Entro il 28 febbraio la presentazione delle domande
Al via Not&Sipari 2018, l’iniziativa della Fondazione CRT per la diffusione della musica, del teatro e della danza in Piemonte e Valle d’Aosta. Il bando, che prevede l’erogazione di contributi fino a 40 mila euro per ogni evento selezionato, è aperto sino al 28 febbraio sul sito www.fondazionecrt.it: possono partecipare associazioni non profit, enti locali e istituti didattici di alta formazione che promuovono grandi rassegne o eventi di rilevanza locale.
“Not&Sipari contribuisce a ‘mettere in scena’ spettacoli dal vivo di musica, teatro, danza, arricchendo l’offerta culturale in modo capillare sul territorio – spiega il Presidente della Fondazione
CRT Giovanni Quaglia –. Il bando, che incoraggia una progettualità giovane e inclusiva, guarda con particolare attenzione allavalorizzazione dei luoghi, allo sviluppo di ‘reti’ con enti locali e non profit, allacreazione di aggregazione, secondo le linee di indirizzo tracciate dal Consiglio della Fondazione, da sempre attento alle esigenze e ai mutamenti del territorio”.
“L’obiettivo di Not&Sipari è promuovere iniziative culturali innovative, capaci di coniugare qualità delle produzioni e audience engagement, ampliando le fasce di pubblico cui si rivolgono – afferma il Segretario Generale Massimo Lapucci –. In un momento in cui il mondo della cultura richiede ‘skills’ non solo performative, ma anche operative e manageriali, cerchiamo di selezionare idee nuove e sostenibili, basate sul coinvolgimento di giovani artisti professionisti e sulla trasversalità delle forme e dei linguaggi dello spettacolo, per fare del territorio una vera e propria fucina creativa”.
Gli eventi, in programma da maggio a ottobre, potranno riguardare rappresentazioni dal vivo, stagioni, premi, concorsi in ambito teatrale, musicale o coreutico che non prevedano alcuna quota di iscrizione, nonché forme di spettacolo interdisciplinari.
Nella passata edizione hanno potuto contare sul sostegno della Fondazione CRT numerosissime iniziative tra cui il festival agri-rock “Collisioni” a Barolo, il festival valdostano di musica “CHAMOISic”, le settimane musicali dello Stresa Festival, la rassegna “Teatro sull’Acqua” di Novara, l’evento internazionale gratuito di musica, arte e teatro di strada “Ratataplan” a Biella.
Not&Sipari ha sostenuto negli ultimi anni circa 1.200 iniziative – dai grandi festival alle piccole rassegne – per oltre 12 milioni di euro.
Per più di trent’anni ha illustrato per “Mondadori” le copertine di famosi libri arrivati, transitati e ancora oggi presenti nelle case di milioni di italiani. Vere e proprie icone.
