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CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 645

Reading – incontro a Scampia con Caterina Chinnici

VENERDI’ 18 MAGGIO

 

Dalle nostre Langhe va in trasferta a Scampia, il Premio Bottari Lattes Grinzane. In un quartiere, com’è risaputo, fra i più problematici dell’estrema periferia Nord di Napoli, il Premio (da sempre particolarmente sensibile alle tematiche legate alla cultura della legalità e alla necessità di coinvolgere i giovani sui temi dell’impegno sociale contro le mafie) intende così rendere omaggio alla figura di Rocco Chinnici, ideatore del primo pool antimafia, assassinato da Cosa Nostra trentacinque anni fa, il 29 luglio 1983.

L’evento è in programma per venerdì 18 maggio, alle ore 10,30, presso il locale Istituto Alberghiero “Vittorio Veneto” (via Labriola, lotto 11/K) e si propone come reading-incontro aperto al pubblico e agli studenti delle scuole di Napoli, ispirato al libro di Caterina Chinnici, figlia del magistrato, “È così lieve il tuo bacio sulla fronte” (Mondadori, 2013), recentemente trasposto in fiction su Rai Uno. 

Divenuta lei stessa giudice e a sua volta impegnata nella lotta contro la criminalità organizzata, Caterina Chinnici (eletta nel 2014 anche al Parlamento Europeo) porterà una diretta testimonianza sui temi della legalità e racconterà ai giovani la vita della sua famiglia prima della tragedia e come, dopo il lutto, lei con i suoi fratelli e la madre abbia ripreso a vivere, arrivando a perdonare. 

Gli attori Cristiana Dell’Anna (che nella fiction Tv ha interpretato Caterina Chinnici) e Paolo Giangrasso (che ha prestato volto e voce al magistrato Giovanni Falcone) daranno vita alle intense parole del libro. Moderatore sarà il libraio Rosario Esposito La Rossa, il famoso “spacciatore di cultura” che ha aperto la libreria della “riscossa”, la “Scugnizzeria” a Scampia e a Melito, dove da oltre quarant’anni mancava uno spazio dedicato ai libri.

L’appuntamento ( organizzato dalla Fondazione Bottari Lattes in collaborazione con la Fondazione CRC, ente che collabora e sostiene il Premio per il triennio 2017-2019), “intende fornire in linea con gli intenti della Fondazione Rocco Chinnici, un contributo alla formazione di un tessuto sociale intriso di quella cultura della legalità per la quale Chinnici si batteva e che è il presupposto per il contrasto alle mafie e alla ‘mafiosità’”.

g.m.

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Il libro di Caterina Chinnici

“È così lieve il tuo bacio sulla fronte” (Mondadori, 2013) ci racconta come e perché Rocco Chinnici sia stato ucciso. Ci racconta un eroe. Anche se a lui non sarebbe piaciuto essere chiamato così. Rocco Chinnici, nato a Misilmeri nel 1925 e assassinato a Palermo nel 1983, era prima di tutto un uomo, un padre, cui è toccata in sorte una vita straordinaria o forse un destino che lui ha scelto di assecondare fino alle estreme conseguenze. Dopo decenni di silenzio, Caterina Chinnici, la figlia primogenita a sua volta giudice, a sua volta impegnata nella lotta alla mafia, a sua volta sotto scorta sceglie di raccontare la loro vita “di prima”, serena nonostante le difficoltà, e la loro vita “dopo”. Sceglie di raccontare come lei, i suoi fratelli e la madre abbiano imparato nuovamente a vivere e siano riusciti a decidere di perdonare: l’unico modo per sentirsi degni del messaggio altissimo di un padre e di un marito molto amato.

 

Info: 0173.789282 - eventi@fondazionebottarilattes.it

WEB fondazionebottarilattes.it | FB Fondazione Bottari Lattes | TW @BottariLattes

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Nelle foto
– Il libro di Caterina Chinnici
– Caterina Chinnici
– Rocco Chinnici

