CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 684

Missione possibile: salvare Torino e l’arte

Se oggi possiamo ancora ammirare la Sindone, vari monumenti cittadini, i reperti del Museo Egizio e le opere d’arte dei musei lo dobbiamo ai provvidenziali interventi di tutela del patrimonio umano ed artistico che durante la II Guerra Mondiale li hanno messi al riparo mentre, tra 1940- 45, dal cielo cadevano le bombe sulla città.

La lungimiranza e il grande lavoro fatto all’epoca per proteggere la storia cittadina sono ora raccontati nel libro “Salvare Torino e l’arte” (Graphot editrice), scritto dalle architette Elena Imarisio e Letizia Sartoris e dal Vigile del Fuoco Michele Sforza che lo presenteranno al Salone del libro di Torino sabato 12 maggio, ore 16, in Sala Arancio.

Nel carnet dei vostri appuntamenti alla kermesse torinese segnatevi anche questo perché vi farà scoprire un libro che, tra immagini e parole, si legge come un romanzo o un insieme di racconti. Un tuffo nella storia con testimonianze fotografiche che nessuno prima d’ora aveva riportato alla luce. L’incontro vi permetterà di aprire una pagina inedita della storia torinese e gli autori vi sveleranno dove e come sono state nascoste e protette, per esempio, la statua dedicata ad Emanuele Filiberto di piazza San Carlo, le mummie millenarie del Museo Egizio o la guglia della Mole Antonelliana. Questo ed altro nel volume nato dalla tesi di laurea -12 anni fa- sulla protezione del patrimonio culturale e sui rifugi aerei delle due giovani architette, come ci racconta con entusiasmo Elena Imarisio: «Da allora abbiamo sempre continuato ad approfondire l’argomento; poco alla volta abbiamo continuato a scovare documenti …e ci siamo rese conto che alcuni venivano tirati fuori dagli archivi per la prima volta dai tempi della guerra. Foto, articoli di giornale e carteggi ufficiali ci hanno permesso di ricostruire la storia di tanti salvataggi. Da quello della statua di piazza San Carlo a quello dei reperti del Museo Egizio».

Quanto sono importanti le foto inedite del libro e cosa ci dicono?

«Quello che è successo durante la guerra ai monumenti delle piazze, ai tesori dei musei, agli archivi e alle biblioteche torinesi. Per esempio siamo riusciti a ricostruire tutto l’iter del Cavallo di Bronzo: il progetto della casseratura, la foto del momento in cui veniva incassato, quella dell’incendio della casseratura e quella del giorno dopo che lo mostrano danneggiato. Manca l’immagine di quando è stato portato via, ma abbiamo recuperato quella che immortala il suo riposizionamento sul piedistallo. Sono preziose anche le foto della messa in salvo dei beni trasportabili dell’Egizio. E poi tante altre immagini d’epoca affascinanti».

Quali sono i monumenti e le opere più importanti scampati ai bombardamenti?

«La Sindone… questa è una chicca venuta fuori negli ultimi anni; poi moltissimi reperti del Museo Egizio dove anche le grandi statue inamovibili sono state comunque protette in loco con sacchi di sabbia e castellature di legno; e i documenti dell’Archivio di Stato. Tutto quello che oggi possiamo ammirare nei musei c’è grazie al grandissimo lavoro di salvataggio».

Chi dobbiamo ringraziare per questo?

«I sovrintendenti e direttori “illuminati” che hanno capito la necessità di proteggere i beni; con il personale interno vi hanno provveduto e poi, a fine guerra, hanno fatto riportare le opere al loro posto. Un lavoro immenso che ha permesso di conservare il nostro prezioso patrimonio artistico».

Come e dove venivano portati i beni a rischio?

«Ci furono due fasi: inizialmente furono trasportati fuori città e dal Piemonte, messi al riparo in castelli come quello di Guiglia vicino a Modena. In un secondo tempo si è ritenuto più sicuro riportarli al nord, nei castelli limitrofi al capoluogo subalpino, come quelli di Agliè e di Settime d’Asti; oppure al riparo nei castelli nobiliari messi a disposizione dai proprietari. Abbiamo anche foto che testimoniano come vari tesori delle gallerie d’arte e statue più piccole e trasferibili furono nascosti nei rifugi sotto i Palazzi Madama, Accademia delle Scienze e Carignano».

Che ruolo ebbero i Vigili del Fuoco?

«A loro è dedicata la seconda parte del libro. Hanno salvato la popolazione sotto i bombardamenti, in caso di crolli intervenivano immediatamente. Spesso i rifugi antiaerei erano semplici cantine rinforzate: un po’ delle trappole perché se l’edificio veniva colpito, la gente non riusciva più ad uscire e i Vigili del Fuoco hanno fatto un grandissimo lavoro di recupero delle persone e delle vittime».

E per quanto riguarda la messa in salvo dei beni artistici?

«Intervenivano più che altro in casi di danneggiamento. Per esempio abbiamo la foto del loro intervento quando il 13 agosto 1943 Palazzo Madama fu colpito da uno spezzone incendiario e loro salirono sul tetto per spegnere subito il fuoco. Un’altra immagine riprende i Vigili del Fuoco al lavoro tra le macerie di una casa colpita in via Nizza: in primo piano c’è il vigile preposto a controllare che la struttura non crollasse –figura sempre presente perché fondamentale per l’incolumità dei colleghi all’opera- e sullo sfondo è ben visibile la “R” di segnalazione del rifugio al piano interrato dell’edificio».

Su che materiali vi siete basati per ricostruire la storia del loro lavoro?

«Il nostro coautore Michele Sforza ha fondato e diretto l’Archivio Storico del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco dov’ è conservata un’ingente mole di documenti, verbali dei salvataggi e degli interventi svolti; ma anche tantissime fotografie che ci hanno aiutati a ricostruire la storia di monumenti e palazzi. Alla fine della guerra sono state usate dal Comune di Torino per una schedatura dei danni a tappeto di tutta la città, mandando funzionari preparati, compilando schede con tutti i dati della localizzazione degli edifici, i danni subiti ed eventuali interventi già iniziati nel post guerra, e ad ogni edificio era allegata anche una documentazione fotografica».

Cosa è andato invece irrimediabilmente perduto sotto le bombe?