operatore dell’arte dall’impostazione grafico-cartellonistica di matrice mitteleuropea che ha lasciato un segno profondo a livello mondiale e la cui “espressività risente di una cultura pittorica e artistica profondissima, con citazioni e richiami talvolta espliciti, talvolta sotterranei e incrociati”. Il tutto, sotto il segno di un mestiere che Pintér inizia in giovanissima età a Budapest (dove si era trasferito con la famiglia a nove anni e dove aveva studiato alla Scuola d’Arte Applicata), realizzando la sua prima copertina per il libro del poeta ungherese Sàndor Petofi. Nel ’56, in rivolta contro il regime comunista e l’arrivo dei carri armati sovietici, si rifugia come profugo in Italia. Si stabilisce a Milano, dove subito ottiene come primo lavoro la realizzazione di un gigantesco murale (80 mq) per la Radio Marelli. E’ del ’60 l’avvio della collaborazione, che durò 32 anni, con “Arnoldo Mondadori Editore”, per cui l’”illustratore perfetto” realizzerà copertine e illustrazioni interne di libri, iniziando con la Collana “Segretissimo”, della quale dipinse le prime 14
copertine. La notorietà gli deriva però anche dalla realizzazione di importanti campagne pubblicitarie e per i manifesti politici, ad alto effetto, eseguiti nell’epoca della Perestroika contro l’antidemocratico totalitarismo comunista. Dai “gialli” Mondadori, alle fiabe fino ai tarocchi: sono moltissimi e fra loro diversi (preferibilmente eseguiti a tempera, senza disdegnare china, marker e tecniche miste elaborate) i testi illustrati da Pintér. Che nel 1989 dipinse i 22 Trionfi dei “Tarocchi dell’Immaginario”, pubblicati da “Lo Scarabeo” di Torino con la presentazione dello storico dell’arte Federico Zeri. Fra il 2000 e il 2002, l’artista lavorò poi ai 56 Arcani Minori, anche questi editi da “Lo Scarabeo”. Nell’ottobre del 2011, la stessa casa editrice torinese pubblicò le tavole di un “Pinocchio”, cui Pintér si era dedicato negli ultimi anni di vita ma che era rimasto inedito. Una cinquantina di tavole, tempere veloci ma rigorosamente controllate, di corposa e materica gestualità. Sicuramente una delle più belle e interessanti edizioni del capolavoro collodiano. E “summa” fortemente poetica dell’opera dell’artista, cui la mostra dedica un focus quanto mai importante e doveroso.
di Enzo Biffi Gentili
rammarico- dalle liste del PD. Ci azzecca molto. Perché Spazzapan, anche se il fatto non è ancora sufficientemente noto, fu centrale nella formazione e nell’opera successiva di Sottsass, che sino al 1947 era residente e creativamente attivo a proprio a Torino. È stato infatti rilevato, anche da chi scrive oltre vent’anni fa, che i modi “estetico-calligrafici” rapidissimi di Spazzapan sono stati fonti per i quadri del Sottsass pittore almeno nel periodo tra la fine degli anni 40 e la metà degli anni 50, ben più di influenze e riprese di prove dell’espressionismo astratto americano trionfante. Ma anche le primissime rappresentazioni architettoniche di Sottsass, i suoi schizzi di progetti per ville e villini sono “rialzati” ed evidenziati da veloci tratti e segni a mano libera assimilabili a quelli degli eleganti corsivi, della pittura “gestuale” insomma di Spazzapan. Ancora, i due sono accomunati da una costellazione di referenze mitteleuropee e viennesi, che riguardano sia
l’architettura, con l’elezione a numi tutelari di Otto Wagner, Josef Hoffmann, Richard Neutra; sia la pittura, con la devozione per Kandinskij e Klee; sia le arti applicate, con l’esaltazione delle Wiener Werkstätte. Non si tratta solo di teorie, ma di pratiche: come artisti applicati collaboreranno infatti disegnando tessuti per la torinese manifattura Redan; come operatori culturali nell’organizzazione del Premio Torino del 1947 che cercò di imporre la pittura astratta. Infine Sottsass dichiarò sempre, in modo ricorrente, di aver molto imparato dal pittore torinese, con manifesta riconoscenza (del resto, a ulteriore prova documentale, basterebbe vedere nella mostra milanese alcuni piatti decorati con stilemi alla Spazzapan, con tutta evidenza). Anche per tutto ciò, ricordato in catalogo, è molto importante la “periferica” esposizione torinese, che guarda caso non è stata organizzata da una pubblica istituzione ufficiale, ma da una privata e benemerita fondazione diretta da un “meridionale”, Prospero Cerabona.