Tra Kafka e Perrault, rigorosamente secondo il metodo Marcido

Termineranno domenica 13 (alle 20,45 e domenica alle 16), nello spazio Marcidofilm! di corso Brescia 4 bis, le repliche dell’ultimo spettacolo della stagione dei Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa, un dittico che raccoglie Una relazione per l’Accademia da Kafka e La bella addormentata da Perrault, fiaba sì ma “in stile Marcido”. Performance di Paolo Orrico la prima parte, sotto la guida e nella drammaturgia di Marco Isidori (da più di trent’anni, familiarmente, l’Isi), è il frutto della “constatazione ‘tragica’ dell’indispensabile riduzione al grottesco di gran parte dell’istanza umana”, è il ritratto di una scimmia umana – o forse di un Uomo scimmiesco – e della “superiorità biologica delle forze istintuali che si spappola in caduta libera a contatto con le esigenze preponderanti delle leggi della galoppante Civiltà”. Fase animalesca e una nuova veste umana, un cambiamento che la statura della scena, al di là della pagina scritta, rende estremamente vitale e significativo, in un mostruoso e insopportabile divenire, dal momento che “finché si è Scimmia, la temporalità è uno spazio che non si riesce, per fortuna!, a determinare, si galleggia sulla propria esistenzialità con troppa coazione istintuale per avere un “tempo” di pensiero, ma quando ci si ritrova umani, è proprio il rapporto che è d’obbligo instaurare col “Tempo” a formare la nostra più intima fibra psichica; ie allora i “guai” sono, è il caso di dire, all’ordine del giorno”, spiega ancora Isidori. La fiaba di Perrault, condotta dalla voce narrante di Maria Luisa Abate, affronta i temi classici della fiaba ma la sua realizzazione si pone di fronte ad uno speciale approccio critico, obbediente a quella saggia sperimentazione messa con coerenza e continuamente in campo in una storia che sa di vero palcoscenico. Manco a dirlo, il trucco i trucchi, i costumi e il “Sipario delle Metamorfosi” si devono anche qui all’arte di Daniela Dal Cin. Prenotazioni ai numeri 339 3926887 oppure 328 7023604. info.marcido@gmail.comwww.marcido.it

(e.rb.)

Missione possibile: salvare Torino e l’arte

Se oggi possiamo ancora ammirare la Sindone, vari monumenti cittadini, i reperti del Museo Egizio e le opere d’arte dei musei lo dobbiamo ai provvidenziali interventi di tutela del patrimonio umano ed artistico che durante la II Guerra Mondiale li hanno messi al riparo mentre, tra 1940- 45, dal cielo cadevano le bombe sulla città.

La lungimiranza e il grande lavoro fatto all’epoca per proteggere la storia cittadina sono ora raccontati nel libro “Salvare Torino e l’arte” (Graphot editrice), scritto dalle architette Elena Imarisio e Letizia Sartoris e dal Vigile del Fuoco Michele Sforza che lo presenteranno al Salone del libro di Torino sabato 12 maggio, ore 16, in Sala Arancio.

Nel carnet dei vostri appuntamenti alla kermesse torinese segnatevi anche questo perché vi farà scoprire un libro che, tra immagini e parole, si legge come un romanzo o un insieme di racconti. Un tuffo nella storia con testimonianze fotografiche che nessuno prima d’ora aveva riportato alla luce. L’incontro vi permetterà di aprire una pagina inedita della storia torinese e gli autori vi sveleranno dove e come sono state nascoste e protette, per esempio, la statua dedicata ad Emanuele Filiberto di piazza San Carlo, le mummie millenarie del Museo Egizio o la guglia della Mole Antonelliana. Questo ed altro nel volume nato dalla tesi di laurea -12 anni fa- sulla protezione del patrimonio culturale e sui rifugi aerei delle due giovani architette, come ci racconta con entusiasmo Elena Imarisio: «Da allora abbiamo sempre continuato ad approfondire l’argomento; poco alla volta abbiamo continuato a scovare documenti …e ci siamo rese conto che alcuni venivano tirati fuori dagli archivi per la prima volta dai tempi della guerra. Foto, articoli di giornale e carteggi ufficiali ci hanno permesso di ricostruire la storia di tanti salvataggi. Da quello della statua di piazza San Carlo a quello dei reperti del Museo Egizio».

Quanto sono importanti le foto inedite del libro e cosa ci dicono?

«Quello che è successo durante la guerra ai monumenti delle piazze, ai tesori dei musei, agli archivi e alle biblioteche torinesi. Per esempio siamo riusciti a ricostruire tutto l’iter del Cavallo di Bronzo: il progetto della casseratura, la foto del momento in cui veniva incassato, quella dell’incendio della casseratura e quella del giorno dopo che lo mostrano danneggiato. Manca l’immagine di quando è stato portato via, ma abbiamo recuperato quella che immortala il suo riposizionamento sul piedistallo. Sono preziose anche le foto della messa in salvo dei beni trasportabili dell’Egizio. E poi tante altre immagini d’epoca affascinanti».

