CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 645

Il declino dei cumuli di polvere

LE POESIE DI ALESSIA SAVOINI
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Alterazione di significato
Percezione attribuita al ritmo con cui le cose accadono
L’importanza conferita a un’abitudine accomodata, correlata
Di qualcosa vissuta di sbieco.
Sbiancano invecchiando le considerazioni
Rivelandosi inermi a circostanze 
Al calore trattenuto tra le gambe di una donna
Quando ama.
Si accumulano nella polvere di carni incenerite
Colline erose dal fato per non essere bellezza eterna
Rimuovono le tracce gli uomini dopo aver vissuto
Per spazzare via il tempo depositato.

Chicca Morone, un mondo di idee

Scrittrice, librettista e poetessa, aderente alla corrente letteraria Mitomodernismo, è fondatrice dell’associazione “Il Mondo delle Idee”, promotrice del premio “Rodolfo Valentino-Sogni a occhi aperti”

 

Scrittrice, librettista e poetessa, milanese di nascita ma torinese di adozione, Chicca Morone colpisce il suo interlocutore per la sua inconfondibile dolcezza e per la passione che pone nel suo lavoro letterario. Ha al suo attivo numerosi romanzi e raccolte di poesie, ha realizzato mostre e fatto rappresentare le sue opere in teatro. Chicca Morone sarà presente venerdì 10 novembre prossimo, alle 18.30, nella Sala Piemonte del Centro Congressi dell’Unione Industriale, in occasione della presentazione, con Lina Callari, della raccolta di racconti “Spiritual Network”, un significativo cammino nel mondo delle emozioni condotto da Francesca Vitale, scrittrice e giornalista siciliana, con lettura dei brani affidata all’attore Sergio Troiano. “Nel 1984, quasi per coincidenza – spiega Chicca Morone – si concretizzarono due eventi: la presentazione a Firenze della corrente Mitmodernismo e, a Torino, la fondazione dell’associazione del  ”Il Mondo delle idee “, di cui sono presidente fondatrice. Il Mitomodernismo, che ha tra i suoi più autorevoli rappresentanti il poeta e critico letterario ungherese Tomaso Kémeny, nasce ufficialmente il 1 ottobre 1994 a Firenze sul sagrato della chiesa di Santa Croce, preceduto il 5 agosto 1994, dalla pubblicazione, sulle pagine de “Il Giornale”, da una lunga conversazione tra il poeta e romanziere Giuseppe Conte e il filosofo Stefano Zecchi sulla cultura contemporanea e la missione della poesia. Contestualmente venivano presentate le nove tesi del Manifesto del Mitomodernismo, tra cui: Facciamo dell’arte azione. La sua forma visibile sia la sua bellezza; La bellezza è profonda moralità, il brutto è immorale; Opponiamoci all’avanzare della decadenza, che è là dove l’arte rinuncia all’estetica. Nel manifesto si sottolineava, inoltre, “l’importanza del mito, strumento capace di riportare tra noi anima, natura, eroe e destino, e quella dell’eroismo, sintesi di luce e forza spirituale”. Il Mitomodernismo si oppone all’ironia nichilista e utopica di coloro che evocano la fine della civiltà e considera il mito non solo la forma del pensiero primitivo e selvaggio, ma un elemento capace di racchiudere una conoscenza che si colloca al di là della distinzione tra razionale e irrazionale. Il mito contiene un sapere che si interroga sulle origini e favorisce l’irruzione del sacro nella vita dell’uomo. C’è un romanzo di Chicca Morone, composto nel ’93, che lo scrittore Giuseppe Conte ha definito come “antesignano del Movimento mitomodernista”: è quello intitolato “Sette madri”, edito da Bompiani, un libro in cui il lettore rimane sospeso tra un mondo atemporale e uno storico e attuale, di cui sono protagoniste figure femminili connesse con Atlantide, che vivono sia nel passato sia nella contemporaneità. “L’associazione “Il Mondo delle Idee” – spiega la scrittrice Chicca Morone – ha promosso in questi ventiquattro anni numerosi progetti, di cui uno in particolare è il Premio letterario “Rodolfo Valentino- Sogni a occhi aperti”, un premio per la poesia di carattere internazionale, aperto anche agli italiani residenti all’estero. Si articola in varie sezione, di libri editi, inediti, racconti brevi e landays. Questi sono componimenti di due distici di autrici femminili, che si richiamano alla tradizione di quelli composti dalle donne afghane pashtun, che utilizzano in segreto questa breve forma poetica per denunciare violenze e soprusi cui sono sottoposte. Il premio viene conferito ogni due anni nella ricorrenza di San Valentino; il prossimo è previsto nel febbraio 2019″. Nei romanzi di Chicca Morone una presenza costante è quella del femminile, che assume a tratti il volto materno, spesso quello della luna, simbolo del femminile per eccellenza, come nel romanzo intitolato “Il soffio della luna”, una raccolta di racconti articolati in tre parti, “Lo splendore della luna”, “La voce della luna” e “Luna d’ amore”, in cui il rapporto tra uomo e donna viene descritto oltre le intermittenze del cuore e il limite fisico della vita, mettendo in luce l’aspetto più   profondo del legame tra il femminile e il maschile.