ospitare donne tedesche asociali e delinquenti comuni e, successivamente, donne dei paesi progressivamente occupati dai nazisti, zingare, ebree, oppositrici al regime, omosessuali, testimoni di Geova. A Ravensbrück sono state immatricolate 132.000 donne e decine di migliaia di loro hanno perso la vita, eliminate tramite fucilazione o tramite camera a gas, oppure morte per malattia, stenti, lavoro, fame, freddo, o ancora a seguito degli esperimenti medici di cui erano le cavie. La conoscenza e la Memoria di questo luogo, se pure negli anni ha conservato poco dell’originaria struttura concentrazionaria, può e deve essere un doveroso omaggio a tutte le donne che nel campo hanno sofferto e trovato la morte. Un libro di immagini non può restituire qualcosa alla loro sofferenza, ma nel tentativo compiuto da Ambra Laurenzi c’è l’impegno e la volontà di non dimenticarle e di non far dimenticare l’inferno di Ravensbrück. Con l’inserimento di fotografie realizzate negli ultimi dieci anni, l’autrice ha scelto di privilegiare non tanto
l’immagine storica del campo, ma la sua contemporaneità attraverso le sensazioni che il luogo sollecita oggi, percorrendolo senza smarrire il senso del tempo e degli eventi e ricercando nei segni il tratto dell’evocazione, oltre che la semplice evidenza. La scelta narrativa deriva dalla convinzione che un luogo della Memoria debba essere percepito come testimonianza di una terribile pagina della storia, ancora in grado di interrogarci e di stimolare un viaggio interiore nella consapevolezza. In un percorso storico-narrativo omogeneo, il libro si compone di immagini che, in alcuni momenti, si alternano e si confrontano con testi curati da Aldo Pavia, brevi frasi originali o tratte dalle testimonianze delle deportate. Una delle due sezioni conclusive è dedicata alle donne sopravvissute che, dopo aver creato nel 1948 un primo nucleo di ex-deportate appartenenti a quattro diverse nazioni, nel 1965 hanno costituito ufficialmente, con l’iniziale partecipazione di 11 Paesi, il Comitato Internazionale di Ravensbrück, che ancora oggi persegue i suoi obiettivi. La seconda sezione contiene una nota esplicativa del campo con alcune fotografie storiche.
Benedetta follia – Commedia. Regia di Carlo Verdone, con Carlo Verdone, Ilenia Pastorelli, Lucrezia Lante della Rovere e Paola Minaccioni. Guglielmo, in depressione stabile, è il proprietario di un negozio di arredi sacri e abbigliamento d’eccellenza, per il piacere e l’eleganza della moltitudine di porporati romani. Depresso anche per il fatto che la moglie lo ha appena abbandonato perché innamorata proprio della commessa del suo negozio: quando come un ciclone entra nella sua vita una ragazza di borgata. Opera con un buon inizio se poi non prendesse la strada delle vogliose signore che in un modo o nell’altro vogliono accaparrarsi il misero quanto problematico single. Con una comicità che fa acqua da ogni parte (in sala piena ho contato un paio di risate davvero convinte), non priva di momenti quantomai imbarazzanti (oltrepassando di gran lunga, all’italiana, lo spudorato ma tranquillo divertimento della scena clou di “Harry, ti presento Sally”, la signora che nasconde il cellulare “nel posto più bello del mondo” finisce per ritrovarsi in una storiellina soltanto fuori dei limiti; l’attore/regista che si mette a fare il cicerone all’interno di palazzo Altemps a Roma denuncia tutta la sua odierna mancanza d’idee, lontanissimo dalle cose migliori; e poi le pasticche, i balletti, le cianfrusaglie tra colori e suoni…). La gieffina Pastorelli rimane se stessa in ogni occasione, immutabile se non fosse per i cambi d’abito (sempre più ristretto), alla ricerca dei begli effetti che una Ramazzotti ci ha dato in altre occasioni. Godetevi la manciata di minuti della Minaccioni. Un toccasana. Durata 109 minuti. (Massaua, Ideal, Reposi, The Space, Uci)