Quali sono i monumenti e le opere più importanti scampati ai bombardamenti?

«La Sindone… questa è una chicca venuta fuori negli ultimi anni; poi moltissimi reperti del Museo Egizio dove anche le grandi statue inamovibili sono state comunque protette in loco con sacchi di sabbia e castellature di legno; e i documenti dell’Archivio di Stato. Tutto quello che oggi possiamo ammirare nei musei c’è grazie al grandissimo lavoro di salvataggio».

Chi dobbiamo ringraziare per questo?

«I sovrintendenti e direttori “illuminati” che hanno capito la necessità di proteggere i beni; con il personale interno vi hanno provveduto e poi, a fine guerra, hanno fatto riportare le opere al loro posto. Un lavoro immenso che ha permesso di conservare il nostro prezioso patrimonio artistico».

Come e dove venivano portati i beni a rischio?

«Ci furono due fasi: inizialmente furono trasportati fuori città e dal Piemonte, messi al riparo in castelli come quello di Guiglia vicino a Modena. In un secondo tempo si è ritenuto più sicuro riportarli al nord, nei castelli limitrofi al capoluogo subalpino, come quelli di Agliè e di Settime d’Asti; oppure al riparo nei castelli nobiliari messi a disposizione dai proprietari. Abbiamo anche foto che testimoniano come vari tesori delle gallerie d’arte e statue più piccole e trasferibili furono nascosti nei rifugi sotto i Palazzi Madama, Accademia delle Scienze e Carignano».

Che ruolo ebbero i Vigili del Fuoco?

«A loro è dedicata la seconda parte del libro. Hanno salvato la popolazione sotto i bombardamenti, in caso di crolli intervenivano immediatamente. Spesso i rifugi antiaerei erano semplici cantine rinforzate: un po’ delle trappole perché se l’edificio veniva colpito, la gente non riusciva più ad uscire e i Vigili del Fuoco hanno fatto un grandissimo lavoro di recupero delle persone e delle vittime».

E per quanto riguarda la messa in salvo dei beni artistici?

«Intervenivano più che altro in casi di danneggiamento. Per esempio abbiamo la foto del loro intervento quando il 13 agosto 1943 Palazzo Madama fu colpito da uno spezzone incendiario e loro salirono sul tetto per spegnere subito il fuoco. Un’altra immagine riprende i Vigili del Fuoco al lavoro tra le macerie di una casa colpita in via Nizza: in primo piano c’è il vigile preposto a controllare che la struttura non crollasse –figura sempre presente perché fondamentale per l’incolumità dei colleghi all’opera- e sullo sfondo è ben visibile la “R” di segnalazione del rifugio al piano interrato dell’edificio».

Su che materiali vi siete basati per ricostruire la storia del loro lavoro?

«Il nostro coautore Michele Sforza ha fondato e diretto l’Archivio Storico del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco dov’ è conservata un’ingente mole di documenti, verbali dei salvataggi e degli interventi svolti; ma anche tantissime fotografie che ci hanno aiutati a ricostruire la storia di monumenti e palazzi. Alla fine della guerra sono state usate dal Comune di Torino per una schedatura dei danni a tappeto di tutta la città, mandando funzionari preparati, compilando schede con tutti i dati della localizzazione degli edifici, i danni subiti ed eventuali interventi già iniziati nel post guerra, e ad ogni edificio era allegata anche una documentazione fotografica».

Cosa è andato invece irrimediabilmente perduto sotto le bombe?

«Parte del tesoro della Biblioteca Universitaria che oggi è davanti a Palazzo Carignano ma in tempo di guerra era in via Po; quando il palazzo fu colpito non tutto era stato già messo in salvo e quello che rimaneva andò distrutto».