Mara Martellotta

Il libro conquista Nizza Monferrato

Il piacere della lettura diventa occasione d’incontro che abbraccia letteratura, arte, musica, danza e territorio. Si svolge al Foro Boario di Nizza Monferrato, sabato 11 e domenica 12 novembre, la 6/a edizione di ‘Libri In Nizza’

INCONTRI CULTURALI CON SCRITTORI, AUTORI, GIORNALISTI 


 

La rassegna di incontri culturali quest’anno è dedicata a narrare ‘meraviglie di parole, suoni, colori, gesti’. Una formula rinnovata rispetto alle tradizionali rassegne di libri, per capire e far capire quante cose contiene un libro e quanto ne fa immaginare e creare. Due giornate di dialoghi e riflessioni sulla letteratura e sull’arte contemporanea, alternate da musica, danza e immagini, che hanno come palcoscenico il centro storico della città di Nizza Monferrato, immersa della core zone Unesco per i paesaggi vitivinicoli. Autori e autrici di romanzi, filosofi e critici, giornalisti, casi letterari e web writers raccontano al pubblico storie, suggestioni e sentimenti che si trasformano in romanzo, teatro, disegni, musica, balletto. Diciotto sono gli scrittori, giornalisti, artisti chiamati a riflettere, attraverso le loro opere, l’evoluzione della cultura e dell’arte nella contemporaneità. Nella città del Nizza docg arriveranno, tra gli altri, Nicola Lagioia, Matteo Strukul, Veronica Pivetti, Maurizio Molinari, Stefano Zecchi, Luigi Piccatto, Laura Calosso e giovani scrittori nati dal web e amati dai teenagers come Antonio Dikele Distefano e Francesco Sole. ‘Libri In Nizza’ inizia sabato 11 novembrealle ore 9.30 con il saluto degli amministratori e  con l’Evento Arte, coordinato da Laura Botto Chiarlo. Il presidente dell’associazione Architettura Paesaggio Piemonte, Ferruccio Capitani e il critico e curatore artistico Fortunato D’Amico parlano di ‘culture e visioni tra cielo e terra nell’arte e nel paesaggio’. Il  filosofo Stefano Zecchi, già docente di Estetica all’Università degli Studi di Milano, intervistato dalla giornalista di Panorama Stefania Berbenni, illustra l’eterno desiderio di piacere e voluttà contenuto nel suo ultimo libro “Il lusso” (Mondadori). Il presidente e Ceo di Aurora Penne, Cesare Verona, partendo dal marchio più classico e raffinato delle penne stilografiche, esalta l’arte antica della scrittura. Il responsabile editoriale di Giorgio Mondadori-Cairo Publishing Carlo Motta presenta il catalogo e la mostra ‘Il ciclo dei Chakra’ di Federica Oddone, in arte Feofeo nella sala del Foro Boario. Il fotografo e autore di libri di viaggi Sergio Ardissone, che con la sua Nikon ha fotografato gente di tutto il mondo, è presente con la mostra ‘Burma: la luce del Buddha’. Il giovane illustratore Gabriele Sanzo, autore della fantasiosa immagine del programma di questa edizione, propone 27 opere in legno dal titolo enigmatico ‘Prosopagnosia’ ed Elio Garis, designer, ceramista e pittore descriverà le sue sculture esposte a Palazzo Crova nell’ambito di ‘Art’900 – Collezione Davide Lajolo’. Come tutti gli anni, l’Accademia di Cultura nicese l’Erca espone preziosi documenti e testi storici e, novità di quest’anno, anche il costume settecentesco della baronessina Crova, protagonista di uno spettacolo teatrale rappresentato quest’estate nei giardini di Palazzo Crova. Alle ore 15:00 la scuola di danza di Arianna Rota debutta con la coreografia ‘Sherazade’ e le tavole disegnate da Cinzia Ghigliano, che ha illustrato l’ultima edizione della fiaba ‘Le mille e una notte’ (Donzelli). Il romanzo del giovane scrittore Antonio Dikele Distefano “Chi sta male non lo dice” (Mondadori) offre uno spaccato interessante e coinvolgente del mondo giovanile, con la partecipazione degli studenti delle scuole superiori di Nizza che hanno fatto un laboratorio di lettura sul suo romanzo. I fumetti diventano protagonisti con l’ultimo lavoro di Luigi Piccatto, presentato dal direttore di Sergio Bonelli Editore Michele Masiero,“Dylan Dog, la quinta stagione”. Un’altra novità di quest’anno è la lettura di un racconto inedito “Mirabilia”, che la scrittrice Laura Calosso, autrice de “La stoffa delle donne” (Sem), ha scritto appositamente per la manifestazione, avvalendosi delle immagini di Franco Rabino, con musiche di Andrea Passarino. Sarà presente anche l’attrice Veronica Pivetti, nota al grande pubblico, che ha scritto “Mai all’altezza” (Mondadori), un libro ironico e autoironico sul senso dell’esistenza. Il direttore del quotidiano La Stampa, Maurizio Molinari con “Il ritorno delle tribù”  (Rizzoli) offre chiavi di lettura delle crisi a livello mondiale di estrema attualità.

