CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 645

Oggi al cinema

TUTTE LE TRAME DEI FILM NELLE SALE DI TORINO

A cura di Elio Rabbione

 

Assassinio sull’Oriente Express – Giallo. Regia di Kenneth Branagh, con Judi Dench, Michelle Pfeiffer, Johnny Depp, Penelope Cruz e Branagh nelle vesti di Hercule Poirot. Altra rivisitazione cinematografica del romanzo della Christie dopo l’edizione firmata da Sidney Lumet nel ’74, un grande Albert Finney come investigatore dalle fiammeggiati cellule grigie. Un titolo troppo grande per non conoscerlo: ma – crediamo, non foss’altro per il nuovo elenco di all star – resta intatto il piacere di rivederlo. Per districarci ancora una volta tra gli ospiti dell’elegante treno, tutti possibili assassini, una partenza da Istanbul, una vittima straodiata, una grande nevicata che obbliga ad una fermata fuori programma e Poirot a ragionare e a dedurre, sino a raggiungere un amaro finale, quello in cui la giustizia per una volta non vorrà seguire il proprio corso. Durata 114 minuti. (Ambrosio sala 1, Massaua, Eliseo Blu, Ideal, Lux sala 1, The Space, Uci)

 

50 primavere – Commedia. Regia di Blandine Lenoir, con Agnès Jaoui, Pascale Arbillot e Thibault de Montalembert. Raggiunta l’età del titolo, Aurore non vive proprio quel che si potrebbe definire un periodo felice, senza problemi. Si ritrova separata dal marito, a dover fare la cameriera in una piccola città di provincia anche per dare una mano alle due figlie. Come se non bastasse, il lavoro va in fumo e bisogna mettersi alla ricerca di un altro, una figlia aspetta un bebè che la chiamerà nonna e le vampate della menopausa sono sempre più lì ad aggredirla. Ritroverà un amore di gioventù e pensa di poter ricominciare. Ma non è così semplice. Durata 89 minuti. (F.lli Marx sala Harpo, Nazionale sala 2)

 

Coco – Animazione. Regia di Lee Unkrich e Adrian Molina. Fa parte di una famiglia che certo non stravede per la musica il piccolo Miguel e lui non ha altro sogno che diventare chitarrista. Questo il preambolo; e a dire quanto la Pixar guardi allo stesso tempo ad un pubblico di bambini (ma, per carità, senza nessun incubo) e di adulti, ecco che Miguel si ritrova catapultato nel Regno dei Morti a rendere omaggio ai tanti parenti che non sono più attorno a lui. Durata 125 minuti. ((Massaua, Ideal, Lux sala 2, Reposi, The Space, Uci anche in 3D)

 

Come un gatto in tangenziale – Commedia. Regia di Riccardo Milani, con Paola Cortellesi, Antonio Albanese, Claudio Amendola e Sonia Bergamasco. Quando gli opposti si attraggono. Ovvero l’incontro tra Giovanni, intellettuale di sinistra, abitazione nel centro di Roma, tutto quadri e libri, in riunione a Bruxelles a parlare di periferie e di quanto sia opportuna la contaminazione tra l’alto e il basso, e Monica, borgatara di una periferia stracolma di extracomunitari, piena di tatuaggi, dal più che dubbio gusto nel vestire, consorte in perenne debito con la giustizia: incontro che nasce quando i due ragazzini dell’una e dell’altra parte iniziano un filarino che punta deciso al futuro. E se l’incontro portasse l’intellettuale e la borgatara a rivedere le loro antiche posizioni? Durata 98 minuti. (Massaua, Greenwich sala 1, Ideal, Reposi, The Space, Uci)

 

Corpo e anima – Drammatico. Regia di Ildiko Enyedi, con Alexandra Borbély e Géza Morcsànyi. Un film dove si mescolano realtà e sogno, immerso nella cruda realtà quotidiana (pur con qualche momento d’ironia) ancora più acida se si pensa all’ambientazione in un mattatoio. Una coppia “lontana”, lui direttore di quel luogo, lei addetta al controllo qualità, introversi entrambi, chiusa nelle proprie solitudini, scoprono di condividere ogni notte lo stesso sogno, essere una coppia di cervi in un bosco invernale. Orso d’oro all’ultima Berlinale, “Corpo e anima” è stato designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani: “Un film capace di tracciare il racconto della storia d’amore che unisce due solitudini, sospendendolo con lucidità visiva tra la materialità della vita reale e l’impalpabile spiritualità del sentimento”. Durata 116 minuti. (Classico)

 

Dickens: l’uomo che inventò il Natale – Commedia. Regia di Bharat Nalluri, con Dan Stevens, Christopher Plummer e Jonathan Pryce. Trentunenne, nel 1843, il giovane scrittore Charles Dickens deve far fronte ad alcuni insuccessi letterari, a cinque figli da mantenere e ad un tenore di vita del padre che è prodigo di operazioni finanziarie al limite del baratro. In sole sei settimane, attingendo alla vita di ogni giorno e riandando allo stesso tempo ai personali ricordi di un tempo, in un perfetto quadro dell’epoca vittoriana, tra ingiustizie sociali e ricchezze, darà vita ad una novella che rappresenta appieno lo spirito del Natale, incentrata sul carattere dispotico e cinico del vecchio Ebeneezer Scrooge come sulla sua piena conversione alla bontà. Era nato “Il racconto – o canto – di Natale”. Durata 114 minuti. (Uci)

 

Ferdinand – Animazione. Regia di Carlos Saldahna. Non ha mai avuto vita facile il libro dell’americano Munro Leaf da cui oggi nasce questo cartoon di Saldahna (già premiato autore di “Rio” e dell’”Era glaciale”), libro del ’36 su cui franchisti prima e nazisti poi non poco s’accanirono (era, inevitabilmente, nell’animo di Gandhi). La vicenda del toro decisamente pacifista diverte oggi bambini e anche adulti dal cuore pronto a rilassarsi, pronti a simpatizzare con un animale che è destinato a combattere nell’arena ma che al contrario preferisce circondarsi di fiori, fugge da chi gli impone quelle regole, stringe amicizia con una piccola animalista. Lieto fine che s’impone, al fianco del “pericolosissimo” toro altri simpatici personaggi, tra cui da non lasciarsi sfuggire la capra Lupe. Durata106 minuti. (Massaua, Ideal, Uci)

 

