Ma anche proposte di terra, come una mozzarella di bufala o gli spaghetti ai tre pomodori del piennolo del Vesuvio, e molti altri piatti che raccontano una cucina capace di avvolgerti con quel comfort fatto di semplicità

Un gusto che ti strega, ti avvolge e ti riporta lì, per qualche ora, in una location intima e raffinata che sa di casa, ma che rincorre sempre l’innovazione nel modo di presentare gli aromi del mare e della sua natura – quella che, come un’onda, ti porta via in un equilibrio di sapori autentici e veri. E anche se a Torino il mare non c’è, qui, tra profumi e delizie la Costiera Amalfitana sembra davvero a un passo.

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Chieri si prepara alla Fiera Nazionale di San Martino

Tutto pronto per la 47^ edizione della tradizionale “Fiera” che, per cinque giorni, parlerà di “sapori”, “cultura” e mille “curiosità” del territorio

Dal 7 all’11 novembre

Chieri (Torino)

Presentata nei giorni scorsi presso la “Sala Panoramica” della sede della “Città Metropolitana di Torino”, è ormai pronta al via la chierese “Fiera di San Martino 2025”, con un’edizione – la 47^ – più che mai ricca di novità, spettacoli, sapori del territorio, cultura, saperi artigianali e sicuramente con tutte le carte in regola per una grande partecipazione cittadina. E non solo. Da venerdì 7 a martedì 11 novembre, saranno cinque giorni pieni pieni di eventi capaci di coinvolgere, ai più vari livelli, chieresi e “forestieri” dei dintorni.

“La ‘Fiera di San Martino’ – dichiara Alessandro Sicchiero, sindaco di Chieri e Consigliere con delega all’‘Ambiente’ della ‘Città Metropolitana di Torino –  rappresenta, da sempre, uno degli appuntamenti più sentiti e identitari per la nostra comunità. È un momento di incontro, di scambio e di riscoperta delle nostre radici, ma anche un’occasione per guardare al futuro con spirito di innovazione e condivisione. Anche quest’anno vogliamo rinnovare questo legame profondo tra la città di Chieri, il suo territorio e le persone che lo animano ogni giorno: agricoltori, artigiani, commercianti, associazioni, famiglie e giovani. Questa edizione in particolare non sarà soltanto un evento di tradizione, ma un laboratorio vivo di valorizzazione del territorio. Vi aspettiamo numerosi per vivere, ancora una volta, la nostra Chieri in tutta la sua bellezza e vitalità”.

Prima novità di quest’anno, l’organizzazione affidata per la prima volta alla “SGP Grandi Eventi”, realtà, con sede a Carpi (Modena), che vanta un’esperienza trentennale nell’ideazione e gestione di grandi momenti ed iniziative di marketing territoriale, attiva in Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte, Toscana ed Umbria. Accanto ai tradizionali connotati da anni identificativi della “Fiera”, la promessa di quest’anno è l’aggiunta di alcune “frizzanti novità” pensate per coinvolgere e appagare un pubblico sempre più ampio e variegato. Ecco allora alcune delle tante proposte in agenda.

Per gli “amanti del buon cibo” Piazza Cavourospiterà l’area somministrazione aperta tutto il giorno fino a tarda sera, consentendo di fermarsi per un aperitivo, pranzare, cenare, degustare prodotti tipici, in stand gastronomici selezionati che proporranno piatti tradizionali o innovativi, prodotti del territorio e specialità stagionali. Un ulteriore punto forte dell’edizione 2025 sarà la presenza di “critici gastronomici”di fama nazionale che condurranno il pubblico nel degustare e commentare le specialità locali protagoniste della “Fiera”, dal “Freisa”, al “grissino Rubatà”, dalla “focaccia dolce” al “Galucio ‘d Cher”. Prim’attori, due grandi firme del “giornalismo gastronomico” italiano: Edoardo Raspelli (protagonista di un talk sulla “panificazione piemontese” in dialogo con Mario Fongo, il “Panatè” di Rocchetta Tanaro e con Elisa Merlo dell’ Agriturismo “San Desiderio” di Monastero Bormida) e Paolo Massobrio, che condurrà un focus sul “distretto del cibo” e un incontro dedicato alla “carne piemontese”. Sempre restando in tema culinario (ma anche artigianal-artistico), uno dei momenti più attesi della cinque giorni chierese sarà la presentazione della maxi installazione “Chieri”, una scritta in “formato xxl” realizzata interamente in “focaccia dolce”. L’opera, composta da oltre 30 focacce artigianali per un peso complessivo di più di 30 chilogrammi, avrà dimensioni imponenti – 4,5 metri di lunghezza per 1,5 di altezza – e rappresenterà il tributo a uno dei simboli della gastronomia chierese, realizzato da “maestri pasticceri locali” per celebrare il valore del lavoro artigiano e delle eccellenze piemontesi. Piazze e vie del centro storico ospiteranno spettacoli itineranti: performance circensi e musicali (particolarmente attesi “I Tamarros” e la “Brianza Parade Band”), senza dimenticare anche momenti speciali per i più piccoli, con laboratori e animazioni pensate per le famiglie. Le attività commerciali di Chieri saranno chiamate a svolgere un ruolo centrale: negozi, ristoranti, bar, botteghe artigiane parteciperanno con iniziative promozionali, vetrine a tema, menù speciali ispirati ai prodotti del “Distretto del Cibo”.  Immancabile anche l’appuntamento con la “storica esposizione di macchinari agricoli”, la fattoria e i laboratori didattici, che caratterizzano la “Fiera” fin dalle sue origini.

