COSA SUCCESSE IN CITTA’ / di Simona Pili Stella
Secondo una ricerca condotta presso l’ University College di Londra dalla neuroscienziata Eleanor Maguire, il passato è strettamente connesso al futuro, tanto che chi soffre di amnesia e quindi dimentica il passato, non riesce più nemmeno ad immaginarsi e a prospettarsi un futuro. Ebbene, forse per attenerci un po’ alle recenti scoperte, o forse perché in fondo il mondo e nello specifico la città in cui viviamo è fatta di storia e di aneddoti passati, “Il Torinese” ha deciso di dedicare questa particolare “rubrica” a Torino e agli avvenimenti più curiosi e che più l’hanno segnata nel corso degli anni, se non addirittura dei secoli precedenti.
Il 1 gennaio 1948 venne consegnato, ai 288 Sindaci dei comuni della nostra provincia, il testo della nuova Costituzione. Alle undici di mattina la campana civica della torre di Palazzo Madama, cominciò a rintoccare e tutti i Sindaci (riuniti al Municipio per l’occasione) formando un corteo, si recarono in prefettura per ritirare il testo della nuova Costituzione.
In prima fila vi era l’On. Negarville, circondato dalla Giunta e seguito da una folta rappresentanza dei gruppi politici del Consiglio comunale di Torino. Per via Garibaldi e piazza Castello si formò un cordone fitto di spettatori giunti appositamente per assistere all’evento. Contemporaneamente, in un vasto salone della prefettura, si radunarono attorno al Dott. Carcaterra le più alte autorità cittadine.
Non appena il corteo giunse nel gremitissimo salone, si svolse la solenne cerimonia: il primo dei fascicoli della Gazzetta Ufficiale, contenente il testo della Carta Costituzionale, venne consegnato all’ on. Negarville, Sindaco di Torino. Dinnanzi al Dott. Carcaterra si avvicendarono successivamente i Sindaci dei comuni della provincia.
A mezzogiorno, il Sindaco del capoluogo piemontese, al cospetto degli assessori e dei consiglieri, fece il suo ingresso nella “sala rossa” del Consiglio, dove depositò la copia della Costituzione.
[La Stampa]
Era l’8 gennaio del 1970 quando Vittoria Bonifetti, nuora dello scrittore De Amicis, si spense nella sua abitazione in via Massena 71. Moglie dell’unico figlio rimasto di Edmondo De Amicis, l’Avv. Ugo (scomparso il 13 ottobre del 1962), la vedova De Amicis decise di lasciare l’intero suo patrimonio ai bambini meno fortunati delle scuole elementari e medie della città di Torino.
Un po’ come la storia del libro “Cuore”, la morte della vedova De Amicis si coronò di calda umanità: non avendo avuto figli i due coniugi concordarono che alla morte di entrambi, il loro cospicuo patrimonio (di oltre mezzo miliardo di lire) venisse destinato ai figli di persone povere, in modo da permettergli di studiare e di migliorare le loro condizioni. Il lascito De Amicis venne impiegato dal Comune per istituire borse di studio da destinare a studenti meritevoli e bisognosi.
Fu un grande gesto che rese omaggio sia al più grande best-seller della letteratura per ragazzi che al suo autore, il celebre scrittore Edmondo De Amicis.
[La Stampa]
La sera del 13 febbraio 1983 un tragico evento colpì la città di Torino e i tutti i suoi abitanti. Intorno alle 18e15 un’ improvvisa fiammata, causata da un cortocircuito, divampò all’interno del cinema Statuto durante la proiezione di un film. L’improvvisa fiammata incendiò una tenda adibita a separare il corridoio dalla platea;questa cadendo, a sua volta incendiò immediatamente le poltrone delle ultime file.
Gli spettatori, terrorizzati, si rovesciarono in massa sulle sei uscite di sicurezza le quali, però, erano state tutte chiuse dal gestore ad eccezione di una. In galleria, poiché la proiezione del film non venne interrotta e poiché non erano ancora visibili le fiamme, nessuno percepì immediatamente il grave pericolo. Le conseguenze furono catastrofiche: la galleria si trasformò in una sorta di “camera a gas” che soffocò i presenti in meno di un minuto.
Quella sera morirono 64 persone: la vittima più giovane fu un bambino di 7 anni, mentre la più anziana fu una vittima di 55 anni.