L’insulto – Drammatico. Regia di Ziad Doueiri, con Adel Karam e Kamel El Basha (Coppa Volpi a Venezia). A Beirut, un incidente tra due uomini, un operaio palestinese che è caposquadra di un cantiere con l’incarico di una ristrutturazione e un meccanico di religione cristiana. Quando costui, Toni, rifiuta di riparare una vecchia grondaia che ha bagnato la testa di Yasser, questi lo insulta, e gli insulti si accompagnano alle percosse, per cui l’incidente finirà in tribunale: situazione aggravata dal fatto che la moglie di Toni ha per lo spavento dato alla luce prematuramente una bambina che lotta tra la vita e la morte. Un caso particolare che adombra un conflitto molto più allargato e mai cessato: come ancora dimostra il processo, dove un padre e una figlia, difensori dell’una e dell’altra parte, esprimono due diverse generazioni e un giudizio diametralmente opposto. Durata 110 minuti. (Nazionale sala 1)

 

Jumanji – Benvenuti nella giungla – Avventura. Regia di Jake Kasdan, con Dwayne Johnson, Karen Gillan e Jack Black. Un fenomeno che ha più di vent’anni (eravamo nel 1996) e che ricordiamo ancora oggi per il personaggio, Alan Parrish, interpretato dal compianto Robin Williams, attore al culmine del successo dopo la prova in “Mrs. Doubtfire”. Hollywood non dimentica e rispolvera un passato di ottimi botteghini. Messi in punizione nella scuola che frequentano, quattro ragazzi scoprono un vecchio videogame. Una volta dato il via al gioco, essi vengono catapultati all’interno del sorprendente meccanismo, ognuno con il proprio avatar. Assumeranno altre sembianze, entreranno nell’età adulta: ma che succederebbe se la loro missione fallisse e la vita di ognuno finisse intrappolata nel videogame? Durata 119 minuti. (Massaua, Greenwich sala 2, Ideal, Reposi, The Space, Uci anche in 3D)

 

Loveless – Drammatico. Regia di Andrei Zvyagintsev, con Alexei Rozin e Maryana Spivak. Premio della giuria a Cannes. Un uomo e una donna, dopo anni di matrimonio, si dividono, hanno già costruito altre relazioni. Una separazione carica di rancori e recriminazioni. Nella loro vita Alyosha, un figlio non amato, vittima dell’indifferenza e dell’egoismo, che dopo l’ennesimo litigio, scompare. Supplendo al lavoro della polizia, un gruppo di volontari si mette alla ricerca del bambino, senza risultati. Durata 127 minuti. (Romano sala 3)

 

Morto Stalin se ne fa un altro – Commedia. Regia di Armando Iannucci, con Steve Buscemi, Micael Palin, Olga Kurylenko, Simon Russel Beale. Scozzese di nascita ma napoletanissimo per origini paterne, Iannucci ci ha dato una delle opere più godibili degli ultimi anni, ricca di effetti sulfurei, di una sceneggiatura che supera con facilità la risata fine a se stessa per immergersi nella satira più corrosiva, per graffiare e far sanguinare un mondo ben sistemato sugli altari. Il vecchio castiga ridendo mores, in folclore politico. Ovvero la morte del baffuto Stalin, che ha appena impartito l’ordine che gli sia recapitata la registrazione di un concerto che però registrato non lo è stato. Orchestra, pubblico e pianista dissidente, tutti di nuovo al loro posto. Ma le preoccupazioni sono e saranno ben altre: quella sera stessa, era il 28 febbraio 1953, il dittatore è colpito da un ictus e le varie epurazioni delle vette sanitarie in odore di tradimento fanno sì che le cure non possano arrivare che in ritardo e infruttuose. Cinque giorni dopo, passato lui a miglior vita, può così cominciare l’arrembaggio alla poltrona tanto ambita da quanti tra i collaboratori l’hanno vistosamente sostenuto o tacitamente avversato, a cominciare da un atterrito Malenkov chiamato da un ridicolo Consiglio a reggere le sorti dei popoli. Senza dimenticare, tra il tragico e il ridicolo, le mosse dei tanti Mikoyan, Zukov, Bulganin, Molotov e Berija in atteggiamenti da vero macellaio sino a Nikita Kruscev (un impareggiabile Steve Buscemi, ma ogni personaggio si ritaglia un momento di gloria), astutissimo nel saper raccogliere le tante intenzioni, lotte, sospetti, accuse, sparizioni dei propri colleghi, e capace di afferrare il primo posto. Tutto questo sullo schermo, applaudito al recente TFF, risate e sberleffi come non mai: apprezzato, ma allo stesso temo ti chiedi quanto sia stato giusto cancellare la vena tragica di quelle giornate. E del poi. Durata 106 minuti. (Centrale, anche in V.O.)

 

Napoli velata – Drammatico. Regia di Ferzan Ozpetek, con Giovanna Mezzogiorno, Alessandro Borghi, Beppe Barra, Luisa Ranieri, Anna Bonaiuto. In una Napoli piena di ambiguità e di misteri, in bilico tra magia e superstizione, tra follia e razionalità, Adriana, ogni giorno a contatto con il mondo dei non-vivi per la sua professione di anatomopatologa, conosce un uomo, Andrea, con cui trascorre una notte di profonda passione. Si sente finalmente viva ed è felice nel pensare ad un prossimo appuntamento. A cui tuttavia Andrea non verrà: è l’inizio di un’indagine poliziesca ed esistenziale che condurrà Adriana nel ventre della città e di un passato, dove cova un rimosso luttuoso. Durata 110 minuti. (Eliseo Grande, Ideal, Massimo sala 1, Reposi, Romano sala 1, The Space, Uci)

 

Natale da chef – Commedia. Regia di Neri Parenti, con Massimo Boldi, Biagio Izzo, Dario Bandiera, Rocìo Munoz Morales, Paolo Conticini e Milena Vukotic. Immaginate i quattro peggiori cuochi non stellati sulla madre terra coinvolti nel G7. Riusciranno a far passare nelle bocche dei grandi (?) schifezze e intingoli. Per chi vuol ridere alla maniera dei soliti, vecchi, poco digeribili cinepanettoni. Ma tant’è, vengono una volta l’anno e poi non più. Durata 97 minuti. (Uci)

 

Poveri ma ricchissimi – Commedia. Regia di Fausto Brizzi, con Christian De Sica, Anna Mazzamauro, Enrico Brignano, Lucia Ocone. Per le risate degli aficionados, ma rimane pur sempre l’Oscar annuale del gossip e della scalogna: quel po’ po’ di tornado che s’è abbattuto sull’innominato regista, da cui la Warner s’è affrettata a prendere le distanze, e le botte sulla povera e antica signorina Silvani di fantozziana memoria, taciute prima e squadernate poi. Per poi, alla fine, forse, tanto rumore per nulla, per ritrovarci tra i piedi, dopo il lauto botteghino del passato Natale, ‘sta banda de burini che a forza di mettere in banca preziosi euri e cucinare supplì si comprano pure un castello. E chi li tiene più. Ma se il non trascurabile malloppo va mantenuto, non resta che fare del borgo nato uno stato indipendente, dopo referendum d’obbligo manco fosse la Catalogna, girare le spalle all’Italia e uscendo dall’euro dare nuova vita alla moneta locale. Nel frattempo, si ritrova l’occasione per inalberare De Sica con una capigliatura bionda grano che manco Donald e lasciare la nuova first lady tra le braccia e le manette e le fruste di Massimo Ciavarro manco tra le stanze del piacere di “Cinquanta sfumature…”. Di qualsiasi colore siano. Durata 96 minuti. (Uci)

