CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 644

Oggi al cinema

Le trame dei film nei cinema di Torino 

A cura di Elio Rabbione

 

pastoral1American Pastoral – Drammatico. Regia di Ewan McGregor, con Ewan McGregor, Jennifer Connelly e Dakota Fenning. Tratto dal romanzo di Philip Roth, è la storia di Seymour Levov, detto “lo svedese”, un uomo cui la vita ha regalato tutto, il successo non soltanto sportivo, una fortunata carriera come imprenditore, una moglie ex reginetta di bellezza, una famiglia di cui andare fieri. Il classico americano self-made man. Fino al giorno in cui questo mondo perfetto – siamo nel 1968 – scoppia e va in frantumi, allorché la figlia sedicenne, che appartiene ad un gruppo terroristico, fa esplodere un ufficio governativo procurando la morte di un uomo. Durata 108 minuti. (Due Giardini sala Ombrerosse, Massimo sala 2)

 

I babysitter – Commedia. Regia di Giovanni Bognetti, con Diego Abatantuono, Francesco Mandelli e Paolo Ruffini. L’ex sceneggiatore di “Belli di papà” si cimenta adesso con la notte brava del giovane Andrea, cui un padre dai troppi impegni affida il proprio ragazzino piuttosto vivace. Ma che succede se la villa di famiglia si può prestare benissimo a fare da sfondo alla festa di compleanno di Andrea? Durata 90 minuti. (Uci)

cafe-society-filmCafé Society – Commedia. Regia di Woody Allen, con Jesse Eisenberg, Kristen Stewart, Steve Carrell e Blake Lively. Bobby, trentenne neyworkese e rampollo di una squinternata famiglia ebraica, dove circolano pure componenti malavitosi, corre a Hollywood per entrare a servizio dello zio, apprezzato agente di divi e divette. Si innamorerà della giovane segretaria di studio. Ma c’è già un altro nel suo cuore e le cose inevitabilmente si ingarbuglieranno. Uno sguardo al vecchio cinema, gli amori, le battute che piovono come se piovesse, tutto secondo i canoni di Woody, giunto bulimicamente al suo 47° film. Durata 97 minuti. (Romano sala 1)

 

Cicogne in missione – Animazione. Regia di Nichola Stoller e Doug Sweetland. Se una volta le cicogne portavano i bambini alle famiglie, oggi tutto è affidato ad una azienda specializzata e il motore è un sito di vendite on line. Junior con la voce del nuovo divo Federico Russo), il miglior impiegato dell’azienda, sta per ricevere una produzione quando per sbaglio attiva la Macchina Fabbrica-Bambini dando vita a una bimba non autorizzata. Prima che qualcuno se ne accorga, Junior con l’aiuto dell’amica Tulip (ha la voce di Alessia Marcuzzi) dovrà consegnare il prezioso fagotto. Durata 90 minuti. (Uci)

 

Doctor Strange – Fantastico. Regia di Scott Derrickson, con Benedict Cumberbacht, Tilda Swinton e Mad Mikkelsen. Un medico newyorkese, all’apice del successo, vede compromessa la propria professione da un incidente d’auto, per cui la forza e l’abilità delle sue mani non sono più quelle di un tempo. In un antico monastero del Nepal, dove decide di recarsi, l’uomo di scienza convertito ad un ruolo del tutto mistico, fa il suo incontro con un Maestro, detto l’Antico, cui sta a cuore la protezione della Terra da forze negative. Alla nuova scuola prevarranno arti marziali e autocontrollo, per una lotta comune contro il Male. Un vecchio eroe dei fumetti Marvel rispolverato per l’occasione. Durata 115 minuti. (Ideal, Lux sala 3, Massaua, Reposi, The Space, Uci)

 

frantz-filmFrantz – Drammatico. Regia di François Ozon, con Pierre Niney e Paula Beer. All’origine un testo teatrale, cui seguì nel ’32 un film di Lubitsch; oggi l’autore di “8 donne e un mistero” e di “Potiche” riprende il tema sottolineando le pagine del pacifismo. In un piccolo villaggio della Germania appena uscita dalla Grande Guerra, il giovane Adrien si reca in visita alla famiglia del ragazzo del titolo per chiedere a tutti il perdono per la morte che lui stesso ha causato in guerra. Non ne ha il coraggio, ma la presenza della fidanzata del defunto (la Beer è stata premiata a Venezia con il “Mastroianni” per questa interpretazione) lo spingerà verso una confessione: spetterà ad Anna accettare o no un nuovo futuro. Anche un omaggio all’antico bianco e nero. Eccellente la prova degli attori, ma sono soprattutto la delicatezza e l’esattezza che Ozon mette in ogni momento della storia a incantare. Durata 113 minuti. (Romano sala 3, Massimo sala 3 V.O.)

 

In guerra per amore – Commedia. Diretto e interpretato da Pif, con Miriam Leone e Andrea Di Stefano. L’autore/interprete di “La mafia uccide solo d’estate” immagina questa volta che Arturo, un candido ragazzo newyorkese di origini siciliano, per chiedere la mano dell’innamorata Flora al padre debba catapultarsi nella terra d’origine: dove, siamo in pieno 1943, c’è la guerra e lo sbarco delle truppe a stelle e strisce ampiamente appoggiato dai boss mafiosi. Durata 99 minuti. (Massaua, Due Giardini sala Nirvana, F.lli Marx sala Groucho, Lux sala 2, Massimo sala 1, Reposi, The Space, Uci)

Io, Daniel Blake – Drammatico. Regia di Ken Loach, con Dave Johnson, Hayley Squires, Natalie Ann Jamieson. Un carpentiere di Newcastle, ormai sessantenne, è costretto un giorno a chiedere un sussidio statale per una grave crisi cardiaca. Il medico gli ha proibito di lavorare e Daniel si ritrova a rivolgersi all’assistenza pubblica, ormai privatizzata, per un riconoscimento di invalidità. La macchina burocratica inglese lo costringerà a cercare lavoro, per aprirgli una lunga strada di umiliazioni e di ricorsi. Ancora un esempio del cinema politico e della rabbia di Loach, un “teorema” svolto dal regista con l’abituale metodica professionalità, la dimostrazione che c’è sempre l’occasione per trovare qualcosa nel mondo britannico, e non solo, che ti manda il sangue alla testa: ma questa volta Loach, forse per una sceneggiatura troppo “lineare” e “inevitabile”, non soddisfa come in tante altre prove del passato. Premiato a Cannes con la Palma d’oro. Durata 100 minuti. (Ambrosio sala 3, Centrale V.O., Eliseo Grande, F.lli Marx sala Harpo, Romano sala 2)