Momento clou, la consegna del nuovo Premio “Chieri D+”, onorificenza istituita per dare lustro a persone e realtà che si sono distinte nel campo culturale, sociale ed economico della città e che per il 2025 sarà conferito a Sergio Cherubin, musicista, promotore e ideatore del Progetto “Drum Theatre”, per il suo costante impegno nell’offrire percorsi educativi tesi ad avvicinare bambini e ragazzi alla musica attraverso spettacoli coinvolgenti e dinamici. Per ulteriori info e programma dettagliato:www.sgpgrandieventi.it o www.comune.chieri.to.it

g.m.

Nelle foto: Le Istituzioni alla presentazione in “grembiale da festa” e immagini di repertorio

Alcott riapre il Flagship a Torino tra stile e tecnologia

Il 31 ottobre scorso ha riaperto in piazza Castello, a Torino, il punto vendita torinese del brand maschile contemporaneo Alcott, parte del Gruppo Capri, a cui fa capo anche Gutteridge. Nell’ambito del percorso di rebranding, e quello di rinnovamento che sta ridefinendo la propria identità, Alcott riapre il suo spazio di piazza Castello, pronto ad accogliere i clienti con un format moderno e interattivo. La riapertura del punto vendita torinese si inserisce in un più ampio piano di espansione nazionale e internazionale del marchio, che fa parte del Gruppo Capri, realtà napoletana proprietaria anche del brand Gutteridge. Dopo la recente riapertura della sede di via Torino, a Milano, il progetto proseguirà con nuove aperture in Italia e all’estero, tra cui Sorrento e cinque nuovi store in Marocco. Il negozio di Torino presenta un ambiente completamente rinnovato, dove design, tecnologia e interazione si fondono per offrire una shopping experience evoluta: dall’integrazione dell’IA, nel customer care, fino alle casse self service, e a un layout immersivo che accompagna il cliente in un percorso dinamico tra moda e innovazione.

“La riapertura dello store di Torino rappresenta un nuovo passo nel corso di crescita e valorizzazione del marchio Alcott – dichiarano Salvatore e Francesco Colella, AD del Capri Group – questo progetto incarna la nostra visione di retail esperienziale, capace di coniugare tecnologia, design e relazione con il cliente, rafforzando al contempo la presenza del Gruppo sui mercati nazionali e internazionali”.

Gian Giacomo Della Porta

Torino e i suoi Caffè. Una passeggiata tra storia e leccornie

Novembre induce di solito i torinesi ad avvolgersi in calde sciarpe e cappotti , li osserva nascondersi sotto ingombranti ombrelli e sorride ascoltando le litanie mattutine dei lavoratori che sbrinano le macchine alle prime ore del giorno. Quest’anno il tempo è migliore.