 

Laura Goria

 

 

 

 

 

Il genocidio dimenticato

In mostra alla Paola Meliga Art Gallery il lavoro del fotoreporter Ugo Lucio Borga

Il genocidio dimenticato. Questo il fil rouge della mostra che ospita, fino al prossimo 15 giugno, la Paola Meliga Art Gallery, in via Maria Vittoria 46/D, dedicata al fotoreporter valdostano Ugo Lucio Borga, di cui è esposto un lavoro documentaristico compiuto in Sud Sudan. Il conflitto in questa terra ha provocato il più grande esodo della storia, avvenuto in Africa dal genocidio in Ruanda. Inserita nel contesto della prima edizione di “Fo.To- Fotografi a Torino”, in svolgimento dal 3 maggio scorso fino al 29 luglio prossimo, la mostra riunisce un’ampia selezione di immagini realizzate dal fotoreporter nato nel 1972, foto attraverso le qual ha potuto documentare le drammatiche conseguenze della guerra civile scoppiata nel 2013 in questo Paese africano. Si è trattato di un conflitto che ha profondamente minato la stabilità del Paese, provocando un grande esodo e una drammatica crisi umanitaria a livello mondiale. In occasione dell’inaugurazione della mostra, lo scorso 3 maggio, è stato presentato l’ultimo libro di Ugo Lucio Borga, con prefazione di Marco Boggio.

 Mara Martellotta

Paola Meliga Art Gallery

Orario: dal martedì al venerdì dalle 15.30 alle 19. Il sabato dalle 10 alle 12.30 e dalle 15.30 alle 19. Lunedì e festivi chiusi

«Wonderland». La nuova stagione dello Stabile

Una bionda Alice è l’immagine che simboleggia la stagione 2018/2019 del Teatro Stabile che si propone con una sola parola «Wonderland». La presentazione questa mattina al Teatro Gobetti, presenti il presidente dell’ente teatrale Lamberto Vallarino gancia e il direttore Filippo Fonsatti. In tutto 67 spettacoli, comprese le 17 produzioni, 32 spettacoli ospiti, e 18 per il Festival  Torinodanza. Un totale di  401 recite e 132 repliche in tournée, oltre a diverse produzioni internazionali. I particolari sugli spettacoli in un nostro prossimo servizio. #Wonderland è il luogo delle possibilità, dello stupore, della curiosità. Wonderland è l’opportunità di attingere a mille personaggi bizzarri e non, di conoscere aneddoti e storie nelle storie. Alice, con i suoi grandi occhi curiosi, rappresenta lo sguardo affascinato verso questo mondo, stupito davanti allo spettacolo delle meraviglie. La nuova stagione del Teatro Stabile di Torino è Wonderland, lo stupore sul palcoscenico, ogni sera. #tstwonderland #torino #teatro. L’immagine della campagna #wonderland è di Stephanie Jager

La leggenda di Evita nel musical al Regio

In Argentina Evita Peron, ancor prima di morire a soli 33 anni, di tumore, era già entrata nella leggenda e la sua figura emanava e, al tempo stesso, continua ad emanare un irresistibile magnetismo che trascende qualsiasi credo e nazionalità. Ha riscosso un enorme successo di pubblico la rappresentazione al teatro Regio di Torino del musical “Evita”, in scena fino al prossimo 8 maggio, un lavoro piuttosto ambizioso che si richiama alla tradizione dell’opera italiana nell’alternanza di canto e recitativo, traendo, appunto, la sua forza dall’interazione tra stili musicali diversi, quali il rock, il pop, il tango ed il folklore spagnolo, mescolati tutti a suggestioni di Puccini e di Britten, per creare una partitura ricca di tensione drammatica e di canzoni indimenticabili. Come non ricordare testi quali “Don’t cry for me Argentina”, cantata da Evita dal balcone della casa Rosada, il giorno della proclamazione dell’elezione a presidente del marito, il 17 ottobre del ’45, e “Another Suitcase in Another Hall”, originariamente cantata da Barbara Dickson nel disco originale e, nelle successive versioni, dall’amante di Peron?

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Il celebre musical composto da Andrew Lloyd Webber, su versi di Tom Rice, nel 1978 e liberamente ispirato alla vita di Maria Eva Duarte de Peron, affettuosamente chiamata Evita, first Lady dell’Argentina negli anni Quaranta, rappresenta la prima produzione in assoluto che abbia visto impegnata dal vivo un’orchestra sinfonica. Il debutto teatrale avvenne il 21 giugno 1978 in un teatro del West End a Londra e il ruolo di Evita fu affidato a Elaine Page, scelta tra un vasto numero di candidate, dopo la rinuncia alla parte di Julie Covington. Tra le canzoni di stampo più classico figurano il pezzo corale iniziale dal titolo “Requiem for Evita”, l’interludio corale nella canzone “Oh what a circus”, e le orchestrazioni della canzone “Lament”, nonché il preludio iniziale della canzone “Don’t cry for me Argentina”. Ritmi tipicamente latini sono presenti in brani quali “Buenos Aires” e “On this Night of a thousand of stars”. Evita, articolato in due atti, è stato presentato ora nella versione originale in lingua inglese con sopratitoli in italiano. Le recite al teatro Regio di Torino rappresentano le uniche date italiane del tour internazionale, per la regia di Bob Tomson e Bill Kenwright, la coreografia di Bill Deamer, le scene ed i costumi di Matthew Whight, le luci di Dan Samson. Il personaggio di Evita è interpretato da Madalena Alberto, attrice e cantante portoghese con una brillante carriera in campo teatrale e musicale a Londra. Il ruolo del marito Juan Domingo Peron è interpretato da Jeremy Secomb e quello del narratore Che Guevara dal cantante ed attore di origini parmensi Gian Mario Schiaretti.

