Dall Italia e dal Mondo- Pagina 26

La nostalgia per il piccolo Caffè di Lutvo

E’ verde, la Bosnia. Boschi, vallate, montagne e fiumi sono le gemme  di una natura sfacciatamente bella da suscitare quasi imbarazzo. Fiumi limpidi che corrono nelle gole  tra monti aspri per poi precipitare in spettacolari cascate e laghi. Come l’Una, un fiume che – s’intuisce dal nome stesso – è davvero unico con le sue isole, i canali e una vegetazione tanto ricca da trasmettere un senso di pace incredibile. Delle cascate di Kravica, lungo il fiume Trebižat, a quaranta chilometri da Mostar,  dicono un gran bene. Io non le ho viste ma mi sono fidato di Mustafà che me le ha descritte  come uno dei luoghi più incantevoli dell’Erzegovina. In una versione ridotta di quelle del Niagara, sono alte una trentina di metri e precipitano in un anfiteatro naturale, offrendo uno spettacolo che lascia senza fiato. E la Neretva, dalle gelide acque verdi smeraldo, che attraversa il paese tra strette gole verso nord-ovest per poi piegare a sud, attraversare Mostar e sfociare nell’Adriatico? Qui, tra le montagne del nord della Bosnia, tra rupi e fitte foreste dove  gli orsi convivono con cervi e daini, dal gennaio all’aprile del 1943 si combatté la durissima “battaglia della Neretva”, con le formazioni di Tito che riuscirono , con una rocambolesca e geniale azione a compiere una  ritirata strategica che fece  fallire l’obiettivo dell’Asse di accerchiare e distruggere le forze partigiane. Neretva ( così in serbo-croato, altrimenti conosciuta come Narenta) “dove scorre il tempo irreale e scorre l’acqua. Acqua contro Terra. Tremante svanisce, tremante riappare”, come canta Ginevra Di Marco in una canzone dal titolo come il nome del fiume. Montagne massicce, dunque, formate dalle tre cinture parallele delle alpi Dinariche, con le principali vette bosniache della Treskavica e della Bjelašnica, del gruppo del Vlašić fino a quello del Jahorina, con l’omonimo monte e quelli bellissimi e tristemente noti del Trebević e dell’Igman, attorno a Sarajevo. Queste barriere naturali, situate a ridosso dell’Adriatico, hanno consentito la formazione di particolari microclimi caratterizzati da una grande, straordinaria biodiversità. Difficile dar conto della varietà di tesori naturali, di specie rare  di flora e fauna autoctone, difficilmente rintracciabili nel resto d’Europa. Per tanti aspetti la Bosnia è il corno dell’abbondanza, la cornucopia  d’Europa. Come definireste altrimenti  un paese di foreste e monasteri ortodossi, di chiese cristiane e antichi minareti, borghi medievali e tanti, tanti ponti ad unire e far incontrare le opposte rive dei fiumi? Un paese così non si trova in nessuna altra parte d’Europa.

Nonostante tutto. Nonostante le contraddizioni e la violenza che l’ha scosso fino nel profondo dell’anima del suo popolo. Nonostante tutto continua a offrirsi agli sguardi di chi non si limita ai luoghi comuni e continua a raccontare con la sua immensa storia e di cultura. Nonostante tutto, come gli avventori del piccolo Caffè di Lutvo, a Travnik. Nel suo “La cronaca di Travnik”, Ivo Andrić scriveva: “ In fondo al mercato di Travnik, sotto la sorgente fresca e gorgogliante del fiume Šumeć, è sempre esistito, da che mondo è mondo, il piccolo Caffè di Lutvo. Ormai neanche gli anziani ricordano Lutvo, il suo proprietario; da almeno cento anni egli riposa in uno dei cimiteri intorno alla città. Tuttavia si va sempre a “prendere un caffè da Lutvo”, e così ancora oggi il suo nome ricorre spesso nelle conversazioni, mentre quello di tanti sultani, visir e bey è da tempo sepolto nell’oblio”. C’è una frase che descrive bene la sensazione che prova un viaggiatore attento nell’avvicinarsi ad un luogo d’incontro di storie, culture che si uniscono, si contaminano e, al tempo stesso, prendono strade diverse o addirittura opposte. Un luogo molto bello ma non facile  e che, in ogni caso, non lascia indifferenti. La frase, quasi fosse una chiave con cui tentare di aprire una porta o un  forziere, senza peraltro riuscirvi,  la regala ancora l’autore de “Il ponte sulla Drina”: “Nessuno può immaginare che cosa significhi nascere e vivere al confine fra due mondi, conoscerli e comprenderli ambedue e non poter fare nulla per riavvicinarli, amarli entrambi e oscillare fra l’uno e l’altro per tutta la vita, avere due patrie e non averne nessuna, essere di casa dovunque e rimanere estraneo a tutti, in una parola, vivere crocefisso ed essere carnefice e vittima nello stesso tempo”.