Domenica 12 novembre, alle ore 15 viene replicato il balletto ‘Sherazade’, al quale segue il giovane poeta del web Francesco Sole con il suo libro “Ti voglio bene” (Mondadori) in un reading-concerto accompagnato dal pianista Massimo D’Alessio. Lo scrittore Matteo Strukul, Premio Bancarella 2017 per il caso editoriale della quadrilogia “I Medici” (Newton Compton) presenta l’ultimo volume della saga “La decadenza di una dinastia”. In collaborazione con la Biblioteca di Asti, Roberta Bellesini introduce con letture di Silvia Chiarle il libro di Giorgio Faletti, “L’ultimo giorno di sole” (Baldini e Castoldi), che è anche uno spettacolo teatrale interpretato da Chiara Buratti. Conclude la manifestazione lo scrittore, Premio Strega 2015, Nicola Lagioia con “La Ferocia”, ora direttore dell’ultima edizione del Salone del Libro di Torino, con il vicepresidente del Salone Internazionale del Libro Mario Montalcini, intervistati dal giornalista Gabriele Ferraris. Nel corso dei due pomeriggi sono proiettati spezzoni del videoracconto “Rajasthan: l’India dei Maharaja” del fotografo Sergio Ardissone. Come già nelle edizioni precedenti, a tutti gli autori viene fatto omaggio di un ritratto disegnato da Stefano Ferrero. Nella Sala delle Case editrici sono esposti i libri di Frilli, L’Araba Fenice, Grappolo di libri, Claudio Cerrato, Astigiani, Astilibri, Libridea. Inoltre c’e’ il laboratorio “Dimostrazioni di stampa” a cura del Museo Civico di Stampa di Mondovì (Cn) e la Libreria Bernini. Tornano i laboratori didattici per gli studenti, alcuni guidati da Luca Mesini sul disegno e la tecnologia, altri da Giovanni Del Ponte e Daniele Nicastro, sulla  passione per la scrittura e le strategie per creare una storia. Fulvio Gatti e Gino Vercelli presentano il tema della differenza nel cinema e nei fumetti, mentre  Nicastro affronta con “Grande”  (Grappoli di Libri) i temi relativi  alla legalità.

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Libri in Nizza è organizzata dal Comune di Nizza Monferrato con la Biblioteca civica ‘Umberto Eco’ su progetto di Laurana Lajolo, presidente dell’Associazione culturale Davide Lajolo, con il patrocinio di Regione Piemonte, Associazione Paesaggi vitivinicoli Langhe-Roero e Monferrato, Provincia di Asti e di ‘150 anni LA STAMPA’ e si avvale della collaborazione di Astesana, l’Associazione Pro loco di Nizza, Enoteca Regionale di Nizza, Consorzio Barbera d’Asti e vini del Monferrato. Sponsor le aziende Michele Chiarlo e Berta Distillerie.

Tutti i partecipanti possono usufruire di prezzi convenzionati nei ristoranti della città.

Il narratore Cederna omaggia Gianmaria Testa, guardando alla tragedia delle carrette del mare

Gianmaria Testa – capostazione a Cuneo e cantautore in giro per l’Italia, ancor più, perché là osannato, in Francia, con appuntamenti nel mitico Olympia: e un inguaribile idealista – morì alla fine di marzo di un anno fa, ad Alba, senza avere il tempo di veder pubblicato da Einaudi Da questa parte del mare, poco più di un centinaio di pagine con la prefazione di Erri De Luca, “il libro con cui Gianmaria si è congedato in pace, dopo una vita onesta e dritta”, un percorso narrativo attraverso le migrazioni contemporanee, una “multibiografia” che guarda ad altri esseri umani con diverso linguaggio da quello dell’album che era stato Premio Tenco nel 2007. Da quel volumetto nasce oggi uno spettacolo teatrale, prodotto dallo Stabile torinese e da Fuorivia, con gli apporti di Marco Revelli e Alessandra Ballerini, sulla scena un monologante Giuseppe Cederna, narratore pronto a rivestirsi dei consumati abiti altrui, con la regia di Giorgio Gallione e il desiderio di entrambi di dare corpo e anima alle tante voci (repliche sino a domenica sul palcoscenico del Gobetti), uno sfoglio di libro che estrae alcuni dei vinti e dei naufraghi che hanno attraversato il mare. Una scena (di Lorenza Gioberti) pressoché spoglia, tre sedie più volte spostate e tre lampadine che scendono dall’alto a illuminare fievolmente i differenti angoli, un cumulo di pietre su cui sono scritti nomi e provenienze, identificati e no, un fuoco che immediatamente si spegne, un rivolo d’acqua e una barchetta di carta, la voce del cantautore e della sua musica, di tanto in tanto. Immagini a descrivere la spina del nostro tempo, la tragedia, le tragedie, le cifre sono lì a parlare. Invisibile ma presente, la porta a Lampedusa di Mimmo Paladino che guarda all’Europa, a riempire gli sguardi e l’accoglienza. Escono dal testo la ragazza, una prostituta, che infreddolita cammina verso la stazione ed è umanamente accolta su di un’auto, c’è Tinochika detto Tino che in quel lungo tratto di mare attraversato s’è legato agli occhi di una donna che occupa il più ristretto spazio all’interno della traballante carretta, ci sono i giovani delle primavere arabe o quelli che fuggono dalle guerre africane, ci sono gli stupri e le violenze, i racconti delle carceri, delle percosse. Ci sono nello spettacolo i sentimenti e la passione, c’è l’assoluta certezza – senza vie di fuga che potrebbero suonare negative – della filosofia della “porta sempre aperta”, c’è la pietas degli antichi miti che da sempre hanno trovato spazio nel mare grande del Mediterraneo, c’è il vibrare accorato delle parole, c’è l’affetto incondizionato e la generale disponibilità, senza distinzione: e allora, al di là degli applausi che completano la serata, tutto sembra avere la faccia di un’occasione quasi doverosa, di un qualcosa che è necessario (e accomodante) dire nel contesto storico in cui viviamo; tutto nell’operato di un regista come Gallione che cerca di animare un po’ stancamente le azioni e nella voce di quel veritiero e sincero interprete che è Cederna (nessuno ne vuole discutere) finisce con rivelarsi come rivisitazione a binario unico e pura letteratura.