“Quasi amici” promettono risate a valanga e il successone in patria dovrebbe calamitare anche il pubblico di casa nostra. I due sposini Pierre ed Hélène hanno deciso di sposarsi e quel giorno deve davvero essere il più bello della loro vita. Nella cornice di un castello del XVII secolo, poco lontano da Parigi, si sono affidati a Max e al suo team, ad un uomo che ha fatto della sua professione di wedding planner una missione, che organizza e pianifica, che sa gestire i suoi uomini, che sa mettere ordine nel caos più supremo, che per ogni problema sa trovare la giusta risoluzione… Più o meno: perché quella giornata sarà molto ma molto lunga, ricca di sorpresa e di colpi di scena. Ma soprattutto di enormi, fragorose risate! Durata 115 minuti. (Romano sala 2, The Space, Uci)
Coco – Animazione. Regia di Lee Unkrich e Adrian Molina. Fa parte di una famiglia che certo non stravede per la musica il piccolo Miguel e lui non ha altro sogno che diventare chitarrista. Questo il preambolo; e a dire quanto la Pixar guardi allo stesso tempo ad un pubblico di bambini (ma, per carità, senza nessun incubo) e di adulti, ecco che Miguel si ritrova catapultato nel Regno dei Morti a rendere omaggio ai tanti parenti che non sono più attorno a lui. Durata 125 minuti. (Ideal, The Space, Uci)
Ella & John – The Leisure Seeker – Drammatico. Regia di Paolo Virzì, con Donald Sutherland e Helen Mirren. Tratto dal romanzo americano di Michael Zadoorian, con alcune varianti apportate dalla sceneggiatura scritta dallo stesso regista in compagnia di Francesco Piccolo, Francesca Archibugi e Stephen Amidon (a lui già Virzì si rivolse per “Il capitale umano”), è la storia della coppia del titolo, svanito e smemorato ma forte John, fragile ma lucidissima Ella, è il racconto del loro viaggio, dai grattacieli di Boston ai climi di Key West, lungo la Old Route 1, anche per rivisitare con la (poca e povera) memoria il vecchio Hemingway – John è stato un professore di letteratura di successo che ha coltivato con passione lo scrittore del “Vecchio e il mare” -, un viaggio che ha la forma di una conclusiva ribellione ad una famiglia e soprattutto a un destino che ha riservato per lei il cancro all’ultimo stadio e a lui l’abisso dell’Alzheimer. Momenti di felicità e anche di paura in un’America che sembrano non riconoscere più, una storia attuale e un tuffo nella nostalgia (quella che guarda agli anni Settanta), a bordo del loro vecchio camper, mentre corpo e mente se ne vanno. Un’occasione, per ripercorrere una storia d’amore coniugale nutrita da passione e devozione ma anche da ossessioni segrete che riemergono brutalmente, regalando rivelazioni fino all’ultimo istante. Durata 112 minuti. (Ambrosio sala 3, Eliseo Blu, F.lli Marx sala Groucho, Romano sala 1, Uci)
regista continua il proprio viaggio nella paura, con porte cigolanti o che sbattono all’improvviso, occhi sgranati e biancastri, abiti che ballano, vocine tremolanti e piene di terrore, demoni terribili, legami indissolubili tra qui e l’Altrove. Elisa ha il potere di richiamare i morti, per questo viene convocata nel New Mexico da una famiglia che abita la casa che l’ha vista bambina. Reincontrerà tutti i fantasmi del suo passato e proverà a sconfiggerli. Durata 103 minuti. (Uci)
Jumanji – Benvenuti nella giungla – Avventura. Regia di Jake Kasdan, con Dwayne Johnson, Karen Gillan e Jack Black. Un fenomeno che ha più di vent’anni (eravamo nel 1996) e che ricordiamo ancora oggi per il personaggio, Alan Parrish, interpretato dal compianto Robin Williams, attore al culmine del successo dopo la prova in “Mrs. Doubtfire”. Hollywood non dimentica e rispolvera un passato di ottimi botteghini. Messi in punizione nella scuola che frequentano, quattro ragazzi scoprono un vecchio videogame. Una volta dato il via al gioco, essi vengono catapultati all’interno del sorprendente meccanismo, ognuno con il proprio avatar. Assumeranno altre sembianze, entreranno nell’età adulta: ma che succederebbe se la loro missione fallisse e la vita di ognuno finisse intrappolata nel videogame? Durata 119 minuti. (Ideal, The Space, Uci)
Thomas e i suoi amici. Adesso si tratta di dare l’assalto a un treno in puro stile western, di salvare a ogni istante la ragazza amata, di liberare i ragazzi che stanno per diventare le cavie di un grande laboratorio. E poi, si sa, il mondo è salvato dai ragazzini, specialmente quando a sconvolgerlo potrebbe essere un gruppo di adulti che aspira ad un pieno, feroce potere. Durata142 minuti. (Massaua, Ideal, Reposi, The Space, Uci anche V.O.)