Marco Travaglini

Sudan, speranze di democrazia

FOCUS INTERNAZIONALE  di Filippo Re
Omar al Bashir, l’icona del terrore, un presidente dittatore che ha dominato con il pugno di ferro per 30 anni il Sudan e che si è reso responsabile, con le sue terribili milizie, di crimini orrendi contro i sudanesi. Un tiranno, che dopo aver preso il potere nel 1989 con un colpo di Stato, ha regnato con le mani sporche di sangue nel nome di un islam integralista e radicale

Per tre decenni ha represso duramente gli oppositori e ha sterminato la popolazione del Darfur eliminando circa 400.000 civili. Pochi ricordano la tragedia e la pulizia etnica del Darfur. Regione del Sudan occidentale, nel deserto del Sahara, il Darfur, dal 2003 al 2010, è stato teatro di un tragico conflitto tra gli arabi e i neri africani che sono la maggioranza nell’area e sono combattuti dal regime. La situazione è peggiorata con la comparsa delle feroci milizie islamiste Janjawid reclutate dal dittatore al Bashir e scagliate contro i neri del Darfur. Fu una carneficina con centinaia di migliaia di morti e tre milioni di profughi. Il regime di Khartoum intervenne direttamente nel conflitto aiutando i miliziani arabi con raid aerei e fornendo loro armi, mezzi militari e denaro. Per tutti questi motivi, al Bashir, ora ex presidente deposto dai militari, è ricercato e accusato dalla Corte penale internazionale dell’Aja di genocidio, di crimini di guerra e di continue violazioni dei diritti umani. È sempre riuscito a farla franca grazie al sostegno di altri dittatori africani e dell’appoggio della Russia, dell’Iran, di Qatar e Turchia e della Cina a cui vende molto petrolio. Ma il Sudan di al Bashir e del suo fedelissimo Hassan al Turabi, leader politico e religioso del Fronte islamico nazionale e ideologo dei Fratelli Musulmani sudanesi, è uno Stato sponsor del terrorismo. Al Bashir e al Turabi (morto tre anni fa) radicalizzano il Paese imponendo la stretta osservanza della Sharia (la legge coranica) e spalancano le porte ai membri di al Qaida e a gruppi fondamentalisti provenienti da vari Paesi islamici. Le inchieste condotte dopo i primi attentati terroristici nel 1992-93, attribuiti ai seguaci di Bin Laden a Mogadiscio e nello Yemen, hanno rivelato che alcuni estremisti sono arrivati dai campi di addestramento qaedisti in Sudan.
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Al Bashir ospitò con tutti gli onori Osama bin Laden nei primi anni Novanta, proveniente dall’Arabia Saudita, suscitando l’ira di Bill Clinton che non perse tempo a mettere il Sudan nella lista nera del terrorismo internazionale e a imporre l’embargo al Paese africano, grande otto volte l’Italia e diviso tra il nord arabo-islamico e il sud cristiano e animista. Le insistenti pressioni saudite e americane costrinsero il capo di al Qaida a lasciare il Sudan per rifugiarsi in Afghanistan. Lo scontro tra Washington e Khartoum si inasprì nel 1998 quando un commando qaedista, partito dal Sudan, colpì le ambasciate americane a Nairobi in Kenia e a Dar al-Salam in Tanzania (234 morti). Come ritorsione Clinton ordinò un raid aereo contro una fabbrica di farmaci, presso Khartoum, che secondo la Cia era un centro per la produzione di armi chimiche. Ma le attenzioni degli americani si sono presto concentrate anche nel sud del Sudan dove da vent’anni era in corso una guerra per il controllo dei pozzi petroliferi tra il regime islamista di Khartoum e i ribelli cristiani delle province meridionali. Alla fine degli anni Novanta il Congresso americano condannò il governo di al Bashir per i massacri compiuti dai militari di Khartoum nel Sudan meridionale. Il conflitto terminò nel 2005 e, dopo un’autonomia di sei anni che l’uomo forte sudanese fu costretto a cedere, il 9 luglio 2011 nacque con un referendum il Sud Sudan che si portò via il 70% delle ricchezze petrolifere impoverendo il nord. I due Stati sono rimasti legati, per interessi economici, anche dopo la separazione avvenuta otto anni fa ma la speranza di veder crescere una nuova nazione in pace è naufragata con lo scoppio di una guerra civile scatenata dai nuovi leader del Sud Sudan. Con 300.000 morti e due milioni di profughi il giovane Stato deve affrontare una gravissima crisi umanitaria. Secondo le agenzie dell’Onu sette milioni di sud-sudanesi sono denutriti tra cui quasi un milione di bambini sotto i cinque anni. Ecco dunque la parabola del dittatore al Bashir, 75 anni, destituito dall’esercito su pressione dei manifestanti. Il 19 dicembre scorso centinaia di persone si sono riversate nelle strade di città e villaggi per protestare contro il prezzo triplicato del pane costringendo Bashir a dichiarare lo stato di emergenza. Il 6 aprile migliaia di sudanesi sono tornati in piazza a Khartoum per chiedere libertà e riforme profonde e l’11 aprile al Bashir si è dimesso mentre i suoi ministri venivano arrestati. Khartoum comunica che al Bashir non verrà consegnato alla giustizia dell’Aja in caso di richiesta della Corte europea che ha spiccato nei suoi confronti diversi mandati di cattura internazionale.
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L’opposizione chiede una vera svolta democratica e accusa i militari di riprodurre con nuovi volti il vecchio regime. La forte volontà di cambiare il Paese non ferma i sudanesi che hanno ottenuto la rimozione del nuovo premier Ibn Auf, stretto collaboratore di Bashir e responsabile, insieme al dittatore, dei massacri in Darfur. Il nuovo leader provvisorio è il generale Burhan, un ufficiale più rispettabile, che guiderà una fase di transizione di due anni, senza elezioni. Cercherà di ricucire il dialogo con i manifestanti, riportare ordine nel Paese e gestire le eventuali conseguenze del golpe di Khartoum sull’accordo di pace nel Sud Sudan firmato il 12 settembre 2018 ad Addis Abeba dai due leader antagonisti, il presidente Salva Kiir e il capo ribelle ed ex vice presidente Riek Machar, ai quali Papa Francesco, con un gesto simbolico e storico, ha baciato i piedi in Vaticano nella speranza di rinvigorire l’intesa. La breve storia del giovane Stato si incrocia con quella del Sudan perchè il presidente Omar al Bashir, interessato al petrolio del sud, è stato il garante della pace nel Sud Sudan andando nella capitale Juba per convincere le due parti in lotta a fermare la guerra. Dopo Bouteflika in Algeria e Mugabe nello Zimbabwe scende dal trono anche Bashir. Tramonta un’epoca sulla nazione dei leggendari Mahdi e Gordon Pascià ma è probabile che finchè ci sarà un regime militare la situazione non cambierà molto. Il futuro è denso di incognite e la democrazia può aspettare.
 

dal settimanale “La Voce e il Tempo”

 