[La Stampa]
Alle 17e30 del 7 febbraio 1955 un tram che percorreva c.so Massimo D’azeglio e diretto al capolinea delle Molinette, trovò in prossimità della biforcazione per via Valperga Caluso, un oggetto metallico di forma cilindrica. Il tranviere individuò subito l’oggetto come una bomba a mano di tipo “balilla” e poiché l’ordigno era senza sicura, diede immediatamente l’allarme.
Giunsero immediatamente i carabinieri che dopo aver fatto evacuare i passeggeri dal tram e dopo aver fatto allontanare i passanti, isolando la zona, fecero giungere sul posto due artificieri.
La bomba venne portata via e fatta esplodere in un posto isolato e sicuro. Grazie all’immediato riconoscimento dell’ordigno da parte del tranviere, venne evitata quella che avrebbe potuto essere ricordata come una tragedia.
[La Stampa]
Simona Pili Stella

disastro. Si ritrovò licenziato, senza una lira e per di più anche un po’ sospetto agli occhi del Regime. Così prese una decisone netta, pur essendo per indole poco incline agli atti estremi: lasciò Roma e raggiunse l’amico Bonfantini a Novara e da lì, in bicicletta, pedalando su strade sterrate e polverose “con ritmo quasi da professionisti” arrivarono al “buen retiro” di Corconio, stregati da panorama tra il lago, le montagne e le antiche case di pietra. Quel posto divenne il suo luogo dell’anima, del vino, delle carte : ci rimase due anni, lontano da Roma e dal cinema, in compagnia di Mario Bonfantini ( “vivendo la scrittori” ) e della gente del posto. Nel racconto “Un lungo momento magico” lo scrittore torinese rievocò le circostanze che lo avevano spinto a cercare rifugio sul Lago d’Orta. Lo fece
dopo la morte di Bonfantini, “ponendo fine al silenzio su quell’esperienza dovuto forse a quella forma di pudore cui si ricorre a volte per proteggere le cose più care”. In quel tempo Soldati scrisse il suo primo e bellissimo libro, “America primo amore”, diario e racconti del giovanissimo intellettuale europeo della sua esperienza di vita negli Stati Uniti, tantissimi articoli e vari altri scritti
tra cui la prima parte del “La confessione”. Soggiornarono all’albergo della famiglia Rigotti , quasi adottati da quella famiglia, dove Angioletta e sua sorella Annetta, la “Nitti”, mandavano avanti l’attività , perché il padre, pa’ Pédar, “badava alla campagna, alle bestie, a fare il vino, a distillare la grappa clandestina, a commerci vari, a divertirsi e battere la cavallina”. Corconio, cento abitanti allora, fu un luogo importante per Soldati e Bonfantini, i “due Marii”, capace di offrire sorprese e meraviglie tra le pieghe più insospettabili della vita quotidiana, in prossimità del lago e sotto il “meraviglioso miraggio” del Monte Rosa. Lì condivisero con la comunità del piccolo borgo la vita, lenta e piacevole, scandita dalle partite di bocce e dalle “lunghe giornate al tavolino, ore interminabili proficue, difese e ovattate dal silenzio delle lente nebbie”. Conoscono personaggi eccentrici, ascoltando i loro racconti: il Nando, un “matto pacifico” che credeva di essere un genio della politica e si riferiva a se stesso in terza persona; il Cesarone, un uomo che aveva venduto sua moglie a un ricco capo mastro emigrato negli Stati Uniti.