 

Elio Rabbione

 

Le foto sono di Marco Caselli Nirmal

Luigi Serralunga tra simbolismo e Liberty

FINO AL 18 FEBBRAIO

Con un raffinato “Autoritratto”, olio su tela del 1918, si inizia il lungo percorso espositivo della selezionatissima antologica dedicata a Luigi Serralunga – fra i più valenti interpreti della cultura artistica italiana di fine Ottocento inizi Novecento – e ospitata, fino a febbraio, nelle Cucine Reali della Palazzina di Caccia di Stupinigi. Serralunga aveva allora 38 anni e, in cornice, mostra uno sguardo intenso, occhialini alla Cavour e baffi folti moderatamente rigirati all’insù. Il bianco colletto della camicia libera il volto dal fondo in ombra del soggetto. Nato a Torino nel 1880, da famiglia borghese legata all’amministrazione regia, nel ‘18 aveva già da tempo terminato gli studi all’Accademia Albertina di Belle Arti, dove suo provvidenziale maestro era stato soprattutto Giacomo Grosso, pittore già affermato – giunto al successo con la prima Biennale di Venezia – e riferimento costante ( a volte in modo fin troppo eccessivo) per tutta la carriera artistica di Serralunga. Che, dopo aver iniziato ad esporre dal 1904 (e lo farà ininterrottamente fino al 1939, anno precedente la morte) alla Società Promotrice di Belle Arti, andò gradualmente affermandosi nella nutrita e non facile scena artistica torinese, confrontandosi puntigliosamente con artisti del calibro di un Lorenzo Delleani o di un Leonardo Bistolfi e di un Giovanni Guarlotti. Pittore particolarmente amato dalla nobiltà e dalla buona borghesia sabauda, Luigi Serralunga partecipò anche alle Quadriennali torinesi del 1923 e del 1928, oltreché alle rassegne organizzate sempre a Torino dalla Società d’Incoraggiamento alle Belle Arti, nell’ambito del Circolo degli Artisti, e dalla Società Amici dell’Arte, come testimoniano le cronache artistiche del tempo, a firma di Emilio Zanzi, critico della “Gazzetta del Popolo” e della rivista “Emporium”. Apprezzato pittore, Serralunga fu inoltre valente maestro di giovani (allora) promesse dell’arte, come Mattia Moreni e soprattutto Ettore Fico, suo vero “pupillo” ed “erede morale e pittorico della sua opera”, al punto che un buon numero di suoi dipinti sono oggi confluiti nella stessa Fondazione Ettore Fico. E qui il cerchio si chiude. E’ infatti proprio sotto la direzione artistica del MEF – Museo Ettore Fico, in collaborazione con Ordine Mauriziano e Reverse Agency, che nasce la grande antologica di Stupinigi (un’ottantina le opere esposte), curata da Andrea Busto e prima iniziativa in assoluto del Sistema Cultura Nichelino. Un primo passo, per una collaborazione che si auspica possa procedere ed evolversi nel tempo. Luogo espositivo ideale e di forte suggestione, gli ampi spazi delle Cucine Reali della Palazzina. Qui l’itinerario si snoda fra i temi più cari al pittore, in linea con una poetica che “incarna i dettami della tradizione tardo-simbolista, contaminata dalle suggestioni provenienti dalla grande stagione della pittura figurativa ottocentesca”. Ecco allora i “ritratti”, soprattutto di nobildonne ed esponenti della ricca borghesia torinese (ma in parete c’è anche, datato 1907, un interessante e vigoroso “Ritratto di Orsola”corpulenta donna di servizio che Serralunga fissa con evidente e bonaria simpatia e una bimba in “Preghiera” del 1913 che è un autentico soffio di delicata poesia); e poi i “nudi” (il “Nudo su fondo rosso” del 1910 e “Specchio e piumino” fine anni Venti, quadri in cui l’influenza di Giacomo Grosso – per certa opacità e velatura del segno, così come per la stessa postura delle figure ritratte – si fa sentire con evidenza, a tratti fin troppo marcata come nel sensuale “Nudo disteso” del 1916); per terminare con vigorose “nature morte” e con altrettanto robuste e mosse “scene di caccia” ( esemplare la “Lotta di cani con un cinghiale” del 1915). Altro dato interessante della mostra, in modo particolare rispetto ai “nudi” e ai “ritratti”, é l’accostamento dei quadri alle copie di foto originali (stampe a sali d’argento) eseguite dallo stesso pittore e successivamente elaborate al cavalletto. Dipinto e foto della stessa modella in posa raccontano in fondo di quanto l’ispirazione, l’istinto e la visionarietà dell’artista possano tradursi, alla resa dei conti, in “narrati” parzialmente o assolutamente diversi dalla realtà cristallizzata in un semplice scatto fotografico. Esempio eclatante, la grande “Lea”, olio su tela del ’32, “modella di lusso” come lei stessa amava definirsi. Certo non più giovane ma con classe da vendere. Rossetto sgargiante e smalto alle unghie, sontuoso abito scuro, portamento sofisticato e altero, dalla fierezza aristocratica nella posa fotografica; pensierosa e sobria, avvolta in una semplicissima tunica nera priva di orpelli e ornamenti che dir si voglia nell’opera pittorica. Atmosfera di silente e malinconica riflessione, il quadro fu acquisito dalla Gam nel 1942, dopo la mostra postuma organizzata dagli amici di Serralunga al Circolo degli Artisti e accompagnata da una commossa presentazione di Giovanni Guarlotti.