 

Inferno – Azione. Regia di Ron Howard, con Tom Hanks, Felicity Jones e Omar Sy. Arrivati alla terza puntata, ormai gli intrighi di Dan Brown, la spettacolarizzazione di Howard e il faccione di inferno-filmHanks/Robert Langdon, prezioso professore di simbologia ad Harvard che invecchia con saggezza sono una vera garanzia. A tutto questo s’aggiungano le cornici di Firenze Venezia Istanbul, gli enigmi che hanno inizio con la Sala dei Cinquecento e con l’affresco del Vasari, il capolavoro del Poeta, gli amici e i nemici che indossano differenti maschere, un virus letale di cui vorrebbe servirsi un pazzo per dare un taglio netto alla sovrappopolazione: molto, moltissimo materiale perché il pubblico, già prodigo verso il “Codice da Vinci” e “Angeli e demoni”, corra al cinema. Durata 121 minuti. (Ideal, Lux sala 1, Massaua, The Space, Uci)

 

reacher-filmJack Reacher – Punto di non ritorno – Regia di Edward Zieck, con Tom Cruise e Robert Duvall. Personaggio inventato dallo scrittore Lee Child (il cinema aveva già considerato quattro anni fa “La prova decisiva”), Reacher è un ex maggiore della polizia militare, fuori di ogni inquadramento. Una nuova vicenda, questa volta tra Afghanistan e le gerarchie militari di Washington che hanno affibiato una accusa di spionaggio alla collega Susan Turner, colpevole d’aver messo il naso in certe questioni poco pulite. Durata 118 minuti. (Ideal, Uci)

Kubo e la spada magica – Animazione. Regia di Travis Knight. Kubo nasconde sotto la benda nera una cicatrice e un occhio che non ha più e accudisce la madre malata. Ogni giorno scene in città a raccontare storie fantastiche, come quella di suo padre, un eroico samurai di cui nessuno ha più avuto notizie, e a guadagnare qualche soldo. Il ritorno a casa, alle prime ombre della notte, nasconde le insidie che gli tendono il vecchio nonno che con le odiose zie vorrebbe cavargli l’altro occhio: Kubo dovrà difendersi, mentre andrà alla ricerca della spada magica di suo padre come del proprio passato. Durata 101 minuti. (Massaua, Ideal, Lux sala 1, The Space, Uci)

 

Lettere da Berlino – Drammatico. Regia di Vincent Perez, con Emma Thomson, Daniel Bruhl e Brendan Gleeson. Tratto dal romanzo “Ognuno muore solo” di Hans Fallada, viene narrata la vicenda vera di Anna e Otto Hampel e della loro rivolta, silenziosa e pressoché anonima, al regime hitleriano, della loro esecuzione nel 1943. Hanno perso il loro unico figlio sul fronte francese e da quel giorno disseminano per le strade di Berlino cartoline che chiedono ai concittadini di ribellarsi. L’interpretazione di un massiccio Gleason vale da sola il prezzo del biglietto, per il resto una trasposizione diligentemente corretta e poco più. Durata 97 minuti. (Eliseo blu)

 

neruda-filmNeruda – Drammatico. Regia di Pablo Larraìn, con Luis Gnocco, Alfredo Castro e Gael Garcìa Bernal. Il governo di Videla, nel Cile del 1948, incarica un poliziotto di inseguire e catturare lo scrittore Pablo Neruda, in fuga con la moglie. Tra realtà e poesia, un’opera che pone ancora una volta l’attenzione sul talento dell’autore di “Tony Manero”, del “Club” e del prossimo “Jackie”, presentato e premiato a Venezia. Durata 107 minuti. (Nazionale sala 2)

 

Non si ruba a casa dei ladri – Commedia. Regia di Carlo Vanzina, con Massimo Ghini, Vincenzo casa-ladri-filmSalemme, Manuela Arcuri e Stefania Rocca. La guerra di un comune cittadino contro un politico disonesto, Antonio contro Simone. Una denuncia non servirebbe a nulla, si sa, la burocrazia, gli intrallazzi, gli appoggi: allora Antonio mette su una piccola banda di cittadini fregati come lui ed escogita, una volta scoperto il conto in Svizzera dell’avversario, una bella truffa ai suoi danni. Durata 93 minuti. (Massaua, Reposi, The Space, Uci)

 

Ouija – L’origine del male – Regia di Mike Flanagan, con Elizabeth Reaser, Henry Thomas e Doug Jones. Metà degli anni Sessanta, una madre con le sue due figlie attira nella propria casa di Los Angeles uno spirito maligno. Quando la ragazza più giovane verrà posseduta dall’implacabile entità, la famiglia dovrà ostacolare i suoi poteri pur di ricacciare lo spirito e riguadagnare la propria salvezza. Durata 98 minuti. (Ideal, The Space, Uci)

 

La pelle dell’orso – Drammatico. Regia di Marco Segato, con Marco Paolini e Leonardo Mason. Tratto dal romanzo omonimo di Matteo Righetto e dedicato alla memoria di Carlo Mazzacurati, ambientato nel paesaggio dolomitico degli anni Cinquanta, è la storia del riscatto di un uomo osteggiato da un intero paese e della maturità del proprio figlio. Una scommessa fatta nel bar dove tutti si ritrovano, ovvero l’uccisione di un grande orso che sta seminando il terrore nell’intera zona, li farà cambiare entrambi. Durata 92 minuti. (Greenwich sala 1)

 

Pets – Vita da animali – Animazione. Regia di Chris Renaud e Yarrow Cheney. Dai realizzatori di “Cattivissimo me”, per dare una risposta a quel dubbio più che possibile che può colpire i proprietari di animali: che cosa fanno gli animali domestici quando i padroni sono fuori casa? E inoltre. la tranquillità di un terrier sconvolta dall’arrivo di un enorme cagnone dal pelo arruffato, la vita e le insidie per le stravedi New York, un coniglio feroce che guida un drappello di animali in rivolta, un amore pronto a guidare tutti verso la salvezza. Durata 87 minuti. (Massaua, Ideal, The Space, Uci)

 