 

Il ragazzo invisibile – Seconda generazione – Fantasy. Regia di Gabriele Salvatores, con Ludovico Girardello, Valeria Golino, Galatea Bellugi e Xsenia Rappoport. Perseverando all’interno di un filone che pare non appartenere al cinema di casa nostra, l’autore premio Oscar di “Mediterraneo” offre a distanza di tre anni, con la crescita del protagonista, il secondo capitolo di Michele, ancora tra le strade e i cieli di Trieste, ancora nella tristezza per la perdita della madre adottiva e ancora alla ricerca di un qualcosa che gli permetta di conoscere appieno i suoi superpoteri. Entrano in gioco, incontro alla necessità, la conosciuta sorella gemella e la madre naturale, entrambe decise a rapire un cattivassimo magnate russo e costringerlo a liberare altre persone pure esse dotate di quegli stessi poteri, tra le quali lo stesso padre dei ragazzi. Già non eravamo stati del tutto soddisfatti della fase iniziale: e il seguito è messo lì per dirci che dovremmo aspettarci una terza puntata? Durata 96 minuti. (Massaua, F.lli Marx sala Chico, Greenwich sala 3, Reposi, The Space, Uci)

 

La ruota delle meraviglie – Drammatico. Regia di Woody Allen, con Kate Winslet, Justin Timberlake, James Belushi e Juno Temple. Inizio anni ’50, pieni di colore nella fotografia di Vittorio Storaro o rivisti in quelli ramati di un tramonto, un affollato parco dei divertimenti a Coney Island, quattro destini che s’incrociano tra grandi sogni, molta noia, paure e piccole speranze senza sbocco. Ginny è una ex attrice che oggi serve ai tavoli, emotivamente instabile, madre di un ragazzino malato di piromania, frequentatore di assurde psicologhe; Humpty è il rozzo marito, giostraio e pescatore con un gruppo di amici, che ha bevuto e che ancora beve troppo, Carolina è la figlia di lui, rampolla di prime nozze, un rapporto interrotto da cinque anni, dopo la fuga di lei con un piccolo ma quantomai sbrigativo gangster che adesso ha mandato due scagnozzi a cercarla per farla stare zitta, ogni mezzo è buono. Rapporto interrotto ma la casa di papà è sempre quella più sicura. E poi c’è il giovane sognatore, Mickey, che arrotonda facendo il bagnino e segue un corso di drammaturgia, mentre stravede per O’Neill e Tennessee Williams, artefice di ogni situazione, pronto a distribuire le carte, facendo innamorare l’ultima Bovary di provincia e poi posando gli occhi sulla ragazza. Forse Allen costruisce ancora una volta e aggroviglia a piacere una storia che è il riverbero di ogni mélo degli autori anche a lui cari, impone una recitazione tutta sopra le righe, enfatizza e finge, pecca come troppe volte nel suo mestiere di regista, non incanta lo spettatore. La (sua) vittima maggiore, che più risente del debole successo è la Winslet di “Titanic”, che pur nella sua nevrotica bravura non riesce (o non può, obbediente alla strada tracciata dall’autore) a calarsi appieno nel personaggio, come in anni recenti aveva fatto la Blanchett in “Blue Jasmine”. Durata 101 minuti. (Ambrosio sala 3, Eliseo Rosso, F.lli Marx sala Harpo, Uci)

 

Star Wars: Gli ultimi Jedi – Fantascienza. Regia di Rian Johnson, con Mark Hamill, Daisy Ridley, Carrie Fisher, Laura Dern, Benicio del Toro e Adam Driver. Luke Skywalker si è ritirato in un esilio volontario, in un nascondiglio segreto ai limiti del pianeta sperduto. La giovane Rey ha bisogno del suo aiuto, nell’incontrarlo gli donerà la vecchia spada laser appartenuta alla sua famiglia. Vecchi e nuovi personaggi, ultima apparizione della Fisher, indimenticabile principessa Leia, ad un anno esatto dalla scomparsa. Immancabile per il pubblico che da sempre segue la saga. Durata 152 minuti. (Massaua, Ideal, Lux sala 1, Reposi, The Space, Uci)

 

Suburbicon – Drammatico. Regia di George Clooney, con Matt Damon, Julianne Moore e Oscar Isaac. Una storia scritta anni fa dai fratelli Coen. Al centro le case e i viali ordinati du Suburbicon, cittadina americana emersa negli anni Cinquanta. Da un lato, il personaggio di Matt Damon, ineccepibile padre di famiglia, che nasconde sotto le buone maniere e tutto l’affetto il desiderio di far fuori la moglie, con l’aiuto della cognata con cui vuole iniziare una nuova vita (entrambi i personaggi affidati alla Moore). Dall’altro, la comunità tanto perbene che accende le polveri allorché quell’angolo di paradiso vede all’improvviso la presenza di una famiglia di colore. L’intolleranza razziale esplode. Durata 105 minuti. (Massimo sala 3)

 

The greatest showman – Biografico/musicale. Regia di Michael Gracey, con Hugh Jackman, Michelle Williams, Zac Efron, Zendaya. La vita di Phineas Taylor Barnum, l’uomo che inventò il grande circo, figlio di un povero sarto, da sempre innamorato di Charity che diverrà sua moglie (pur non disdegnando un occhio ad altre relazioni) e che fu il sostegno della sua attività imprenditoriale, l’uomo che con fatica e lungimiranza seppe far fonte ad un destino che allineava frettolosamente successi e batoste, l’uomo che raccolse con dignità sotto il suo tendone uomini altissimi e nani e donne barbute. Come sotto vicenda, accanto a lui, il ricco Phillip (Efron) capace di fuggire dalla sua condizione agiata per rifugiarsi nel mondo circense che gli farà conoscere l’amore di una trapezista. Durata 110 minuti. (Ideal, Lux sala 2, Reposi, Uci)

 