Mara Martellotta

Torino a tutta fotografia

Ci siamo arrivati. Piano piano, ma ci siamo arrivati. E, mostra dopo mostra, la Torino artistica ( per merito comune di musei pubblici e privati, centri specializzati, gallerie d’arte, fondazioni e associazioni fra le più varie, spazi no-profit e istituti d’arte e di design), può dirsi ormai da tempo terreno fertile per la realizzazione di “grandi” mostre dedicate alla “grande” fotografia. Nazionale ed internazionale

A darne prova, basti solo pensare ad alcune fra le rassegne fotografiche made in Turin, e dintorni, di maggior successo e ancora in corso (altre di grandissima levatura per i nomi proposti si sono concluse nei mesi scorsi), come a “L’occhio magico” di Carlo Mollino ospitata negli spazi di Camera, il benemerito Centro Italiano per la Fotografia di via delle Rosine, o a quell’“Arma il prossimo tuo” che al Museo Nazionale del Risorgimento ha messo insieme foto da “pugno nello stomaco” riferite alle guerre cosiddette “di fede” firmate da fotoreporter d’eccezione come Roberto Travan e Paolo Siccardi; o ancora alla “Storia di un fotografo” che a Palazzo Chiablese assembla oltre 200 opere che ci portano nel mondo multiforme di uno dei più grandi fotografi contemporanei come Frank Horvat, per non dire delle due magiche mostre “Genesi” e “Architetture e Prospettive” dedicate proprio in questi giorni dalla Reggia della Venaria (appena fuori porta) al brasiliano Sebastiao Salgado e al fiorentino Massimo Listri. Mostre da sold out. Consacrate dal grande pubblico, dalla critica e dagli appassionati dell’ottava arte. Che anche a Torino sono sempre di più e sempre più esigenti. Proprio su queste basi e considerazioni prende il via “Fo.To – Fotografi a Torino”, che da giovedì 3 maggio a domenica 29 luglio trasformerà il capoluogo piemontese in un grande spazio collettivo chiamato a celebrare Sua Maestà la Fotografia. Tre mesi circa di programmazione con la messa in rete di oltre 70 strutture cittadine – dal centro alle periferie – pronte ad ospitare oltre 90 mostre e un fitto calendario di eventi legati al mondo fotografico, l’iniziativa è un progetto pilota che intende diventare appuntamento annuale a partire dal 2019 ed è promossa dal MEF – Museo Ettore Fico (che per l’occasione ospiterà nella casa-madre di via Cigna una vasta antologica dedicata a Duane Michals, fra i nomi più prestigiosi dell’avanguardia americana, e nei locali “Outside” di via Juvarra un’altrettanto importante retrospettiva del milanese Paolo Monti) in collaborazione con tutte le realtà artistico-culturali aderenti all’evento. “Fo.To – Fotografi a Torino” è un “treno in corsa, un grande contenitore di emozioni”: a dirlo é Andrea Busto, direttore del MEF che aggiunge: “Abbiamo colto l’esigenza degli operatori del settore di raddoppiare l’appuntamento di Contemporary Art Torino Piemonte, che si svolge a novembre, e di fare rete con il tessuto urbano. Il progetto Fo.To è fatto di mostre, incontri, tavole rotonde, letture di approfondimento e si sviluppa in un arco di tempo lungo per dare la possibilità di viverlo ad un pubblico il più vasto possibile, compreso quello in arrivo da fuori Torino”. Per quanto concerne i luoghi coinvolti, si va dagli spazi storici come il Museo del Cinema, il Museo del Risorgimento e Palazzo Chiablese, fino a quelli di più recente apertura come il Museo Ettore Fico; da quelli più innovativi e sperimentali a quelli più classici e consolidati, dalle Fondazioni più note, come la Sandretto Re Rebaudengo o l’Accorsi e la Merz, fino a realtà come la Fondazione 107 di via Sansovino, che si sono insediate nelle periferie o nei quartieri più multietnici cittadini per partecipare al processo di riqualificazione attraverso l’azione culturale. Il pacchetto completo delle mostre (con la durata e gli orari di apertura e chiusura delle location ospitanti), nonché gli appuntamenti con artisti, fotografi, critici e curatori comporranno un calendario cronologico consultabile sul sito della manifestazione: www.fotografi-a-torino.it E per vivere l’evento “in notturna”, è in programma per sabato 12 maggio la Notte bianca della Fotografia, cui parteciperanno, dalle 19 alle 24, tutti gli spazi aperti al pubblico.