Qualcosa di nuovo – Commedia. Regia di Cristina Comencini, con Paola Cortellesi, Micaela Ramazzati e Edoardo Valdarnini. Lucia e Maria, due amiche da sempre reduci da relazioni con il sesso forte un po’ squinternate e infelici: poi una notte Maria, la più disinvolta, si porta a letto il liceale Luca, appena lasciato dalla fidanzatina, con l’aggiunta che il ragazzo ha alzato troppo il gomito e il mattino successivo scambia Lucia per Maria, costruendo con quest’ultima un rapporto dove davvero l’eros non trova posto. Malintesi, equivoci amatori senza fine. Comencini ha tratto il film dalla sua commedia “La scena”, le interpreti teatrali erano Angela Finocchiaro e Maria Amelia Monti. Durata 93 minuti. (Ambrosio sala 2, Uci)

 

La ragazza del treno – Thriller. Regia di Tate Taylor, con Emily Blunt, Justin Theroux, Haley ragazza-treno-filmBennett e Rebecca Ferguson. Ricavato dal bestseller di Paula Hawkins, mutato il panorama di periferia essendoci trasportati da Londra a New York, come chi ha letto l’avvincente romanzo ben sa (con la propria diversa triplice visuale femminile, con la sua bella dose di andirivieni temporali che ingarbugliano all’inizio ma che poi spianano una felice – per il lettore – strada alla conclusione) è la storia di Rachel, divorziata e alcolista, che ogni mattina, nella finzione di continuare ad avere un lavoro, passa con il treno dinanzi ad una casa in cui vive una coppia, da lei subito idealizzata. Poi c’è Anna, per cui Rachel è stata lasciata, che ora vive con Tom, l’ex di Rachel, non lontano da quella casa, e ancora Megan, la donna idealizzata ma forse da riconsiderare, che un giorno scompare. Rachel è legata a quella vicenda di tradimenti, amnesie, sparizioni e crudeltà più di quanto non immagini. Durata 112 minuti. (Ambrosio sala 1, Massaua, F.lli Mark sala Chico, Greenwich sala 3, Reposi, The Space, Uci)

 

La ragazza senza nome – Drammatico. Regia di Jean-Pierre e Luc Dardenne, con Adele Haenel, Olivier Gourmet e Jérémie Renier. In un sobborgo di Liegi, la giovane Jenny Lavin svolge la propria attività di medico. Una sera, oltre un’ora l’orario di chiusura, qualcuno bussa alla sua porta ma lei decide di non aprire. Poche ore dopo, nelle vicinanze, viene ritrovato il corpo di una donna di colore, un’immigrata: Jenny si sente colpevole di quella morte e, nonostante tutti quanti si rifiutino di pensare ad un suo più debole coinvolgimento morale, Jenny prende a indagare in prima persona, rendendosi impopolare e coinvolgendo carriera e incolumità. Durata 113 minuti. (Nazionale 1)

 

Saint Amour – Commedia. Regia di Benoit Delepine e Gustave Kervern, con Gérard Depardieu. Benoit Poelvoorde e Chiara Mastroianni. Bruno, allevatore di bestiame, partecipa al Salone dell’Agricoltura a Parigi, accompagnato dal padre. Anche il vino rientra tra i loro interessi: decidono di fare un vero tour, attraverso la campagna francese. Sarà l’occasione per andare alla scoperta delle strade del vino come pure di riscoprire se stessi, iniziando da ciò che li accomuna. Durata 101 minuti. (Classico, Uci)

 

Sausage Party – Vita segreta di una salsiccia – Animazione. Regia di Greg Tiernan e Conrad Vernon. In un supermercato, gli alimenti esposti sono ben felici se la clientela li acquisterà, ben lontani dal sapere quel che sta loro per succedere… Abbiamo come è giusto catalogato il film nel settore “animazione” ma certe notizie del web stanno lì ad avvisarci che questa volta non è proprio pane per i denti dei più piccoli, abituali fruitori del genere. Durata 89 minuti. (The Space, Uci)

 

sette-minuti-film7 minuti – Drammatico. Regia di Michele Placido, con Ottavia Piccolo, Ambra Angiolini, Violante Placido e Fiorella Mannoia. Tratto dal testo teatrale di Stefano Massini, il film narra del passaggio di un’azienda tessile italiana nelle mani di una nuova proprietà estera, che esclude i licenziamenti ma pone un’unica richiesta: quanti lavorano all’interno della fabbrica dovranno rinunciare a sette minuti della pausa pranzo. Toccherà al consiglio di fabbrica avallare o no la richiesta. Durata 92 minuti. (Eliseo rosso, Greenwich sala 2, The Space, Uci)

 

accountent-filmThe Accountant – Thriller. Regia di Gavin O’Connor, con Ben Affleck, Anna Kendrich e J.K. Simmons. Christian Wolff, genio matematico, lavora sotto copertura in un piccolo studio come contabile per il crimine organizzato. Accetta di seguire gli affari di un nuovo cliente, una società di robotica dove si sono scoperti ammanchi per milioni di dollari. Non appena Christian inizia a intravedere i responsabili e la soluzione, parecchie persone sono tragicamente coinvolte. Durata 128 minuti. (Greenwich sala 1, Ideal, Reposi, The Space, Uci)

 

Trolls – Animazione. Regia di Mike Mitchell e Walt Dorn. Poppy (qui con la voce di Elisa) a fianco di Branch partirà per un’avventura oltre il mondo a lei conosciuto, ovvero una missione alquanto rischiosa per salvare i suoi amici dal cattivissimo Bergen. Ancora un avventura dai creatori di Shrek per le creature animati dai coloratissimi capelli. Durata 96 minuti. (Massaua, Reposi, The Space, Uci)