Incombe comunque la Brutta Stagione, inarrestabile, indossa per mantella la fine nebbia albina, scarpe impermeabili atte a pestare le pozzanghere, mentre sul volto le permane un broncioperenne.
Come farla sorridere allora, nella speranza che acconsenta ad un podi bel tempo?
Sicuramente una bella passeggiata per Torino potrebbe aiutare lInvernale Signora a cambiare umore; certo, è necessario che si tratti di un girettocome si deve, attraverso quei luoghi che portano gioia, scaldando il cuore e solleticando lo stomaco.
Come si suol dire, prendiamola per la golala nostra Uggiosa Ospite.
Daltronde, come diceva Guy de Maupassant, Soltanto gli idioti non sono buongustaie solamente chi sceglie di crogiolarsi nel proprio malessere può rimanere indifferente ai molteplici e golosi locali cittadini.
Iniziamo dunque questo iterallinsegna del piacere del palato, e, mettendoci con le spalle alla Gran Madre, incamminiamoci.
Non faremo percorrere molta strada alla Signora nata sotto il segno dello Scorpione prima di fermarci alla prima tappa, poiché si tratta del Caffè Elena, caro a Cesare Pavese, uno dei maggiori intellettuali italiani del XX secolo, scrittore, poeta, traduttore e critico letterario vissuto nella prima metà del Novecento; chissà su quale tavolino sedeva mentre pensava alla sua  Constance e abbozzava il suo ultimo romanzo La luna e i falò”?
Prima di entrare sbirciamo velocemente lottocentesco palazzo progettato dallarchitetto Giuseppe Frizzi che ospita il locale e scegliamo una postazione da cui poter godere della vista sullampia Piazza Vittorio. Il via vai continuo conferma il luogo come vivo punto dincontro per giovani, turisti e per chiunque voglia giocare a fare il   bohémien. Allinterno il Caffè presenta un arredamento di inizio Novecento, le linee sinuose care al Liberty contraddistinguono unatmosfera antica, come se si entrasse in una dimensione passata, intrappolata nella amara felicità del secolo breve. E ora che ci siamo ambientati, cosa ordinare? Proporrei un aperitivo, magari un      vermouth, ossia quel liquore tipico torinese, ideato nel corso del Settecento da Antonio Benedetto e perfezionato proprio tra le mura del Caffè Elena – da Giuseppe Carpano, verso il terminare dellOttocento.
Un podi calore liquido e subito le gote della Dama della Terza Stagione si colorano come le foglie degli aceri in autunno. Ha ragione Edward Bloom, protagonista dellonirico film Big Fish, quando medita che quasi tutte le creature che consideriamo malvagie o cattive, sono semplicemente sole. E magari mancano un po’ di buone maniere.
È  ora di proseguire.
Pochi minuti ci separano dalla prossima tappa, il minuto Caffè Ghigo, celebre bar-pasticceria situato sotto i portici di via Po.
Fino al 1850 il locale era adibito a latteria, qui si producevano formaggi, tomini e latte. A partire dagli anni Settanta dellOttocento lattività alimentare lascia spazio al Caffè, nasce dunque Ghigo, ricercata pasticceria torinese, rispettosa delle antiche tradizioni culinarie.
Non c’è posto per sedersi allinterno, le consumazioni si effettuano in piedi, appoggiati al marmoreo bancone ondoso, scambiando qualche sorriso con il personale premuroso. Le leccornie audacemente esposte in vetrina costringono i passanti ad entrare, e, una volta superata la soglia, un odore di dolciumi e zucchero a velo inebria laria, rendendo impossibile non ordinare qualcosa senza panna.
Tra bignole e salatini spicca la nivea Nuvola, specialità torinese e prodotto unico nel suo genere; si tratta di un languido pandoro ricoperto di crema di burro e zucchero a velo, un soffice dolce capace di ammorbidire i cuori più congelati.
Ma è già ora di andare. Ancora con le labbra inzuccherate ci allontaniamo, verso nuovi stuzzicanti orizzonti.
Arriviamo fino al numero 8 di via Po, ed entriamo in quello che un tempo era noto come Caffè dei codini. Eccoci di fronte a Fiorio, locale particolarmente apprezzato dai nobili torinesi durante la Restaurazione, è stato un punto di ritrovo fortemente politicizzato, così come testimoniano i soprannomi che allepoca accompagnavano la dicitura sullinsegna: Caffè Radetzkyo caffè Machiavelli. Una clientela decisamente schierata, in evidente contrapposizione agli ardenti patrioti frequentanti il Caffè Calosso presso lallora via Dora Grossa attuale via Garibaldi -.
Le discussioni che avvenivano allinterno delle sale lucenti di specchi avevano larga eco, lo stesso re Carlo Alberto (1798-1849) a quanto pare – era solito iniziare la giornata chiedendo Che si dice al Caffè Fiorio?La fama del luogo è confermata anche dalle parole di un anonimo, il quale nel 1845 scrive: Di nobilitade emporio/ chiuso alla plebe vile/ risplende il caffè Fiorio/ che in sua grandezza umile/ solo ornamenti apprezza/ del tempo di Noè:/ evviva la bellezza/ del nobile Caffè”.
Verso la metà dellOttocento il locale viene impreziosito dagli interventi di artisti come Francesco Gonin (1808-1889) e Giuseppe Bogliani (1805-1881), anche se sono diverse le ristrutturazioni che il locale subisce nel tempo, tra queste di particolare importanza fu lintroduzione delle lampadine, escamotagea gas che, a partire dal 1838, contribuì a rendere ancora più gradevole la permanenza degli ospiti tra le sontuose sale.
Certamente mangiare bene aiuta a discorrere meglio, lo dimostrano inoltre le testimonianze risorgimentali, che attestano tra quelle mura damascate il ritrovo di intellettuali e politici del calibro di Urbano Rattazzi, Massimo D’Azeglio, Camillo Benso Conte di Cavour o Cesare Balbo.
C’è da chiedersi quanti fogli e appunti abbiano macchiato tra una coppa di gelato e una cioccolata calda.
Mentre rendiamo più vicini a noii grandi del nostro passato, immaginandoli felici e impiastricciati, usciamo dal bar dorato e proseguiamo su questo pellegrinaggio del gusto.