Gianni Milani

Nelle foto:

– Duane Michals al Museo Ettore Fico
– Carlo Mollino a Camera
– Frank Horvat alla Galleria Sabauda – Sala Chiablese
– Sebastiao Salgado alla Reggia di Venaria
– Andrea Busto

Là dove passò il grande tornado

In Kansas non andava violato Burnett’s Mound, che i nativi locali dicevano essere luogo leggendario dal potere apotropaico e di protezione per la città di Topeka dal passaggio dei tornados. Detto fatto, in un’area del tumulo venne costruito un serbatoio d’acqua e l’8 giugno 1966 un tornado di categoria F5 devastò Topeka da sud-ovest a nord-est, causando vittime e danni a numerosi edifici e alle strutture della Washburn University. A quanto pare a Topeka non andava violata nemmeno la tranquillità dei vicini e le continue prove di musicisti volenterosi non erano per nulla gradite. Se ne accorsero Greg Gucker [ora Hartline] (chit), Mike West (chit, arm, tr, org), Blair Honeyman (V, b) ed Eric Larson (batt) che sorsero con la denominazione The Mods nel 1965. Nell’arco di un anno il nome mutò nel definitivo [The] Burlington Express e venne a sedimentarsi un sound influenzato dalla British Invasion, tanto che le cover di Beatles, Rolling Stones, Yardbirds, Animals, DC5 furono l’ABC degli esordi e il materiale di molti gigs a Topeka e dintorni (all’Empress Club e al Crestview Recreation Center). Il raggio d’azione si allargò e la band si esibì in svariati clubs e locali a Lawrence (al Red Dog Inn), Emporia, Manhattan, Holton, Concordia (al Pop’s Pizza Parlor), Mayetta; fuori Kansas a Moberly e Kansas City (Missouri) e occasionalmente in Nebraska, South Dakota e Colorado. Intanto nella seconda metà del 1966 (passato il tornado) il manager dei Burlington Express Jim Nash cominciò a muoversi facendo da ponte tra l’ambiente delle battles of the bands e il versante discografico. Per questi ragazzi di 16-17 anni l’impatto con la sala di registrazione non sarebbe stato facile, soprattutto per la loro predisposizione alla spontaneità e a dare il meglio di sé live. Tramite Mike Chapman, chitarrista degli ammirati The Blue Things, fu possibile registrare nel 1967 il primo (ed unico) 45 giri:“One Day Girl (Twenty-Four)” [M. West – G. Gucker] (Cavern 2207; side B: “Memories”), con etichetta Cavern records (di John Pearson), inciso ad Independence (Missouri) e prodotto dallo stesso Chapman. In seguito Blair Honeyman lasciò, sostituito da Bruce Lynn; l’onda post-incisione sembrava positiva a livello locale (anche se l’impatto sulle classifiche fuori Kansas fu mediocre) e l’apprezzamento per le esibizioni live dei Burlington Express cresceva; un ruolo importante nei concerti era giocato dal peculiare uso delle luci, con effetti inusuali e stroboscopici che Jim Nash definiva enfaticamente “Visual Act”. Il 22 agosto 1968 alla Municipal Auditorium Music Hall di Kansas City (Missouri), i Burlington Express aprirono con un’esibizione di mezz’ora il concerto dei The Who durante il tour nordamericano di promozione dell’album “The Who Sell Out“. Poteva essere il trampolino di lancio definitivo ma paradossalmente fu il punto d’inizio di una frattura interna, con Gucker (anima rock e principale songwriter) che iniziò espressamente a non condividere la tendenza blues del resto del gruppo. La band sfornò ancora alcune demos su brani di Byrds e Yardbirds (“I’ll Feel A Whole Lot Better” e “Stroll On”) e tenne una veloce sessione di registrazione agli Audio House Studios di Lawrence; Gucker uscì e passò ai White Clover, band di orientamento progressive che in seguito a fusioni darà origine nei primi anni Settanta ai KansasI restanti Burlington Express, orfani del songwriter di punta, persero spinta creativa ed entusiasmo; si limitarono a sporadiche comparse locali fino allo scioglimento databile tra fine 1969 ed inizio 1970. Express di nome e di fatto…