Napoli velata – Drammatico. Regia di Ferzan Ozpetek, con Giovanna Mezzogiorno, Alessandro Borghi, Beppe Barra, Luisa Ranieri, Anna Bonaiuto. In una Napoli piena di ambiguità e di misteri, in bilico tra magia e superstizione, tra follia e razionalità, Adriana, ogni giorno a contatto con il mondo dei non-vivi per la sua professione di anatomopatologa, conosce un uomo, Andrea, con cui trascorre una notte di profonda passione. Si sente finalmente viva ed è felice nel pensare ad un prossimo appuntamento. A cui tuttavia Andrea non verrà: è l’inizio di un’indagine poliziesca ed esistenziale che condurrà Adriana nel ventre della città e di un passato, dove cova un rimosso luttuoso. Durata 110 minuti. (Romano sala 3)
inviso al partito opposto e neppure in grado di poter contare sui suoi colleghi di partito e sul re che lo tollera, mentre le truppe tedesche hanno iniziato a invadere i territori europei, Churchill combatte in una difficile quanto decisiva scelta, se concludere un armistizio con la Germania dopo la repentina caduta della Francia oppure avventurarsi nell’intervento di un conflitto armato. Mentre si prepara l’invasione della Gran Bretagna, si deve pensare alla salvezza del paese, grazie ad una pace anche temporanea, o l’affermazione con una strenua lotta degli ideali di libertà: una delle prime mosse fu il recupero dei soldati intrappolati sulle spiagge di Dunkerque (come già ad inizio stagione ci ha insegnato lo stupendo film di Christopher Nolan). Oldman s’è già visto per il ruolo assegnare un Globe, sta sopravanzando sugli altri papabili per quanto riguarda gli Oscar, un’interpretazione che colpisce per la concretezza, per gli scatti d’ira e per quel tanto di cocciutaggine e lungimiranza britannica che in quell’occasione s’impose. Uno sguardo al trucco dell’interprete: gorse un altro Oscar assicurato. Durata 125 minuti. (Due Giardini sala Ombrerosse, F.lli Marx sala Chico e Harpo anche V.O., Lux sala 1, Massimo sala 2, Reposi, The Space, Uci)
Sono tornato – Commedia. Regia di Luca Miniero, con Massimo Popolizio, Stefania Rocca e Franck Matano. I tedeschi tre anni fa proposero “Lui è tornato” riaffacciando i baffetti di un tempo sul suolo germanico. Noi veniamo in scia e immagine che il Duce dai tratti mascolini che ha il viso di Popolizio ricompaia a piazza Vittorio, multietnica, di Roma e venga scambiato da un discreto attore che ne fa discretamente l’imitazione. Trattandosi di pura realtà, il soggetto vuole raddrizzare la molliccia Patria e riprendere le cose là dove le ha lasciate. Un regista pregusta già il successo e lo prende sotto la sua ala protettrice: e se i risultati non sono quelli sperati, oggi i social aiutano per cui la buonanima, che ha visto il proprio nome sempre più pubblicizzato, si lascia catturare dalla ferrea vicedirettrice di un’emittente, pronta a spargerlo per l’intero palinsesto. Nell’Italia arrabbiata e indecisa di oggi lo share può salire alle stelle. Durata 100 minuti. (Massaua, Greenwich sala 2, Ideal, Reposi, The Space, Uci)