Arrivati in Piazza Castello è nuovamente ora di intrattenersi al caldo di un locale.
Sono le vetuste vetrine di Mulassano a fermarci. Celebre e storico bar torinese, aperto nel 1907 e originariamente frequentato soprattutto dagli artisti del Teatro Regio. Il Caffè viene messo in vendita dai proprietari intorno agli anni Venti del Novecento e successivamente acquistato dai coniugi  Angela e Onorino Nebiolo, da poco tornati in patria dallAmerica. I nuovi possessori desideravano ridare vigore agli affari del locale e idearono nuove proposte alimentari per accompagnare gli aperitivi. Nascono così il toaste quel particolare panino che Gabriele DAnnunzio battezzò “tramezzino.
I posti a sedere sono pochi, lambiente è raccolto e spinge gli astanti a sedersi inconsciamente vicini; le chiacchiere dei commensali si mescolano con eleganza, adattandosi allambiente circostante e simulando le note dei musicisti dellorchestra regia.
La maratona cibaria non è ancora finita, ma inizio a intravvedere un podi stanchezza sul volto della nostra commensale. Non è il caso di esagerare, anche se credo che ancora un paio di luoghi sia il caso di visitarli, prima di salutarci.
Usciti dal piccolo Mulassano, è ora di dirigersi verso la regale Piazza San Carlo.
Lora si fa tarda e la folla del centro impazza, siamo immersi in un flusso senza direzione, c’è chi chiacchiera al cellulare, chi improvvisamente si ferma a guardare la merce dei negozi, chi invece sollecita i compagni ad accelerare il passo. Anche la Dama delle Piogge si sente in dovere di amalgamarsi alla modalità generale e a mala pena riusciamo a scorgere le vetrine di Baratti, altro elegante e rinomato locale torinese, confetteria fondata nel 1858 da Ferdinando Baratti e Edoardo Milano il cui nome completo infatti è Baratti&Milano -.
Fin dallinaugurazione il luogo colpisce per il suo sfarzo, come testimonia un cronista dellepoca: Lo sfarzo e il buon gusto qui se la contendono. Specchi di grande superficie, sculture in legno di noce artisticamente eseguite, dorature splendidissime e, a degno accompagnamento, la bontà squisita dei prodotti dei miracolosi fornelli dei signori confettieri. È tuttavia Guido Gozzano a rendere immortale la notorietà del posto, descrivendo nel suo celebre componimento Le golosele ingioiellate signore della nobiltà subalpina mentre gustano le paste, sollevando la veletta e girandosi di schiena nella speranza che nessuno le veda.
Siamo ormai diretti verso il Caffè Torino, uno dei più conosciuti salotti torinesi, in attività dal 1903, adorno di marmi pregiati e medaglioni dipinti, il locale accoglie gli avventori con un superbo bancone in marmo finemente sbalzato e li accompagna alla ricerca di un gusto senza tempo.
Da subito il bar sfida lattività del dirimpettaio Caffè San Carlo, punto di ritrovo per definizione dell’“intellighenziatorinese. La Fortuna aiuta gli audacie il successo della nuova apertura non tarda ad arrivare, presto intellettuali come Eiunaudi e De Gasperi diventano clienti abituali, col tempo la fama del luogo accresce, così negli anni Cinquanta  diverse personalità come James Stewart, Ava Gardner, Walter Chiari, Brigitte Bardot e lindimenticabile Erminio Macario vogliono assaporare un buon caffè seduti tra gli elitari tavolini di quella Torino non alla portata di tutti.
E se il prezzo del caffè ci ricorda a quale strato sociale apparteniamo, il toro rampante antistante il locale invita democraticamente la totalità dei passanti a partecipare – a titolo gratuito – al rituale propiziatorio più famoso della cittadinanza. Leffigie in bronzo viene posta nel 1930 sul pavimento della Piazza dedicata a San Carlo Borromeo e subito diventa oggetto di attenzioni e superstizioni. Leggenda vuole che calpestare gli attributi dellanimale porti fortuna, latto si deve compiere con il tallone sinistro e effettuando tre giri intorno a sé stessi. Unovvia sciocchezza, che però, con la tipica discrezione torinese, ha portato a creare un delicato avvallamento là dove, anche per il quadrupede, non batte il sole.
La sera sta scendendo, ed è giunta lora di salutare la nostra gentile Opite Portatrice di freddo.
Per i convenevoli quale luogo più opportuno che i battenti tristemente serrati del Caffè San Carlo, altro salotto torinese con una storia antica di quasi duecento anni?
Le luci spente testimoniano la tragedia che è stata la pandemia per molte attività commerciali, costrette a chiudere con poche possibilità di riscatto.
Invito la Cinerea Signora a specchiarsi nelle vecchie vetrine e ad immaginare i fasti ottocenteschi, quando il locale portava il nome di Caffè di Piazza DArmi. Allepoca non cera ancora il Cavald Brons al centro della piazza, al contrario il territorio era adibito per ospitare le adunate dellesercito sabaudo.
Clienti abituali erano Giolitti, Crispi, Gramsci e Gobetti, ma anche importanti scrittori come Edmondo De Amicis, autore dellindimenticabile Libro Cuore, di cui oggi a scuola non si parla più. Proprio al San Carlo si era fermato un altro assai noto personaggio, Alexandre Dumas, in visita alla città sabauda, proprio qui pare abbia assaggiato il suo primo bicerin.
È ormai sera, i lampioni colorati offuscano le stelle e la nebbia del Po sta arrivando in città.
Chissà se la nostra Uggiosa Ospite avrà apprezzato questo calorico iterturistico e chissà se un podi buonumore la convincerà a concederci qualche giornata di sole in questo lungo inverno.
Nel dubbio, prima che scompaia, le allungo quattro giandojòt, uno per ogni Stagione. Le Signore sono permalose, speriamo solo non se li mangi tutti Lei sulla strada del ritorno, con la scusa che poi si sciolgono.