 

Gian Marchisio

 

In cerca di fantasmi al castello di Arignano

8 / Il romanzo gotico è un genere narrativo che si sviluppa a partire dalla seconda metà del XVIII secolo, è caratterizzato dall’unione di argomenti romantici e dell’orrore. Le vicende trattate si svolgono in antri oscuri, ignoti sotterranei o vetusti castelli diroccati. Centrale è la presenza dell’elemento sovrannaturale, un fantasma, un essere demoniaco o qualcosa di estraneo al mondo umano. Le atmosfere dei romanzi gotici sono buie, inquietanti e ricche di suspanceAppartengono a questo filone, ad esempio, i romanzi Il Castello di Otranto, di Horace Walpole, Dracula, di Bram Stoker, Frankenstein, ovvero il moderno Prometeo di Mary Shelly, o, ancora, Lo strano caso del dottor Jeckill e del signor Hyde di Robert Louis Stevenson. Questa mattina, in compagnia di due amici, mi trovo a percorrere le strade di un luogo che riporta tutti i tratti tipici dei romanzi gotici: la rocca di Arignano. Le previsioni davano pioggia ma al momento fa solo tanto freddo. Mentre uno dei miei amici guida io mi perdo a guardare fuori dal finestrino: la città affollata di case si rilassa e diventa prima cintura, fino a quando anche le villette sporadiche scompaiono, lasciando spazio solo ai bassi arbusti della campagna. Il brutto tempo rende grigio topo il paesaggio circostante e ne esalta le ombre, tutte le cose assumono un che di spettrale. Mi concentro sugli alberi ancora spogli, alzano i rami nodosi verso il cielo, mi ricordano degli idoli arcaici, antiche e ambigue divinità. Arignano è l’ultimo comune della provincia di Torino, è situato in cima ad una collina verdeggiante a nord-ovest del Monferrato e a nord-est di Chieri, il torrente Levanetto lo attraversa come fosse un’arteria rigonfia. Di questo comune mi interessa il castello, edificato nella parte più alta del paesino. Esso è caratterizzato da una maestosa torre quadrata ornata con tipici merli quattrocenteschi, tutta la struttura, che risale al X secolo, reca testimonianze stratificate di interventi architettonici avvenuti nei secoli successivi. Quando arriviamo il paesino sembra essere ancora addormentato, incontriamo pochissime persone e un micio paffuto che pretende da noi un po’ di attenzioni, forse è lui il vero detentore del potere della zona e questo è il dazio che dobbiamo pagare per percorrere le sue strade: una volta convintosi della nostra incondizionata sudditanza ci permette di proseguire. Le strade sono fredde come l’aria che ci infastidisce la pelle, le finestre, pur con le ante aperte, mantengono un’aria sopita, sbircio qualche vetrina dei pochi negozi che ci sono. Non intravedo alcuna attività, ma trovo particolarmente tenera la scuola elementare, con i finestroni resi più belli dai disegni ingenui dei bambini. Su tutta la cittadina grava come un velo di tristezza.