Tutti i soldi del mondo – Drammatico. Regia di Ridley Scott, con Mark Wahlberg, Michelle Williams, Charles Plummer e Chistopher Plummer. Il film già celebre ancora prima di uscire sugli schermi: per la velocità con cui il regista ha ricompattato set e troupe per tirare ex novo le scene in cui compare il vecchio e arcigno Paul Getty che ha lasciato i tratti di Kevin Spacey straccusato di molestie sessuali da mezza Hollywood di stampo maschile per acquistare quello altrettanto marmorei e forse più puliti di Plummer, che in quattro e quattr’otto s’è candidato ai Globe. Cambio di casacca per narrare del rapimento del rampollo Getty (per cui il nonno, l’uomo più ricco del mondo, non avrebbe messo a disposizione un solo penny, la prima richiesta fu di 17 milioni di dollari, avendone altri 14 di nipoti chissà come sarebbe stato per lui il futuro!) nel luglio del 1973 – era il tempo dei figli dei fiori, dell’amore libero e della droga a gogò – ad opera dell’ndrangheta. La parte dell’eroe positivo va alla madre del ragazzo che lotta con ogni mezzo per la sua libertà mentre il negoziatore con i delinquenti è il paratone Wahlberg. Durata 132 minuti. (Due Giardini sala Nirvana, Romano sala 2, The Space, Uci)

 

Vi presento Christopher Robin – Drammatico. Regia di Simon Curtis, con Domhnall Gleeson, Margot Robbie e Kelly MacDonald. A.A. Milne, l’inventore delle storie che hanno come protagonista l’orsetto Winnie The Pooh, dopo aver combattuto nel 1916 la battaglia della Somme e aver visto coi i propri occhi di uomo e di combattente tutte quelle vittime lasciate sul terreno, fece ritorno a casa in stato di shock, incapace di inventare vicenda che portassero il sorriso. Solo dopo molto tempo, ritiratosi in campagna con il figlio Robin, tornò a scrivere dando vita al personaggio e alle storie che lo consacrarono al successo. Durata 107 minuti. (Ambrosio sala 2, Uci)

 

Wonder – Drammatico. Regia di Stephen Chbosky, con Julia Roberts, Owen Wilson e Jacob Tremblay. Auggie è un bambino di dieci anni, una malformazione cranio facciale ha fatto sì che non abbia mai frequentato la scuola. Quando i genitori prendono la decisione che è venuta davvero l’ora di affrontare il mondo degli altri, per il ragazzino non sarà facile. Al tavolo di Auggie, in refettorio, nessuno prende posto, un gruppetto di compagni continua a divertirsi a prendere in giro il suo aspetto. Poi qualcuno comunicherà ad apprezzarlo e ad avvicinarsi a lui. Durata 113 minuti. (Massaua, Due Giardini sala Ombrerosse, F.lli Marx sala Groucho, Lux sala 3, Massimo sala 2, Reposi, The Space, Uci)

 

Apollinaire e l’invenzione ‘surréaliste’

Fino al 24 febbraio 2019

E’ una “mostra dossier” quella presentata nella “Wunderkammer”, al piano interrato della GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, a ricordo del centenario della morte – avvenuta a Parigi il 9 novembre del 1918 – del poeta scrittore critico d’arte e drammaturgo francese Guillaume Apollinaire,

nato “per caso” a Roma nel 1880, figlio naturale di un ufficiale svizzero che non lo riconobbe mai e di una nobildonna polacca, con la quale si trasferì giovanissimo in Francia. Curata da Maria Teresa Roberto con Virginia Bertone, Franca Bruera e Marilena Pronesti, la rassegna intende rinnovare la stretta collaborazione con la Fondazione Ferrero di Alba, che in questi giorni presenta la mostra dei capolavori dadaisti e surrealisti del Museo Boijmans Van Beuningen di Rotterdam, creando pur anche un significativo collegamento con il convegno internazionale “Métamorphoses d’Apollinaire”, promosso dall’Università di Torino in collaborazione con le Università del Kent e di Paris – Nanterre. Obiettivo della mostra alla GAM, quello di ricostruire le basi, l’antefatto (umano e culturale) da cui presero origine proprio quei movimenti dadaisti e surrealisti caratterizzanti l’avanguardia parigina degli anni Dieci del Novecento. E ciò alla luce del fatto che il termine “surréaliste” fu proprio coniato da Apollinaire (il cui interesse per la “modernità” lo portò anche a sostenere il Cubismo nella sua fase germinale, così come il Futurismo di Marinetti e la Metafisica di de Chirico) per descrivere in modo sintetico il suo “Les Mamelles de Tirésias”, dramma in due atti sospeso fra il tragico e il comico-grottesco, messo in scena per la prima volta al teatro “Maubel” di Parigi nel giugno del 1917 e che rappresenta il fulcro dell’attuale rassegna torinese. Grazie alla disponibilità dei parigini Archives Férat, sono infatti esposti alla GAM i bozzetti delle scene e dei costumi di quel “dramma surrealista”, realizzati dal pittore cubista, nobile di origini russe, Sérge Ferat, pseudonimo appioppatogli proprio da Apollinaire in buona compagnia con Picasso. L’iter espositivo ricostruisce inoltre, attraverso lettere e disegni, la fitta rete di rapporti e di scambi che univa – intorno alle riviste “Les Soirées de Paris”, “SIC” e “Nord-Sud” – il folto gruppo di scrittori e pittori vicini ad Apollinaire, con un’attenzione particolare per il poeta André Salmon, fra i grandi sostenitori, insieme allo stesso Apollinaire e al critico d’arte Maurice Raynal, di Picasso e dell’estetica cubista. E proprio grazie alla disponibilità degli Archivi Salmon di Torino, troviamo anche esposte in mostra alcune interessanti caricature raffiguranti i personaggi centrali per la formazione dell’avanguardia parigina, fra cui spicca il creatore della cosiddetta “Patafisica” (o “scienza delle soluzioni immaginarie”) Alfred Jarry, venerato da dadaisti e surrealisti. A chiudere la rassegna, l’omaggio che nel 1930 Giorgio de Chirico volle dedicare all’amico dei suoi anni parigini, illustrando con una serie di 68 litografie l’edizione “Gallimard” dei “Calligrammes”, i componimenti poetico-visuali realizzati da Apollinaire fra il 1913 e il 1916, la cui raccolta completa fu pubblicata per la prima volta nel 1918.

Gianni Milani

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“Apollinaire e l’invenzione ‘surréaliste’”

GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, via Magenta 31, Torino; tel. 011/4429518 o www.gamtorino.it

Fino al 24 febbraio Orari: mart. – dom. 10/18, lunedì chiuso

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– Guillaume Apollinaire: copertina de “Les Mamelles de Tirésias”, con disegni di Serge Férat, Paris, édition “Sic”, 1918
– Irène Lagut: “Ritratto di Apollinaire”, con versi tratti da “Madeleine”, un “Calligramme” composto dal poeta  nel 1915, mentre si trovava al fronte. Rielaborazione a colori di Antonella Angeloro

 

Odissee: in mostra il cammino dell’umanità

 