 

Gianni Milani

 

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“Luigi Serralunga tra Simbolismo e Liberty”

Palazzina di Caccia di Stupinigi, piazza Principe Amedeo 7, Nichelino , tel. 011/6200634 – www.palazzinastupinigi.it  Fino al 18 febbraio

Orari: mart. – ven. 10-17,30/ sab.- dom. e festivi 10-18,30/ lun. chiuso

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Le immagini:

– Luigi Serralunga: “Autoritratto”, olio su tela, 1918

– Luigi Serralunga: “Specchio e piumino”, olio su tela, fine anni Venti
– Luigi Serralunga: “Natura morta con pesche e uva”, olio su tela, prima metà anni Trenta
– Luigi Serralunga: “Lotta di cani con cinghiale”, olio su tela, 1915

Arte e occulto alla Pinacoteca Agnelli

La Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli prosegue il suo percorso di ricerca sul tema del collezionismo e presenta PARANORMAL. TONY OURSLER VS GUSTAVO ROL, una raccolta ideale costituita dalle opere dell’artista americano e da una selezione di oggetti appartenenti alla sua enorme collezione legata al mondo dell’occulto, posti in relazione all’attività paranormale e alle opere presenti nelle collezioni torinesi di Gustavo Rol, attivo a Torino nella seconda metà del Novecento.

Le opere sono state individuate da Tony Oursler insieme al curatore della mostra Paolo Colombo e inserite in un ambiente concepito dall’artista stesso che in questa occasione presenterà anche una serie di nuovi lavori, gli Ex Voto, ispirati alla visita alla Chiesa della Consolata di Torino. Marcella Pralormo, Direttrice della Pinacoteca Agnelli, si è occupata della sezione della mostra dedicata a Gustavo Rol, con un lungo lavoro di ricerca delle persone che lo hanno conosciuto e frequentato, rintracciando e selezionando insieme a Tony Oursler e a Paolo Colombo i dipinti e gli oggetti appartenuti a Rol, presenti nelle collezioni private torinesi.

 

Ideatore della video-scultura, Tony Oursler è uno dei più innovativi artisti a utilizzare il video come mezzo espressivo. Le sue opere non si limitano a esprimersi attraverso l’immagine video, ma utilizzano e sovrappongono scultura, design, installazione, proiezioni multimediali, proiezione singola (single channel projection), registrazioni e performance interagendo anche con lo spettatore. Tra i suoi lavori più noti troviamo le proiezioni di volti su superfici di tessuto arrotondato e su altri materiali, eterogenei quanto effimeri, come il fumo; volti che declamano testi solitamente poetici utilizzando un linguaggio criptico e che sono a tutti gli effetti apparizioni proiettate su degli oggetti con presenza scultorea.

 

Oursler ha collezionato per anni oggetti, pubblicazioni, ephemera legati al paranormale, lasciandosi profondamente ispirare per molte sue opere: fotografie di fantasmi, testi di pseudo-scienza, tecnologia primitiva per la creazione di illusioni visive, hanno arricchito negli anni un archivio che oggi conta oltre 15.000 elementi.

Un interesse che ha una profonda radice nella storia familiare dell’artista: suo nonno, Charles Fulton Oursler, scrittore, giornalista e sceneggiatore – autore tra le altre cose di “La più grande storia mai raccontata” (1949) che ha ispirato il celebre film degli anni Sessanta – aveva frequenti interazioni con Sir Arthur Conan Doyle, scrittore inglese sostenitore dello spiritualismo e del paranormale ed è stato grande amico di Harry Houdini, che ha sostenuto nella sua battaglia contro le frodi dei falsi medium durante gli anni Venti, fino alla pubblicazione del libro “Spirit Mediums Exposed” (1930), che rivelava proprio le tecniche di frode.

 

Un percorso che trova innumerevoli legami con la figura di Gustavo Rol, nato nel 1903 da una famiglia della ricca borghesia torinese. Un personaggio fuori dal comune, amante delle arti e pittore egli stesso, colto e carismatico: dopo aver lavorato come giornalista e bancario si è dedicato per tutta la vita alla sua grande passione, l’occulto. I suoi sostenitori gli hanno attribuito proprietà paranormali, i suoi critici hanno parlato di “mentalismo”, ma Gustavo Rol si è sempre dichiarato semplicemente un ricercatore e sperimentatore, con l’unico obiettivo “di incoraggiare gli uomini a guardare oltre l’apparenza e a stimolare in loro lo spirito intelligente“. Un uomo che ha attraversato il Novecento lasciando una traccia profonda nell’immaginario collettivo e nelle numerose personalità internazionali con cui è entrato in relazione: da Walt Disney a Marcello Mastroianni, da alcuni presidenti della Repubblica Italiana, come Giuseppe Saragat e Luigi Einaudi, al presidente John Fitzgerald Kennedy fino alla Regina Elisabetta II. Federico Fellini – di cui in mostra possiamo ammirare due disegni – lo definisce “sconcertante”, legandosi a lui con una profonda amicizia. 