Quando Artissima vola a Caselle

Progetto collaterale di Artissima 2016 nell’Area Riconsegna Bagagli dell’Aeroporto di Torino

bayrle

Artissima, Fiera Internazionale di Arte Contemporanea, in occasione dell’edizione 2016 presenta Flying Home, un progetto collaterale inedito, appositamente concepito per la città, realizzato in collaborazione con l’Aeroporto di Torino e curato da Sarah Cosulich. Torino Airport | Sagat si presenta per la prima volta come partner impegnato nella progettazione di un’iniziativa di produzione artistica, accogliendo la sfida di Artissima di sperimentare modelli nuovi e contaminare luoghi inaspettati e pubblici diversi. Due soggetti della città apparentemente distanti collaborano a un’iniziativa culturale sorprendente, invitando il grande artista tedesco Thomas Bayrle a proporre un’opera specifica per lo scalo torinese. Thomas Bayrle (Berlino, 1937) è considerato il pioniere del movimento Pop tedesco. Anticipatore del linguaggio digitale prima che questo potesse essere immaginato, l’artista tedesco ha costruito fin dagli anni Sessanta immagini totali attraverso l’utilizzo della stessa immagine (o di piccole immagini correlate) ripetute infinitamente come tante unità di un unico ideale insieme. L’aeroporto, luogo di transito in cui migliaia di vite si incrociano quotidianamente, è particolarmente significativo e ricorrente nella ricerca di Bayrle che nel suo lavoro rivela dinamiche della nostra società, del nostro muoverci nello spazio, dell’economia, della tecnologia fino alla religione, tutte in connessione tra loro perché guidate da un fondamentale principio di ripetizione. Autore di una forma di “digitalizzazione artigianale”, Bayrle ha costruito “a mano” ciò che anni dopo il computer avrebbe processato automaticamente: disegna, stampa, distorce, ritaglia e ricompone le unità per poi costituire l’insieme. Con Flying Home Thomas Bayrle sceglie l’area ritiro bagagli per trasformarla in un inaspettato e stimolante spazio espositivo denso di messaggi. Attraverso un’inedita sequenza di immagini, l’artista svela i meccanismi di costruzione della sua mastodontica opera Flugzeug del 1984, un aereo fatto da un milione di piccoli aerei su una superficie di 96 metri quadrati. L’aeroplano raffigurato in Flying Home è quello realizzato nel 1980 per Lufthansa quando Bayrle, affascinato dal messaggio di velocità, tecnologia e futuro che la compagnia aerea rappresentava, aveva stampato l’opera in tiratura limitata per poi distribuirla ai passeggeri. La matrice Lufthansa, una serigrafia composta da 1.960 piccoli aerei, modificata e alterata nelle tante unità necessarie, era diventata nel 1984 uno delle centinaia di moduli dell’aereo gigante Flugzeug. In Flying Home la matrice acquisisce un ulteriore livello: la presenza umana, la collaborazione, l’interazione, il gesto e la tridimensionalità. Per la prima volta Bayrle mette in luce la complessa elaborazione manuale della sua opera, svelando il backstage e facendo riferimento al complesso meccanismo che permette il funzionamento dell’aeroporto stesso, quel lato umano nascosto ma fondamentale nella definizione dell’insieme. Il progetto di Artissima con l’Aeroporto di Torino collega la città in modo coinvolgente attraverso l’arte, accogliendo tutti i viaggiatori in arrivo. Per i non-viaggiatori sarà possibile visitare la mostra da sabato 12 novembre su prenotazione. Per informazioni: www.aeroportoditorino.it Una speciale produzione in cioccolato ideata da Thomas Bayrle per Flying Home e realizzata da Guido Gobino è disponibile al punto vendita “Gobino” nell’atrio partenze dell’aeroporto e all’info point di Artissima.

“Andrea Doria. I passeggeri sono in salvo?”

doria1Doppio appuntamento canavesano, l’11 e 12 novembre, con il film “Andrea Doria. I passeggeri sono in salvo?”. A 60 anni dal tragico affondamento del transatlantico che rappresentava l’orgoglio della marina italiana, l’iniziativa – promossa dalla Consulta Femminile del Consiglio regionale del Piemonte in collaborazione con Agis Scuola – si articolerà in due proiezioni del docu-film nato dal libro-racconto “L’ultima notte dell’Andrea Doria’” scritto da Pierette Domenica Simpson. L’autrice è una dei superstiti di quella tragedia consumatasi nella notte del 25 luglio 1956 mentre stava per raggiungere la sua meta finale, nel porto di New York. Venerdì 11 novembre, alle 10,30, al cinema Boaro di Ivrea la prima doria4proiezione sarà riservata agli studenti delle scuole secondarie di primo e secondo grado. Il giorno dopo, 12 novembre, alle 21, nel salone comunale di San Martino Canavese il film verrà proposto alla cittadinanza del piccolo comune dove – nella frazione di Pranzalito –  è nata Pierette Domenica Simpson, produttrice del docu-film, che proprio da lì era partita ( quando aveva, all’epoca, nove anni e mezzo) per intraprendere con i nonni il viaggio verso l’America,  dove – nella città di Detroit –  oggi vive e lavora. Entrambe gli eventi saranno gratuiti. Alle proiezioni sarà presente la vicepresidente del Consiglio regionale del Piemonte che ha sottolineato il significato di questa iniziativa: “ Ripercorrere questa parte della nostra storia, che ha visto protagonista una bambina di allora, nata nel Canavese, diventata successivamente in America docente di lingue e letteratura, significa tenere vivi i legami tra il nostro Piemonte e i territori d’oltre Oceano, terra di immigrazione italiana negli ultimi secoli”. Il film offre il racconto di quella sciagura nella quale persero la vita oltre cinquanta persone e, grazie al paziente e minuzioso lavoro dell’autrice, riscatta l’impegno dei membri dell’equipaggio,  come il comandante Piero Calamai  – costretto a forza dal suo equipaggio a lasciare la nave quando ormai a bordo non c’era più nessuno da salvare  – ingiustamente incolpati per la fatale collisione con la prua del rompighiaccio svedese Stockholm. Ma ci sono anche le storie, passioni e speranze degli immigrati che cercavano oltre oceano qudoria2ella fortuna che era loro negata nelle campagne e nei paesi del Piemonte e di tante altre regioni. Le operazioni di soccorso dell’Andrea Doria  da parte del transatlantico “Île de France” e di tutti gli altri mezzi navali a disposizione, vista la rapidità e il modo in cui si svolsero, fecero del disastro di quel “grattacielo viaggiante”, con 700 cabine distribuite su 11 livelli e  1.706 persone a bordo, la più grande operazione di soccorso della storia marittima dell’epoca. Il relitto dell’Andrea Doria, mai recuperato, giace tuttora posato sul fianco di dritta a una profondità di 75 metri.