FINO AL 19 FEBBRAIO 2018

Mostra decisamente da lode. Di grande interesse storico e culturale. Concepita e strutturata sulla base di un allestimento tanto funzionale quanto suggestivo, curato con minuta attenzione, genialità d’intuito e abilità di mestiere. “Odissee. Diaspore, invasioni, migrazioni, viaggi e pellegrinaggi” è dunque appuntamento da non perdere il cui scopo, attraverso un centinaio di opere provenienti dalle raccolte di Palazzo Madama e da vari musei del territorio e nazionali (dipinti, sculture, ceramiche antiche, reperti etnografici e archeologici via via fino alle oreficerie longobarde e gote, alle armi e armature, agli avori e ai libri antichi, agli argenti ebraici e ai vetri e a tanto altro ancora), è quello di raccontare il “cammino dell’Umanità” sul pianeta Terra nel corso di una Storia plurimillenaria. Ospitata fino al 19 febbraio 2018 nella “Corte Medievale” di Palazzo Madama a Torino e ideata e curata dallo stesso direttore Guido Curto, insieme agli storici dell’arte operanti nel Palazzo di piazza Castello, la rassegna si caratterizza come “un viaggio schematicamente suddiviso in dodici sezioni, disposte non solo in rigorosa sequenza cronologica, ma anche in base a nessi di consequenzialità contenutistici”. Sezioni molto simili a “Vetrine” “ o meglio ancora ad Acquari’ – precisa Curto dentro ai quali ‘galleggiano’ i reperti artistici esposti in primo piano sullo sfondo di un diorama costituito da grandi carte geografiche e da mappe rielaborate graficamente in modo da mettere in massima evidenza le linee guida degli spostamenti”. Il lungo percorso narrativo prende il via dal lento processo di diffusione della specie umana sulla Terra, iniziato 60-70mila anni fa dall’Africa verso gli altri continenti, per proseguire con la “mitologia del viaggio” ben rappresentata nei racconti dell’“Odissea” e dell’ “Eneide”, per i quali meritano una particolare menzione il bellissimo “Vaso con accecamento di Polifemo”, ceramica a figure nere di pittore aquilano, risalente al 520 a. C. ca. e l’imponente vigoroso “Enea che fugge da Troia in fiamme”, olio su tela del lucchese Pompeo Batoni (databile 1754 – ’56), ispirato al secondo libro dell’Eneide e conservato ai “Musei Reali – Galleria Sabauda” di Torino. I passaggi successivi si focalizzano nello specifico sulla “diaspora ebraica” dall’antichità al XIX secolo d. C., sull’espansione dell’impero romano lungo le vie consolari (con lo scontro Romani e Barbari, la cui drammaticità è ben evidenziata in uno straordinario pettorale da cavallo in bronzo o “balteo”, del II secolo d. C.) e sulle successive “invasioni barbariche” testimoniate da alcuni reperti di arte ostrogota e longobarda rinvenuti in Piemonte e databili fra il V e il VII secolo d. C. Ben evidenziato in mostra é anche il confronto fra la grande tradizione della “cultura islamica” e le élites europee avvenuto con le “Crociate”, così come la pratica – comune a tutti i tempi e a tutte le religioni – del “pellegrinaggio”, fenomeno che porta ogni anno a spostamenti di milioni di fedeli alla ricerca di “un contatto più diretto con il sacro”. Il racconto prosegue poi con i “viaggi di esplorazione” verso l’Africa che portarono alla scoperta dell’America e, in seguito, a una massiccia politica di “colonizzazione” di nuovi territori da parte delle potenze europee: “vetrina” in cui ci piace ricordare il materico olio su tela “Pozzo al villaggio indigeno Armorin, Mogadiscio” del 1926, a firma del biellese Lidio Ajmone, che nella Somalia italiana ebbe l’incarico di decorare il Palazzo del Governo, il Circolo Coloniale e il teatro di Mogadiscio. Gli oggetti in vetro provenienti dal “Museo dell’arte vetraria” di Altare (Savona) e un prezioso “pianoforte meccanico a cilindro”, in legno scolpito e dipinto di inizio Novecento, prestato dal “Musée Savoisien” di Chambéry, vogliono invece rammentare l’emigrazione italiana a cavallo fra Otto e Novecento, direzione Francia e Sud America. A conclusione dell’iter espositivo, troviamo infine un accenno alle “migrazioni di oggi” emblematicamente rappresentate da un’opera del 2002 di Michelangelo Pistoletto intitolata “Love Difference”, smalto acrilico su   lastra d’acciaio lucidata a specchio che raffigura il bacino del Mediterraneo sullo sfondo di una bandiera immaginaria. Bellissima, al centro dell’allestimento l’antica “Piroga di Panama orientale” ante 1887, proveniente dai depositi del “Museo Civico di Arte Antica di Palazzo Madama” ed emblema di forte spessore emotivo (per gli occhi e per il cuore) del viaggio nei secoli. A corollario della mostra, è anche previsto un fitto calendario di conferenze, laboratori per le scuole, con stranieri aderenti ai “Centri Provinciali Istruzione Adulti” e di educazione alla cittadinanza in collaborazione con “Onlus” del territorio.

 

Gianni Milani

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“Odissee. Diaspore, invasioni, migrazioni, viaggi e pellegrinaggi”

Palazzo Madama – Corte Medievale, piazza Castello, Torino, tel. 011/4433501; www.palazzomadamatorino.it

Fino al 19 febbraio 2018

Orari: lun. – dom. 10/18; chiuso il martedì

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Le foto:

– Pittore dell’Aquila: “Vaso con accecamento di Polifemo”, ceramica e figure nere, 520 a.C.

– Pompeo Batoni: “Enea che fugge da Troia in fiamme”, olio su tela, 1754-56
– Una “Vetrina”
– “Astrolabio Planisfero Latino”, ottone inciso, Italia, XV secolo
– “Piroga di Panama Orientale”, ante 1887
– “Piano meccanico a cilindro”, Manifattura di Buisson-Rond, 1913 – ’30

 

 

The day before Sunday

Le poesie di Alessia Savoini
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Riverbera il coito di umidi gemiti
Per l’espanso amplesso che dell’universo fu punto primo
Inerme al fascino del suo circostante
Che la pelle iniziò a sentire.
Astrale il moto di quel ventre 
Maree nel grembo, flusso di origine del fato
Rimane addormentata sotto una folta chioma
Che i sogni non muoiono annodati.
Socchiusi gli occhi con cui si guarda
L’affanno tace e il corpo trapela
Così traspare
E il sol vedere più non può che essere il restante percepire.