Insomma, fu un periodo d’incontri e di lavoro in un atmosfera dove Mario Soldati, cresciuto negli ambienti della borghesia sabauda, scoprì i valori della “civiltà contadina”, restandone influenzato. Soldati riconobbe l’importanza di quell’esperienza , parlando dell’antica amicizia con l’altro “Mario”, quando scrisse: “ ..il momento più importante della nostra amicizia e forse anche della sua e della mia vita è tra l’autunno del 1934 e la primavera del 1936, quando il destino ci appaiò, ci assecondò nella scelta di un volontario esilio sul lago d’Orta: quell’autoconfino rigeneratore, quel delizioso paradiso perduto e ritrovato che accogliendo lui e me, Mario il vecchio e Mario il giovane, ci salvò in extremis da strazianti, estenuanti, storte vicende sentimentali e restituì l’uno e l’altro al suo vero
se stesso. Fa bisogno di dire che recuperammo allora, e conservammo poi per sempre, il senso della realtà, della bellezza, della vita”. Sul finire della lunghissima parentesi romana, a metà degli anni Cinquanta, poco prima del suo “rientro al Nord”, Soldati frequentò assiduamente le zone della giovinezza come “villeggiante fuori stagione”, sul lago d’Orta e sul Maggiore, dove nacquero – ad esempio – i racconti de “La Messa dei villeggianti”. A Orta e Corconio, Mario Soldati tornò anche per girare nel ’59 “Orta mia”, un magnifico cortometraggio della collezione Corona Cinematografica, di grande ed elegante narrazione, girato in un superbo Ferraniacolor. Già nel 1941 aveva scelto il “suo” lago per realizzarvi le scene conclusive del film “Piccolo mondo antico” e, successivamente, vi ambientò alcuni dei suoi “Racconti del Maresciallo”. Il filmato di “Orta mia” si chiude sulla terrazza di una vecchia osteria
affacciata sul lago, richiamando il luogo che aveva accolto i due amici tanti anni prima. Per una significativa coincidenza, anche Mario Bonfantini, nel suo volume “Il lago d’Orta” , del 1961, scelse di congedarsi dai suoi lettori con la stessa immagine di Soldati, descrivendo così l’albergo Rigotti: “Una modesta casa di belle linee dove era fino a non molti anni fa una cortese locanda: v’è chi sostiene che dalla sua lunga terrazza si gode, in ogni stagione, la più bella vista del lago”. Ora l’albergo non c’è più, ma tutto il resto è rimasto più o meno come allora.Dalla Chiesa di S. Stefano alla seicentesca villa della famiglia Bonola. La stazione , col quel rosso ferroviario dei muri sempre più smunto,da tempo è una casa privata: lì, i treni che sferragliano sulla Domodossola-Novara, non si fermano più da una vita. Ma se i muri delle case potessero parlare chissà quanti racconti avrebbe in serbo Corconio. Storie per chi sa ascoltare e non ha fretta. Come non ne avevano, a quel tempo, i “due Marii”.
Sbalordiscono i numeri. Otto i registi che dirigono e cinque i drammaturghi che hanno scritto, 38 gli attori impegnati con 25 collaboratori e 11 tecnici, 96 costumi e 170 bottoni automatici con 260 metri di passamanerie, 30 spade per 25 duelli, 9 ore e 40 minuti di spettacolo, otto puntate per 56 repliche complessive per un totale di 11200 spettatori, sinora ogni replica sold out con gli spettatori alla ricerca dell’ultimo posto disponibile per familiari e amici che reclamano. Un vero successo. Inseguito, commentato, condiviso, consigliato, trasmesso. Già, perché Beppe Navello ha pensato bene (benissimo) di rispolverare per la stagione del TPE, tra le pareti dell’Astra, quella antica impresa sperimentata allo Stabile dell’Aquila – ne era il direttore – nella stagione 1986/87 di inscenare I tre moschettieri del vecchio Dumas (pure lui pubblicava a puntate), D’Artagnan e compagni di cuore e di spada con re e regina, con le mire del Richelieu e del damerino Buckingam, i languori di Costanza e gli intrighi di Milady, con un fitto incrociarsi di spade tra musiche e canzoni, con un gruppo di attori quasi tutti under 35 che non sanno davvero cosa voglia dire giocare al risparmio, il tutto immerso in uno spazio rivisitato (l’impianto scenico con balaustre tutt’intorno, scale semoventi, abbozzi di taverne, angoli del Louvre, strade insidiose, è firmato da Luigi Perego, come i costumi, bellissimi, stivali e cappelli piumati, trine e pizzi, lunghe collane, ampi mantelli dai più differenti colori) che inalbera con un colpo d’occhio da bocca aperta le case e i tetti della place des Vosges parigina, tra gli applausi di un pubblico che finora s’è letteralmente goduto le prime due puntate – regie rispettivamente di Navello e Gigi Proietti, seguiranno Piero Maccarinelli e Ugo Gregoretti a completare la vecchia guardia del progetto, già aquilana, e poi i giovani Myriam Tanant, Andrea Baracco, Robert Talarczyk e Emiliano Bronzino – con risate e contagiosa partecipazione. Nessun pericolo per chi
entrasse a mezza strada nel racconto perché non manca neppure il riassunto delle puntate precedenti con la voce piacevolmente squillante della giovanissima annunciatrice Lia Tomatis, come non mancano, lo si fa per ogni megaproduzione che si rispetti, i siparietti per gli sponsor che han dato una mano all’iniziativa. Il passato scorre veloce sul pavimento a scacchiera che è al centro della sala, quello stesso in cui le vicende seguono alle vicende, il giovane guascone fa il suo ingresso in città su di un mezzo che è metà cavallo e metà bipattino simpaticamente scorrazzante e zigzagante, o dove a tratti piroettano le musiche di Germano Mazzocchetti eseguite al piano da Alessandro Panatteri, con canzoncine vivaci e coretti facilmente assimilabili offerti da belle voci; il presente da par suo scivola in modo leggero dando di gomito alla grande o spicciola attualità, dalle unioni civili ai selfie sempre lì a portata di mano.