Marco Travaglini

“Una Linea chiamata Cadorna”

cadorna-mostraNell’ambito delle attività per il centenario della prima guerra mondiale, l’associazione culturale Amici dell’Archivio di Stato di Verbania propone una mostra documentaria sulle fortificazioni del settore Toce-Verbano con l’obiettivo di raccontare la storia della difesa alla frontiera nord attraverso l’opera di ingegneria militare tuttora visibile sul territorio (strade, camminamenti, trincee, gallerie, appostamenti). L’inaugurazione si terrà sabato 5 novembre, alle ore 11, presso l’Archivio di Stato di Verbania (via Cadorna 37 – Verbania, Pallanza). La mostra rimarrà aperta fino al 12 dicembre (da lunedì a venerdì, ore 10-15) con ingresso libero.Le ricerche hanno interessato molti archivi, centrali e periferici, in particolare l’Ufficio storico dello Stato maggiore dell’Esercito, l’istituto storico di cultura dell’Arma del Genio (entrambi in Roma), e gli archivi storici del Politecnico di Milano, dove sono stati rinvenuti progetti, mappe, immagini e documenti che saranno esposti in copia lungo il percorso della mostra.

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Linea Cadorna, la Maginot italiana

 

Di Marco Travaglini

cadorna4Il sistema di fortificazioni che si  estende dall’Ossola alla Valtellina. Un enorme reticolo di trincee, postazioni di artiglieria, luoghi d’avvistamento, ospedaletti, strutture logistiche e centri di comando, collegate da centinaia di chilometri di strade e mulattiere, realizzato durante il periodo della prima guerra mondiale

Linea Cadorna” è il nome con cui è conosciuto  il sistema di fortificazioni che si  estende dall’Ossola alla Valtellina. Un enorme reticolo di trincee, postazioni di artiglieria, luoghi d’avvistamento, ospedaletti, strutture logistiche e centri di comando, collegate da centinaia di chilometri di strade e mulattiere, realizzato durante il periodo della prima guerra mondiale. Un’opera fortemente voluta dal generale Luigi Cadorna, capo di Stato Maggiore dell’Esercito (originario di Pallanza, sul lago Maggiore), con lo scopo di contrastare una eventuale invasione austro-tedesca proveniente dalla Svizzera. Lo scoppio della guerra – il 23 luglio del 1914 –  e gli avvenimenti successivi tra cui l’invasione del Belgio neutrale e i cambi di alleanze tra le varie potenze europee, accentuarono i dubbi sulla volontà del governo elvetico di far rispettare la neutralità del proprio territorio. Così, una volta che l’Italia entrò in guerra  contro l’Austria  – il 24 maggio 1915 – , il generale Cadorna, per non incorrere in amare sorprese, ordinò di avviare i cadorna5lavori difensivi, rendendo esecutivo il progetto di difesa già predisposto. Da quasi mezzo secolo erano stati redatti studi, progettazioni, ricognizioni, indagini geomorfologiche, pianificazioni strategiche, ricerche tecnologiche. E non si era stati con le mani in mano: a partire dal 1911 erano state erette le fortificazioni sul Montorfano, a difesa degli accessi dalla Val d’Ossola e dal Lago Maggiore,  e gli appostamenti per artiglieria sui monti Piambello, Scerré, Martica, Campo dei Fiori, Gino e Sighignola, tra le prealpi varesine e la comasca Val d’Intelvi. Anche la Svizzera, dal canto suo,  intensificò i lavori di fortificazione al confine con l’Italia, realizzando opere di sbarramento a Gordola, Magadino, Monte Ceneri e sui monti di Medaglia, nel canton Ticino. In realtà,tornando alla Linea Cadorna,quest’opera, nella terminologia militare dell’epoca, era definita come ” Frontiera Nord” o, per esteso, “sistema difensivo italiano alla Frontiera Nordverso la Svizzera”. E, ad onor del vero, più che una fortificazione collocata a ridosso della frontiera si tratta di una linea difensiva costruita in località più arretrate rispetto al confine, con lo scopo di presidiare  i punti nevralgici. Un’impresa mastodontica. Basta scorrere, in sintesi,  la consistenza dei lavori eseguiti e delle spese sostenute per la loro realizzazione: “Sistemazione difensiva – Si svolge dalla Val d’Ossola alla Cresta orobica, attraverso le alture a sud del Lago di Lugano e concadorna2 elementi in Val d’Aosta. Comprende 72 km di trinceramenti, 88 appostamenti per batterie, di cui 11 in caverna, mq 25000 di baraccamenti, 296 km di camionabile e 398 di carrarecce o mulattiere. La spesa complessiva sostenuta, tenuto conto dei 15-20000 operai ( con punte fino a trentamila, nel 1916, Ndrche in media vi furono adibiti, può calcolarsi in circa 104 milioni”. Le ristrettezze finanziarie indussero ad un utilizzo oculato delle materie prime,recuperate sul territorio. Si aprirono cave di sabbia, venne drenata la ghiaia negli alvei di fiumi e torrenti; si produsse calce rimettendo in funzione vecchie fornaci e furono adottati ingegnosi sistemi di canalizzazione delle acque. Gli scalpellini ricavarono il  pietrame, boscaioli e falegnami il legname da opera, e così via. I requisiti per poter essere arruolati come manodopera, in quegli anni di fame e miseria, consistevano nel possedere la cittadinanza italiana, il passaporto per l’interno e i necessari certificati sanitari. L’età non doveva essere inferiore ai 17 anni e non superiore ai sessanta e, in più, occorreva che i lavoratori fossero muniti di indumenti ed oggetti personali. A dire il vero, in ragione della ridotta disponibilità di manodopera maschile, per i frequenti richiami alle armi, vennero assunti anche ragazzi con meno di 15 anni, addetti a mansioni di manovalanza, di guardiani dei macchinari in dotazione nei cantieri o di addetti alle pulizie delle baracche.  La manodopera femminile, definita con apposito contratto, veniva reclutata nei paesi vicini per consentire alle donne, mentre erano impegnate in un lavoro salariato, di poter badare alla propria famiglia e di occuparsi dei lavori agricoli. Il contratto era diverso a seconda dell’ente reclutante: l’amministrazione militare o le imprese private. Quello militare garantiva l’alloggiamento gratuito, il vitto ( il rancio)  uguale a quello delle truppe, l’assistenza sanitaria gratuita, l’assicurazione contro gli infortuni, un salario stabilito in relazione alla durata del lavoro da compiere, alle condizioni di pericolo e commisurato alla professionalità e al rendimento individuale. Il salario minimo era fissato, in centesimi, da 10 a 20 l’ora per donne e ragazzi; da 30 a 40 l’ora per sterratori, manovali e braccianti; da 40 a 50 per muratori, carpentieri, falegnami, fabbri e minatori; da 60 ad una lira per i capisquadra. L’orario di lavoro era impegnativo e  prevedeva dalle cadorna36 alle 12 ore giornaliere, diurne o notturne, per tutti i giorni della settimana. Delle paventate truppe d’invasione che, come orde fameliche, valicando le Alpi, sarebbero dilagate nella pianura padana, non si vide neppure l’ombra. Così, senza il nemico e senza la necessità di sparare un colpo, con la fine della guerra,  le fortificazioni vennero dismesse. Quelle strutture, negli anni del primo dopoguerra, furono in parte riutilizzate per le esercitazioni militari e , negli anni trenta, inserite in blocco e d’ufficio nell’ambizioso  progetto del “Vallo Alpino”, la linea difensiva che avrebbe dovuto – come una sorta di “grande muraglia” –  rendere inviolabili gli oltre 1800 chilometri di confine dello Stato italiano. Un’impresa titanica, da far tremare le vene ai polsi che, forse proprio perché troppo ardita, in realtà, non giunse mai a compimento. Anche nella seconda guerra mondiale, la Linea Cadorna non conobbe operazioni  belliche, se si escludono i due tratti del Monte San Martino (nel varesotto, tra la Valcuvia e il lago Maggiore) e lungo la Val d’Ossola dove, per brevi periodi , durante la Resistenza, furono utilizzati dalle formazioni partigiane. Infine, come tutte le fortificazioni italiane non smantellate dal Trattato di pace siglato a Parigi nel febbraio 1947, a partire dai primi d’aprile del 1949, anche la “linea di difesa alla frontiera nord” entrò a far parte del Patto Atlantico istituito per fronteggiare il blocco sovietico ai tempi della “guerra fredda”. Volendo stabilire una data in cui ritenere conclusa la storia della Linea Cadorna, almeno dal punto di vista militare, quest’ultima può essere fissata con la caduta del muro di Berlino, il 9 novembre 1989. Da allora in poi, le trincee, le fortificazioni e le mulattiere sono state interessate da interventi di restauro conservativo realizzati dagli enti pubblici che hanno permesso di recuperarne gran parte  alla fruizione turistica, lungo gli itinerari segnalati. La “Cadorna” si offre oggi ai visitatori come una  veracadorna1 e propria “Maginot italiana”,  un gigante inviolato, in grado di presentarsi senza aloni drammatici, come un sito archeologico dove è possibile vedere e studiare reperti che hanno subito l’ingiuria degli uomini e del tempo ma non quella dirompente della guerra. Tralasciando la parte lombarda che si estende fino alla Valtellina e restando in territorio piemontese, sono visitabili diversi percorsi, dal forte di Bara  – sopra Migiandone, nel punto più stretto del fondovalle ossolano –  alle trincee del Montorfano, dalle postazioni in caverna del Monte Morissolo al fitto reticolo di trincee e postazioni di tiro dello Spalavera  ( la sua vetta è uno splendido belvedere sul Lago Maggiore e le grandi Alpi), dalle trincee circolari con i camminamenti e la grande postazione per obici e mortai del Monte Bavarione fino alle linee difensive del Vadà e del monte Carza, per terminare con quelle  della “regina del Verbano”, un monte la cui vetta oltre i duemila metri, viene ostentatamente declinata al femminile dagli alpigiani: “la Zeda”.