Pacific Quartet Vienna, suoni e culture

Differenze di suoni e di culture e provenienze geografiche dai quattro  angoli del mondo (Ungheria, Taiwan, Giappone e Svizzera, nell’ordine)  non hanno impedito ai quattro giovani componenti il Pacific Quartet Vienna di unirsi in una compagine che sta raccogliendo entusiastici  consensi non solo in Europa ma anche in Asia. Sensibilità, temperamento  e una forte dedizione hanno fatto confluire diversi percorsi formativi e  diversi approcci alla musica in un amalgama unico per calore e  omogeneità di suono. Invitato da importanti

AUSTRIA/Pacific Quartet Vienna © Julia Wesely

Istituzioni Internazionali quali il Festival di  Lucerna, di Kalkalpen, di Niksic, dal Musikverein di Vienna, dalla  Wigmore Hall di Londra, il Quartetto ha conseguito il Primo Premio nel  2015 al Concorso Haydn di Vienna, meritando altresì il premio come miglior interprete delle musiche di Haydn. Nel corso del 2016 la formazione ha sottoscritto un contratto con la casa discografica austriaca Gramola per la quale è uscito il loro primo cd, grazie anche al supporto della Radio Svizzera. Una particolare attenzione è posta dal  Pacific Quartet Vienna al rapporto fra i giovani ascoltatori e la musica da camera, attraverso concerti e incontri nelle scuole, nel corso dei quali vengono presentati anche ritratti di compositori contemporanei,  accostando così il nuovo all’antico. In linea con questo indirizzo, il concerto di questa sera presenta il Quartetto n. 8 in do minore op. 110 di Dmitrij Šostakoviè: conosciuto  come “Quartetto di Dresda”, la storia vuole che sia stato scritto nel  luglio del 1960, sotto la forte impressione suscitata nell’autore dalla visita alla città ancora martoriata dalla Seconda Guerra Mondiale. Segue il Quartetto n. 13 in la minore op. 29 D. 804 “Rosamunde” di Franz  Schubert, opera della maturità del compositore, che deve il suo  appellativo al tema dell’Andante tratto dalle musiche di scena composte  nel 1823 per il dramma Rosamunda, principessa di Cipro di Helmina von
Chézy.

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Martedì 16 gennaio 2018 ore 20.30
Sala Cinquecento, via Nizza 280, Torino

Pacific Quartet Vienna
Eszter Major, Chin-Ting Huang violini
Yuta Takase viola
Sarah Weilenmann violoncello
PRIMO PREMIO «INTERNATIONALER J. HAYDN  KAMMERMUSIK WETTBEWERB» (VIENNA,
2015)

Dmitrij Šostakovič
Quartetto n. 8 in do minore op. 110

Franz Schubert
Quartetto n. 13 in la minore D. 804 “Rosamunde”

Guida all’ascolto a cura dello studente DAMS Elio Sacchi
In collaborazione con l’Università di Torino

La biglietteria è aperta nel giorno del concerto, 16 gennaio 2018, in
via Nizza 280 interno 41,
dalle 14.30 alle 19, e un’ora prima del concerto, dalle 19.30 nel foyer
della Sala Cinquecento.
Poltrone numerate da 5 a 10 euro. Informazioni: 011.63.13.721 oppure
www.lingottomusica.it

QUATTRO NAZIONI PER QUATTRO ARCHI: IL PACIFIC QUARTET VIENNA
PER  LINGOTTO GIOVANI

 

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La stagione 2017-2018 è resa possibile grazie al sostegno di Ministero
per i Beni e le Attività Culturali, Regione Piemonte, Città di Torino,
Compagnia di San Paolo (maggior sostenitore), Fondazione CRT, Maserati,
Reale Mutua, Banca del Piemonte, Lingotto, IPI, Lavazza, Sadem Arriva,
Vittoria Assicurazioni, Acqua Sant’Anna, UBI Banca, AON, Banca Sella,
Iren.

Centro “Pannunzio”: gli auguri del presidente Friedman

Sono lieto di inviarvi i miei migliori auguri per il Nuovo Anno. Come sapete sono da poco il vostro nuovo Presidente, ma ho già avuto la possibilità di partecipare a diversi eventi quest’autunno a Torino. Sono contento di poter dire che le nostre iscrizioni stanno tornando a crescere, lentamente ma nella direzione giusta. È mia ambizione attirare nuovi soci nel 2018, anche tra i giovani, e vorrei allargare la rete di alleanze del Centro “Pannunzio” nel mondo culturale, sia a Torino, sia altrove. Credo che oggi, più che mai, il Centro debba essere una voce della ragione, un faro per la tolleranza e la libertà di espressione. Un’associazione che, come sempre, premia il pensiero liberale e la dignità dell’uomo. Auguri di buone feste a tutti voi ed alle vostre famiglie”. 

Alan Friedman

Presidente del Centro “Pannunzio”

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EVENTI 2018 FIGURE DELL’ITALIA CIVILE”  nuova edizione di Pier Franco QUAGLIENI

 

Mercoledì 17 gennaio alle ore 18 a Palazzo Ceriana Mayneri, Circolo della Stampa di Torino (Corso Stati Uniti, 27)sarà presentata in anteprima nazionale la nuova edizione di“FIGURE DELL’ITALIA CIVILE” di Pier Franco QUAGLIENI, edizioni Golem, con un prezioso inedito di Leo Valiani su Ernesto Rossi e sulla famiglia fascista di Giovanni Spadolini, un profilo di Enzo Bettiza e varie aggiunte su molti dei trentun personaggi tratteggiati. Il libro esce in nuova edizione dopo le molte ristampe nel 2017 andate esaurite e cinquanta presentazioni in tutta Italia che hanno consentito di parlare del Centro “Pannunzio”, protagonista di molte pagine dell’opera. Presenteranno il libro Valentino CASTELLANI, Dino COFRANCESCO Tilde GIANI GALLINO. Coordinerà l’incontro Elena ALESSIATO. Letture di Ornella POZZI.

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Centro “Pannunzio” – via Maria Vittoria 35H, 10123 Torino

WWW.CENTROPANNUNZIO.IT

 