Il Salone del Libro a Genova, al Palazzo comunale Tursi

Sarà Genova con il Patrocinio del Comune  e precisamente la Sala Giunta Nuova di Palazzo Tursi di via Garibaldi 9, ad accogliere i rappresentanti del Salone internazionale del Libro di Torino che ha scelto la Liguria – come sede istituzionale – per la presentazione dell’evento che si terrà a Torino Lingotto dal 9 al 13 maggio
La presentazione va vista come un Ponte ideale fra Liguria e Piemonte e per implementare un legame che non è solo di vicinanza geografica, ma di assonanze di idee e culturali. Non a caso, Genova è anche l’occasione per rinsaldare l’unione fra le due Regioni che vede in Slow Fish un’ altra simbiosi con il Piemonte e adesso è la volta del Salone di avviare una collaborazione che viene testata quest’anno e speriamo duri negli anni. L’idea di rinnovare il legame fra Liguria e Piemonte nasce presso il Municipio IX Levante di Genova Nervi per la seconda edizione di Nervi in Giallo ideata da Lameladivetro e Solstizio d’Estate Onlus e da qui la proposta per il Salone del Libro di Torino. Il Salone Internazionale del Libro è partito per il Grand Tour, percorso che si snoda tra librerie e istituzioni culturali torinesi e della Città Metropolitana, con una tappa anche a Genova, per un evento patrocinato dal capoluogo ligure, e che vede protagonisti il direttore editoriale Nicola Lagioia e Marco Pautasso, con un ospite a sorpresa, diverso ogni volta. Un viaggio per presentare temi e novità della manifestazione di maggio, tra anticipazioni, progetti e protagonisti. Un’attenzione particolare è rivolta alla lingua spagnola, che unisce popoli e paesi, ospite della 32° edizione, e alla letteratura espressa da questo idioma. Promosso dal Salone Internazionale del Libro di Torino e dalla Fondazione Circolo dei lettori, il Grand Tour è frutto della virtuosa collaborazione tra i tanti soggetti che operano in sinergia per promuovere il libro e la lettura. Sono COLTI – Consorzio dei Librai Torinesi Indipendenti, le Biblioteche Civiche Torinesi, lo SBAM – Sistema Bibliotecario dell’Area Metropolitana di Torino e l’Associazione Abbonamento Musei Piemonte. Dopo il primo incontro, martedì 2 aprile con Monica Rita Bedana, direttore della Scuola di Lingue Spagnola dell’Università di Salamanca a Torino, una lezione per tracciare le coordinate utili a spiegare come lo spagnolo di Salamanca sia diventato di tutti. È 550: dall’uovo di Colombo a Macondo presso ELE-USAL: Escuela de Lengua Española de Universidad de Salamanca (via Garibaldi, 18/4 1°, Torino) Ma il Salone è anche il luogo del dialogo con le nuove generazioni che nel Padiglione 2 hanno il loro spazio dedicato, un grande laboratorio per sprigionare la creatività e dibattere intorno a temi come cittadinanza, democrazia, solidarietà, ambiente, educazione e convivenza. Giovedì 11 aprile, ore 18.30 presso la Libreria dei ragazzi (via Stampatori, 21, Torino), Eros Miari, curatore con Fabio Geda del programma per i più giovani, insieme a Maria Giulia Brizio, anticipa autori, progetti e incontri protagonisti al Bookstock Village, ideati per esplorare il mondo attraverso il libro e la fantasia. Mercoledì 17 aprile, alla Biblioteca civica multimediale Archimede (Piazza Campidoglio, 50, Settimo Torinese), Nicola Lagioia e Marco Pautasso ci hanno raccontato Il gioco del mondo, tema della 32° edizione, e i tanti autori internazionali protagonisti non solo dei cinque giorni a Lingotto ma anche del Salone Off, la festa dei libri nell’Area Metropolitana. Non mancano anche quest’anno il progetto Pagine in corsia, che porta i lettori negli ospedali torinesi, e Voltapagina, dedicato invece ai detenuti. A Genova, presso Palazzo Tursi (via Garibaldi, 9, Genova) la presentazione del Salone del Libro 2019 è affidata a Nicola Lagioia e Marco Pautasso, ai quali si aggiunge Maurizia Rebola, direttore della Fondazione Circolo dei lettori, venerdì 26 aprile, ore 11.30 per un evento patrocinato dalla Città di Genova e in collaborazione con Solstizio d’Estate Onlus. Per conoscere a fondo lo scrittore che ha ispirato il tema della 32° edizione, Julio Cortázar, grande maestro del Novecento, autore di Rayuela, titolo originale del suo capolavoro, Il gioco del mondo, una delle opere più influenti degli ultimi cinquant’anni, la lezione di Ernesto Franco, lunedì 29 aprile, ore 18.30 nel Salone d’Onore dell’Accademia Albertina di Belle Arti (via Accademia Albertina, 6, Torino). Direttore editoriale di Einaudi e studioso della cultura ispano-americana, Ernesto Franco ha curato e tradotto non solo opere di Cortázar, ma anche di Jorge Luis Borges, Octavio Paz, Álvaro Mutis, Ernesto Sabato e Mario Vargas Llosa. Infine, martedì 30 aprile, ore 18.30 l’ultima tappa del Grand Tour è alla Libreria Angolo Manzoni (via Cernaia, 36/d, Torino). Il dialogo Don Chisciotte dal libro al mito, tra Iole Scamuzzi, Guillermo José Carrascón e Consolata Pangallo chiude il viaggio verso il Salone che torna dal 9 al 13 maggio. I professori del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Torino raccontano come la lotta contro i mulini a vento e l’incontro con le prostitute, tra i più celebri episodi di Don Chisciotte, abbiano contribuito a trasformare l’eroe barocco in mito dell’individualismo moderno. La presentazione verrà chiusa con un aperitivo con prodotti del Piemonte.