«Parte del tesoro della Biblioteca Universitaria che oggi è davanti a Palazzo Carignano ma in tempo di guerra era in via Po; quando il palazzo fu colpito non tutto era stato già messo in salvo e quello che rimaneva andò distrutto».

 

Laura Goria

 

 

 

 

 

Il genocidio dimenticato

In mostra alla Paola Meliga Art Gallery il lavoro del fotoreporter Ugo Lucio Borga

Il genocidio dimenticato. Questo il fil rouge della mostra che ospita, fino al prossimo 15 giugno, la Paola Meliga Art Gallery, in via Maria Vittoria 46/D, dedicata al fotoreporter valdostano Ugo Lucio Borga, di cui è esposto un lavoro documentaristico compiuto in Sud Sudan. Il conflitto in questa terra ha provocato il più grande esodo della storia, avvenuto in Africa dal genocidio in Ruanda. Inserita nel contesto della prima edizione di “Fo.To- Fotografi a Torino”, in svolgimento dal 3 maggio scorso fino al 29 luglio prossimo, la mostra riunisce un’ampia selezione di immagini realizzate dal fotoreporter nato nel 1972, foto attraverso le qual ha potuto documentare le drammatiche conseguenze della guerra civile scoppiata nel 2013 in questo Paese africano. Si è trattato di un conflitto che ha profondamente minato la stabilità del Paese, provocando un grande esodo e una drammatica crisi umanitaria a livello mondiale. In occasione dell’inaugurazione della mostra, lo scorso 3 maggio, è stato presentato l’ultimo libro di Ugo Lucio Borga, con prefazione di Marco Boggio.

 Mara Martellotta

Paola Meliga Art Gallery

Orario: dal martedì al venerdì dalle 15.30 alle 19. Il sabato dalle 10 alle 12.30 e dalle 15.30 alle 19. Lunedì e festivi chiusi

«Wonderland». La nuova stagione dello Stabile

Una bionda Alice è l’immagine che simboleggia la stagione 2018/2019 del Teatro Stabile che si propone con una sola parola «Wonderland». La presentazione questa mattina al Teatro Gobetti, presenti il presidente dell’ente teatrale Lamberto Vallarino gancia e il direttore Filippo Fonsatti. In tutto 67 spettacoli, comprese le 17 produzioni, 32 spettacoli ospiti, e 18 per il Festival  Torinodanza. Un totale di  401 recite e 132 repliche in tournée, oltre a diverse produzioni internazionali. I particolari sugli spettacoli in un nostro prossimo servizio. #Wonderland è il luogo delle possibilità, dello stupore, della curiosità. Wonderland è l’opportunità di attingere a mille personaggi bizzarri e non, di conoscere aneddoti e storie nelle storie. Alice, con i suoi grandi occhi curiosi, rappresenta lo sguardo affascinato verso questo mondo, stupito davanti allo spettacolo delle meraviglie. La nuova stagione del Teatro Stabile di Torino è Wonderland, lo stupore sul palcoscenico, ogni sera. #tstwonderland #torino #teatro. L’immagine della campagna #wonderland è di Stephanie Jager

La leggenda di Evita nel musical al Regio

In Argentina Evita Peron, ancor prima di morire a soli 33 anni, di tumore, era già entrata nella leggenda e la sua figura emanava e, al tempo stesso, continua ad emanare un irresistibile magnetismo che trascende qualsiasi credo e nazionalità. Ha riscosso un enorme successo di pubblico la rappresentazione al teatro Regio di Torino del musical “Evita”, in scena fino al prossimo 8 maggio, un lavoro piuttosto ambizioso che si richiama alla tradizione dell’opera italiana nell’alternanza di canto e recitativo, traendo, appunto, la sua forza dall’interazione tra stili musicali diversi, quali il rock, il pop, il tango ed il folklore spagnolo, mescolati tutti a suggestioni di Puccini e di Britten, per creare una partitura ricca di tensione drammatica e di canzoni indimenticabili. Come non ricordare testi quali “Don’t cry for me Argentina”, cantata da Evita dal balcone della casa Rosada, il giorno della proclamazione dell’elezione a presidente del marito, il 17 ottobre del ’45, e “Another Suitcase in Another Hall”, originariamente cantata da Barbara Dickson nel disco originale e, nelle successive versioni, dall’amante di Peron?

***

Il celebre musical composto da Andrew Lloyd Webber, su versi di Tom Rice, nel 1978 e liberamente ispirato alla vita di Maria Eva Duarte de Peron, affettuosamente chiamata Evita, first Lady dell’Argentina negli anni Quaranta, rappresenta la prima produzione in assoluto che abbia visto impegnata dal vivo un’orchestra sinfonica. Il debutto teatrale avvenne il 21 giugno 1978 in un teatro del West End a Londra e il ruolo di Evita fu affidato a Elaine Page, scelta tra un vasto numero di candidate, dopo la rinuncia alla parte di Julie Covington. Tra le canzoni di stampo più classico figurano il pezzo corale iniziale dal titolo “Requiem for Evita”, l’interludio corale nella canzone “Oh what a circus”, e le orchestrazioni della canzone “Lament”, nonché il preludio iniziale della canzone “Don’t cry for me Argentina”. Ritmi tipicamente latini sono presenti in brani quali “Buenos Aires” e “On this Night of a thousand of stars”. Evita, articolato in due atti, è stato presentato ora nella versione originale in lingua inglese con sopratitoli in italiano. Le recite al teatro Regio di Torino rappresentano le uniche date italiane del tour internazionale, per la regia di Bob Tomson e Bill Kenwright, la coreografia di Bill Deamer, le scene ed i costumi di Matthew Whight, le luci di Dan Samson. Il personaggio di Evita è interpretato da Madalena Alberto, attrice e cantante portoghese con una brillante carriera in campo teatrale e musicale a Londra. Il ruolo del marito Juan Domingo Peron è interpretato da Jeremy Secomb e quello del narratore Che Guevara dal cantante ed attore di origini parmensi Gian Mario Schiaretti.