La Madonna del Bronzino sulla cima del Grattacielo

“Oggi si vede Michelagnolo essere il maggior pittore che mai ci sia stato… perché tutto quello che fa di pittura lo cava dagli studiatissimi modelli fatti di scultura, né so  cognoscere chi più s’apprezzi oggi a te verità d’arte, che il virtuoso Bronzino”. Così nel  1546 Benvenuto Cellini riconosceva il talento del fiorentino Agnolo di Cosimo detto il  Bronzino tra gli artisti suoi contemporanei. Pittore allora quarantatreenne, già alla  scuola del Pontormo e ritrattista ufficiale alla corte dei Medici, fu ammiratore e  seguace degli esempi scultorei michelangioleschi. Ammirazione che pure traspare  nella  Madonna con il Bambino, sant’Elisabetta e San Giovannino (1560 circa) proveniente dal Museo napoletano di Capodimonte – che ne ha di recente completato il restauro – e ospitata fino al 7 gennaio prossimo all’interno del Grattacielo Intesa San  Paolo di corso Inghilterra, nella sala Spazio Trentacinque al trentaseiesimo piano,  secondo appuntamento della rassegna L’Ospite illustre che l’anno scorso aveva visto il  successo del ritratto del conte Porcia del Tiziano.  L’antico s’incrocia alle moderne strutture di Renzo Piano (ancor più spiazzante,  l’installazione “a-cromative” realizzata da Migliore+Servetto Architects), la tela  spadroneggia nel nuovo quanto inatteso ambiente. Un vero capolavoro del  Manierismo, dentro il quale, balzano fuori dal buio di fondo, trova principalmente posto la “altera dignità aristocratica” della Vergine avvolta nel suo ampio manto blu cobalto  chiuso da una ricca spilla e da due bottoni di perla, la Vergine che pare offrire lo  sguardo a una ben più dimessa cugina, come uno sguardo più esplicito si scambiano i  due piccoli, avvalorato dall’offerta di quella mela che vuol significare il passaggio del  peccato originale tra il profeta e il Cristo salvatore. Eccellente composizione che si  consolida nelle forme plastiche che l’artista ha qui inventato, l’insinuarsi efficace del  braccio di Maria, quasi perno di tutta l’azione, tra i giochi dei due piccoli personaggi, la perfezione delle carnagioni, il pregevole particolare floreale che raccoglie le rose e i  gigli cari alla Vergine, tutto lascia intravedere il capolavoro. Agli opposti, i due libri,  l’uno aperto e già svelato, l’altro chiuso e ancora tutto da scrivere, indicano il Vecchio  e il Nuovo Testamento.  Da vedere, ingresso gratuito, prenotazione obbligatoria sul sito  www.grattacielointesasanpaolo.com , visite dalle 15.00 alle 20.00 nei giorni feriali  (ultimo ingresso ore 19.30), 9.30 – 20.00 nei giorni festivi (ultimo ingresso 19.30), 9.30 – 18.00 (il 31 dicembre, ultimo ingresso 17.30).
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Elio Rabbione

La realtà e i fantasmi nella Napoli magica e contraddittoria di Ferzan Ozpetek

PIANETA CINEMA a cura di Elio Rabbione

 

Napoli come immagine di vita e di morte, con i suoi riti e le sue magie, i selciati delle piazze e i vicoli stretti e affollati, il sole che illumina e le ombre che nascondono, gli antri e i sontuosi palazzi di una nobiltà antica. Decadente e vitale, sacra e profana. La Napoli – è lei la vera protagonista del film, a lei il film è dedicato, in basso a destra sull’iniziale sfondo nero: “A Napoli” – della morte, e Ferzan Ozpetek ha avuto ben presente il “forte senso di morte” che occupa la città campana e su questo senso ha costruito Napoli velata, mescolando ancora una volta la realtà e una suprema immaginazione, la vita di tutti i giorni e i ricordi che accompagnano i personaggi e lo spettatore allo stesso tempo in un passato che stupisce e sconvolge e coinvolge come già in un domani che si stabilisce in ben diverse dimensioni, frutto di sciamaniche premonizioni. Una cifra che amiamo – in una filmografia che ha toccato piccoli capolavori e che ha pure avuto riuscite assai inferiori -, da Saturno contro a Mine vaganti, qui il maggior termine di paragone potrebbe essere Magnifica presenza, se là il tono, dentro gli incubi di Elio Germano, non fosse stato quello prepotente e sinistramente allegro della commedia.

La professione di anatomopatologa obbliga anche Adriana (una Giovanna Mezzogiorno più sconcertata che convinta, lontana dal viaggio nel cuore e nella mente che era stato La finestra di fronte) a vivere con i morti, a immergersi in quel senso mentre attraversa con le sue solitudini i corridoi sotterranei dell’ospedale. È il rito antico e ambiguo della “figliata”, del “parto maschile” rappresentato attraverso un finissimo velo a iniziare la sua vicenda e l’incontro con uno sconosciuto con cui trascorrerà una notte ad alta componente erotica, come raramente s’è visto sullo schermo. Una storia che potrebbe continuare, un altro appuntamento stabilito ma il ragazzo, tra le sculture e gli affreschi carichi d’amplessi staccati dalle case di Pompei del Museo archeologico non si presenterà: Adriana lo ritroverà cadavere sul tavolo freddo del suo lavoro. Di qui non si dovrebbe raccontare più nulla di Napoli velata, lasciando a chi guarda il piacere di addentrarsi, accompagnato dai movimenti lenti e barocchi della macchina da presa, nella costruzione, non sempre perfetta (la sceneggiatura è firmata con il regista stesso da Gianni Romoli e Velia Santella) dei fantasmi – perché di fantasmi ci parla Ozpetek sopra ogni cosa – di Adriana, del dramma che l’ha segnata sin dall’infanzia, delle sue scoperte che potrebbero spingerci troppo malamente a definire un thriller il film, del doppio che è un’altra cifra cardine della storia, delle sovrapposizioni (forse potremmo scomodare anche il grande Eduardo di Questi fantasmi) e degli sguardi e delle parole artefatti, del vedere e del sentire (uno dei momenti più belli è il riandare con la memoria della zia Anna Bonaiuto al perduto amore, con le voci che s’accavallano in un misto affascinante di passato e presente), della vita della protagonista rimaneggiata e rifatta a propria immagine, negativamente (il frigo pieno di roba messa lì a imputridire, da mettere nei sacchi di plastica per essere buttata via, quando in altre occasioni il cibo era messo al centro con l’allegria di questa o quella situazione).

A tratti anche il film resta velato, colpevole di un egoismo che t’impedisce di squadernarlo in ogni sua piega, rimanendo nascosto, ondivago, ben lontano dalla volontà che ogni cosa alla fine si chiarisca. Un ultimo sobbalzo di irrealtà, Adriana scompare dietro l’angolo, in modo definitivo, mentre la macchina da presa si blocca sul nulla. Ma nei film di Ozpetek ti piace anche perderti e forse anche questo è bello. Come ti apri in questa Napoli primattrice a certi squarci indimenticabili, dalla casa del principe Caracciolo già set per Viaggio in Italia e L’oro di Napoli, alla farmacia degli Incurabili con le proprie nascoste simbologie alla cappella Sansevero con il Cristo velato, alla grande terrazza dove un gruppo di travestiti in là con gli anni sta giocando a tombola, dinanzi a un panorama indimenticabile. Sono anche i fantasmi di Ozpetek, le sue tematiche qui disordinatamente dilatate, perse in una solare irrazionalità ma pur tuttavia prova – ancora una volta – di un carico di sentimenti che non indietreggia mai dalla più assoluta coerenza.