ben quattro presidenti per quel che riguardava il coinvolgimento degli States nella sporca guerra in Vietnam. Il governo proibì che fossero dati alle stampe. Se ne fece carico il direttore del Washington Post (Tom Hanks), sfidando comandi dall’alto e un non improbabile carcere: ma a nulla sarebbe valsa quella voce pure autorevole, se la voce ancora più forte non fosse venuta dall’editrice Katharine Graham, all’improvviso ritrovatasi a doversi porre in prima linea in un mondo esclusivamente maschile, buona amica del presidente in carica e del suo staff (in primo luogo del segretario alla difesa McNamara) e pur tuttavia decisa a far conoscere a tutti quel mai chiarito pezzo di storia. L’autore del “Soldato Ryan” e di “Lincoln” si avvale di una sceneggiatura che porta la firma prestigiosa di Josh Singer (“Il caso Spotlight”), della fotografia di Janusz Kaminski (“Schindler’s list”), dei costumi di Ann Roth; con questo ultimo ritratto Meryl Streep si conquista la sua ventunesima nomination agli Oscar. Riuscirà la fantastica Frances McDormand di “Tre manifesti” a sbarrarle la strada? Durata 118 minuti. (Ambrosio sala 1, Centrale V.O., Massaua, Due Giardini sala Nirvana, Lux sala 2, Reposi, The Space, Uci)
re manifesti a Ebbing, Missouri – Drammatico. Regia di Martin McDonagh, con Frances McDormand, Woody Harrelson, Sam Rockwell, Abbie Cornish e Lucas Hedges. Da sette mesi le ricerche e le indagini sulla morte della giovane Angela, violentata e ammazzata, non hanno dato sviluppi né certezze ed ecco che allora la madre Mildred compie una mossa coraggiosa, affitta sulla strada che porta a Ebbing, tre cartelloni pubblicitari con altrettanti messaggi di domanda accusatoria e di “incitamento” diretti a William Willoughby, il venerato capo della polizia, onesto e vulnerabile, malato di cancro. Coinvolgendo in seguito nella sua lotta anche il vicesceriffo Dixon, uomo immaturo dal comportamento violento e aggressivo, la donna finisce con l’essere un pericolo per l’intera comunità, mal sopportata, quella che da vittima si trasforma velocemente in minaccia: ogni cosa essendo immersa nella descrizione di una provincia americana che coltiva il razzismo, grumi di violenza e corruzione. Da parte di molti “Tre manifesti” è già stato giudicato come il miglior film dell’anno, i quattro recenti Golden Globe spianano la strada verso gli Oscar. Durata 132 minuti. (Ambrosio sala 2, Eliseo Rosso, Greenwich sala 1)
Cauley è avvicinato da una bella donna, una psicologa, che gli promette una bella quantità di soldi se lui vorrà fare con lei un gioco: su quel treno viaggia un tale che non ha proprio le caratteristiche di un normale pendolare, a lui scoprire di chi si tratta. Come nelle storie del maestro Hitchcock, l’uomo entrerà negli ingranaggi di un gioco più grande di lui, se volesse sottrarsene ne andrebbe della sua famiglia. Durata 105 minuti. (Massaua, Lux sala 3, Reposi, The Space, Uci)
Wonder – Drammatico. Regia di Stephen Chbosky, con Julia Roberts, Owen Wilson e Jacob Tremblay. Auggie è un bambino di dieci anni, una malformazione cranio facciale ha fatto sì che non abbia mai frequentato la scuola. Quando i genitori prendono la decisione che è venuta davvero l’ora di affrontare il mondo degli altri, per il ragazzino non sarà facile. Al tavolo di Auggie, in refettorio, nessuno prende posto, un gruppetto di compagni continua a divertirsi a prendere in giro il suo aspetto. Poi qualcuno comunicherà ad apprezzarlo e ad avvicinarsi a lui. Durata 113 minuti. (Massaua, Reposi, The Space, Uci)