Alessia Cagnotto 

“Sorsi e Morsi”. Al “Pannunzio” sulle orme di Soldati

MERCOLEDÌ 5 NOVEMBRE ALLE ORE 17 

In via Maria Vittoria 35 h sede del Centro Pannunzio avrà luogo un incontro dedicato alla presentazione del programma televisivo “SORSI E MORSI”.  Da “Viaggio nella valle del Po” ai social: la divulgazione del cibo e del vino in televisione (di cui fu antesignano Mario Soldati) dal dopoguerra ad oggi. Modererà Mara ANTONACCIO.

Quaglieni e Soldati

Torino, 1.500 ristoranti uniti per portare la cucina italiana all’UNESCO

Torino si conferma capitale del gusto e della cultura gastronomica. In questi giorni, oltre 1.500 ristoranti e locali torinesi hanno deciso di unirsi per sostenere la candidatura della cucina italiana a patrimonio immateriale dell’umanità UNESCO.

L’iniziativa, promossa da Epat Ascom Torino, rappresenta un gesto corale che unisce chef, ristoratori e cittadini nel nome di una tradizione che da secoli racconta l’identità del nostro Paese.

Con il progetto “Io amo la cucina italiana”, i locali aderenti esporranno locandine, materiali informativi e simboli visivi per sensibilizzare clienti e turisti sull’importanza di questa candidatura. L’obiettivo è valorizzare la cucina non solo come insieme di piatti, ma come un vero e proprio patrimonio di saperi, gesti e convivialità.