Mara Martellotta

Torino a tutta fotografia

Ci siamo arrivati. Piano piano, ma ci siamo arrivati. E, mostra dopo mostra, la Torino artistica ( per merito comune di musei pubblici e privati, centri specializzati, gallerie d’arte, fondazioni e associazioni fra le più varie, spazi no-profit e istituti d’arte e di design), può dirsi ormai da tempo terreno fertile per la realizzazione di “grandi” mostre dedicate alla “grande” fotografia. Nazionale ed internazionale

A darne prova, basti solo pensare ad alcune fra le rassegne fotografiche made in Turin, e dintorni, di maggior successo e ancora in corso (altre di grandissima levatura per i nomi proposti si sono concluse nei mesi scorsi), come a “L’occhio magico” di Carlo Mollino ospitata negli spazi di Camera, il benemerito Centro Italiano per la Fotografia di via delle Rosine, o a quell’“Arma il prossimo tuo” che al Museo Nazionale del Risorgimento ha messo insieme foto da “pugno nello stomaco” riferite alle guerre cosiddette “di fede” firmate da fotoreporter d’eccezione come Roberto Travan e Paolo Siccardi; o ancora alla “Storia di un fotografo” che a Palazzo Chiablese assembla oltre 200 opere che ci portano nel mondo multiforme di uno dei più grandi fotografi contemporanei come Frank Horvat, per non dire delle due magiche mostre “Genesi” e “Architetture e Prospettive” dedicate proprio in questi giorni dalla Reggia della Venaria (appena fuori porta) al brasiliano Sebastiao Salgado e al fiorentino Massimo Listri. Mostre da sold out. Consacrate dal grande pubblico, dalla critica e dagli appassionati dell’ottava arte. Che anche a Torino sono sempre di più e sempre più esigenti. Proprio su queste basi e considerazioni prende il via “Fo.To – Fotografi a Torino”, che da giovedì 3 maggio a domenica 29 luglio trasformerà il capoluogo piemontese in un grande spazio collettivo chiamato a celebrare Sua Maestà la Fotografia. Tre mesi circa di programmazione con la messa in rete di oltre 70 strutture cittadine – dal centro alle periferie – pronte ad ospitare oltre 90 mostre e un fitto calendario di eventi legati al mondo fotografico, l’iniziativa è un progetto pilota che intende diventare appuntamento annuale a partire dal 2019 ed è promossa dal MEF – Museo Ettore Fico (che per l’occasione ospiterà nella casa-madre di via Cigna una vasta antologica dedicata a Duane Michals, fra i nomi più prestigiosi dell’avanguardia americana, e nei locali “Outside” di via Juvarra un’altrettanto importante retrospettiva del milanese Paolo Monti) in collaborazione con tutte le realtà artistico-culturali aderenti all’evento. “Fo.To – Fotografi a Torino” è un “treno in corsa, un grande contenitore di emozioni”: a dirlo é Andrea Busto, direttore del MEF che aggiunge: “Abbiamo colto l’esigenza degli operatori del settore di raddoppiare l’appuntamento di Contemporary Art Torino Piemonte, che si svolge a novembre, e di fare rete con il tessuto urbano. Il progetto Fo.To è fatto di mostre, incontri, tavole rotonde, letture di approfondimento e si sviluppa in un arco di tempo lungo per dare la possibilità di viverlo ad un pubblico il più vasto possibile, compreso quello in arrivo da fuori Torino”. Per quanto concerne i luoghi coinvolti, si va dagli spazi storici come il Museo del Cinema, il Museo del Risorgimento e Palazzo Chiablese, fino a quelli di più recente apertura come il Museo Ettore Fico; da quelli più innovativi e sperimentali a quelli più classici e consolidati, dalle Fondazioni più note, come la Sandretto Re Rebaudengo o l’Accorsi e la Merz, fino a realtà come la Fondazione 107 di via Sansovino, che si sono insediate nelle periferie o nei quartieri più multietnici cittadini per partecipare al processo di riqualificazione attraverso l’azione culturale. Il pacchetto completo delle mostre (con la durata e gli orari di apertura e chiusura delle location ospitanti), nonché gli appuntamenti con artisti, fotografi, critici e curatori comporranno un calendario cronologico consultabile sul sito della manifestazione: www.fotografi-a-torino.it E per vivere l’evento “in notturna”, è in programma per sabato 12 maggio la Notte bianca della Fotografia, cui parteciperanno, dalle 19 alle 24, tutti gli spazi aperti al pubblico.

Gianni Milani

Nelle foto:

– Duane Michals al Museo Ettore Fico
– Carlo Mollino a Camera
– Frank Horvat alla Galleria Sabauda – Sala Chiablese
– Sebastiao Salgado alla Reggia di Venaria
– Andrea Busto