Tommaso Lo Russo

Pasqua a Matera e in Basilicata

La Basilicata, come scrive Giovanni Bronzini che con Ernesto De Martino ha maggiormente studiato questo aspetto della regione, “si presenta rispetto alla tradizione popolare come un’area prevalentemente conservativa”,.  Nelle campagne, soprattutto del materano, sopravvivono usi e tradizioni la cui origine si perde nella notte dei tempi. 
Tra questi sono da annoverare i Riti della Settimana Santa.

Proprio a Matera, con  “Mater Sacra”, si ambienta nei Sassi la struggente rievocazione della passione di Cristo. Momento di grande coinvolgimento emotivo che vede protagonista la Murgia e l’intera Gravina con la riproposizione della crocifissione di Gesù e dei due ladroni. Un evento che regala al visitatore lo stupore di una narrazione  raccontando la resurrezione del Signore. Sulla murgia materana andrà in scena lo spettacolo della morte, della deposizione sino all’annunciazione di una nuova vita portata dal Figlio dell’Uomo.

Nel resto della regione, nella giornata del Venerdì Santo vi sono manifestazioni religiose esterne, fuori dalla Liturgia Ufficiale.A farla da padrone, sono le cosiddette Sacre Rappresentazioni con personaggi viventi. bDa segnalare sono quelle che si svolgono nel comprensorio Vulture-Melfese a Barile, Rapolla, Rionero, Atella, Maschito e Venosa. Particolarmente importante è la “Via Crucis” che si svolge a Barile, centro di origine “arbëreshë”, cioè albanese, come Maschito, Ginestra, S. Costantino Albanese e S. Paolo Albanese.

A Barile, coerentemente con l’origine albanese della rappresentazione, uno dei principali figuranti nella Via Crucis è infatti la “Zingara”, una bella ragazza del paese che veste un abito tradizionale albanese ed è ricoperta da gioielli prestati dalle famiglie più abbienti (un chiaro richiamo quindi al popolo fondatore della cittadina).  Nel solco del richiamo alle origini, il personaggio della “Zingara” è presente anche nella Via Crucis vivente che si svolge a Maschito; ma anche a Rapolla, Rionero e Ripacandida, pur non avendo la stessa origine, la “Zingara” è uno dei personaggi chiave delle Sacre Rappresentazioni lucane.