Un libro-documento importante che offre lo spunto per affrontare delicate domande: quando apparve il terrorismo in Italia? Quando comparve la violenza organizzata elevata e giustificata a confronto politico sotto altre forme? Domande ineludibili specie per i più giovani che dai programmi scolastici poco ricevono per colmare le lacune sulla storia recente del nostro paese e poco possono trarre dalle famiglie i cui ricordi sono oramai sbiaditi. Ricostruire quegli anni, le tragedie che vi si consumarono invece è essenziale per dare piena consapevolezza di quanto dura e dolorosa sia stata la lotta per difendere le istituzioni e la democrazia dagli attacchi del terrorismo e darne memoria è condizione per scongiurare che lutti e sofferenze di allora possano ritornare. Tra l’altro la “paternità” dell’evento e il luogo dove si tenne il convegno ( il Comitato Resistenza e Costituzione e la sede del Consiglio regionale a Palazzo Lascaris) rimandano alnesso molto stretto tra la nascita del Comitato stesso e quel periodo così difficile e doloroso nella storia del nostro Paese. Il Comitato Resistenza e
Costituzione, infatti, nacque nel 1976 con l’obiettivo di riaffermare i valori e gli ideali della lotta di Liberazione. Ma in quel momento la nascita del Comitato aveva anche l’obiettivo di rafforzare il senso dello Stato, la sua forza basata sulla democrazia e sul coraggio di quegli uomini, magistrati e forze dell’ordine soprattutto, che quella democrazia avevano il compito di difendere anche a costo della propria vita. Il Consiglio regionale di allora ( presieduto da Dino Sanlorenzo) era convinto che il terrorismo andasse sconfitto anche sul piano politico, morale, culturale e ideale; che fosse cioè necessaria la mobilitazione delle coscienze. “ E fu decisiva la mobilitazione democratica degli uomini e delle istituzioni – come ricorda il Vicepresidente del Consiglio regionale Nino Boeti, oggi alla guida di quel Comitato – per far fronte a un nemico della democrazia, il terrorismo, che feriva e uccideva uomini innocenti responsabili soltanto di lavorare in una azienda in crisi
, giornalisti, poliziotti che facevano il loro dovere, magistrati coraggiosi con la schiena dritta sull’altare della giustizia”. Dal 1976 al 1978 sono state censite più di 1.400 iniziative, 650 assunte e promosse dalle autonomie locali, più di 350 assemblee di fabbrica alla presenza di forze politiche,80 assemblee scolastiche solo nella provincia di Torino, 350 manifestazioni organizzate dalle associazioni partigiane. Nel 1978 è stata poi lanciata una petizione con l’obiettivo di promuovere un’azione di solidarietà nel momento più delicato quello in cui si doveva celebrare il processo alle Brigate rosse non celebrato nel maggio 1977. In poco tempo la petizione raccolse più di 300.000 firme. Un lavoro enorme, un impegno straordinario che è bene ricordare anche attraverso questo libro, in un momento delicato dove gli attentati terroristici ( come quello di Parigi del 13 novembre scorso ) ripropongono un drammatico ritorno alla memoria degli “anni di piombo”.