Là dove passò il grande tornado

In Kansas non andava violato Burnett’s Mound, che i nativi locali dicevano essere luogo leggendario dal potere apotropaico e di protezione per la città di Topeka dal passaggio dei tornados. Detto fatto, in un’area del tumulo venne costruito un serbatoio d’acqua e l’8 giugno 1966 un tornado di categoria F5 devastò Topeka da sud-ovest a nord-est, causando vittime e danni a numerosi edifici e alle strutture della Washburn University. A quanto pare a Topeka non andava violata nemmeno la tranquillità dei vicini e le continue prove di musicisti volenterosi non erano per nulla gradite. Se ne accorsero Greg Gucker [ora Hartline] (chit), Mike West (chit, arm, tr, org), Blair Honeyman (V, b) ed Eric Larson (batt) che sorsero con la denominazione The Mods nel 1965. Nell’arco di un anno il nome mutò nel definitivo [The] Burlington Express e venne a sedimentarsi un sound influenzato dalla British Invasion, tanto che le cover di Beatles, Rolling Stones, Yardbirds, Animals, DC5 furono l’ABC degli esordi e il materiale di molti gigs a Topeka e dintorni (all’Empress Club e al Crestview Recreation Center). Il raggio d’azione si allargò e la band si esibì in svariati clubs e locali a Lawrence (al Red Dog Inn), Emporia, Manhattan, Holton, Concordia (al Pop’s Pizza Parlor), Mayetta; fuori Kansas a Moberly e Kansas City (Missouri) e occasionalmente in Nebraska, South Dakota e Colorado. Intanto nella seconda metà del 1966 (passato il tornado) il manager dei Burlington Express Jim Nash cominciò a muoversi facendo da ponte tra l’ambiente delle battles of the bands e il versante discografico. Per questi ragazzi di 16-17 anni l’impatto con la sala di registrazione non sarebbe stato facile, soprattutto per la loro predisposizione alla spontaneità e a dare il meglio di sé live. Tramite Mike Chapman, chitarrista degli ammirati The Blue Things, fu possibile registrare nel 1967 il primo (ed unico) 45 giri:“One Day Girl (Twenty-Four)” [M. West – G. Gucker] (Cavern 2207; side B: “Memories”), con etichetta Cavern records (di John Pearson), inciso ad Independence (Missouri) e prodotto dallo stesso Chapman. In seguito Blair Honeyman lasciò, sostituito da Bruce Lynn; l’onda post-incisione sembrava positiva a livello locale (anche se l’impatto sulle classifiche fuori Kansas fu mediocre) e l’apprezzamento per le esibizioni live dei Burlington Express cresceva; un ruolo importante nei concerti era giocato dal peculiare uso delle luci, con effetti inusuali e stroboscopici che Jim Nash definiva enfaticamente “Visual Act”. Il 22 agosto 1968 alla Municipal Auditorium Music Hall di Kansas City (Missouri), i Burlington Express aprirono con un’esibizione di mezz’ora il concerto dei The Who durante il tour nordamericano di promozione dell’album “The Who Sell Out“. Poteva essere il trampolino di lancio definitivo ma paradossalmente fu il punto d’inizio di una frattura interna, con Gucker (anima rock e principale songwriter) che iniziò espressamente a non condividere la tendenza blues del resto del gruppo. La band sfornò ancora alcune demos su brani di Byrds e Yardbirds (“I’ll Feel A Whole Lot Better” e “Stroll On”) e tenne una veloce sessione di registrazione agli Audio House Studios di Lawrence; Gucker uscì e passò ai White Clover, band di orientamento progressive che in seguito a fusioni darà origine nei primi anni Settanta ai KansasI restanti Burlington Express, orfani del songwriter di punta, persero spinta creativa ed entusiasmo; si limitarono a sporadiche comparse locali fino allo scioglimento databile tra fine 1969 ed inizio 1970. Express di nome e di fatto…

 

Gian Marchisio

 

In cerca di fantasmi al castello di Arignano

8 / Il romanzo gotico è un genere narrativo che si sviluppa a partire dalla seconda metà del XVIII secolo, è caratterizzato dall’unione di argomenti romantici e dell’orrore. Le vicende trattate si svolgono in antri oscuri, ignoti sotterranei o vetusti castelli diroccati. Centrale è la presenza dell’elemento sovrannaturale, un fantasma, un essere demoniaco o qualcosa di estraneo al mondo umano. Le atmosfere dei romanzi gotici sono buie, inquietanti e ricche di suspanceAppartengono a questo filone, ad esempio, i romanzi Il Castello di Otranto, di Horace Walpole, Dracula, di Bram Stoker, Frankenstein, ovvero il moderno Prometeo di Mary Shelly, o, ancora, Lo strano caso del dottor Jeckill e del signor Hyde di Robert Louis Stevenson. Questa mattina, in compagnia di due amici, mi trovo a percorrere le strade di un luogo che riporta tutti i tratti tipici dei romanzi gotici: la rocca di Arignano. Le previsioni davano pioggia ma al momento fa solo tanto freddo. Mentre uno dei miei amici guida io mi perdo a guardare fuori dal finestrino: la città affollata di case si rilassa e diventa prima cintura, fino a quando anche le villette sporadiche scompaiono, lasciando spazio solo ai bassi arbusti della campagna. Il brutto tempo rende grigio topo il paesaggio circostante e ne esalta le ombre, tutte le cose assumono un che di spettrale. Mi concentro sugli alberi ancora spogli, alzano i rami nodosi verso il cielo, mi ricordano degli idoli arcaici, antiche e ambigue divinità. Arignano è l’ultimo comune della provincia di Torino, è situato in cima ad una collina verdeggiante a nord-ovest del Monferrato e a nord-est di Chieri, il torrente Levanetto lo attraversa come fosse un’arteria rigonfia. Di questo comune mi interessa il castello, edificato nella parte più alta del paesino. Esso è caratterizzato da una maestosa torre quadrata ornata con tipici merli quattrocenteschi, tutta la struttura, che risale al X secolo, reca testimonianze stratificate di interventi architettonici avvenuti nei secoli successivi. Quando arriviamo il paesino sembra essere ancora addormentato, incontriamo pochissime persone e un micio paffuto che pretende da noi un po’ di attenzioni, forse è lui il vero detentore del potere della zona e questo è il dazio che dobbiamo pagare per percorrere le sue strade: una volta convintosi della nostra incondizionata sudditanza ci permette di proseguire. Le strade sono fredde come l’aria che ci infastidisce la pelle, le finestre, pur con le ante aperte, mantengono un’aria sopita, sbircio qualche vetrina dei pochi negozi che ci sono. Non intravedo alcuna attività, ma trovo particolarmente tenera la scuola elementare, con i finestroni resi più belli dai disegni ingenui dei bambini. Su tutta la cittadina grava come un velo di tristezza.