Arte, fotografia e società. Ai Weiwei

CONTEMPORANEA / di Maria Cristina Strati

Da Camera, a Torino, la fotografia rivoluzionaria di Ai Weiwei

Quando si ha a che fare con l’arte contemporanea e ci si trova nella circostanza di spiegarla al pubblico, è facile trovarsi nella difficoltà di far comprendere a chi non la conosce che cosa in essa appassioni tanto e, soprattutto, che cosa in essa abbia a che fare con la vita e la quotidianità della società intera. Per fortuna ci sono artisti con i quali spiegare il perché del valore della loro ricerca è più facile che con altri. Sono gli artisti che hanno testimoniato il loro impegno con la propria vita, in maniera molto concreta, e il cui lavoro rimanda in maniera diretta a situazioni, problemi, temi, che ci riguardano tutti. Uno di questi artisti è Ai Weiwei.

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Lo scorso 28 ottobre da Camera Centro Italiano per la Fotografia si è inaugurata una mostra bella e importante, dedicata appunto all’opera di Ai Weiwei. L’esibizione, affidata alla curatela di Davide Quadrio, raccoglie moltissimo materiale fotografico e video anche inedito realizzato dall’artista cinese dal 1983 ad oggi.

La mostra, che si svolge in contemporanea con l’imponente retrospettiva di Palazzo Strozzi a Firenze, prosegue negli spazi di Camera fino al prossimo 12 febbraio e sarà affiancata da una serie di eventi, conferenze e proiezioni, utili ad approfondire ulteriormente la figura e l’opera di Ai Weiwei.

Negli ultimi anni Ai Weiwei si è fatto conoscere dal grande pubblico non solo per la sua attività e ricerca artistica, ma anche e soprattutto per il suo impegno sociale e per i diritti umani. Impegno, il suo, per il quale egli ha pagato personalmente, anche con la reclusione, e che permea interamente la sua opera.

Si può infatti affermare che ogni suo lavoro è pensato come testimonianza viva e attiva di una realtà scomoda con la quale siamo tuttavia costretti a fare i conti.

Di questo ci rendiamo conto fin dal nostro ingresso in galleria. La mostra da Camera si articola infatti intorno a Soft Ground, un’installazione di grandi dimensioni che di fatto accompagna il visitatore lungo tutto il percorso espositivo. Si tratta di un tappeto lungo quanto il corridoio, sul quale è stampata la riproduzione fotografica in scala reale delle impronte lasciate dal passaggio di un carro armato della stessa qualità e dimensioni di quelli usati nel 1989 per reprimere la rivolta di Piazza Tienanmen.

A partire da questo drammatico lavoro e intorno ad esso, nelle altre sale, siamo poi invitati a seguire il percorso artistico ed esistenziale dell’artista attraverso i suoi lavori fotografici. Le fotografie sono esposte infatti in ordine cronologico, seguendo il ritmo dei mutamenti storico sociali che sono incorsi via via negli ultimi trent’anni, con accanto ad esso, mai da esso slegato, il controtempo del racconto autobiografico, con i celebri autoritratti.