Pescatori nella rete a Slow Fish

Come ogni due anni la rete internazionale Slow Fish si dà appuntamento a Genova per parlare di politiche della pesca, donne e pesca, specie aliene e tanto altro ancora
Vengono dalle vicine coste del Mediterraneo, dall’America Latina, dalla Russia e dalla Corea del Sud, sono statunitensi, olandesi, turchi e sudafricani. Sono pescatori e rappresentanti delle associazioni di categoria e delle amministrazioni locali, ricercatori e cuochi, esperti e divulgatori, insomma gli stakeholder del mare. Si ritrovano a Genova ogni due anni durante Slow Fish, chi per la prima volta e chi come un appuntamento immancabile che restituisce il senso del proprio impegno verso il mare. Il pubblico del Porto Antico può ascoltare i loro racconti nei talk alla Slow Fish Arena o degustare le specialità della tradizione nei Laboratori del Gusto e nelle Scuole di Cucina. Ma i delegati vengono a Genova soprattutto per incontrarsi e discutere i temi su cui stanno lavorando con buoni risultati o che li preoccupano, disegnando un lungo ideale percorso di approfondimento e aggiornamento da un’edizione all’altra dell’evento. Tra i temi che anche quest’anno sono al centro dei Forum a loro dedicati e ospitati all’interno di Casa Slow Food, citiamo la discussione sulla blue growth, la strategia dell’Unione Europea dedicata allo sviluppo sostenibile in ambito marittimo, che dovrebbe mettere al centro il fattore umano e le comunità costiere; la creazione di sistemi di cogestione delle risorse del mare che coinvolgano pescatori, amministrazioni locali e società civile; il ruolo delle donne nella pesca, come fattore di equità e sostenibilità sociale; le specie invasive che possono rivelarsi una risorsa e non solo un danno. Ed è proprio questo l’esempio che raccontano i turchi Funda Kök Filiz e Fatma Esra Kartal che nella Baia di Gökova organizzano un festival gastronomico dedicato alle specie aliene, quelle che a causa dei cambiamenti climatici si sono spostate in nuovi mari alla ricerca di un ambiente più confortevole, alterando però l’equilibrio della catena alimentare in cui si inseriscono. In questa zona della Turchia infatti la richiesta di nuovi pesci è cresciuta del 400% tra il 2010 e il 2015, il loro prezzo è aumentato di almeno il 20% e i guadagni delle cooperative di pescatori di quasi il 200%. In Tunisia invece a sviluppare la filiera sostenibile della piccola pesca artigianale c’è il Club Bleu Artisanal, una comunità di pescatori che insieme ai ristoranti della zona organizza attività di educazione al gusto e alla scelta consapevole. Tra i fautori di questa bella e importante iniziativa, a Slow Fish incontriamo Yassine Skandrine, rappresentante della piccola pesca locale, che ci racconta la sua visione olistica del rapporto tra pescatori e risorse, pesca artigianale e acquacoltura, e delle azioni dell’uomo sulla terra e in mare. Gli fa eco Antonio García-Allut, presidente della Fondazione Lonxanet, che in Spagna ha attivato le energie per riunire un gruppo di cuochi che sostengono quei pescatori che attuano una gestione attenta delle risorse ittiche. Con Restauramar i cuochi aderiscono a un vero e proprio codice etico e si impegnano a inserire nei loro menù il maggior numero possibile di esemplari provenienti dalla filiera. Dalla Colombia arrivano Camila Zambrano e Octavio Perlaza Guerrero, rappresentanti della Ong Fondo Acción e del progetto Slow Fish Caribe, che riunisce organizzazioni di pescatori e reti impegnate nello sviluppo di sistemi agricoli sostenibili per migliorare la qualità della vita delle piccole comunità costiere e la condizione delle donne pescatrici.