 

Nella lunga intervista presente in catalogo, Paolo Colombo ragiona insieme a Tony Oursler   su numerosi aspetti della sua collezione e del suo agire artistico anche in relazione ai dipinti di Rol, alcuni dei quali pare si animassero, come quel paesaggio con un uomo lungo la strada che capitava si spostasse in punti diversi del dipinto nel corso del tempo. “Quella storia per me è stata la chiave del progetto: l’immagine in movimento. Si lega al balzo tecnologico e la tecnologia è il trauma contemporaneo a cui faccio riferimento […] : l’essere umano contro la macchina” – sostiene Oursler. Un trauma che dialoga con gli eventi drammatici raccontati negli ex voto presenti al Santuario della Consolata di Torino, fonte di ispirazione per gli ultimi lavori di Tony Oursler, realizzati appositamente per questa mostra. “In questa serie, manualità e uso dei macchinari vanno di pari passo. Passo così tanto tempo davanti a un computer che mi piace davvero poter dipingere o comunque poter fare qualcosa di manuale […]. Negli ex voto più antichi si vedono i guai provocati dai primi fallimenti tecnologici, bombe, scontri automobilistici. Uno, che amo particolarmente, mostra un uomo che rischia di essere maciullato perché i suoi vestiti sono rimasti incastrati in un ingranaggio. Da qui c’è un salto, ed ecco le mie nuove opere e i nostri traumi odierni: intelligenza artificiale, scorie radioattive, pensiero magico, […].

 

L’allestimento della mostra è progettato da Marco Palmieri che nel percorso espositivo affianca le installazioni video di Tony Oursler ai dipinti di Gustavo Rol, i contributi e le testimonianze di quanto accadeva in presenza di Rol alla collezione sul paranormale di Oursler, articolando un racconto per immagini che permette allo spettatore di osservare da un nuovo punto di vista – e forse provare a comprendere – fenomeni inspiegabili.

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PARANORMAL

TONY OURSLER VS GUSTAVO ROL

a cura di Paolo Colombo

dal 3 novembre 2017 al 25 febbraio 2018

 

Il catalogo della mostra è edito da Corraini. Gucci è partner della mostra.

 

 

Collezione Permanente e Mostra Temporanea
Biglietti ingresso: Intero €10; Ridotto €8 gruppi, over65, convenzionati; Ridotto speciale €4 scuole e ragazzi 6-16 anni; Gratuito 0-6 anni non compiuti, disabili, Abbonati Musei Torino Piemonte e Torino+Piemonte Contemporary Card

In 10 mila nel weekend alle Ogr

Per il fine settimana dell’arte contemporanea le OGR – Officine Grandi Riparazioni di Torino hanno accolto 9.946 persone
Diversi gli appuntamenti in programma: la grande mostra “Come una falena alla fiamma” organizzata in collaborazione con Fondazione Sandretto Re Rebaudengo; il convegno di AMACI (Associazione Musei d’Arte Contemporanea Italiani) sull’impatto del digitale sull’arte contemporanea e sui musei; la programmazione di Club to Club e agli otto concerti antologici dei Kraftwerk .
I concerti si chiuderanno martedì 7 novembre mentre la mostra proseguirà fino al 14 gennaio.
Un dettaglio dei numeri:
– 150 partecipanti al convegno AMACI
– 5.896 ingressi alla mostra “Come una falena alla fiamma”
– 4.900 presenze ai concerti
– tra questi 326 appartenenti alla stampa e ai media

Torna il Divine Queer Film Festival

Il Divine Queer Film Festival (DQFF) si terrà dal 10 al 12 novembre. Tre giorni di proiezioni sui temi di identità di genere, migrazione e disabilità. Tutti e tre i temi trattati, ovviamente, in una prospettiva Queer. La location quest’anno sarà al Via Baltea – Laboratori di Barriera, in via Baltea, 3 a Torino. La sostanza però non cambia: sarà un festival cinematografico ricco di produzioni indipendenti e soprattutto a ingresso libero e gratuito. Divine, giunto ormai alla sua terza edizione, nasce dal desiderio di infrangere, attraverso il linguaggio cinematografico, stereotipi, pregiudizi, tabù e paure sulle persone transessuali/transgender, disabili e migranti. Raccontando in modo ironico e positivo le storie di chi, ogni giorno, non si arrende e continua a lottare in maniera costruttiva per apportare un cambiamento.