L’ultima sala ospita infine Refugee Wallpaper, un’installazione formata da circa diciassettemila immagini frutto di una ricerca documentaria sul tema dell’immigrazione. La quantità delle immagini, tutte di piccolo formato, esposte l’una accanto all’altra a dar luogo a una drammatica tappezzeria multicolore, dà il senso della dispersione, del pericolo di non comprendere, di non vedere e rendersi conto del dramma concreto che coinvolge ogni giorno migliaia di esseri umani che dal Sud del mondo risalgono verso l’Europa e l’Occidente. L’occhio dell’artista qui offre la propria testimonianza attiva, ma sempre con un profondo rispetto, che non si compiace mai del dolore e non lo spettacolarizza.

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Come una vedetta attenta e solerte, Weiwei assume così su di sé il ruolo di colui che richiama l’attenzione, denuncia, avvisa. E, senza perdere la coerenza stilistica e compositiva propria del linguaggio artistico, in ogni suo lavoro egli fa sì che i nostri occhi si posino con chiara consapevolezza laddove le maglie della società sono più lente, i problemi più urgenti, i diritti umani non garantiti.

È chiaro perciò che, nel caso di Ai Weiwei, spiegare perché l’arte contemporanea interessa non solo gli esperti o gli appassionati del settore, ma la società intera, non è facile soltanto in virtù di quella che è ed è stata la sua storia e vicenda personale di rivoluzionario e dissidente. Il modo stesso in cui le opere sono pensate e realizzate rimanda infatti al modo della testimonianza, della denuncia vivida e tagliente che invita alla riflessione e alla presa di coscienza.

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ARound Ai Weiwei: PhotogRAPhs 1983-2016

Dal 28 ottobre 2016 al 12 febbraio 2017

CAMERA Centro Italiano per la Fotografia

Via delle Rosine 18, 10123 Torino

+39.011.0881150, camera@camera.to

http://camera.to

 

Le immagini:

New-York-Photographs-1983-1993-Profile-of-Duchamp-Sunflower-Seeds-

Beijing-Photographs-1993-2003-The-Forbidden-City-during-the-SARS-Epidemic

 

Scintille

alessia

Le poesie di Alessia Savoini

 

Lo stridio di un sogno si perse nell’aria come fa la nube di fumo prodotta dall’ardore del tabacco. Per convenzione, si fa risalire l’origine dell’uomo alla corsa in un prato, capace di pensare al concetto e di storpiare un’idea, ma non in grado di collegarli nella medesima forma manifesta del divino. Egli urla e si dimena ogni qual volta si sente nascere, o forse morire: dal pensiero di Dio si staccò per essere feto; alessia-2muore una volta per venire al mondo, poi cambia abito e nasce di nuovo, in un nuovo sé.Così da scalatore di fronde e cortecce diventò scrittore: ciò che riposa nel silenzio del mondo ora scaturisce egli con le sue mani; fu così che l’artista riconobbe in sé il divino. E quella potenza che un tempo mosse le cose altro non è che la sua voglia di creare. E il bambino, felice e sopraffatto, capisce di star nascendo, mentre il mondo crede di vederlo morire.

 

Alessia Savoini

TorinoDanza chiude con “Bones in pages”

TORINODANZA CONCLUDE L’EDIZIONE 2016 CON LA RIPRESA, IN PRIMA ITALIANA, DI BONES IN PAGES DEL MAESTRO GIAPPONESE SABURO TESHIGAWARA. TEATRO CARIGNANO, 3 NOVEMBRE 
bones-todanza
Torinodanza Festival si chiude con un altro grande coreografo della danza internazionale, il danzatore giapponese Saburo Teshigawara che giovedì 3 novembre 2016, alle ore 19.30, porterà in scena al Teatro Carignano la prima italiana della nuova ripresa di Bones in Pages.  La danza è scultura, come in molte tradizioni asiatiche. Scultura di aria, di luoghi, di tempo. Di pose e di pause. Di respiri e pulsazioni. Fra un corpo e l’altro si percepisce l’aria, ognuno a modo suo. Come questa viene sentita e interpretata è il tema della potente e suggestiva installazione del danzatore e coreografo giapponese Saburo Teshigawara, nuova ripresa dell’originale spettacolo creato nel 1991.I libri respirano nelle pagine e, nell’atto di leggerli, diventano corpi e suoni in movimento. Le ossa danzano fra i fogli, come suggerisce il titolo: i libri si liberano quando il respiro sfoglia la carta e le dà vita. Perché le pagine sono vite silenziose che prendono corpo, letteralmente, con la danza, pronte a farsi scompaginare e incorporare da chi legge. Oltre ogni schema. Fuori da ogni scatola. Il corpo in movimento di Bones in Pages infrange muri di luce e di possibili gabbie che chiudono i pensieri evocando punti immaginari nello spazio in un dialogo che unisce concetti apparentemente incompatibili: oggetto e immaginazione, spazio materiale e infinito, concreto e astratto. La tensione del corpo si libera fra i due mondi sospesi della sensualità e dell’estasi, scolpendo i movimenti con una limpidezza trasparente che si dissolve nel suo stesso farsi per ricomporsi rapidamente in nuove forme plasmate dall’incanto assoluto del presente. La velocità e la morbidezza regalano volume allo spazio, al tempo e alla musica. La danza diventa un viaggio misterioso e ipnotico in un fluire di movimenti acquatici, come alghe o piante marine, come se le ossa non ci fossero più o fossero diventate anch’esse liquide ma vive e pulsanti in ogni più piccola fibra. La tecnica impeccabile si dissolve in infinite piccole onde morbide di bellezza pura che accarezzano il passato, quello delle esperienze personali vissute e quello con la P maiuscola, mentre sono intente a leggere il presente. Con attenzione e dedizione. La terra sembra avere una gravità diversa in una nuova dimensione e lasciare il corpo libero di spostarsi nell’aria in una simbiosi perfetta con la musica che unisce rumori, suoni, voci e melodie eteree. La danza diventa pittura e calligrafia, si scompone e ricompone in movimenti pennellati, slanci lirici e poetici di impulsi e rotazioni che seducono in abbracci e spirali avvolgenti. L’effimero diventa infinito, consegnato e arreso alla meraviglia dell’istante. (Scheda tratta dal programma di Torinodanza 2016)

LOCANDINA

Teatro Carignano [durata 55’]
3 novembre 2016 – ore 19.30 / prima italiana della nuova ripresa
BONES IN PAGES 
coreografia, installazione, luci, ideazione, costumi e scene
Saburo Teshigawara
scelta musicale Saburo Teshigawara, Kei Miyata
danzatori Saburo Teshigawara, Rihoko Sato
assistente luci, coordinatore tecnico Sergio Pessanha
direttore di scena Markus Both
fonico Tim Wright
sartoria Eri Wanikawa