Proseguiamo lungo la strada in salita, gli edifici sono tutti ben tenuti, i colori degli intonaci puliti, le piante, che ogni tanto sbucano tra una abitazione e l’altra, sono robuste e verdeggianti. Mi aggiro per un paese dall’apparenza ordinaria, in cui ogni cosa sta al suo posto, eppure trovo straniante la quasi totale assenza di abitanti. Mi accorgo che stiamo parlando a bassa voce, inconsciamente non vogliamo disturbare: chi o cosa non si sa. Il castello compare d’improvviso, lo guardiamo stupiti come ce ne fossimo dimenticati. È un’enorme struttura cadente ben incastonata nel resto del paesaggio, si mostra d’un tratto simile a un drago mimetizzato in mezzo alle rocce, è lui che decide quando è ora di farsi vedere. Le mura mantengono l’antico aspetto intimidatorio, le finestre ai piani più alti hanno i vetri rotti, quelle ai livelli inferiori presentano solo la componente in legno degli infissi. Scatto qualche fotografia. L’atmosfera piuttosto cupa di quel giorno inserisce il maniero in una tipica ambientazione gotica. Se lo dovessi disegnare userei il carboncino, farei il cielo calcando leggermente in alcuni punti, per dare l’idea della presenza delle nuvole temporalesche che si stanno avvicinando, e accentuerei i contorni del castello, facendolo risaltare in tutta la sua possanza. Ci avviciniamo lungo una strada che sembra portare ad un cantiere più che alla rocca. Arriviamo ai piedi delle mura guardando in alto, da questa prospettiva sembra ancora più grande. Su tutto sovrasta la torre quadrata, bucherellata da finestre dalle quali pare osservare il mondo, come il periscopio di un sottomarino che sbuca per controllare l’eventuale presenza dei nemici. Avvicinarsi ulteriormente alla rocca è impossibile, le spine delle piante lo avvolgono e lo proteggono dal mondo e dai curiosi come noi, si comportano come i più fedeli soldati, pronti a sguainare la spada contro chi supera la distanza minima da mantenere al cospetto di un re. Sbircio oltre il roveto con attenzione, intravvedo altre finestre dall’aspetto tipicamente medievale, hanno tutte i vetri rotti o quantomeno crepati, l’interno è completamente buio. Riesco a scorgere uno spiazzo erboso, forse un tratto di giardino interno, oltre il quale ci sono delle porte di dimensioni diverse, tutte ermeticamente chiuse. Cerco altre inquadrature, ma è solo una scusa per rimanere ancora un po’ lì, presa da quel particolare stato d’animo in cui speri che succeda qualcosa che un po’ temi, ma nulla accade, nessun tonfo sordo, nessun movimento inspiegabile tra i rovi. Il fantasma non si è fatto vedere. Avrà i suoi buoni motivi, dopotutto è stato messo in vendita, come dice l’annuncio pubblicitario che propone l’acquisto in un unico blocco castello, fantasma e tesoro. Chissà se l’agenzia è andata a chiedere il suo parere o il suo permesso?

Forse, oltre che offeso, è adirato perché il nuovo inquilino potrebbe inavvertitamente scoprire i passaggi segreti presenti nei sotterranei, potrebbe percorrere quei sacri cunicoli che portano fino alle grotte Alchemiche. Sarebbe davvero una spiacevole situazione, dato che solo pochi eletti hanno il permesso di varcare quelle mistiche soglie. Mentre torniamo indietro mi immagino l’ectoplasma che si aggira pensoso per il suo gigantesco castello, tutto corrucciato mentre medita nuovi metodi di infestazione. All’improvviso la pioggia. Le piccole gocce leggere cadono giù come in un finale perfetto, con i protagonisti della storia che si allontanano velocemente, senza trovare il tempo per le risposte che cercavano. Forse perché il fantasma stava dormendo, come il resto del borgo, esausto, dopo aver trascorso l’intera notte in piedi, su e giù per le segrete, come fanno solitamente gli spiriti. O forse quel giorno non era in casa, forse era andato a visionare altre dimore da occupare, l’idea di trovarsi senza un tetto sopra la testa da un giorno all’altro fa paura a tutti, meglio darsi da fare!

Alessia Cagnotto

 

La Storia ha la sua musica

SABATO 5 MAGGIO

Nell’ambito dell’iniziativa “Reali Sensi” promossa dalle Residenze Reali del Piemonte, sabato 5 maggio alle ore 15.00 e 15.30, il Museo Nazionale del Risorgimento (via Accademia delle Scienze 5, a Torino, tel. 011/5621147) propone la visita guidata “La storia ha la sua musica”

I visitatori saranno accompagnati in un percorso musicale di ascolto lungo le sale del Museo. L’evento si realizza in collaborazione con il “Liceo Musicale Cavour” di Torino e rientra nel progetto “Il Cavour nei luoghi di Cavour”.

I giovani allievi si esibiranno in performance di musica da camera proponendo al pubblico alcuni fra i più celebri brani del repertorio del Risorgimento.

Costi: la visita guidata ha un costo di 4 Euro da aggiungere al prezzo del biglietto di ingresso al Museo. I possessori di Royal Card, Torino Piemonte Card e della tessera Abbonamento Musei pagheranno solo 4 euro a persona per la visita guidata

Per informazioni www.museorisorgimentotorino.it

g. m.