irrinunciabile per i cinefili torinesi. “ Venanzio Revolt – rivela nel film – è lo pseudonimo con il quale scrivevo i testi per l’avanspettacolo al Romano”. Il documentario parte dalla storia di suo padre, Giordano Bruno Ventavoli, socialista, giunto a Torino da Monsummano nel’22 per fuggire dalle squadracce fasciste. Trovò impiego presso la fabbrica di automobili Itala , ma nel ’31 l’azienda entrò in crisi e costrinse i lavoratori non iscritti al Partito Nazionale Fascista a lasciare il lavoro.”Allora mio padre – racconta Ventavoli nel film – prese in gestione il cinema Diana in corso regina Margherita. Un anno dopo nacqui io. Fin da piccolo cominciai a occupare le poltrone libere, iniziando così già in tenera età una passione che ben presto diventerà anche un mestiere. Entravo al cinema alle 14 e vi restavo fino a tardi. Tornavamo insieme a casa con il tram 16 “. E poi i ricordi di quando, al cinema Alpi, nel 1950, appena diciottenne, si conquistò il primo stipendio facendo le fatture e di quando, nel 1958, iniziò a dirigere il Romano, dove i Torinesi scoprirono Ingmar Bergman da “ Il posto delle fragole” al “ Settimo sigillo”, proiettato il giorno di Natale del 1959. E poi, tanti altri ricordi e aneddoti alcuni davvero curiosi legati ad alcuni dei più grandi cineasti dell’ultimo secolo: Bunuel, Bergman ( da lui conosciuto a Stoccolma all’anteprima de “ L’uovo del serpente”), De Sica, Truffaut, Allen … Gustoso l’aneddoto dell’incontro con Woody Allen, giunto a Torino per un concerto al Regio, quando Ventavoli gli mostrò la sua collezione, una trentina di film yiddish.” E’ leggenda – dice Ventavoli nel film – che siano stati la sua fonte di ispirazione. Invece non esitò ad ammettere che li ignorava tutti, tranne uno, ma solo perchè era presente un cantante di sinagoga di cui si ricordava sua madre”.
Un monologo scritto dall’autrice e attrice novarese Mariarosa Franchini su spunto offerto dal libro “Truccarsi a Sarajevo”, del giornalista Alberto Bobbio di “Famiglia Cristiana”. Al Teatro dell’Istituto Salesiano “San Lorenzo” di Novara
Fatti trascorsi da appena 20 anni eppure quasi scomparsi dalla memoria collettiva che l’autrice osserva da un punto di vista di assoluta originalità: il racconto-confessione di Salko Dedic, responsabile del centro che, a Tuzla – a 100 km da Sarajevo -custodisce le salme di oltre 3000 vittime in attesa di identificazione. Ad impersonarlo è l’attore Toni Mazzara. Al termine Alberto Bobbio darà la sua testimonianza di inviato in Bosnia-Erzegovina agli inizi degli anni 2000.


PIANETA CINEMA
Il caso Spotlight – Drammatico. Regia di Thomas McCarthy, con Mark Ruffalo, Rachel McAdams, Michael Keaton e Lev Schreiber. Una serie d’articoli, un’inchiesta e un premio Pulitzer per un gruppo di giornalisti del “Globe” di Boston – a seguito dell’arrivo di un nuovo direttore, Marty Baron, pronto ad affrontare tematiche importanti e certo non comode – che tra il 2001 e il 2002 misero allo scoperto, dopo i tanti tentativi di insabbiamento da parte del clero e in primis delle alte gerarchie ecclesiastiche, i casi di pedofilia consumatisi in quella città e non soltanto. Oscar per il miglior film. Assolutamente consigliato. Durata 128 minuti. (Centrale v.o., Eliseo rosso, F.lli Marx sala Groucho, Nazionale 1, Uci)
Deadpool – Fantasy. Regia di Tim Miller, con Ryan Reynolds. Tratto dal fumetto della Marvel Comics. Niente a che fare con l’eroe tradizionale, l’opposto del politicamente corretto, umorismo e parolacce, il tutto condito da una buona dose di cinismo. Un B-Movie che negli States è un grande successo ai botteghini nonostante il suo divieto ai minori. Durata 107 minuti. (Greenwich sala 2, Ideal, Massaua, Reposi, The Space, Uci)
Marie Heurtin – Dal buio alla luce – Drammatico. Regia di Jean-Pierre Ameris con Isabelle Carré. Ambientata nel XIX secolo, è la storia di Marie, una ragazza sorda e cieca, esclusa dal mondo, che, accolta in un monastero di Poitiers, viene amorevolmente seguita da Suor Margherita: con lei apprenderà il linguaggio dei segni, acquistando fiducia in sé e dimostrando a chi con scetticismo l’aveva avversata le proprie doti di umana sensibilità. Durata 95 minuti. (Classico)
