Il tema della Shoah in una commedia in cui convivono la comicità, il dramma e la malinconia dell’umorismo yiddish

“C’era una volta un piccolo “shtetl”, un piccolo villaggio ebraico dell’Europa dell’est, era l’anno 5701, cioè 1941 secondo il nuovo calendario. Era d’estate, l’estate del 1941, il mese di luglio, credo… Io fuggivo credendo che si potesse fuggire, da ciò che si è già visto, troppo visto. Correvo per avvertirli. I miei, il mio “shtetl”, il mio villaggio. E questa è la storia, del mio villaggio così come tutti noi l’abbiamo vissuta”. Così Schlomo, il folle, fa ritorno al proprio villaggio con la notizia dell’imminente arrivo dei tedeschi. E’ l’inizio di “Train de vie”, piccolo grande film di Radu Mihaileanu del 1998. Pellicola geniale e surreale, divertente e amara: il regista rumeno, naturalizzato francese, riesce nella difficile impresa di presentare con grande delicatezza la più grande tragedia della storia, che si percepisce sempre incombente nonostante l’irresistibile ironia dei personaggi e delle situazioni. Una commedia in cui convivono comicità, dramma e malinconia, uniti all’originalità narrativa del regista, capace di affrontare il tema della Shoah in chiave del tutto inedita. Schlomo, di fronte al rabbino, non riesce a esprimere in parole l’orrore che ha visto al di là dei monti, in un altro
villaggio. Può solo rappresentarlo in gesti: concitati, assurdi, parossistici. Il Consiglio dei Saggi si riunisce e decide di organizzare un falso treno di deportati per sfuggire ai nazisti. Così,comprato pezzo per pezzo un convoglio ferroviario, mimetizzandolo da treno di deportati, l’intera comunità prepara la partenza per la Terra Promessa.Ciascun abitante del villaggio ebraico deve recitare una parte: chi il prigioniero, chi il tedesco; chi si mette all’opera per attrezzare i vagoni del treno e chi confeziona le divise, mentre un impiegato delle ferrovie s’improvvisa manovratore. S’innesca una specie di psicodramma collettivo, dove ciascuno tende a identificarsi sempre più col proprio ruolo. Mentre il mercante Mordechai diventa un perfetto ufficiale nazista, una fazione si converte al marxismo e istituisce il soviet del treno (“prigionieri che valgono il doppio:ebrei e comunisti ,in un colpo solo”, spiegherà poi Mordechai a un vero nazista, davanti ad un posto di blocco). I personaggi sono caricaturali e volutamente stereotipati, come il rabbino, il sarto, il folle, il comunista. Così il regista riesce egregiamente a mettere in scena gli effetti
disumanizzanti dell’ideologia e del potere sull’individuo, mostrando come una commedia possa essere più tragica della tragedia stessa. Va in scena una tragicommedia che unisce l’umorismo yiddish, in cui convivono comicità, dramma e malinconia, che non risparmia una grottesca ironia verso gli stessi ebrei, i tedeschi e i comunisti, con un ritmo impeccabile, grazie alla colonna sonora di Goran Bregovic , un’originalità narrativa davvero straordinaria e un fiume di battute fulminanti (i dialoghi dell’edizione italiana sono curati da Moni Ovadia) come quella ad esempio, che definisce lo yiddish “una parodia del tedesco, con dentro l’ironia“. Del resto è lo stesso Mihaileanu ad affermare che “l’umorismo come ebreo, è ciò che mi ha fatto sopravvivere, che ha salvato la nostra vita e la nostra memoria. Ridere è un altro modo di piangere “. Come ne “La vita è bella” di Benigni, la chiave del film è racchiusa nel desiderio di raccontare una favola, con valore di parabola, sulla tragedia. Con un’ironia amara, che obbliga a riflettere mentre –prendendo a prestito le stesse parole del “folle” Schlomo – “volavano via i nostri compagni, volavano via appesi a una stella gialla, trascinati da un vento furioso. Avevano negli occhi il terrore. Volavano via gli uccelli, e non torneranno mai più. Si spegneva il sole e non comparivano più stelle. Solo nuvole nere, e il fuoco”.
Marco Travaglini