È online la programmazione sul sito ufficiale www.divinequeer.it: le pellicole avranno una provenienza ricca e varia: Italia, Belgio, Australia, India, Turchia, Germania, Canada, Irlanda, Nuova Zelanda, Francia, e Stati Uniti. Nel palinsesto sono previsti corti, medi e lungometraggi sia di finzione che documentaristici. Inoltre tutte le proiezioni saranno in lingua originale e sottotitolati in Italiano e per tutti i dibattiti/interventi sarà garantito il servizio di interpreti LIS, offerto dalla Città di Torino. Via Baltea garantisce la massima accessibilità alle persone con disabilità fisiche.
Inoltre verrà proiettato tutte le sere il film Verba Volant dedicato a due giovani insegnanti in sciopero della fame da più di 200 giorni in Turchia. L’edizione è quest’anno interamente dedicata a Mario Mieli, attivista e teorico Queer in Italia.Anche in questa edizione saranno assegnati tre premi ai film in gara: un premio assegnato dal DQFF, uno assegnato da una giuria internazionale e uno assegnato dal pubblico. Tutti i premi sono stati realizzati dall’artista Roque Fucci. La premiazione è prevista l’ultima sera del Festival. Sono previsti inoltre interventi di alcuni registi e ogni sera si potrà anche fare convivialità con aperitivi, spaghettate all’interno di Via Baltea. Prima, durante e dopo il Festival tutti gli aggiornamenti saranno disponibili sul sito web ufficiale del DQFF e sui social newtork Twitter(@DivineQueerFF) e Facebook(@divineqff). Incomincia a seguirci!

Tutte le sere inoltre sono previsti momenti conviviali, aperitivi, spaghettate e pizzate divine e sabato 11 ci sarà una festa con dj Maestro Totale con cui ci scateneremo sulle note di musica anni ’80 fino alle 3 del mattino! Il Divine è organizzato dall’associazione culturale Taksim ed è patrocinato dalla Regione Piemonte, dalla Città Metropolitana di Torino, dal Comune di Torino e da Amnesty International (Italia).

 

I dubbi interpretativi di Gabriel Garko, tra il vecchio Barrymore e la signorilità di Pagliai

Bel faccino e fisico aitante ma lato interpretativo a quota zero o poco più, Andrew Rally è un divo del piccolo schermo che reduce dalla solita fiction di successo decide un giorno di votarsi al palcoscenico: ovvero rinunciare temporaneamente a qualche milione di dollari per rifarsi una faccia d’attore un po’ più pulita. E con il ruolo di Amleto che farebbe tremare a chiunque le vene e i polsi. Dal mondo dorato di Los Angeles ai patemi di New York il passo è breve e trovare casa nella casa del Greenwich dove negli anni Venti visse il grande John Barrymore, Amleto d’oltreoceano per eccellenza, attraverso i consigli di una svampita agente immobiliare, è cosa presto fatta. Se poi l’agente è anche un po’ medium, perché non stimolare in una traballante seduta lo spirito del vecchio a venire in aiuto del ragazzo a corto di mezzi e d’esperienza? Cigolii e lampi improvvisi ed eccoti là nel grande salone servito il John in calzamaglia e giacca di velluto neri, a lavorare sull’essere o non essere per sei mesi: per ritrovarsi alla fine, dopo la prima, con un pubblico annoiato e una critica con il pollice verso, con un risultato decisamente opaco. Sarebbe la depressione totale se davanti al ragazzo non si ripresentasse (perché già prima aveva tentato di dissuaderlo) il regista dei suoi successi televisivi con la sua nuova barcata di soldi: Andrew dovrà ora decidere se e come crescere, se affrontare il nuovo personaggio di giovane insegnante nell’America di oggi e continuare a reclamizzare le solite merendine tanto redditizie.

Odio Amleto, scritto da Paul Rudnick nel 1991, in scena all’Alfieri fino a domani ad inaugurare la stagione del “Fiore all’occhiello” di Torino Spettacoli, è una di quelle commedie molto lineari e prevedibili che proseguono a divertimento intermittente o che sparano tutti i loro colpi nella prima parte per sedersi a fiato corto nel seguito con buone zone di noia. Si scomoda Shakespeare, si camuffano brevi suoi brani, si va a finire negli insegnamenti e nella signorilità dell’uno (ah! i ringraziamenti, anche quelli, diceva un vecchio autore e regista teatrale scomparso, Aldo Trionfo, di cui nessuno si ricorda più) confrontati con il naïf che è ben ancorato nel cuore di Andrew, si contorna il tutto con figurine più riuscite altre decisamente no (la fidanzatina ventinovenne e vergine, avversa al sesso prematrimoniale, che prova a essere Ofelia), si condisce il tutto con un dialogo che dovrebbe sfavillare ma che a tratti s’ammoscia e non trova la strada del più schietto e allargato divertimento. E anche la regia di Alessandro Benvenuti la si vorrebbe più tagliente e cattiva, più corrosiva nel fronteggiare due mondi lontani anni luce e invece è lì più a inquadrare e a rincorrere il piccolo effetto del momento. Ugo Pagliai “porge” con eleganza le proprie battute e gigioneggia e sbevacchia meno – crediamo – di quanto non facesse il suo Barrymore, Paola Gassman trova, come uscendo da un altro testo, un angolo di ricordi e di danza con il reduce di una lontana avventura, Annalisa Favetti centra in pieno la sua agente e la sorpresona Guglielmo Favilla a tratti mette in ombra tutti quanti nell’irruenza senza tregua del suo regista imbonitore. E poi c’è lui, Gabriel Garko, che tutti aspettano al varco, un attore su cui persino Ronconi un giorno volle scommettere, assieme a Zeffirelli e Ozpetek. È il suo testo, quello che pare scritto apposta per lui, divetto televisivo prestato al palcoscenico, lo ha ammesso: e allora godiamocelo così come è, con i suoi inciampi, con la sua dizione rattoppata, con la sua s imperfetta, con i vuoti non riempiti quando ascolta i colleghi con le loro battute, con la sua unica espressione, con quei tentativi di salire il primo gradino della recitazione. L’importante è partecipare, diceva quel tale: tanto poi magari dietro l’angolo c’è un’altra bella (ed economicamente corroborante) serie di Canale Cinque ad aspettarlo, fatta di onori rispetti peccati e vergogne. Qui c’è già un bel coraggio ad autoironizzarsi, a scendere in pista.