Perfetti sconosciuti – Commedia. Regia di Paolo Genovese, con Marco Giallini, Edoardo Leo, Valerio Mastandrea, Giuseppe Battiston, Kasia Smutniak, Alba Rohrwacher. Una cena tra amici, l’appuntamento è per un’eclisse di luna, la padrona di casa decide di mettere tutti i cellulari sul tavolo e di rispondere a telefonate e sms senza che nessuno nasconda qualcosa a nessuno. Un gioco pericoloso, di inevitabili confessioni, che verrebbe a sconquassare le vite che ognuno di noi possiede, quella pubblica, quella privata e, soprattutto, quella segreta. Alla fine della serata, torneranno ancora i conti come quando ci siamo messi a tavola? Durata 97 minuti. (Classico, Eliseo sala grande, F.lli Marx sala Chico, Ideal, Lux 3, Massaua, Reposi, The Space, Uci)
Regali da uno sconosciuto – The Gift – Thriller psicologico. Diretto e interpretato da Joel Edgerton con Rebecca Hall e Jason Bateman. Simon e Robyn incontrano un giorno per caso un vecchio amico di lui, Gordon, un invito a cena, visite sempre più frequenti, regali lasciati all’ingresso della loro nuova casa. Un susseguirsi di fatti improvvisi e inquietanti, i pesci morti nella vasca, la scomparsa del cane, Robin, assalita, che si scopre incinta. Film a piccolo budget, che s’insinua minaccioso a poco a poco nello sguarda dello spettatore, rimuovendo le certezza del buono e del cattivo, sino alla sorpresa finale. Durata 108 minuti. (Lux sala 1, Massaua, The Space, Uci)
Room – Drammatico. Regia di Lenny Abrahamson con Brie Larson. Jacob Tremblay e William H. Macy. Tratto dal libro di Emma Donoghue (anche sceneggiatrice) incentrato sulla recente storia dell’austriaco Josef Fritzl, condannato al carcere a vita, è la storia di Ma’ e Jack, madre e figlio segregate per anni in una stanza, senza alcun contatto con il mondo esterno. Una vita sotterranea, che Ma’ ha cercato d’inventare giorno dopo giorno, tra affetti e protezione. Un giorno gli rivelerà che al di là di quelle pareti esiste la vita, quella vera. Premio Oscar alla Larson come migliore interprete femminile. Durata 118 minuti. (Eliseo blu, F.lli Marx sala Harpo, Nazionale 2, Uci)
Meryl Streep. Nella Londra di inizio Novecento, sono gli anni della Women’s Social and Political Union, la giovane Maud, fin da bambina al lavoro in una lavanderia, vittima di maltrattamenti e abusi, trovandosi un giorno a perorare la giusta causa dinanzi a Lloyd George in persona, prende coscienza della reale situazione in cui versano le donne e partecipa a scioperi e boicottaggi. Manganellate e arresti, nonché l’allontanamento dalla figlia che un marito insensibile e prepotente darà in adozione ad una coppia, non la distolgono dalla certezza di essere sulla strada giusta. Durata 106 minuti. (Due Giardini sala Nirvana, Romano sala 2, Uci)
L’ultima parola – La vera storia di Dulton Trumbo – Drammatico. Regia di Jay Roach, con Bryan Cranston, Helen Mirren, Diane Lane. Negli anni della Hollywood colpita dalla “caccia alle streghe” del senatore McCarthy, lo sceneggiatore Dulton Trumbo è inserito nella “black list” che raggruppa famosi nomi della Mecca del cinema. Perderà il lavoro, vincerà due Oscar lavorando sotto falso nome, verrà riabilitato solo anni più tardi, anche grazie ad attori come Kirk Douglas e a registi come Otto Preminger. Un pezzo di storia americana da vedere e ripensare. Eccellente protagonista Bryan Cranston, candidato all’Oscar. Durata 124 minuti. (Ambrosio sala 3)
Il libro, martedì 1 marzo, verrà presentato all’Unione Industriali di Torino
La capitale sabauda diventò la capitale dell’industria , dalle fabbriche tessili e alimentari delle origini allo sviluppo del settore automobilistico, dall’epopea cinematografica italiana (che all’inizio è anzitutto torinese) allo sforzo bellico della Grande Guerra, dalla nascita dell’industria chimica ai tragici bombardamenti durante il secondo conflitto mondiale. E poi, quasi in arrembante sequenza, la ricostruzione e il boom economico, le trasformazioni del modo di produrre che si riflettono nel tessuto urbano e sociale della città. E ancora: la grande immigrazione e le crisi degli anni Settanta, il declino industriale e le trasformazioni della città nel terzo millennio, con la svolta delle Olimpiadi invernali del 2006. Una storia per molti aspetti unica, vista attraverso le immagini e le parole che fanno di “Torino ‘900. La città delle fabbriche” un documento prezioso.