Il genio di Walt Disney: «Se puoi sognarlo puoi farlo»

La mattina del 15 dicembre 1966, dieci giorni dopo il suo sessantacinquesimo compleanno, moriva Walter Elias Disney Junior. Era l’uomo dei sogni, l’artista visionario che tutto il mondo conobbe con il nome di Walt Disney, il “papà” di Topolino e di tanti altri personaggi. Disney amava dire che “l’unico modo per iniziare a fare qualcosa è smettere di parlare e iniziare a fare”. Infaticabile, quarto dei cinque figli di Elias Disney e Flora Call, nato a Chicago ai primi di dicembre del 1901, agli albori del “secolo breve” applicò questa massima alle sue scelte. L’infanzia all’insegna dei trasferimenti con il duro lavoro nei campi del Missouri, il successivo approdo a Kansas City, dove aiutò il padre a consegnare i giornali, la partecipazione a sedici anni ( falsificando la data di nascita sul passaporto) alla Grande Guerra come autista volontario di ambulanze della Croce Rossa statunitense in Francia. Al ritorno a Kansas City s’impegnò negli studi d’animazione, realizzando cortometraggi come “Il Paese delle Meraviglie di Alice (Alice’s Wonderland)”. Disney, nel 1923, partì alla volta della California con quaranta dollari in tasca, diventando in breve tempo imprenditore, produttore cinematografico, regista e animatore. Con Ubbe Ert Iwerks, bravissimo e straordinario disegnatore, iniziò i primi esperimenti e intuì che, se fosse DISNEY2riuscito a far muovere quei disegni inanimati, avrebbe rivoluzionato il mondo del disegno. Il nome di Walt Disney iniziò a farsi sempre più noto, ma ciò che lo rese davvero celebre  – prima negli Stati Uniti e poi in tutto il mondo –  fu la creazione delle piccole serie animate dove il  protagonista era il coniglio Oswald. Il personaggio –  inventato nel 1927 –  diventò ben presto un’icona e il suo creatore riescì a costituire la prima azienda col suo nome: la Walt Disney Company. Narrano le leggende, che durante un viaggio in treno, Walt Disney stesse facendo uno schizzo di Oswald, cercando di semplificarne i tratti. La modifica più evidente era quella delle orecchie, che da lunghe diventarono piatte e tonde, decisamente più simili a quelle di un topo. Da quegli schizzi  nacque Mortimer Mouse, il personaggio che mandò in pensione Oswald. Tuttavia la compagnia decise di cambiarne il nome in Mickey Mouse. Ecco quindi Topolino, protagonista del primo film animato sonoro Steamboat Willie, che ottenne un successo planetario. Il successo crebbe a dismisura e arrivarono anche “gli altri”: DISNEY3Paperino, Pluto, la fidanzata Minnie, Pippo e tutti i personaggi che hanno accompagnato la nostra infanzia.  “If you can dream it, you can do it“, amava ripetere Disney : ”se puoi sognarlo, puoi farlo”. Così nacque l’impero della fantasia e dell’immaginazione: non solo film e fumetti, parchi a tema e prodotti di consumo, ma anche media e spettacolo. Basti pensare al gruppo televisivo Disney-ABC, ai canali sportivi ESPN o agli “studios” d’animazione della Pixar, acquisiti dieci anni fa. Già dal suo primo lungometraggio del 1937, “Biancaneve e i sette nani” (il primo film d’animazione prodotto in America, il primo ad essere stato prodotto completamente a colori) il mondo intero aveva intuito di aver a che fare con un genio sognatore. Non a caso,il giorno della sua scomparsa, l’allora governatore della California, il futuro presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan, in sette parole, diede voce al pensiero di tanti: “Da oggi il mondo è più povero”.