San Secondo di Pinerolo
carta) utilizzati dall’artista per le sue creazioni. Un gioco virtuale invita poi ad interagire con le forme e le silhouette delle opere per “familiarizzare” con esse. Ogni sala è una scoperta perché corredata da giochi, individuati a parete dall’immagine evocativa del metro. Su questa linea, la Fondazione Cosso ha anche realizzato appositamente per i bimbi “Il gioco dell’arte”, un libretto didattico (pensato in duplice versione, per le fasce d’età 3 – 6 anni e 6 – 11 anni) dedicato alla mostra, da compilare insieme a tutta la famiglia, per scoprire – fra i pesci volanti di Melotti, la luna di Klee e un mondo di matite colorate – quanto una mostra d’arte possa saggiamente trasformarsi in puro divertimento e importante stimolo alla fantasia. Nell’arco del pomeriggio, l’Antica Pasticceria Castino proporrà nella Caffetteria del Castello una merenda dolce, con menù differenziato per gli adulti e per i bambini. La prenotazione è obbligatoria.
FINO AL 22 APRILE
“sezioni” tese ad accompagnare il visitatore attraverso gli inizi ferraresi (a Ferrara de Pisis nasce nel 1896), l’incontro fondamentale (1916) con la pittura metafisica di de Chirico, Savinio e Carrà, fino alla consolidata formazione artistica maturata a Parigi (dove si ferma per quattordici anni e dove conosce mostri sacri come Matisse e i Fauves e ancor più s’avvicina all’esemplare lezione di Manet e alla scomposta passionalità di Soutine), per concludersi tristemente – dopo viaggi per città d’arte come Roma e Londra e dopo i più lunghi soggiorni milanesi e veneziani – in una casa di cura di Brugherio, alle porte di Milano, dove l’artista si spegne il 2 aprile del 1956.
autori “da Museo” suoi costanti riferimenti: dall’“Arte antica” alla “Contemporanea”, da Michelangelo, al Sodoma a Tiziano per arrivare a Scipione, a Tosi o a Casorati. Riferimenti dichiarati con orgoglio, così come esplicita appare la forte attrazione per quei plastici “nudi maschili” che troviamo nella sezione “Studio”. Inno alla più chiara genialità espressiva sono infine le opere de “L’ambiente di Parigi” e i “Paesaggi come luoghi dell’anima”: dipinti concepiti spesso fianco a fianco con quel gruppo eterogeneo degli “Italiens de Paris” in cui spiccavano, fra gli altri, i nomi di De Chirico, di Savinio, di Tozzi e di Campigli. Nel ’39, de Pisis ritorna in Italia. A Milano prima, a Venezia poi. Sul finire degli Anni ’40 i primi ricoveri, i primi segnali di una fine che lo coglierà di lì a breve a soli sessant’anni. In mostra anche i suoi ultimi quadri. La tavolozza è sempre più rarefatta ed essenziale. In “Rose bianche” del ’51 solo qualche sottile striatura di rosso e di verde incide il candore del soggetto. Sulla tela scrive anche un ironico “W Pippo”. Ultimo flebile dolcissimo canto del cigno.
Richard Strauss e l’Italia. Questo il titolo della mostra inaugurata il 2 febbraio scorso e aperta fino al 17 marzo presso l’Auditorium Vivaldi, annesso alla Biblioteca Nazionale Universitaria, nella centrale piazza Carlo Alberto.