postazioni militari sul Golan, sono stati i più potenti dalla guerra del Kippur nel 1973. Il 6 ottobre di quell’anno, siriani, egiziani e giordani attaccarono di sorpresa Israele, approfittando della festività religiosa. Colto di sorpresa, lo Stato ebraico fu sul punto di vacillare. In quei drammatici giorni cadde il mito dell’invincibilità dell’esercito israeliano ma dopo una serie di sconfitte iniziali nel Sinai e nel Golan il recupero fu prodigioso e la controffensiva devastante. La bocciatura dell’accordo sul nucleare iraniano da parte di Trump apre nuovi scenari sul futuro delle relazioni tra gli ayatollah e la comunità internazionale. Dopo lo strappo degli americani l’Unione Europea è al lavoro per salvare l’intesa faticosamente raggiunta nel 2015 e definita dai vertici di Bruxelles “uno dei più grandi successi della diplomazia negli ultimi tempi”. L’Ue è il terzo partner commerciale dell’Iran con un business economico di oltre 20 miliardi di euro. Dalle auto agli aerei, dall’energia alle banche e agli investimenti, numerose grandi aziende europee avevano scommesso proprio sull’Iran dopo la firma dell’accordo. Ora tutto rischia di andare in fumo. La fine delle sanzioni tre anni fa aveva rialzato l’economia iraniana (+13% nel 2017) ma già quest’anno la Banca mondiale prevede una netta frenata con la riattivazione del blocco economico e a penalizzare l’Iran sarà soprattutto il taglio delle esportazioni di petrolio. Preoccupazione anche per l’Italia, primo partner europeo di Teheran, le cui imprese erano rientrate a tutti gli effetti nel mercato iraniano. Dall’Eni alle Ferrovie, Ansaldo, Danieli, Fata e altre, è lungo l’elenco delle aziende italiane che dopo il 2015 hanno ripreso i loro affari con la nazione persiana facendo risalire l’interscambio nel 2017 a 5 miliardi di dollari. Per l’Europa si apre ora un altro grosso problema che investe non solo l’economia ma mette in discussione gli stessi rapporti diplomatici tra l’America e il Vecchio Continente. Trump intende porre sanzioni a tutti i Paesi, compresa l’Italia, che continueranno a commerciare con Teheran dopo la cancellazione dell’accordo sul nucleare. Il presidente iraniano Rouhani chiede invece agli europei di preservare l’accordo e di garantire la salvaguardia degli interessi iraniani sulla vendita di petrolio e gas, sui rapporti bancari e sugli investimenti. Ma chiede anche alle cancellerie europee di decidere in fretta perchè il tempo stringe. Se non avrà il sostegno necssario da parte dell’Europa l’Iran è pronto a riprendere i piani
per l’arricchimento dell’uranio e arrivare prima o poi a possedere la bomba atomica. Una scelta pericolosa che potrebbe innescare una nuova corsa alla proliferazione nucleare nella regione. I sauditi hanno già detto di essere pronti a sviluppare l’atomica se Teheran farà ripartire il suo programma nucleare. Ma le minacce non riguardano solo l’atomica ma il rischio che la decisione di Trump di cancellare il patto del 2015 possa spingere l’Iran ad attività ancora più destabilizzanti di quelle attuali in tutto il Medio Oriente. Nucleare a parte, è proprio la presenza militare iraniana, sempre più massiccia e invadente in Siria e in altri Paesi, a dar fastidio a Trump e agli israeliani. Dalla Siria allo Yemen i fronti degli ayatollah in guerra cominciano a essere troppi. I tentacoli della piovra persiana si allungano da Teheran all’Atlantico. Ai russi è arrivata perfino la richiesta di poter ormeggiare le navi della Marina iraniana nel porto di Tartous, base navale russa in Siria, mentre il lontanissimo Marocco ha rotto le relazioni diplomatiche con l’Iran accusandolo di armare il Polisario, il movimento armato che si batte da sempre per l’indipendenza del popolo Saharawi. In Iraq le prime elezioni dopo la sconfitta dell’Isis (solo il 44% alle urne) sono state vinte dal leader radicale sciita Moqtada al -Sadr che ha ridimensionato il premier uscente al Abadi e frenato l’uomo di Teheran, il capo delle milizie sciite al Amiri che continuerà comunque a tutelare gli interessi iraniani in Iraq. Ecco dunque il piano di Trump per far cadere il regime degli ayatollah e troncare di netto il sostegno alle forze sciite nei Paesi islamici in guerra, a quarant’anni dalla presidenza dello sfortunato Jimmy Carter. Strappare l’accordo sul nucleare per far collassare l’economia iraniana con durissime sanzioni al fine di far insorgere la popolazione contro i suoi leader e porre fine alla rivoluzione khomeinista. Con Trump alla Casa Bianca e il super falco John Bolton, già cowboy di Bush, e oggi capo della sicurezza nazionale degli Stati Uniti, tutto è possibile.
DALLA CAMPANIA
Venerdì 18 maggio, presentazione; sabato 19, preparazione e prove, Domenica 20, esecuzione. Un evento come quello che sta per andare in onda non c’è tutti i giorni: chiamato “ALI SUL LAGO”,
saranno meglio visibili le figure e le acrobazie aeree). La presentazione- spiegazione è avvenuta a Verbania, al Teatro Maggiore, venerdì 18. Presenti il Sindaco Silvia Marchionini e i più autorevoli rappresentanti e dirigenti dello spettacolo acrobatico: il Comandante Pilota Alitalia Maurizio Viti e il Ten- Colonnello Mirco Caffelli (seduti al tavolo della presentazione, nella foto, con la Sindaca). “Per me è la prima volta (s’intende che “per la prima volta” Caffelli ha questo importante incarico di comando di tutta la Pattuglia ndr): le Frecce tricolori hanno questo importante compito
di rappresentare le Forze Armate. Le prove di sabato si faranno utilizzando fumi bianchi”. Alla presentazione hanno preso parte attiva anche Mauro Piras, pilota istruttore (di Biella) e il “nostro” Comandante della Navigazione Lago Maggiore Ing. Gian Luca Mantegazza. Nel presentare le caratteristiche più importanti del piano per cercare di dare ordine e limitare il traffico, sia lacustre che di terra, Mantegazza ha raccomandato a tutti di non utilizzare l’auto nelle vicinanze di Pallanza. “Per tornare a casa ci saranno i battelli, non usate l’auto!”. Ci sarà persino un servizio di elicottero da Fondotoce. Il Comandante della Polizia Urbana di Verbania, Ignazio Cianciolo, ha poi aggiunto le ultime raccomandazioni, informando anche del servizio–navetta da Intra a Pallanza.

accuratamente preparata, inutile lamentarsi del ritardo perché avremo solo un sorriso come risposta.