Produzione KARAS (Tokyo)
Creazione 1991 Francoforte, rivista nel 2003
Produzione 1991: TAT (Theater am Turm – Francoforte), KARAS (Tokyo)
Coproduzione (2003) Théâtre de Caen, Maison des Arts de Créteil, Festival d’Automne à Paris, Dansens Hus Stockholm, La Filature, Scène Nationale – Mulhouse

con il supporto dell’Agency for Cultural Affairs of Japan per l’anno 2016 www.bunka.go.jp

A Pechino “Come vi piace”, con la regia di Leo Muscato

Pechino, Beijing Comedy Theatre (National Centre for the Performing Arts)
2 – 4 novembre 2016

Shanghai, Oriental Arts Center (Shanghai International Comedy Festival)
8 – 9 novembre 2016
stabile-cina
COME VI PIACE
di William Shakespeare
traduzione, adattamento e regia Leo Muscato
Produzione Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale

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Per il terzo anno consecutivo verrà presentata in Cina, nel mese di novembre, una produzione del Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, rafforzando così questo importante rapporto internazionale avviato nel 2014.  Dopo il debutto in prima nazionale al Teatro Carignano di Torino, Come vi piace, con la regia di Leo Muscato, è stato invitato a Pechino, al Beijing Comedy Theatre, dal National Centre for the Performing Arts, dal 2 al 4 novembre 2016 e, subito dopo, inaugura, l’8 e il 9 novembre, l’International Comedy Festival di Shanghai ospite dell’Oriental Arts Center. La tournée di Come vi piace in Cina si iscrive nel percorso di internazionalizzazione dello Stabile di Torino, in atto già da diversi anni, sia nell’ambito delle ospitalità che in quello delle produzioni e rientra nelle direttrici politiche indicate dagli enti fondatori in linea con le nuove normative ministeriali relative ai teatri nazionali.

La collaborazione del nostro teatro con la Cina ha preso il via nel 2014 con l’ospitalità della produzione Gl’innamorati di Goldoni, messa in scena da Marco Lorenzi, nell’ambito del Beijing Fringe Festival, ed è proseguita lo scorso anno con L’Avaro di Molière con la regia di Jurij Ferrini che ha debuttato all’Ancient Courtyard Theatre di Wuzhen nel programma del Wuzhen Theatre Festival.

Quest’anno il Direttore del Teatro Stabile Filippo Fonsatti è stato invitato a Shanghai a far parte, in qualità di membro, del Comitato artistico dell’International Comedy Festival Shanghai e terrà un seminario presso l’Università Internazionale di Shanghai (SISU).
Nelle precedenti occasioni il Direttore Fonsatti aveva tenuto, nel 2014, una lecture all’International Master of Theatre Management Workshop organizzato dalla Central Academy of Drama di Pechino, e a Wuzhen ha partecipato in qualità di relatore ad un convegno sul management teatrale.

 (foto Alfredo Tabocchini).

Il 28 ottobre di Piero Chiara

chiara-28Venivano avanti, Peppino Ballinari e suo padre, per la via Molinetto alle cinque di mattina, diretti alla stazione. Era appena chiaro e una luce diffusa e senza ombre, ben nota a Peppino che a quell’ora era rincasato tante volte dopo le nottate di gioco, annunciava una serena giornata d’autunno. I merli che passavano chioccolando dalla villa Hurlimann alla villa Triacca, grossi come corvi, avevano l’aria di essere, più che stanziali, addirittura di casa in quella strada quasi campestre; mentre Peppino, che in quella strada abitava e in quel paese era nato, se ne andava lontano forse per sempre…”. Così inizia “Il 28 ottobre” ( Edizioni SE, a cura di Federico Roncoroni), un racconto di rara intensità, che Piero Chiara scrisse tra il 1961 e il 1963, e che, nel 1964, avrebbe dato il nucleo centrale – “l’episodio della Ines” – alla seconda edizione del “Piatto piange” e, nel 1981, la descrizione del viaggio del protagonista alla volta di Venezia al romanzo “Vedrò Singapore?”. Un racconto di notevole bellezza e qualità narrativa, che fa da cerniera tra due momenti fondamentali della notevole attività letteraria dello scrittore di Luino: il romanzo d’esordio e quello della maturità.

M.Tr.

Club to Club is coming

Dal 2 al 6 Novembre si aprirà la sedicesima stagione del Club To Club, uno degli eventi più interessanti nel panorama della musica pop ed elettronica in Italia e in Europa. Questa edizione si sta rivelando quella delle sorprese, come ha testimoniato l’annuncio tardivo dell’entrata nella line-up di Nick Murphy alias Chet Faker.

club

L’AC Hotel si riconferma anche quest’anno Headquarter del festival con l’Absolut Symposium, che reinventerà lo spazio dell’hotel con workshop, proiezioni e performance musicali.

Si inizia mercoledì 2 nella splendida cornice della Reggia di Venaria, con l’esclusivo evento di gala in collaborazione con Unsound Festival, suoneranno Chino Amobi ed Elysua Crampton e Piotr Kurek. Giovedì 3 il Conservatorio Giuseppe Verdi ospiterà Arto Lindsay, mentre alle 23 verrà invece inaugurata la location del Lingotto con Arca dj & Jesse Kanda visuals, Tim Hecker e Forest Swords. Ci si preparerà al clou venerdì 4 con una line up ricchissima con Autechre, Laurent Garnier, Nick Murphy alias Chet Faker, Swans e Amnesia Scanner fra tutti. Si chiude alla grande sabato 5 con Daphni, Dj Shadow, Jon Hopkins dj, Junun feat. Shye Ben Tzur, Jonny Greenwood & The Rajasthan Express e Motor City Drum Ensamble per citare i maggiori. Il cerchio si chiuderà domenica con il Block Party nell’etnico quartiere di San Salvario. Moltissime attività collaterali che dureranno tutto il giorno: incontri, mostre, proiezioni, laboratori, e un djset a cura del Wrap to Wrap e il caratteristico San Salvario Emporium.

Più di 50 artisti, tre location con cuore pulsante il Lingotto e tanta voglia di far diventare Torino per quattro giorni il centro nevralgico del panorama musicale internazionale.

Federica Monello