World Press Photo, immagini straordinarie

DAL 7 DICEMBRE 2017 AL 7 GENNAIO 2018 – Bard (Aosta)

Per un anno intero hanno documentato e illustrato i fatti di cronaca e gli eventi più vari e molteplici del nostro tempo sui giornali di tutto il mondo: sono oltre 140 gli scatti sensazionali e 12 i video dei più grandi fotoreporter di oggi portati in mostra al valdostano Forte di Bard, dal prossimo giovedì 7 dicembre a lunedì 7 gennaio 2018, come corpus d’eccellenza della 60esima edizione del “World Press Photo”, il più grande e prestigioso concorso di fotogiornalismo internazionale, ideato dalla “World Press Photo Foundation”, istituzione indipendente e no-profit, fondata ad Amsterdam nel 1955. L’esposizione, davvero unica, permette di scorrere in modo puntuale, attraverso “scatti che raccontano, denunciano, enfatizzano e

racchiudono in cornice” per cristallizzarla negli anni, la storia del nostro tempo. In cifre, il Premio, articolato in otto categorie (Spot News, Notizie Generali, Attualità, Vita Quotidiana, Ritratti, Natura, Sport e Progetti a lungo termine), ci pone di fronte a numeri imponenti: 80.408 le immagini esaminate e proposte da 5.034 fotografi provenienti da 126 Paesi, 45 gli operatori premiati da una giuria di altissimo prestigio e appartenenti a 25 diverse nazionalità.

Scatto destinato a diventare “storia”, immagine “esplosiva” e tragica icona dell’“odio dei nostri tempi”, in mostra a Bard troviamo anche la “Foto dell’anno 2016”: l’ormai celeberrima “An Assassination in Turkey” (“Omicidio in Turchia”) scattata, in una galleria d’arte di Ankara, dal fotografo turco dell’ “Associated Press”, Burhan Ozbilici, il 19 dicembre 2016 e che ritrae gli istanti immediatamente successivi all’assassinio – come atto di protesta contro l’intervento russo in Siria – dell’ambasciatore russo in Turchia, Andrey Karlov, da parte del poliziotto turco Mevlut Mert Altintas. L’immagine (“Non mi piace, ma sarei morto pur di scattarla– ha dichiarato lo stesso fotoreporter – perché rappresenta i valori del giornalismo in cui credo”) ha vinto anche il primo premio per la categoria Spot News. “E’ un’immagine talmente dirompente – sottolinea Mary F. Calvert, membro della Giuria – che ogni volta che compariva sullo schermo bisognava allontanarsi, proprio per questo abbiamo capito che incarnava alla perfezione ciò che è il ‘World Press Photo’ e cosa significa”.

Di grande spessore tecnico e narrativo sono anche gli scatti dei quattro fotografi italiani premiati, le cui opere portano avanti progetti di strettissima, a volte curiosa, attualità. E’ il caso del romano Giovanni Capriotti (primo premio nella categoria Sport) impegnato a documentare la particolare realtà della prima squadra, nata nel 2003, di rugbisti gay di Toronto; così come dell’avellinese Antonio Gibotta (secondo premio nella categoria Ritratti) che si propone di raccontare, attraverso immagini di grande raffinatezza linguistica, la cosiddetta “Battaglia degli Infarinati”, tradizionale festa popolare antica di due secoli che ogni anno si tiene a Ibi in Spagna, nella provincia di Alicante. L’occupazione di Sirte, espugnata dopo sette mesi di combattimenti, e con un altissimo tributo di vite umane, fra l’esercito libico e i militanti dell’Isis è invece al centro del progetto in quattro foto del toscano Alessio Romenzi (terzo premio nella categoria Notizie Generali), mentre il friulano Francesco Comello (terzo premio nella categoria Vita Quotidiana) inneggia con “immagini poetiche, dolci e musicali” alla sua personalissima “Isola della salvezza”, dalle “atmosfere indefinite e indefinibili e dai silenzi sublimi e solenni”.

E che dire di quel tenero cucciolo di Panda fra le braccia di un umano travestito da Panda? Siamo di fronte al “Pandas Gone Wild”, progetto dell’americana Ami Vitale per il “National Geographic”: la foto è stata scattata in Cina nel Centro di Wolong, specializzato in programmi di allevamenti pionieristici tesi a salvare dal pericolo di estinzione il simpatico “urside” simbolo del WWF e per la Cina vera e propria icona nazionale. Dotato perfino, secondo alcuni, di poteri magici. E che “per me – racconta Ami, impegnata anche a documentare la fragile pace in Sri Lanka – rappresenta semplicemente la bellezza e la pace”. Che, in verità, non sono poca cosa!

Gianni Milani

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“World Press PHoto”

Forte di Bard (Aosta), tel. 0125/833811 – www.fortedibard.it

Fino al 7 gennaio 2018

Orari: 7 dic. 10-18; dall’8 al 10 dic. 10-19; dal 12 al 22 dic. feriali 10-17, sab. e dom. 10-19; 23 e 24 dic. 10-18; chiuso l’11, il 18 e il 25 dic.; dal 26 dic. al 7 genn. aperta tutti i giorni feriali 10-18, sab. dom. e festivi 10-19; primo gennaio 13-19

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Le foto:

– Burhan Ozbilici: “An Assassination in Turkey”, for  Associated Press

– Giovanni Capriotti: ” Boys Will be Boys”

– Antonio Gibotta: Agenzia Controluce, “Enfarinat”

– Alessio Romenzi: ” We Are Not Taking Any Prisoners”

– Francesco Comello: ” Isle of Salvation”

– Ami Vitale: ” Pandas Gone Wild”, for National Geographic

 

Il Capodanno lascia la piazza, festa al PalaAlpitour, in Barriera e a teatro

Questa volta Torino non festeggerà  il Capodanno in piazza San Carlo (la foto si riferisce allo scorso anno) . Il Comune ha comunque predisposto due eventi alternativi. Al PalaAlpitour dalle 21 alle 4 si balla con Simone Cristicchi e Andrea Mingardi, preceduti da Luca Morino, Giorgio Conte e Daniele Lucca, che eseguiranno brani  di Giro Farassino. Ci saranno  Perturbazione, Federico Sirianni, Chiara Civello e la Banda di Collegno, che proporranno  canzoni di Fred Buscaglione e i dj di Radio Montecarlo che trasmetterà in diretta il capodanno torinese. Presso Spazio 211, in Barriera Milano, all’aperto e con ingresso gratuito,   protagonista Samuel Storm,  re dell’ultimo X Factor,  Max Gallo, Gheri, Flo e The Sweet Life Society, la sola band italiana ad avere partecipato per ben  tre volte al Festival di Glastonbury.  Si festeggia anche in movimento sul tram musicale di Gtt lo Smatrams #STS Capodanno con i dj Morciano del Jazz Club e Grano di Outcast. Per chi ama la cultura al Regio l’ ultima replica del Gala di Roberto Bolle and Friends,  al Musichall di Arturo Brachetti  il Gran Varietà, al Carignano è di scena  Agatha Christie con  Dieci piccoli indiani. Molto atteso anche lo spettacolo di Luca Bono al Circolo Amici della Magia e il ‘Christmas Show’ di Vertigo alle Serre di Grugliasco.