La decisione dell’UNESCO è attesa per il 10 dicembre, durante la riunione del comitato a Nuova Delhi.

L’Italia ha scelto questa candidatura come unica proposta per il biennio 2024-2025, con un dossier coordinato dal professor Pier Luigi Petrillo, già protagonista di altri riconoscimenti internazionali per il patrimonio culturale italiano.

Il Piemonte, e Torino in particolare, rappresentano un simbolo perfetto di questo legame tra tradizione e innovazione. 

Secondo i dati di Epat, nella provincia operano oltre 5.000 imprese della ristorazione, che danno lavoro a migliaia di persone e generano un indotto fondamentale per il turismo locale. Dalla cucina popolare delle osterie storiche ai ristoranti stellati, la varietà del panorama torinese testimonia la ricchezza della gastronomia italiana e il suo valore culturale.

I nostri ristoratori sono ambasciatori della cultura italiana nel mondo,” ha dichiarato la presidente di Epat Torino, ricordando come la cucina sia uno dei linguaggi più autentici dell’identità nazionale.

Anche figure come Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, hanno sottolineato l’importanza di difendere e trasmettere il patrimonio gastronomico legato ai territori e alla biodiversità.

Nei prossimi mesi, Torino continuerà a promuovere eventi, degustazioni e momenti di incontro per sostenere la candidatura. In tutta Italia, oltre 120 città stanno organizzando grandi tavolate collettive per celebrare il valore sociale del mangiare insieme.

Se l’UNESCO dovesse accogliere la proposta, la cucina italiana entrerebbe ufficialmente tra i patrimoni immateriali dell’umanità: un riconoscimento che celebrerebbe la creatività, la storia e il cuore di un Paese che ha fatto della tavola il suo simbolo universale.

Evitiamo la trappola del vittimismo / 1

Buona domenica a tutti i lettori de Il Torinese! Mi è capitato più di una volta, nelle ultime settimane, di relazionarmi con clienti che sono in qualche misura preda del loro vittimismo. Ma cos’è questa negativa propensione, spesso causa di notevole malessere interiore e di un malinteso senso della realtà, che tra l’altro porta spesso a comportamenti e decisioni carenti di buon senso?

La persona che soffre di vittimismo crede di essere costantemente vittima di azioni dannose o lesive da parte degli altri, anche quando le prove del contrario sono evidenti. Senza dubbio sarà capitato a ognuno di noi, in certi particolari periodi o momenti della nostra vita, di sentirci un po’ vittime di certe situazioni, persone, accadimenti, ecc.

La maggior parte delle persone attraversa periodi di autocommiserazione, ad esempio durante un processo di elaborazione di un lutto o di una perdita, ma questi episodi sono transitori e di durata decisamente minore rispetto ai sentimenti di profonda perdita di speranza, pessimismo, colpa, vergogna, fino alla disperazione e alla depressione, che consumano e tormentano la vita di una persona affetta da vittimismo.

Il vittimismo è una specie di lente deformante che porta a vedere se stessi continuamente perseguitati dalla sorte e dagli eventi, un modo di essere e di fare che finisce col danneggiare ulteriormente la propria vita e quella degli altri. Forse qualcuno tra i lettori della Pagina ricorderà un celebre personaggio di animazione della pubblicità di Carosello di molti anni fa.

Il pulcino Calimero… Il celebre “pulcino nero”, nato per uno spot pubblicitario della Mira Lanza, un’azienda produttrice di detersivi, che cadeva nella fuliggine e sporcandosi diventava nero, e non veniva più riconosciuto dalla mamma. Negli anni Calimero è diventato una sorta di emblema per descrivere chi si sente perseguitato da tutto e da tutti, il vittimista “seriale”, appunto…

La buona notizia è che smettere di fare la vittima è possibile. Anzi, è necessario, per tornare a vivere un’esistenza piena e significativa. Occorre però prendere consapevolezza dei pochi vantaggi e dei tanti danni che il vittimismo procura. E da qui trovare la motivazione per un sano cambiamento di prospettive e di comportamenti. Ne parleremo con il post di domenica prossima su Il Torinese.

(Fine della prima parte dell’argomento).

Potete trovare questi e altri argomenti dello stesso autore legati al benessere personale sulla Pagina Facebook Consapevolezza e Valore.

Roberto Tentoni
Coach AICP e Counsellor formatore e supervisore CNCP.
www.tentoni.it
Autore della rubrica settimanale de Il Torinese “STARE BENE CON NOI STESSI”.