Proseguiamo lungo la strada in salita, gli edifici sono tutti ben tenuti, i colori degli intonaci puliti, le piante, che ogni tanto sbucano tra una abitazione e l’altra, sono robuste e verdeggianti. Mi aggiro per un paese dall’apparenza ordinaria, in cui ogni cosa sta al suo posto, eppure trovo straniante la quasi totale assenza di abitanti. Mi accorgo che stiamo parlando a bassa voce, inconsciamente non vogliamo disturbare: chi o cosa non si sa. Il castello compare d’improvviso, lo guardiamo stupiti come ce ne fossimo dimenticati. È un’enorme struttura cadente ben incastonata nel resto del paesaggio, si mostra d’un tratto simile a un drago mimetizzato in mezzo alle rocce, è lui che decide quando è ora di farsi vedere. Le mura mantengono l’antico aspetto intimidatorio, le finestre ai piani più alti hanno i vetri rotti, quelle ai livelli inferiori presentano solo la componente in legno degli infissi. Scatto qualche fotografia. L’atmosfera piuttosto cupa di quel giorno inserisce il maniero in una tipica ambientazione gotica. Se lo dovessi disegnare userei il carboncino, farei il cielo calcando leggermente in alcuni punti, per dare l’idea della presenza delle nuvole temporalesche che si stanno avvicinando, e accentuerei i contorni del castello, facendolo risaltare in tutta la sua possanza. Ci avviciniamo lungo una strada che sembra portare ad un cantiere più che alla rocca. Arriviamo ai piedi delle mura guardando in alto, da questa prospettiva sembra ancora più grande. Su tutto sovrasta la torre quadrata, bucherellata da finestre dalle quali pare osservare il mondo, come il periscopio di un sottomarino che sbuca per controllare l’eventuale presenza dei nemici. Avvicinarsi ulteriormente alla rocca è impossibile, le spine delle piante lo avvolgono e lo proteggono dal mondo e dai curiosi come noi, si comportano come i più fedeli soldati, pronti a sguainare la spada contro chi supera la distanza minima da mantenere al cospetto di un re. Sbircio oltre il roveto con attenzione, intravvedo altre finestre dall’aspetto tipicamente medievale, hanno tutte i vetri rotti o quantomeno crepati, l’interno è completamente buio. Riesco a scorgere uno spiazzo erboso, forse un tratto di giardino interno, oltre il quale ci sono delle porte di dimensioni diverse, tutte ermeticamente chiuse. Cerco altre inquadrature, ma è solo una scusa per rimanere ancora un po’ lì, presa da quel particolare stato d’animo in cui speri che succeda qualcosa che un po’ temi, ma nulla accade, nessun tonfo sordo, nessun movimento inspiegabile tra i rovi. Il fantasma non si è fatto vedere. Avrà i suoi buoni motivi, dopotutto è stato messo in vendita, come dice l’annuncio pubblicitario che propone l’acquisto in un unico blocco castello, fantasma e tesoro. Chissà se l’agenzia è andata a chiedere il suo parere o il suo permesso?

Forse, oltre che offeso, è adirato perché il nuovo inquilino potrebbe inavvertitamente scoprire i passaggi segreti presenti nei sotterranei, potrebbe percorrere quei sacri cunicoli che portano fino alle grotte Alchemiche. Sarebbe davvero una spiacevole situazione, dato che solo pochi eletti hanno il permesso di varcare quelle mistiche soglie. Mentre torniamo indietro mi immagino l’ectoplasma che si aggira pensoso per il suo gigantesco castello, tutto corrucciato mentre medita nuovi metodi di infestazione. All’improvviso la pioggia. Le piccole gocce leggere cadono giù come in un finale perfetto, con i protagonisti della storia che si allontanano velocemente, senza trovare il tempo per le risposte che cercavano. Forse perché il fantasma stava dormendo, come il resto del borgo, esausto, dopo aver trascorso l’intera notte in piedi, su e giù per le segrete, come fanno solitamente gli spiriti. O forse quel giorno non era in casa, forse era andato a visionare altre dimore da occupare, l’idea di trovarsi senza un tetto sopra la testa da un giorno all’altro fa paura a tutti, meglio darsi da fare!

Alessia Cagnotto

 

La Storia ha la sua musica

SABATO 5 MAGGIO

Nell’ambito dell’iniziativa “Reali Sensi” promossa dalle Residenze Reali del Piemonte, sabato 5 maggio alle ore 15.00 e 15.30, il Museo Nazionale del Risorgimento (via Accademia delle Scienze 5, a Torino, tel. 011/5621147) propone la visita guidata “La storia ha la sua musica”

I visitatori saranno accompagnati in un percorso musicale di ascolto lungo le sale del Museo. L’evento si realizza in collaborazione con il “Liceo Musicale Cavour” di Torino e rientra nel progetto “Il Cavour nei luoghi di Cavour”.

I giovani allievi si esibiranno in performance di musica da camera proponendo al pubblico alcuni fra i più celebri brani del repertorio del Risorgimento.

Costi: la visita guidata ha un costo di 4 Euro da aggiungere al prezzo del biglietto di ingresso al Museo. I possessori di Royal Card, Torino Piemonte Card e della tessera Abbonamento Musei pagheranno solo 4 euro a persona per la visita guidata

Per informazioni www.museorisorgimentotorino.it

g. m.

 

Oggi al cinema

LE TRAME DEI FILM NELLE SALE DI TORINO

 

A cura di Elio Rabbione

 

A beautiful day – Drammatico. Regia di Lynne Ramsay, con Joaquin Phoenix e Judith Roberts. Un uomo nella cui mente trovano posto ricordi dolorosi, un passato di guerra, una infanzia di abusi, un figlio che si prende cura della madre anziana. Anche un sicario che entra nella vicenda sporca e infelice della figlioletta di un senatore, portata via per essere fatta sprofondare nel buio della prostituzione minorile. Con il viso dolente e con la robusta interpretazione di Phoenix premiato a Cannes quale migliore attore. Il film s’è anche aggiudicato il Palmarès per la migliore sceneggiatura. Durata 95 minuti. (Ambrosio sala 1, Uci)

 

L’amore secondo Isabelle – Commedia drammatica. Regia di Claire Denis, con Juliette Binoche, Gérard Depardieu, Valeria Bruni Tedeschi, Josiane Balasko e Xavier Beauvois. Il panorama è quello di Parigi, con i suoi rumori e i tetti e i monumenti e i caffè affollati, sotto le luci sempre accese della Tour Eiffel. Isabelle è una pittrice divorziata, cinquantenne, con una figlia di dieci anni. Al momento non ha una persona accanto e aspetta che la sua vita venga riempita da un amore. C’è un banchiere, un tipo eccentrico, che prima le lascia sperare chissà che ma poi le confessa che lui la moglie non la lascerà mai. Forse l’incontro definitivo potrebbe forse essere un attore. Forse, un uomo conosciuto per caso, lontano dall’ambiente delle sue solite frequentazioni. Cosa fa, Isabelle, quando non è innamorato? Niente, dice lei, ma in realtà soffre, si illude, spera e dubita, desidera e piange. Durata 94 minuti. (Ambrosio sala 3)

 

Arrivano i prof – Commedia. Regia di Ivan Silvestrini, con Claudio Bisio, Maurizio Nichetti e Lino Guanciale. Il liceo si può gloriare di essere il peggiore liceo della nazione: ecco che allora il preside accetta la proposta del provveditore e assume i peggiori insegnanti, nella sfida che dove i migliori hanno fallito, siano i peggiori a ottenere dei risultati. Arrivano sette insegnanti, uno peggio dell’altro, con i loro metodi precisi ma sgangherati, con il loro modo di insegnare bel oltre le righe. Ma per i ragazzi cambierà qualcosa. Durata 100 minuti. (Massaua, Reposi, The Space, Uci)