Marco Travaglini

 

Mamma uccide il figlio di due anni soffocandolo

DAL LAZIO
I carabinieri hanno accertato che è stato  strangolato dalla madre il piccolo di 2 anni morto ieri  a Piedimonte San Germano, in provincia di Frosinone. I militari hanno fermato  la donna, di 29 anni, che è stata già portata in carcere a Rebibbia, al termine dell’ interrogatorio avvenuto nella notte. La madre del piccolo ha detto al 118 che il bimbo era stato investito  da un’auto poi fuggita. Un racconto che non ha convinto e ha fatto scattare gli ulteriori accertamenti dei carabinieri. Secondo  la ricostruzione degli inquirenti la donna avrebbe ucciso il figlio  stingendogli il collo e poi coprendogli la bocca per non farlo respirare.

PROTEZIONE CIVILE  A PAESTUM:  VOLONTARI ED ENTI LOCALI PER LA RESILIENZA DEI TERRITORI MONTANI

Nei giorni scorsi  a Paestum erano oltre 300 i volontari e 50 i Sindaci campani che hanno incontrato e ascoltato il Capo Dipartimento Angelo Borrelli, in un incontro promosso da Uncem, con il Presidente della Delegazione Campania Vincenzo Luciano, il Presidente nazionale Marco Bussone e coordinato dal Sindaco di Aquara Antonio Marino. Uncem prosegue con il Dipartimento un’azione di formazione attorno alle novità del Codice nazionale di Protezione civile, un lavoro attorno alla prevenzione e all’efficientamento della seconda fase dell’emergenza, un impegno per sostenere i Comuni nella redazione dei Piani di Protezione civile che devono guardare all’intero territorio, anche oltre i confini dei paesi, essere georeferenziati e accessibili da tutti. “I Sindaci e i Presidenti delle Comunità montane – spiegano Bussone e Luciano – stanno comprendendo fino in fondo il loro nuovo ruolo assegnatogli dal Codice. Grazie a sistemi di allertamento della popolazione e a Piani di protezione civile efficaci, li possiamo sgravare anche di determinate ansie che spesso li affliggono quando ricevono bollettini con codici gialli e arancione. Sappiamo bene quello che è successo a Civita, a Viareggio, a Marta Vincenzi a Genova. Uncem vuole aiutare i Sindaci a non sentirsi soli. E questo lavoro va fatto con il Dipartimento guidato da Angelo Borrelli che ringraziamo per l’impegno e la vicinanza in particolare al volontariato organizzato, anima delle nostre comunità. Senza di loro, senza i volontari della Protezione Civile, degli Antincendi boschivi, non ci sarebbero i nostri paesi e non ci sarebbe il polmone verde che curiamo. Anche per questo vogliamo costruire, grazie alle Comunità montane, in accordo con la Regione, un sistema avanzato di operai forestali inseriti in un processo di crescita e sviluppo del settore forestale alla luce di quanto scrive il nuovo Testo unico delle foreste. C’è un grande lavoro da fare per assicurare prevenzione del dissesto, limitare il rischio di incendi boschivi, alzare le soglie di sicurezza collettiva. L’incontro di Paestum oggi conferma che la strada intrapresa è quella giusta. E siamo molto orgogliosi il Dipartimento abbia scelto la Campania, Pozzuoli, per l’esercitazione nazionale di Protezione civile a ottobre”