 

Elio Rabbione

D’Abbraccio/Gleijeses tra ribellione e rappacificazione

“Filumena Marturano” di Eduardo, regia di Liliana Cavani, per la stagione dello Stabile


Quante Filumene. Titina prima, poi via via Regina Bianchi e Moriconi, Isa Danieli e Sastri e Melato, senza contare la Sophia nazionale con il film di De Sica. Il testo è uno dei capisaldi del Novecento, non parliamo della fama di questa donna indomita che rappresenta l’assoluta libertà e il sacrificio delle madri del mondo. Il testo di Eduardo, datato 1946, è grande e lo hai visto tante volte, eppure questo titolo-monstre ti acchiappa sempre e ti fa ad ogni occasione tornare la voglia di andare a teatro. Che avrà fatto questa volta il regista (per carità, lasciatelo così come l’autore l’ha scritto, non pensate di rigirarlo come usano fare oggi certi metteurs en scène della lirica, scongiurerebbe qualcuno…), quale voce e quali gesti usciranno dalla bravura dei protagonisti. Per cui ti vai “anche” a vedere Mariangela D’Abbraccio e Geppy Gleijeses. Ed è vera, enorme bravura. Di lei, che scende nella sua madre con tutta la rabbia e l’ardore e l’artistico sotterfugio che a sipario appena aperto già è concluso, balzata dal letto a ribadire la propria dignità di donna, a rigovernarsi i capelli, a ripiegare la “robba” finalmente sua e sopratutto a reclamare pienamente uno status che per anni, venticinque lunghi anni, ha inseguito, quando lui la tolse diciassettenne da un povero basso e dalla fame per farle abbracciare il mestiere più antico del mondo. E poi, con quei sentimenti rimessi in gioco, nell’andare a raccogliere i tre figli disseminati che per anni ha sorvegliato, tre differenti caratteri, tre diversissime professioni, un incrociarsi di spavalderia, di giocosità familiare, di pacatezza; nel suggerire a Domenico Soriano, a Dun Mi’, la verità di una paternità inattesa verso uno di quei tre ragazzi e di uno soltanto, nel portarlo davanti al prete, nel ritrovare una calma che tuttavia non può ancora cancellare qualche battito di troppo del cuore. E di lui, che percorre l’opera tutta dall’esasperazione della belva presa in gabbia, del maschio svelato che dovrà prima o poi rinunciare ad un passato di comodità e privilegi, che dovrà affrontare un percorso di educazione sino alla rappacificazione punteggiata da un “papà!”, convinto e privo di ogni sdolcinatura, che arriva dalla bocca dei figli.

A dirigerli Liliana Cavani, l’autrice di “Galileo” e di “Portiere di notte” e del doppio “Francesco”, alla sua prima prova teatrale (lei che al di là di quelle cinematografiche tanto ha già frequentato i teatri lirici). Ha compattato lo spettacolo, cancellando gli intervalli, ad un’ora e 50’, è stata giustamente attenta a non allontanarsi dalla tradizione e dal naturalismo che la fa da padrone, ha scavato negli angoli più intimi dei suoi due attori, li ha fatti esplodere e li ha tenuti a bada, ha costruito con saggezza – dentro le scenografie di Raimonda Gaetani, la camera da letto e il salotto buono di chi ha fatto fortuna, senza dimenticare le sonorità della chitarra e il resto di Teho Teardo che accompagnano con struggenti melodie la vicenda – la lotta quasi fisica del primo atto, pedana di una doppia ribellione, con una stretta napoletaneità, con un linguaggio esasperato, con un gesticolare plateale, con le voci alte, gettate l’una contro la faccia dell’altro: mentre poi ha asciugato parole e gesti verso i territori della conciliazione, della tranquillità, della famiglia salvaguardata, in un percorso dove ogni sconquasso poco a poco si rimette al proprio posto, rallentandosi i tempi, le azioni, le voci. Sino al quadro finale. Una regia che non si pone soltanto al servizio “freddo” del testo e della volontà dell’autore, ma che butta là una personalissima cifra, ovvero non ancorando la vicenda agli anni dell’immediato dopoguerra, sino a schiacciarla, ma lasciandola venire un po’ più verso di noi, senza troppe ristrettezze. Con i più giovani attori, che pur con qualche inciampo rientrano appieno nel successo dello spettacolo, non possono passare senza citazione le prove di Mimmo Mignemi, uomo tuttofare di Soriano da sempre, che sfugge a tratti dal partenopeo per tradire origini siciliane, e soprattutto di Nunzia Schiano, “salvata” da Filumena, pure lei a squadernare un passato fatto di sacrifici e un presente dove per i figli non c’è più posto (bravissima: del resto, basterebbe ricordarla come madre di Siani in “Benvenuti al Sud”, pronta a sfornare per colazione strani sanguinacci ad un Bisio quantomai sconcertato e recalcitrante).

 

Elio Rabbione