 

Avengers: Infinity War – Fantasy. Regia di Anthony e Joe Russo, con Chris Evans, Robert Downing jr, Zoe Saldana e Chris Pratt. Contro gli eroi (buoni) di Marvel nell’ultimo episodio della saga c’è Thanos (cattivissimo), che grazie al potere delle Gemme dell’Infinito vuole impadronirsi e distruggere circa la metà di questa nostra povera terra. Ecco che allora gli Avangers sentono la necessità di riunirsi e di chiedere pure l’aiuto dei Guardiani della Galassia, insomma tutti insieme appassionatamente per far fuori il fellone. Per la gioia di grandi e bambini ci sono proprio tutti nell’affollato pentolone, Capitan America e Spiderman, la Vedova Nera e Thor, Iron Man e Black Panter. Durata 149 minuti. (Massaua, Ideal, Lux sala 2,   Reposi, The Space anche 3D, Uci 3D)

 

La casa sul mare – Drammatico. Regia di Robert Guédiguian, con Ariane Ascaride, Jean-Pierre Darrousin, Anaïs Demoustier e Jacques Boudet. Una casa affacciata sul mare, poco fuori Marsiglia, due fratelli con la sorella vi si ritrovano all’indomani dell’ictus che ha colpito il padre anziano. Uno è un ex sindacalista, aspirante scrittore, con una fidanzata al seguito che ha la metà dei suoi anni, l’altro è rimasto ad abitare nella casa per far andare avanti la trattoria di famiglia, lei è un attrice, trasferita a Parigi per inseguire la sua carriera e lasciarsi alle spalle la perdita della figlia. Altre persone circolano attorno a loro, tutti a fare i conti, un bilancio tra ideali ed emozioni, tra aspirazioni e nostalgie, con un passato più o meno recente, a guardare il piccolo paese che ormai si è svuotato, lasciando le vecchie case agli speculatori, a parlare di politica, tra Macron e Le Pen, a guardare ai figli, anch’essi confusi. Un piccolo gruppo di giovanissimi profughi, senza genitori, obbligherà con il loro arrivo quelle scelte che tutti quanti gli abitanti della “villa” (questo il titolo originale del film), dovranno affrontare. Un film che per buona parte segue un filo di ricordi e di eventuali costruzioni, che comincia inspiegabilmente a sfilacciarsi con un doppio suicidio, che nel finale s’inventa il ritrovamento dei ragazzini venuti dal mare per cogliere senza necessità un racconto dell’oggi che viviamo. Senz’altro ci si aspettava di più. Durata 107 minuti. (Eliseo Rosso)

 

Cosa dirà la gente – Drammatico. Regia di Iram Haq, con Maria Mozhdah. La sedicenne Nisha vive una doppia vita. A casa, in famiglia, è la perfetta figlia pachistana, ma quando esce con gli amici è una normale adolescente norvegese. Quando però il padre sorprende Nisha in intimità con il suo ragazzo, i due mondi della ragazza entrano violentemente in collisione: i suoi stessi genitori la rapiscono per portarla in casa di alcuni parenti in Pachistan. Lì, in un paese in cui non è mai stata prima, Nisha è costretta ad adattarsi alla cultura di suo padre e di sua madre. Durata 106 minuti. (Romano sala 1)

 

Dopo la guerra – Drammatico. Regia di Annarita Zambrano, con Giuseppe Battiston e Barbora Bobulova. Presentato lo scorso anno a Cannes alla vetrina di Un certain regard, il film si riallaccia all’uccisione del giuslavorista Marco Biagi nella Bologna del 2002. Qui dell’omicidio di un professore universitario è accusato l’ex militante Marco, fuggito in Francia con la figlia grazie alla”dottrina Mitterand” e di cui lo stato italiano chiede l’estradizione. Intanto in Italia la madre, la sorella e il cognato sono al centro di sospetti e finiscono al centro dell’attenzione mediatica. Durata 95 minuti. (F.lli Marx sala Chico)

 

Doppio amore – Thriller erotico. Regia di François Ozon, con Marine Vatch, Jérémie Renier e Jacqueline Bisset. Giovane e fragile, Chloé nutre in corpo un dolore che non passa, affronta una terapia nella speranza di una guarigione. Frequenta uno psicoterapeuta che ad un certo punto decide di interrompere le sedute dal momento che si sente attratto da lei. L’amore corrisposto spinge la ragazza a tentare una coabitazione: senonché un giorno scopre che il compagno le sta nascondendo l’esistenza di un gemello monozigote, Louis, che svolge la stessa professione in un altro quartiere parigino. È incuriosita, vuole sapere, decide di prendere un appuntamento con lui. Durata 110 minuti. (Romano sala 2)

 

Escobar – Il fascino del male – Drammatico. Regia di Fernando Leon de Aranoa, con Penelope Cruz e Javier Bardem. Tratto dal libro che Virginia Vallejo, volto un tempo noto della tivù colombiana

PB070163.ORF

e oggi donna sotto protezione negli Stati Uniti, ha scritto intorno alla sua relazione con il gran capo della droga tra il 1981 e il 1987, è il resoconto di quegli anni, da un lato l’amante gentile e affascinante, dall’altro il mandante delle uccisioni di magistrati e poliziotti, di politici e di avversari, al fine di una scalata sempre più completa. Durata 105 minuti. (F.lli Marx sala Harpo, Ideal, Lux sala 3, The Space, Uci)

 

Il giovane Karl Marx – Drammatico. Regia di Raoul Peck, con August Diehl, Stephan Konarske e Vicky Krieps. Gli anni Quaranta del XIX secolo, l’esilio da Berlino e le fughe attraverso l’Europa, la povertà e gli stenti, la polizia sempre incalzante, le idee in crescita contro una classe dirigente e un capitalismo volti allo sfruttamento e alle ingiustizie, l’amicizia con Engels, figlio ribelle di un ricco industriale, la stesura del “Manifesto del partito comunista”. Durata 112 minuti. (Centrale anche in V.O.)