Una gru si piega, sfollate venti famiglie

DALLA LIGURIA
La gru collocata in un cantiere dove da tempo i lavori sono fermi, si è piegata  in via Pirandello, a Genova. sono stati evacuati due edifici per permettere le operazioni di messa in sicurezza. dei vigili del fuoco e della polizia locale. I pompieri hanno anche avvisato la protezione civile e la ditta che si occuperà della rimozione della gru. Sono venti le famiglie che hanno trascorso  la notte fuori da casa, trovando  da parenti e amici o in strutture ricettive messe a disposizione dal Comune. 
 
(foto archivio)

Colum McCann ha vinto il Premio Letterario Mondello

Autore irlandese naturalizzato statunitense, è tra i migliori a cogliere il sublime nascosto nelle cose della vita

Colum McCann ha vinto il Premio Letterario Internazionale Mondello, curato e promosso, per conto del Comune di Palermo, dalla Fondazione Sicilia in collaborazione con Fondazione Circolo dei lettori e Salone Internazionale del Libro di Torino, con cui la Fondazione Sicilia ha stretto un forte legame grazie al professor Giovanni Puglisi, presidente della Fondazione Premio Mondello.

Autore irlandese naturalizzato statunitense, è tra i migliori a cogliere il sublime nascosto nelle cose della vita. Motiva così la scelta il giudice monocratico Giorgio Fontana: «L’opera di Colum McCann è sostenuta da un’ispirazione multiforme e da un linguaggio ricco, generoso e potente. La finzione parte spesso da eventi reali, su cui lo scrittore innesta una tensione straordinaria grazie alla sua ‘empatia radicale’ — la capacità di restituirci i personaggi nella loro interezza, senza falsità e senza trucchi. E quale sfida più alta dell’empatia radicale in una società pervasa dal cinismo? L’opera di McCann non teme la complessità del mondo, ma la restituisce con nitore e poesia».

Questo il commento di Giovanni Puglisi, presidente della Fondazione Premio Mondello: «Ancora una volta l’isola esplode: il registro letterario segna il confine culturale di una tradizione e anche di uno scrittore. Nel caso della tradizione letteraria irlandese la caratteristica più marcata è sempre stata quella di rompere gli ormeggi e prendere il largo della letteratura del mondo. È accaduto con personalità ormai patrimonio dell’umanità come Joyce, Beckett, Wilde e più da recente Seamus Heaney (pure Premio Mondello), accade oggi con Colum McCann: essi hanno dato al loro messaggio letterario una cifra così intensamente carica di emotività da renderli modelli e icone di scrittura e di passioni.»

Vincitore e giudice si incontreranno al Salone del libro sabato 11 maggio, ore 14.30 in Sala Azzurra, in occasione del conferimento del Premio Letterario Internazionale Mondello sezione Autore straniero.

Così Colum McCann esprime la propria soddisfazione per la vittoria: «Sono lieto e onorato di ricevere questo premio. Essere selezionato tra così tanti autori è uno dei più grandi onori della mia vita da scrittore. Sono profondamente grato a tutti coloro coinvolti nella premiazione. Ho sempre avuto un interesse costante per il valore della letteratura. Come scrittori, dobbiamo essere conformi alla tradizione e, allo stesso tempo, delineare nuovi e coraggiosi sentieri. La nostra voce deriva dalle voci degli altri. Essere incluso in una lista che annovera, tra gli altri, Seamus Heaney, Milan Kundera e Magda Sazbo è un grande privilegio.»