 

Eva – Drammatico. Regia di Benoît Jacquot, con Isabelle Huppert e Gaspard Ulliel. Bertrand è un giovane e promettente scrittore, ma il suo successo nasconde un terribile segreto. Quando incontra Eva, prostituta d’alto bordo con un passato altrettanto misterioso, decide di sedurla a ogni costo e usare la sua storia come ispirazione letterari, anche mettendo a rischio il fidanzamento con l’ingenua Caroline. Ma Eva non si lascia manipolare facilmente e trasvina presto Bertrand in una spirale di menzogne, violenza e tradimento. Durata 102 minuti. (Nazionale sala 1)

 

Game Night: indovina chi muore stasera? – Commedia drammatica. Regia di John Francis Daley e Jonathan Goldstein, con Rachel McAdams e Jason Bateman. Ogni settimana Annie e Max amano inventare giochi di vario genere per divertire se stessi e gli amici. Il fratello di Max inventa un inaspettato gioco con un rapito, che è il padrone di casa, chi dovrebbe trovarlo e liberarlo: è una finzione o non piuttosto una ingombrante realtà? Durata 100 minuti. (Ideal, Reposi, The Space, Uci anche V.O.)

 

Insyriated – Drammatico. Regia di Philippe Van Leeuw, con Hiam Abbass. Damasco è sotto assedio. In attesa della fine del conflitto esterno, una donna, madre di tre figli, si trincera con i vicini nell’unico appartamento risparmiato dalle bombe. La tensione cresce, il pericolo incombe, la casa inesorabilmente si trasforma in prigione. Durata 85 minuti. (Classico)

 

Io sono tempesta – Commedia. Regia di Daniele Luchetti, con Marco Giallini e Elio Germano. Numa Tempesta è un riccone di oggi, con tanti quattrini e un jet privato, gli alberghi di sua proprietà come casa, un giro di prostitute che gli dimostra piacere e affetti, se volete anche abbastanza facile da individuare, un imprenditore fatto di spregiudicatezza e di mancanza assoluta di morale, che un bel giorno è condannato per questioni fiscali a svolgere un periodo di redenzione lungo un anno ai servizi sociali. S’imbatte in una variopinta umanità, fatta di poveracci e senzatetto, quello che per lui ha più peso è un giovane padre finito sul lastrico, due figli a carico. Tra i due, e con molti altri, scatteranno sentimenti nuovi e Tempesta saprà agguantare quella presa di coscienza che gli era sempre mancata. Durata 97 minuti. (Greenwich sala 1, The Space)

 

L’isola dei cani – Animazione. Regia di Wes Anderson. In un Giappone di epoca futura, il sindaco di una città denominata Megasaki ha ordinato di rinchiudere in un isola deserta e adibita a discarica ogni cane esistente, causa un mistorioso virus che li colpirebbe tutti. Il motivo vero è poter fare affari alla faccia dei simpatici amici dell’uomo. Dovranno intervenire un bambino e la giovane giornalista in erba Tracy a svelare le reali mire del primo cittadino e di tutto quanto il governo. Orso d’argento a Berlino per la miglior regia. Durata 101 minuti. (Massaua, Massimo sala 1 anche V.O., Reposi, The Space, Uci)

 

Loro 1 – Commedia. Regia si Paolo Sorrentino, con Toni Servillo, Elena Sofia Ricci, Anna Bonaiuto, Riccardo Scamarcio, Fabrizio Bentivoglio e Kasia Smutniak. “Loro” sono quelli che in forma di gran baraccone con reminiscenze felliniane gravitano nell’universo berlusconiano, vero? tutto falso? opportunamente e malvagiamente esagerato?, uomini e donne in cerca di affermazione, non importa come, importa il quando, subito!, il ragazzo del sud (leggi Tarantini) che recluta ragazze e droga, gli affari poco puliti, gli amici e i nemici, il potere a ogni costo, la politica e i contratti con gli Italiani, le ville e le feste, la volgarità, il rapporto con Veronica: questo e molto altro nel primo capitolo di una vicenda che tutti abbiamo attraversato e che stiamo ancora attraversando. Durata 106 minuti. (Ambrosio sala 2, Massaua, Due Giardini sala Nirvana e Ombrerosse, Eliseo Grande, F.lli Marx sala Groucho, Ideal, Lux sala 1, Reposi, Romano sala 3, The Space, Uci)

 

La mélodie – Drammatico. Regia di Rachid Hami, con Kad Merad, Jean-Luc Vincent e Samir Guesmi. Simon è un famoso musicista ormai disilluso, arriva in una scuola alle porte di Parigi per dare lezioni di violino. I suoi metodi d’insegnamento piuttosto rigidi non facilitano i rapporti con gli allievi problematici. Tra di loro c’è Arnold, un timido studente affascinato dal violino che scopre di avere una forte predisposizione per lo strumento. Grazie al talento di Arnold, Simon riscopre a poco a poco le gioie della musica. Riuscirà a ritrovare l’energia necessaria per superare gli ostacoli e mantenere la promessa di portare i bambini a suonare alla Filarmonica di Parigi?Durata 102 minuti. (Nazionale sala 2, Uci)

 

Molly’s game – Drammatico. Regia di Aaron Sorkin, con Jessica Chastain, Kevin Costner e Idris Elba. Da una storia vera. Dove Molly è una eccellente sciatrice avviata verso i successi olimpici se una brutta e irrimediabile caduta non ponesse termine ad una promettente carriera. La vita richiede di cambiare registro e sfide. Ecco allora Molly ingegnarsi a divenire apprezzata organizzatrice di serate attorno ai tavoli del poker, con clientela di riguardo, dagli attori – leggi Di Caprio, Damon, Ben Affleck e altri qui ben camuffati – ai politici agli sportivi, tavoli attorno ai quali finiscono anche la droga e tipi russi poco raccomandabili, per cui l’FBI tiene le antenne ben alzate. Regia numero uno di uno dei maggiori sceneggiatori di Hollywood premio Oscar per The Social Network. Durata 140 minuti. (Ambrosio sala 3, F.lli Marx sala Harpo, Greenwich sala 2, The Space)

 

Nella tana dei lupi – Azione. Regia di Christian Gudegast, con Gerard Butler e Pablo Schreiber. Il solido poliziotto con i suoi bravi problemi con cui convivere, l’alcol, i metodi non proprio ortodossi, una moglie che ha deciso di lasciarlo, una rapina finita male che è costata la vita di parecchi suoi uomini. Dall’altra parte una banda di delinquenti, un curriculum di tutto rispetto, dall’addestramento paramilitare alla permanenza nelle patrie galere, il progetto studiato in ogni più piccolo particolare a svuotare la Federal Reserve Bank di Los Angeles ritenuta inespugnabile. Durata 140 minuti. (The Space, Uci)

 

Rampage – Furia animale – Fantasy. Regia di Brad Peyton, con Dwaune Johnson e Naomie Harris. Il primatologo Davis Okoye ha instaurato un forte rapporto con un intelligente gorilla albino di nome George che, per un esperimento genetico, si tramuta in un pericoloso e feroce animale, impossibile a governare. Con lui hanno subito la stessa mutazione un lupo e un coccodrillo, seminando vittime e distruzione in tutto il nord America: spetterà a Davis e a un ingegnere genetico trovare un antidoto. Durata 107 minuti. (The Space, Uci)

 

Ready Player One – Fantasy. Regia di Steven Spielberg, con Tye Sheridan, Olivia Cooke, Simon Pegg e Mark Rylance. Tratto dal romanzo omonimo di Ernest Cline, uscito sette anni fa. Nel 2045 la terra è un luogo di guerre e povertà, l’unica felice evasione è il mondo virtuale di Oasis, legato ai fantasiosi anni Ottanta e ricco di scenari iperrealistici in cui è facile accedere. Lo scomparso James Halliday ha deciso di lasciare a chi lo ritroverà il prezioso Easter Egg: sarà il giovane Wade, da sempre alla ricerca di notizie sulla vita e l’attività del miliardario, si metterà attraverso l’avatar Parzival alla ricerca dell’oggetto e lo ritroverà, dovendo pure fare i conti con i potenti nemici di una multinazionale, concorrenti senza alcuno scrupolo. Durata 140 minuti. (Uci)

 

I segreti di Wind River – Thriller. Regia di Taylor Sheridan, con Jeremy Renner, Elizabeth Olsen e Julia Jones. Tra le distese di neve del Wyoming viene inviata una giovane agente federale, non certo preparata a quelle temperature e soprattutto alla violenza che circola più o meno silenziosa in quei luoghi, per investigare sul ritrovamento del corpo martoriato di una ragazza scomparsa. Le dà sostegno e aiuto Cory, un navigato cacciatore impiegato a difendere il bestiame dagli attacchi dei predatori sempre in agguato, un animo tormentato, abbandonato dalla moglie dopo la scomparsa della figlia maggiore. Entrambi alla ricerca del colpevole, in un territorio dove ogni cosa sembra essere abbandonato alla violenza, in cui forse è necessario agire e rispondere esclusivamente con le sue stesse leggi. Dallo sceneggiatore di “Sicario” e “Hell or High Water”, terzo capitolo di una trilogia che ha affrontato il tema della frontiera americana oggi. Miglior regia a Un certain regard a Cannes lo scorso anno, grande successo al TFF. Durata 107 minuti. (Eliseo Blu)

 

The Happy Prince – Drammatico. Regia di Rupert Everett, con Rupert Everett, Colin Morgan, Colin Firth e Tom Wilkinson. Oscar Wilde al centro della società londinese di fine Ottocento, pieno di successo, tutti corrono a vedere le sue commedie a teatro e leggono i suoi libri: poi, improvviso, il tracollo, il processo per ammissione di omosessualità e la condanna a due anni di lavori forzati, l’esilio parigino, il tentativo di recuperare il rapporto con la moglie, la volontà di avvicinarsi nuovamente al giovane Douglas, la morte. Everett racconta nella sua opera prima l’ultimo periodo della vita dello scrittore, lasciando libero sfogo ai ricordi. Durata 105 minuti. (Greenwich sala 1, Reposi)

 

Tonya – Drammatico. Regia di Craig Gillespie, con Margot Robbie, Sebastian Stan e Allison Janney. La storia della campionessa di pattinaggio artistico Tonya Harding, cresciuta tra i soprusi di una madre anaffettiva come quella disegnata dalla Janney, Oscar come migliore attrice non protagonista, sposata ad un uomo senza quattrini e parecchia violenza in corpo, lei gran temperamento focoso, grande carriera e grandi scandali. Come quello che la colpiì a metà degli anni Novanta, allorché la sua antagonistaNancy Kerrigan, alla vigilia dei campionati nazionali Usa, venne colpita alle gambe da un uomo, poi identificato, pronto a confessare di aver agito perché istruito e istigato dal marito della Harding. La creazione di un mito, la difficoltà a considerarla una donna e una campionessa in cui il pubblico non soltanto femminile si potesse riconoscere, il ritratto di un’America dove ognuno vuole emergere, in qualsiasi modo. Durata 121 minuti. (Greenwich sala 3)

Ogr Public Program

CONVERSAZIONE PUBBLICA DI SUSAN HILLER E ANDREA LISSONI”

In occasione della sua personale Social Facts, in corso alle OGR fino al prossimo 24 giugno, Susan Hiller (americana ma inglese d’adozione e fra le artiste più acclamate della scena dell’arte concettualeinternazionale) torna a Torino per una conversazione conAndrea Lissoni, Senior Curator International Art (Film) alla Tate Modern di Londra. L’appuntamento è per venerdì 4 maggio  alle ore 20,30presso il Duomo di OGR Torino (in corso Castelfidardo22) e rientra nell’ambito del Public Program di OGR, promosso dalla Fondazione per l’Arte moderna e contemporanea CRT e ospitato presso OGR Torino.A partire dalla videoinstallazione Psi Girls (1999, una delle numerose opere dell’artista in collezione alla Tate), ora in mostra alle OGR e già esposta a Como nel 2011 – a cura dello stesso Andrea Lissoni – in occasione della presenza di Hiller come Visiting Professor alla Fondazione Antonio Ratti, il talk ripercorre le tappe della straordinaria carriera dell’artista in relazione ad aspetti quali linguaggio e oralità, indicibilità, tecnologia e dimensione sonora, presenti anche in opere recenti quali le videoinstallazioni The Last SilentMovie (2007-2008) e Lost and Found (2016), presentate a Documenta14. L’appuntamento é in lingua inglese con traduzione simultanea in italiano. Ingresso gratuito ma con prenotazione obbligatoria sul sito: www.ogrtorino.it                                       g.m.